Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2024-03-14, n. 202402490
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
Pubblicato il 14/03/2024
N. 02490/2024REG.PROV.COLL.
N. 09598/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9598 del 2022, proposto dalla società
Il B S.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’avv. P D M e con domicilio eletto presso lo studio dello stesso, in Roma, via dell’Orso, n. 74;
contro
Comune di Celle di San Vito (FG), in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’avv. G L e con domicilio digitale come da
P.E.C.
da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, Sezione Prima, n. 588/2022 del 2 maggio 2022, resa tra le parti, con cui è stato dichiarato in parte irricevibile e in parte inammissibile, nonché comunque infondato nel merito il ricorso R.G. n. 1057/2016.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Celle di San Vito (FG);
Viste la memoria del Comune appellato, la replica dell’appellante;
Vista l’istanza della società appellante di passaggio della causa in decisione;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 gennaio 2024 il Cons. Pietro De Berardinis, udito per il Comune appellato l’avv. G L e viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso in epigrafe la società appellante, Il B S.r.l. (d’ora in avanti “B” o “Società”), ha impugnato la sentenza del T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, n. 588/2022 del 2 maggio 2022, chiedendone la riforma.
1.1. La sentenza appellata ha dichiarato in parte irricevibile per tardività e in parte inammissibile e comunque nel merito infondato il ricorso proposto dalla Società per ottenere la declaratoria di nullità o, in subordine, l’annullamento:
- della nota prot. n. 994 del 9 aprile 2016 del Comune di Celle di S. Vito (FG) recante l’attestazione della natura civica dei terreni di proprietà della ricorrente (ricompresi nel c.d. Demanio Universale Crepacuore o Crepacore);
- degli atti ad essa presupposti e connessi e in particolare delle deliberazioni della Giunta Comunale di Celle di S. Vito n. 5 dell’11 gennaio 2011 e n. 100 del 19 luglio 2011, nonché delle deliberazioni del Consiglio Comunale n. 5 del 25 gennaio 2011, n. 4 del 7 giugno 2012 e n. 38 del 28 dicembre 2012, tramite le quali ha trovato compimento l’attività di ricognizione generale delle terre demaniali di uso civico e che hanno comportato l’approvazione (con la citata delibera consiliare n. 38/2012) del “Regolamento comunale sulle terre demaniali di uso civico”;
1.2. In particolare, la sentenza appellata ha dichiarato tardivo il ricorso della Società nella parte in cui era rivolto avverso le ora viste delibere giuntali e consiliari, trattandosi di atti per i quali è ampiamente scaduto il termine per la loro impugnazione, decorrente dalla scadenza del termine di pubblicazione e che, attesa la loro natura di atti generali, non erano soggetti a notifica individuale.
1.3. Il T.A.R. ha poi dichiarato inammissibile il ricorso nella parte in cui ha ad oggetto la nota recante l’attestazione dell’esistenza degli usi civici sui terreni di proprietà della ricorrente, in quanto atto con valenza meramente dichiarativa e dunque non autonomamente lesivo.
1.4. In ogni caso, la sentenza ha dichiarato il ricorso infondato, stante l’erroneità degli assunti da cui ha preso le mosse la Società ricorrente e cioè che il Comune, attraverso le delibere impugnate, avrebbe usurpato le competenze della Regione, e che comunque nessun uso civico graverebbe sulle terre di proprietà della medesima ricorrente. Infatti, da un lato il Comune di Celle di S. Vito non ha compiuto un’attività di accertamento e valutazione, ma si è limitato alla ricognizione dell’attività già svolta in passato dagli organi competenti in ordine all’accertamento ed indagine sugli usi civici gravanti sulle terre comunali;dall’altro, la ricorrente non ha fornito alcuna prova a supporto della sua rivendicazione che le terre di sua proprietà non sono gravate da usi civici (ad es. mediante produzione di un’apposita certificazione della Regione).
2. Nel gravame l’appellante ha contestato l’ iter motivazionale e le statuizioni della sentenza di prime cure con molteplici censure, sebbene non articolate in formali motivi di appello.
