Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-06-12, n. 201203420

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-06-12, n. 201203420
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201203420
Data del deposito : 12 giugno 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02560/2006 REG.RIC.

N. 03420/2012REG.PROV.COLL.

N. 02560/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2560 del 2006, proposto da:
N G, rappresentato e difeso dagli avvocati F S e P P, con domicilio eletto presso l’avv. P P in Roma, via Cicerone, 44;

contro

Apat già Anpa - Agenzia Nazionale Protezione Ambiente, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la revocazione

della sentenza del

CONSIGLIO DI STATO

Sezione VI n. 01465/2005, resa tra le parti, concernente LIQUIDAZIONE POLIZZA ASSICURATIVA IN AGGIUNTA ALL'INDENNITA' DI FINE RAPPORTO.


Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 aprile 2012 il Consigliere Roberto Giovagnoli e uditi per le partil’avvocato Pascazi, e l’avvocato dello Stato Ventrella;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Viene in decisione il ricorso proposto dal signor G N per ottenere la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato 4 aprile 2005, n. 1465.

La sentenza oggetto di revocazione, accogliendo l’appello incidentale autonomo proposto dall’APAT, ha respinto il ricorso proposto in primo grado con il quale il signor Naschi, dirigente dell’Enea, poi transitato nell’Anpa, con decorrenza 28.1.1994 e cessato dal servizio in data 30.9.1997, aveva chiesto la liquidazione, in aggiunta all’indennità di fine rapporto spettante per legge, delle maggiori somme maturate per effetto della polizza assicurativa (polizza collettiva n. 52900) stipulata in data 1.1.1983 tra l’ENEA e l’INA, di cui il ricorrente originario era beneficiario.

2. Secondo la sentenza impugnata per revocazione, l’interpretazione complessiva del tenore della citata polizza assicurativa porta a respingere la tesi (sostenuta dal signor Naschi e accolta dalla sentenza di primo grado) secondo la quale i dipendenti dell’ente sarebbero stati costituiti come beneficiari non solo delle somme corrispondenti al trattamento legale di fine rapporto, ma anche delle maggiori somme maturate in funzione dell’andamento del costo della vita e degli investimenti mobiliari dei premi assicurativi versati dall’ente medesimo.

A giudizio della sentenza revocanda, infatti, la fattispecie in parola assume una caratterizzazione mista: si presenta in parte come contratto a favore di terzi, volto ad assicurare al dipendente le somme dovute per legge a titolo di trattamento di fine rapporto, ed in parte alla stregua di contratto funzionale all’interesse proprio dell’ente a perseguire una gestione efficiente e remunerativa del proprio patrimonio.

3. Avverso tale sentenza il signor G N ha proposto ricorso per revocazione per errore di fatto denunciando in particolare:

che la sentenza revocanda avrebbe erroneamente accolto l’appello incidentale proposto dall’APAT nonostante tale appello incidentale fosse stato proposto tardivamente (perché notificato oltre il termine di un anno dalla pubblicazione della sentenza di primo grado) e nonostante fosse diretto avverso un capo di sentenza non oggetto di impugnazione in via principale;

