Consiglio di Stato, sez. I, parere definitivo 2019-04-30, n. 201901330

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. I, parere definitivo 2019-04-30, n. 201901330
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201901330
Data del deposito : 30 aprile 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

<a data-decision-id="ee9b2981-4820-5ada-ad5e-a595f05edb33" href="/decisions/itcsx82gynaw5mpbj">N. 00604/2015</a> AFFARE

Numero 01330/2019 e data 30/04/2019 Spedizione

REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 17 aprile 2019




NUMERO AFFARE

00604/2015

OGGETTO:

Ministero della difesa.


Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, con istanza sospensiva, proposto, con presentazione diretta, ex art. 11 d.P.R. n. 1199/1971, da T G C

contro

Croce rossa italiana e Ministero della difesa avverso ordinanza commissariale n. 394/2012 del 22 agosto 2012 nonché diffida e messa in mora del 23 novembre 2011.

LA SEZIONE

Vista la relazione con la quale il Ministero della difesa ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;

Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere G R;


Premesso e Considerato

Con il ricorso in esame, il sig. Tommasino Cardillo Giuliano impugna i seguenti atti:

1) ordinanza commissariale n. 394/2012 del 22 agosto 2012 a mezzo della quale il commissario straordinario della Croce Rossa Italiana:

- ha annullato le ordinanze commissariali n. 470 del 17 marzo 2003 e n. 227 del 4 maggio 2005 e, conseguentemente, le promozioni del personale assistenza del Copro della CRI effettuate in forza di tali ordinanze con il contestuale reinquadramento giuridico del personale militare che ha beneficiato degli avanzamenti di grado in eccesso rispetto ai posti disponibili così come creatisi a seguito dell’O.C. n. 226 del 2009;

- ha dato mandato di procedere al reinquadramento economico del personale oggetto dei provvedimenti di reinquadramento giuridico e al ricalcolo delle somme da ripetere per effetto delle illegittime promozioni conferite;

2) diffida e messa in mora del 23 novembre 2011, con la quale l’Ente ha diffidato il ricorrente a provvedere al pagamento della somma lorda di euro 7.352,60 e ha provveduto al suo reinquadramento con sviluppo carriera maresciallo capo dal 4 novembre 1992 e maresciallo maggiore dal 1 ottobre 2000 anziché maresciallo capo dal 4 novembre 1992 e maresciallo maggiore dal 4 novembre 1994.

