Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2011-10-04, n. 201105432
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N. 05432/2011REG.PROV.COLL.
N. 07487/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7487 del 2006, proposto dal Ministero dell'interno, in persona del legale rappresentante
pro tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Prefettura di Pescara;
contro
A E in proprio e nella qualità di legale rappresentante della società Città Sicura s.r.l., rappresentato e difeso dall'avv. G C, con domicilio eletto presso Nino Paolantonio in Roma, via Principessa Clotilde, 2;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. ABRUZZO - SEZIONE STACCATA DI PESCARA, n. 294/2006, resa tra le parti, concernente LICENZA PER SVOLGIMENTO ATTIVITA' DI VIGILANZA PRIVATA
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 maggio 2011 il Cons. C C e uditi per le parti l'avvocato dello Stato Basilica e l'avvocato Cerceo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il Ministero dell’interno, qui appellante, riferisce che con ricorso proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia e recante il n. 294/06, il sig. A E impugnò il provvedimento in data 11 gennaio 2006 con cui il Prefetto di Pescara aveva respinto l’istanza volta al rilascio di una licenza di pubblica sicurezza per l’esercizio dell’attività di vigilanza privata ai sensi dell’art. 134 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (c.d. T.U.L.P.S.).
In particolare, con il provvedimento in questione il Prefetto aveva respinto l’istanza proposta dal sig. Aimone (già titolare di analoga licenza rilasciata dal Prefetto di Chieti), osservando:
- che, nell’ambito del territorio interessato, vi era già una sufficiente presenza di istituti di vigilanza privata;
- che, inoltre, nell’ambito del medesimo territorio vi era già una diffusa presenza di forze dell’ordine, certamente in grado di fronteggiare le problematiche inerenti la pubblica sicurezza;
- che in tempi recenti erano state rilasciate numerose altre licenze di pubblica sicurezza per l’esercizio dell’attività in questione (per un totale complessivo di sei);
- che, laddove si fosse rilasciata un’ulteriore licenza, si sarebbe determinato uno squilibrio nel rapporto fra addetti alle forze dell’ordine e addetti alla vigilanza privata operanti sul territorio provinciale.
Con la sentenza oggetto del presente gravame, il Tribunale adìto accoglieva il ricorso e annullava l’impugnato provvedimento di diniego osservando:
- che, secondo un consolidato orientamento, il rilascio di una nuova autorizzazione di P.S. può essere rifiutato solo laddove venga dimostrato in concerto che il rilascio di una nuova autorizzazione possa arrecare un danno all’interesse pubblico;
- che, di per sé, il fatto che fossero state rilasciate numerose altre autorizzazioni non comporta che sia impossibile rilasciarne una nuova (dovendosi, anche in tale ipotesi, riguardare alla consistenza dell’interesse pubblico coinvolto);
- che, di per sé, il rapporto numerico fra addetti alle forze dell’ordine e addetti agli istituti di vigilanza privata non può essere considerato dirimente ai fini del diniego di una nuova autorizzazione di P.S.
La sentenza veniva appellata dal Ministero dell’Interno, che ne chiedeva la riforma con un unico motivo di doglianza: il provvedimento impugnato in prime cure era supportato da adeguata motivazione e istruttoria in relazione alle peculiarità della situazione esistente in loco , all’equilibrio numerico esistente fra addetti alle forze dell’ordine e addetti alle attività di vigilanza privata, nonché in ordine all’andamento dei fenomeni delittuosi.
Ed ancora, l’Amministrazione appellante osserva che il provvedimento aveva adeguatamente ponderato ed apprezzato:
- la circostanza per cui il sig. A era già titolare di altra licenza di P.S. per la provincia di Chieti e che aveva già in tempi recenti proposto istanza per il rilascio di altra analoga licenza;
- la circostanza per cui il rilascio di un’ulteriore licenza avrebbe potuto determinare un’esasperazione del confronto concorrenziale fra gli operatori del settore, con conseguente nocumento dell’interesse pubblico.
Si costituiva in giudizio il sig. A il quale concludeva nel senso della reiezione del gravame.