che la sentenza revocanda avrebbe commesso un ulteriore errore di fatto nella valutazione dei documenti prodotti in giudizio laddove, tirando le fila del proprio ragionamento interpretativo sulla Convenzione, ha affermato che “non assume poi valore decisivo la circostanza che in epoca successiva l’ANPA abbia inteso modificare le polizze nel senso della identificazione come beneficiario dello stesso Ente. Detta modifica è infatti spiegabile con la necessità di dissolvere i dubbi interpretativi derivanti dalla pregressa formulazione più che nel senso del riconoscimento della precedente pattuizione come volta a beneficiare i dipendenti oltre l’importo loro dovuto ai sensi di legge”. Secondo il ricorrente, costituirebbe falsa rappresentazione della realtà e di un presupposto di fatto decisivo, il ritenere che l’ANPA “abbia inteso modificare le polizze nel senso della identificazione come beneficiario dello stesso ente”, al fine “di dissolvere i dubbi interpretativi derivanti dalla pregressa formulazione”, risultando al contrario incontestato (tanto da essere ammesso anche dalla difesa dell’ANPA) il fatto che nessuna modifica è mai stata posta in essere da ANPA e che l’ente in questione è solo subentrato nel contratto n. 52900 al posto dell’ENEA, per quanto riguarda le polizze individuali dei propri dipendenti, nella stessa posizione di “contraente” della Convenzione n. 58000, richiamando l’allegato n. 9 delle proprie produzioni documentali. Il Collegio giudicante avrebbe, quindi, posto alla base del proprio convincimento un chiaro errore di percezione di un documento e di un fatto, giungendo ad attribuirgli efficacia decisiva tanto da fargli ritenere inutile l’esame, secondo i criteri ermeneutici di legge, delle altre clausole contrattuali, oltre a quelle di cui all’art. 1.

4. Alla pubblica udienza del 13 aprile 2012, la causa è stata trattenuta per la decisione.

5. Il ricorso per revocazione è inammissibile sotto entrambi i profili denunciati.

6. La prima censura, con il quale si contesta che erroneamente il Collegio avrebbe esaminato l’appello incidentale proposto dall’APAT nonostante tale appello fosse tardivo (perché proposto dopo un anno dalla pubblicazione della sentenza) e diretto avverso un capo della decisione non impugnato in via principale, è volto, in realtà, a denunciare un preteso errore di diritto.

Tale censura, infatti, muovendo dal presupposto della non applicabilità al giudizio in questione del periodo di sospensione feriale di termini, contesta la sentenza revocanda nella misura in cui quest’ultima ha invece ritenuto che le controversie di pubblico impiego riservate alla giurisdizione del giudice amministrativo sono sottoposte alle regole generali della sospensione feriale.

Si tratta, evidentemente, di una valutazione di diritto, non di fatto, la cui eventuale erroneità non può essere oggetto di ricorso per revocazione.

Il denunciato errore di diritto peraltro non sussiste. È ben vero che, a norma dell'art. 3 L. 7 ottobre 1969, n. 742 la sospensione feriale dei termini processuali "non si applica alle controversie previste dagli articoli 409 e 442 del codice di procedura civile c.p.c." e, pertanto, alle controversie relative ai "rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici" ed agli "altri rapporti di lavoro pubblico", di cui al n. 5 del citato art. 409 c.p.c.. La disposizione, però, precisa "sempreché (detti rapporti) non siano devoluti dalla legge ad altro giudice". Dal suo ambito di applicazione, in conseguenza, sono escluse le controversie di pubblico impiego che, ai sensi dell'art. 45, comma 17, D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80, in quanto relative a questioni attinenti al periodo di lavoro anteriore al 30 giugno 1998, rientrano nella giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo. Per queste, i termini processuali, compreso quello per proporre appello, rimangono sospesi nel periodo dal 1° agosto al 15 settembre di ciascun anno.

L’appello incidentale proposto dall’APAT era quindi tempestivo e poteva senz’altro essere diretto avverso un capo della sentenza di primo grado non oggetto di impugnazione in via principale.

7. Anche il secondo motivo di revocazione è inammissibile in quanto diretto a denunciare un preteso errore di giudizio e non di fatto.

Il ricorrente contesta, infatti, un errore commesso nella valutazione dei documenti di causa, lamentando in particolare l’erronea interpretazione della polizza n. 58000 (da cui emergerebbe incontestabilmente la qualità di beneficiario ed assicurato del dipendente), nonché l’erronea valutazione della delibera del Consiglio di Amministrazione Enea, in data 25 ottobre 1996.

In ordine a quest’ultima delibera, la sentenza revocanda avrebbe erroneamente inteso questa delibera come motivata dalla necessità di risolvere i dubbi interpretativi derivanti dalla pregressa formulazione della pregressa formulazione più che nel senso del riconoscimento della precedente pattuizione come volta a beneficiare i dipendenti oltre l’importo loro dovuto ai sensi di legge.