L’interessato espone in fatto che presta servizio a tempo indeterminato presso il Centro Interventi Emergenza-Centro dal 20 maggio 1990, con il grado di Maresciallo Maggiore del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana Ausiliario delle Forze Armate;
con nota prot. Is. - CRI/15867/Pers dell'8 luglio 1994 e nota prot. Is. - CRI/28467/PERS del 16 dicembre 1994 l'Ispettorato Nazionale del Corpo Militare della C.R.I. provvedeva a dare comunicazione dell'apertura dei quadri di avanzamento del personale di assistenza relativi agli anni 1994-1995, senza fissare le vacanze organiche per i tre gradi di Maresciallo (Ordinario - Capo - Maggiore);
a seguito dell'apertura dei quadri di cui sopra, partecipava alle prove selettive per l'avanzamento ai sensi dell'art. 80 e segg. Del R.D. n. 484/1936 del personale, prova conclusasi con il giudizio "idoneo e non promosso" per l'indisponibilità di posti in organico;
la Croce Rossa Italiana, con Ordinanza Commissariale n. 470 del 17 marzo 2003, determinava di dare esecuzione in via straordinaria alle promozioni del personale militare di Assistenza in servizio continuativo giudicato "idoneo al grado superiore e non promosso" relative ai Q.A. 1994, 1995;
con comunicazione del 26 marzo 2003, la Croce Rossa italiana comunicava al ricorrente che "A seguito dell'Ordinanza Commissariale n. 470/2003 datata 17.03.2003 che dispone di dare esecuzione in via straordinaria alle promozioni del personale militare di Assistenza in servizio continuativo giudicato idoneo al grado superiore e non promosso relative ai q.a. 1994 - 1995, si è lieti di comunicare che la S. V. è stata promossa al grado di Maresciallo Maggiore con anzianità assoluta 4.11.1994”;
al fine di ottenere il pagamento degli emolumenti dovuti, per la prestazione lavorativa in favore della C.R.I., a seguito di promozione al grado superiore avvenuta con O.C. n. 470/2003, il ricorrente addiveniva a una composizione bonaria della controversia insorta sottoscrivendo un atto di transazione con l'Ente di appartenenza con la quale gli veniva riconosciuta una somma a transazione e stralcio dell'intera vicenda insorta, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1965 c.c.;
le parti dichiaravano, altresì, di non aver null'altro reciprocamente a pretendere per ogni titolo, ragione o causa inerente il rapporto di lavoro in questione impegnandosi entrambe a non instaurare alcuna causa e dichiarando espressamente di rinunciare anche a proporre ogni ulteriore domanda in ordine al medesimo titolo;
nel febbraio 2008, su disposizione del Ministero dell'Economia e Finanze, veniva effettuata un'ispezione amministrativo - contabile da parte di un dirigente dei servizi ispettivi di finanza pubblica alla quale seguiva una relazione redatta dal predetto organo ispettivo;
tenuto conto della relazione, la Croce Rossa Italiana, a distanza di nove anni, emetteva l'ordinanza commissariale oggetto del presente ricorso, al fine di annullare l’ordinanza commissariale n. 470 del 17 marzo 2003 e, conseguentemente, la promozione del ricorrente effettuata in forza di tali ordinanze, con il contestuale reinquadramento giuridico del personale militare che aveva beneficiato degli avanzamenti di grado in eccesso rispetto ai posti disponibili, così come creatisi a seguito dell'O.C. n. 226/2009. Il commissario straordinario, nell'ordinanza commissariale n. 394/2012, dava mandato al Servizio Trattamento Economico di procedere al reinquadramento economico del personale oggetto dei provvedimenti di reinquadramento giuridico e di procedere, altresì, al ricalcolo delle somme da ripetere per effetto delle illegittime promozioni conferite.

Nel gravarsi avverso i menzionati atti, il ricorrente reputa illegittima l'ordinanza commissariale n. 394/2012 e impraticabile il recupero delle somme erogate a seguito della promozione effettuata in forza dell'O.C. n. 470/2003.

Sostiene che le argomentazioni che sorreggono i divisati atti attengono all'aspetto finanziario e non toccano l’esistenza dei crediti del ricorrente e di conseguenza, le obbligazioni a carico della C.R.I. Per cui, gli emolumenti non possono reputarsi corrisposti in assenza di un valido titolo contrattuale, potendo il personale (ivi compreso il ricorrente) vantare un valido titolo contrattuale, costituito dall'atto di transazione sottoscritto nell'anno 2003 con lo stesso Ente resistente, che prescinde dai problemi inerenti l'aspetto finanziario dell'Ente e/o la carenza di posti vacanti. Deve escludersi, pertanto, la ripetibilità dell'intervenuto pagamento di somme avvenuto nove anni or sono, sulla base di un preciso accordo transattivo. Per il periodo oggetto di contestazione, effettivamente egli ha ricoperto il ruolo assegnatogli e svolte effettivamente le mansioni ad esso connesse: quindi del tutto legittimo sarebbe l'ulteriore riconoscimento economico anche in ragione dei noti principi normativi anche di rango costituzionale (tra tutti art. 36 Cost.).

Inoltre, la transazione è un atto bilaterale regolamentato dall'art. 1965 C.C., attraverso il quale le parti prevengono o pongono fine a una lite facendosi reciproche concessioni e rinunzie. Nel caso di specie, con l'atto transattivo suddetto, le parti avrebbero composto bonariamente la questione insorta in merito al pagamento delle spettanze relative alla promozione a grado superiore nonché: concordato il pagamento di una somma a transazione e stralcio dell'intera posizione;
rinunciato alla proposizione di eventuali giudizi in ordine al medesimo titolo;
espressamente dichiarato di non aver più nulla a pretendere l'uno dall'altro, con riferimento alla contestazione insorta. Di conseguenza, si deve escludere la possibilità dell'Ente di poter considerare l'erogazione di tali compensi quali indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., in quanto sussiste un valido titolo contrattuale/transattivo.