All’udienza pubblica del giorno 31 maggio 2011 il ricorso veniva trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Giunge alla decisione del Collegio l’appello proposto dal Ministero dell’interno avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo con cui è stato accolto il ricorso proposto da A E in proprio e nella qualità di legale rappresentante della società Città Sicura s.r.l., titolare di un’autorizzazione di pubblica sicurezza per l’esercizio dell’attività di vigilanza privata e, per l’effetto, è stato annullato l’atto con cui il Prefetto di Pescara aveva respinto l’istanza di rilascio di un’ulteriore licenza relativa al territorio provinciale di Pescara (art. 134 r.d. 18 giugno 1931, n. 773).
2. L’appello è infondato.
2.1. In primo luogo va richiamato il condiviso orientamento giurisprudenziale per cui il diniego di cui all’art. 136, secondo comma, T.U.L.P.S. (secondo cui la licenza di P.S. di cui al precedente art. 134 “ [può] essere negata in considerazione del numero o della importanza degli istituti già esistenti ”) non può essere fondato sul mero dato numerico delle licenze già in essere, ma va integrato attraverso considerazioni di contesto, basate sul complesso di circostanze rilevanti nel caso di specie (es.: caratteristiche sociali, economiche e demografiche dell’area interessata, andamento dei fenomeni di criminalità, ecc.).
I dinieghi dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività di vigilanza privata di cui all’art. 134 del T.U.L.P.S. non possono invero essere motivati solo in base alla mera quantità degli istituti di vigilanza esistenti ed operanti nel territorio: si deve infatti valutare se l’interesse pubblico sia in concreto danneggiato dal rilascio di una nuova autorizzazione, atteso che la concorrenza può alimentare le migliori condizioni di fruibilità del servizio e una più idonea e razionale organizzazione e gestione delle risorse (Cons. Stato, VI, 20 aprile 2006, n. 2197; 5 dicembre 2005, n. 6948).
Ancora, il Collegio osserva che, in via di principio, l’eventuale diniego al rilascio di una nuova licenza di pubblica sicurezza va fondato su elementi che, prendendo le mosse dal richiamato dato numerico, indichino puntualmente per quali ragioni il rilascio di un’ulteriore licenza risulterebbe idonea a determinare un nocumento per l’ordine e la sicurezza pubblica.
Non solo: le istanze del tipo per cui è causa vanno esaminate con particolare attenzione, atteso il necessario bilanciamento che l’art. 136 del T.U.L.P.S. postula fra alcuni interessi di carattere squisitamente particolare (in specie: correlati al libero esercizio delle attività economiche) e concomitanti interessi di carattere pubblicistico.
Ciò ricordato, l’esame dei documenti di causa dimostra che il diniego impugnato in prime cure risulta nei fatti fondato su considerazioni avulse rispetto a quelle prese in considerazione dalla legge.
Il Collegio invero osserva che l’atto prefettizio impugnato in primo grado, pur fornendo dati di dettaglio in ordine alle caratteristiche socioeconomiche e di offerta dei servizi di sicurezza nella zona interessata, si limita a concludere sul punto nel senso della sufficienza delle strutture già in essere al fine del soddisfacimento delle esigenze di vigilanza e custodia dei beni privati.
Manca in una tale esposizione l’indicazione di elementi concreti attestanti che il rilascio di un’ulteriore licenza risulterebbe idonea a vulnerare specifici interessi pubblici o generali.
Vero è che il diniego prefettizio svolge una disamina in ordine al numero di istituti già autorizzati in ambito provinciale e alla consistenza numerica delle forze di polizia esistenti nell’area interessata;ma tali considerazioni non afferiscono alla salvaguardia di puntuali e concreti interessi pubblici relativi all’area in questione, e risultano piuttosto ispirate da una valutazione eccessivamente sintetica, se non da una soggettiva percezione – priva di elementi analitici di riscontro - circa la dimensione ottimale dell’offerta di servizi di vigilanza dell’assetto organizzativo degli operatori.
Va poi rilevato che determinante per il diniego appare essere stato l’intento di evitare una indiscriminata proliferazione delle attività di vigilanza privata, idonea - secondo l’atto - a compromettere serietà e regolarità del servizio, a frustrare l’esigenza di un puntuale controllo sul suo funzionamento, e a determinare un’inammissibile eccesso competitivo, affatto negativo per la qualità dei servizi, nonché il rischio di violazioni della normativa lavoristica e tributaria.