Al contrario, sostiene il ricorrente, la delibera del Consiglio di Amministrazione Enea cui fa riferimento la sentenza revocanda sarebbe intervenuta solo successivamente alla definitiva separazione dall’ANPA (avvenuta nel 1994) e riguarderebbe una polizza ben distinta che solo l’ENEA ha stipulato (la n. 58572).

7.1. Il motivo, come si diceva, è inammissibile.

Al riguardo il Collegio ritiene di prestare adesione al consolidato orientamento secondo cui l'errore di fatto non è ravvisabile nel caso in cui si assuma essere stato omesso l'esame di prove documentali prodotte ovvero si sia proceduto ad una erronea o incompleta valutazione delle medesime, traducendosi tali doglianze in una censura di errore di giudizio che esorbita dall'ambito dell'impugnazione per revocazione e che, quindi, non è denunciabile con tale (cfr. Cons. Stato, VI, 20 luglio 2011, n. 4385;
Cons. Stato, VI, 5 marzo 2012, n. 1235).

Si è condivisibilmente osservato al riguardo che la lettura e l'interpretazione dei documenti di causa appartiene all'insindacabile valutazione del giudice e non può essere censurata quale errore di fatto previsto dall'art. 395 n. 4, c.p.c., salvo trasformare lo strumento revocatorio in un inammissibile terzo grado di giudizio. Ciò in quanto l'errore di fatto deducibile in sede di revocazione non è ravvisabile nel caso in cui si assuma che il giudice abbia omesso di esaminare, su questione oggetto di discussione tra le parti, le prove documentali esibite o acquisite d'ufficio, ovvero abbia proceduto ad una erronea ed incompleta valutazione delle medesime: siffatta doglianza si risolve in una censura di errore di giudizio, esorbitante in quanto tale dall'ambito della revocazione (Cons. Stato, VI, 29 gennaio 2008, n. 241).

Nel caso di specie, peraltro, l’erronea valutazione documentale su cui si fonda il secondo motivo di revocazione non risulta nemmeno decisiva nell’ambito della motivazione della sentenza revocanda.

La sentenza impugnata, infatti, dopo aver motivatamente ed autonomamente concluso nel senso che la polizza assicurativa in questione avesse natura mista (presentandosi in parte come contratto a favore di terzi volto ad assicurare al dipendente le somme dovute per legge a titolo di trattamento di fine rapporto ed in parte alla stregua di un contratto funzionale all’interesse proprio dell’ente a perseguire un efficiente e remunerativa gestione del proprio patrimonio), si limita a richiamare la contestata delibera ENEA solo per precisare che essa non assume valore decisivo, essendo spiegabile con la necessità di superare i dubbi interpretativi accessi dalla precedente formulazione della precedente pattuizione.

Il contestato passaggio motivazionale non è quindi un presupposto unico della decisione contestata, ma solo un ulteriore argomento a sostegno di una soluzione già sorretta da motivazione autosufficiente. Da qui, un ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso, alla luce dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui l'erronea negazione di un fatto deve presentarsi come presupposto essenziale, se non unico, della decisione contestata ed assumere i caratteri dell'evidenza, dell'obiettività e della rilevabilità immediata (Cons. Stato, III, 2 settembre 2010, n. 3083;
Cons. Stato, VI, 20 luglio 2011, n. 4385).

A quanto precede deve ulteriormente aggiungersi, a conferma dell’inammissibilità del motivo, la circostanza che l’eventuale errore denunciato riguarderebbe, fra l’altro non una questione di fatto, ma una questione di diritto (la natura giuridica della polizza assicurativa in contestazione), che costituì un punto controverso del giudizio sul quale la sentenza revocanda si è espressamente pronunciata.

8. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso per revocazione deve, quindi, essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in complessivi € 2.500.

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