Parte resistente ha depositato documenti e relazione con la quale, dopo aver ricostruito il regime giuridico del personale appartenente al Corpo della CRI, confuta le argomentazioni di parte ricorrente sull’assunto del legittimo ripristino della legalità violata con gli atti annullati in autotutela.

All’adunanza del 17 aprile 2019, il ricorso è stato trattenuto per la deliberazione del parere.

L’oggetto del contendere è rappresentato dall’ordinanza commissariale n. 394 del 22 agosto 2012. Con la suddetta ordinanza l’Ente, ritenuto (a seguito di ispezione contabile) che le promozioni disposte con le ordinanze n. 470/2003 e n. 227/2005 erano avvenute diversi anni prima del dovuto, ha annullato dette promozioni e i conseguenti effetti economici e disposto il reinquadramento del ricorrente nel grado e nell’anzianità anteriore nonché il ricalcolo degli stipendi.

Il ricorrente sostiene che l’Amministrazione avrebbe acriticamente aderito alla relazione ispettiva, senza alcuna motivazione sull’interesse pubblico attuale a fondamento dell’esercizio dei poteri di autotutela;
che le somme ripetute non trovavano riscontro non solo con l’ordinanza tardivamente auto-annullata, ma anche con atti di transazione;
che contraddittoriamente l’amministrazione avrebbe dapprima stipulato le transazioni con il personale che chiedeva di essere pagato per il lavoro svolto tra il 1994 ed il 2000 nel grado superiore, ed ora annullato d’ufficio l’inquadramento anticipato rispetto alla normale copertura dei ruoli;
che illegittimamente l’Ente avrebbe disposto il recupero delle somme di cui assume l’irripetibilità.

L’amministrazione ritiene dovuta l’adozione degli atti di annullamento a tutela del corretto inquadramento giuridico ed economico, altrettanto dovuto e consequenziale il recupero delle somme erogate.

Il ricorso è infondato.

La questione sottoposta all’esame del Collegio è stata già affrontata numerose volte da questo Consiglio di Stato, sia in sede consultiva che giurisdizionale, con esiti favorevoli all’Amministrazione (Cons. Stato, Sez. IV, n. CDS n. 750-2015;
idem, n. 5784-2015;
Sez. II, n. 5784-2015;
idem, n. 133-2017;
Sez. IV, n. 27-2018;
Sez. IV, n. 1834-2018;
Sez. II, n. 2028-2018;
Sez. I, n. 1063-2019).

Fanno eccezione le sentenze della Sez. VI (v. sent. n. 5277 del 2017) che, peraltro, si discostano immotivatamente dagli innumerevoli precedenti di segno contrario.

All’orientamento assolutamente prevalente ritiene di adeguarsi questa Sezione e allo stesso si rinvia a mente dell'art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a. anche ai fini della compiuta ricostruzione della cornice normativa di riferimento.

La tesi del ricorrente riposa sostanzialmente sull’assunto per cui gli atti di transazione di che trattasi ricalcherebbero il tipo contrattuale di cui all’art. 1965 c.c. e, segnatamente, avrebbero per oggetto un rapporto giuridico avente, almeno nella opinione delle parti, carattere di incertezza e, nell’intento di far cessare la situazione di dubbio venutasi a creare, i contraenti si sarebbero fatte delle concessioni reciproche.

Su queste basi, l’annullamento in autotutela delle ordinanze commissariali 17 marzo 2003 n. 470 e 4 maggio 2005 n. 227, non avrebbe potuto determinare la caducazione del contratto di transazione precedentemente stipulato e l’ambito del suo effetto preclusivo.

In altri termini, la C.R.I. avrebbe annullato, senza disporre del relativo potere, i menzionati atti transattivi, con O.C. n. 336/2008 e successivamente con O.C. n. 394/2012.

Orbene, il fondamento giuridico sotteso alla corresponsione delle somme arretrate è stato individuato dall’amministrazione non già nei singoli atti di transazione stipulati con gli interessati bensì, nei provvedimenti amministrativi (atti non negoziali) autorizzativi delle transazioni stesse, ragion per cui quest’ultimi sono stati oggetto di annullamento in autotutela in quanto emanati sulla base di presupposti illegittimi. Gli atti di transazione, consequenzialmente, sono divenuti meramente inefficaci.