Il Collegio osserva che si tratta di considerazioni esulanti dalla corretta e legittima ponderazione degli interessi pubblici coinvolti, e che risultano piuttosto rivolte a salvaguardare interessi particolari (la tutela della posizione di mercato dell’operatore preesistente rispetto ai nuovi ingressi), ovvero alla tutela di ulteriori interessi pubblici (come quelli di carattere lavoristico e previdenziale) certamente estranei alla ratio del più volte richiamato art. 136 del T.U.L.P.S..
Il Collegio ritiene di precisare che qui non si tratta di revocare in dubbio il consolidato orientamento per cui, a fronte di un atto negativo fondato su più ragioni ostative fra loro autonome, è sufficiente che una sola di quelle resista alle censure, perché sia escluso l’annullamento dell’atto negativo nel suo complesso. Nel caso in esame (pur avendo la Prefettura indicato numerose ragioni a sostegno del diniego), la maggior parte di esse non poteva autonomamente fondare l’opposto diniego, non richiamando alcun effettivo interesse pubblico in tal senso, ma limitandosi a rimarcare la sufficienza delle licenze già in essere.
La questione qui è che si tratta piuttosto di considerare che il diniego prefettizio si basava su una ragione autonoma ma determinante nel senso negativo assunto dall’atto, e che derivava da considerazioni fondate su circostanze in realtà non rilevanti, come la salvaguardia degli interessi concorrenziali dei soggetti già operanti .
2.2. Inoltre, l’Amministrazione avrebbe dovuto effettuare un’adeguata comparazione fra le esigenze rilevanti in materia, vale a dire quelle generali di ordine pubblico connesse all’attività di protezione di persone e di beni, e l’individuale diritto di iniziativa economica dell’interessato;fermo restando che il diniego deve comunque indicare le ragioni giustificatrici , avendo particolare riguardo alle ragioni per cui interessi pubblici di rilievo costituzionale potrebbero subire un nocumento in conseguenza del rilascio della nuova licenza (in tal senso: Cons. Stato, VI, 5 settembre 2011, n. 4990), perché grava sull’Amministrazione l’onere di apprezzare e indicare, con riguardo a ogni singola autorizzazione, il concreto vulnus all’interesse pubblico che potrebbe derivare da un ulteriore aumento di concorrenza.
In tal modo riepilogato il quadro concettuale, emerge il carattere complessivamente illegittimo dell’operato dell’Amministrazione, la quale qui non ha provveduto a fornire un adeguato riscontro in ordine alle ragioni del rigetto dell’istanza e ha stabilito una aprioristica quanto non motivata preclusione all’esercizio ulteriore dell’attività di vigilanza privata.
2.2. Le ragioni sin qui esposte risulterebbero già di per sé sufficienti a fondare il rigetto del gravame.
Ai limitati fini che qui rilevano, merita tuttavia di essere segnalato che l’evoluzione normativa successiva all’atto qui al vaglio e all’instaurazione del presente giudizio ha condotto all’abrogazione della disposizione su cui si basava il diniego oggetto di impugnazione in primo grado.
Ci si riferisce, in particolare, all’art. 4 del d.-l. 8 aprile 2008, n. 59 (convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2008, n 101), che ha abrogato il secondo comma dell’art. 136 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (ossia, la disposizione secondo cui la licenza di p.s. “ può, altresì, essere negata in considerazione del numero o della importanza degli istituti già esistenti ”), a seguito della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee in 13 dicembre 2007, in causa C-465/05 (Commissione vs . Italia), la quale ha sancito – fra l’altro - l’illegittimità de iure communitario del secondo comma dell’art. 136, per violazione, a proposito delle e imprese italiane di vigilanza privata, dei principi degli articoli 43 e 49 del Trattato CE in tema – rispettivamente – di diritto di stabilimento e libera circolazione dei servizi.
3. Per le ragioni sin qui esposte l’appello va respinto.
Sussistono giusti motivi, legati alla complessità della controversia, per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.