Ciò che rileva ai fini del decidere è, dunque, la circostanza storica e fattuale che sono state erogate dall’Amministrazione - e di ciò è stata fornita prova non confutata - somme stipendiali non dovute, sulla base di atti privi di congruenti presupposti (id est, inquadramenti illegittimi).

La questione impinge, pertanto, la legittimità o meno delle operazioni di recupero delle somme corrisposte al ricorrente.

La giurisprudenza, anche quella più risalente, ha costantemente affermato che il recupero di emolumenti indebitamente corrisposti a pubblici dipendenti costituisce per la P.A. l'esercizio di un vero e proprio diritto soggettivo a contenuto patrimoniale, ex art. 2033 c.c., avente carattere di doverosità e privo di valenza provvedimentale.

Degradano, pertanto, a mere irregolarità non vizianti tutte le censure di carattere formale e procedimentale.

La stessa giurisprudenza ha chiarito poi che l'interesse pubblico alla restituzione di quanto indebitamente erogato al dipendente prevale sull'interesse dei singoli ed è di per sé sempre attuale e concreto.

Più in particolare, è stato affermato che la buona fede del pubblico dipendente, che abbia percepito emolumenti a lui non dovuti, non costituisce ostacolo al loro recupero, ma comporta solo l’obbligo per l’amministrazione di una più approfondita valutazione e ponderazione degli interessi implicati, rapportate anche all’entità della lesione dell’interesse del dipendente;
pertanto, è legittimo l’atto che dispone la ripetizione dell’indebito quando risulti che detto interesse, per la tenuità del sacrificio imposto con il recupero, non può considerarsi prevalente su quello pubblico, per sua natura sempre attuale e concreto e non bisognoso di alcuna specifica motivazione mentre alla buona fede dell’ “accipiens” deve essere assegnato un rilievo limitato alle sole modalità del recupero che, in presenza di detto elemento soggettivo, devono essere determinate dall’Amministrazione in guisa da non incidere in misura eccessiva sulle esigenze di vita del dipendente e del suo nucleo familiare (Cons. Stato, VI Sez., 9 giugno 1994 n. 958;
II Sez. 5 aprile 1995 n. 2877;
C.si. 12 aprile 1995 n. 139;
Cons. Stato, II Sez., 7 giugno 1995 n. 2917;
VI Sez. 20 settembre 1995 n. 936;
30 ottobre 1995 n. 1240;
10 luglio 1996 n. 925;
4 settembre 1997 n. 1282;
7 ottobre 1997 n. 1431;
3 giugno 2002 n. 3091;
V Sez. 2 marzo 2000 n. 1515;
T.A.R. Salerno, II Sez., 2 maggio 2001 n. 407;
T.A.R. Brescia 2 aprile 2002 n. 550;
Cons. Stato, II Sez., 15 dicembre 1993 n. 764;
C.si. 15 gennaio 2002 n. 26 e 8 luglio 2002 n. 402).

Va soggiunto, che un equo temperamento delle esigenze del pubblico dipendente e del potere-dovere dell’amministrazione di procedere al recupero di quanto corrisposto “sine titulo” è stato rinvenuto in un sistema di rateizzazione dell’indebito che, per l’arco temporale per esso previsto, sia tale da non pregiudicare il soddisfacimento dei normali bisogni di vita del dipendente e della sua famiglia (Cons. Stato, VI Sez., 24 maggio 1996 n. 719;
19 luglio 1996 n. 925;
9 aprile 1998 n. 437).

Sempre con riferimento alla addotta buona fede dei ricorrenti va anche aggiunto che non è contestata la circostanza che il trattamento economico dei dipendenti è stato individuato non già nei singoli atti di transazione stipulati con gli interessati bensì nei provvedimenti amministrativi autorizzativi delle transazioni stesse. Ed invero, acclarata l'illegittimità degli inquadramenti - in quanto gli stessi posti in essere in assenza di posti vacanti in organico - gli atti transattivi sono stati oggetto di annullamento in autotutela in quanto risultati illegittimamente emanati.

Verificandosi tale situazione, il Collegio ritiene di poter escludere la sussistenza della buona fede da parte dell’ “accipiens” e, in ogni caso, l’obbligo di una particolare motivazione dell’atto di recupero delle somme che non fosse quello riveniente dai provvedimenti presupposti congruamente motivati.

In conclusione, per quanto sin qui argomentato, il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.

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