2.1. L’appellante ha contestato, anzitutto, la statuizione di tardività dell’impugnazione delle delibere di Giunta e di Consiglio del Comune di Celle di S. Vito risalenti al 2011/2012, poiché la pubblicazione degli atti in questione non sarebbe idonea a consentire la decorrenza del termine di impugnazione, trattandosi di un adempimento insufficiente a garantire ai privati la conoscenza del provvedimento sfavorevole ed occorrendo invece la notifica personale di tali atti ed anzi della stessa comunicazione di avvio del procedimento.
2.1.1. La Società ha poi censurato la statuizione di inammissibilità dell’impugnazione del certificato di destinazione urbanistica delle aree di sua proprietà, quale atto non impugnabile siccome meramente dichiarativo dell’attestazione contestata: al contrario, è solo con il suddetto certificato che il Comune avrebbe certificato con adeguata chiarezza gli esiti dell’istruttoria svolta nel periodo dal 2011 al 2012 e l’apposizione dell’uso civico sulle aree in discorso.
2.2. Nel merito le censure del B si sono rivolte in primo luogo a contestare l’affermazione del T.A.R. secondo cui il Comune di Celle di S. Vito, con le delibere gravate, avrebbe proceduto alla mera ricognizione dei precedenti accertamenti della Regione sull’esistenza degli usi civici, poiché in realtà la Regione Puglia non avrebbe mai concluso il procedimento di accertamento degli usi civici, la cui istruttoria sarebbe tuttora in corso di svolgimento. Ma, allora, il Comune si sarebbe sostituito illegittimamente alla Regione (unico Ente dotato della relativa competenza) portando a compimento in modo autonomo e del tutto asincrono dall’attività regionale un proprio procedimento “ricognitivo” delle terre gravate da uso civici.
2.2.1. Il primo giudice avrebbe quindi errato nell’affermare l’infondatezza del motivo con cui erano stati dedotti il difetto assoluto di attribuzione e la radicata nullità degli atti impugnati, poiché avrebbe trascurato che la Regione non ha ancora individuato con proprio decreto, ai sensi dell’art. 42 della l. n. 1766/1927, le aree demaniali di uso civico. Non solo, ma il Tribunale non avrebbe considerato che il potere amministrativo illegittimamente usurpato dal Comune contrasterebbe con le determinazioni già assunte dalle Autorità competenti e dalla stessa Regione, la quale, in relazione proprio al “Fondo Crepacore” (nel cui ambito ricadono i terreni della Società) avrebbe già accertato in sede istruttoria il difetto dei presupposti per la declaratoria dell’esistenza degli usi civici.
2.3. Ancora, la sentenza appellata sarebbe incorsa in errore nel disattendere il motivo del ricorso di primo grado con cui si era lamentata la violazione della l. n. 1766/1927, del relativo regolamento di attuazione (r.d. n. 332/1928) e della l. Reg. Puglia 28 gennaio 1998, n. 7 (in materia di usi civici), in quanto sia le norme nazionali, sia quelle regionali avrebbero accentrato le funzioni amministrative in capo alla Regione e conferito ai Comuni un potere gestorio meramente residuale sui beni civici (di aggiornamento e riscossione dei canoni, ecc.). La teoria dei poteri impliciti, richiamata dal T.A.R., non potrebbe consentire deroghe alle previsioni normative ora citate.
2.4. La Società aveva altresì dedotto l’illegittimità residuale del Regolamento comunale sulle terre demaniali di uso civico (approvato con la ricordata delibera consiliare n. 38/2012), essendo il relativo potere regolamentare esercitabile dal Comune di Celle di S. Vito solo all’esito del decreto regionale di accertamento dei beni di uso civico. Il primo giudice ha disatteso la doglianza sul presupposto che la ricognizione regionale degli usi civici risulterebbe già completata, ma tale presupposto sarebbe del tutto erroneo (e con esso la motivazione della sentenza).
2.5. Da ultimo le censure del B si sono appuntate contro l’attestazione da parte del Comune appellato, con il certificato di destinazione urbanistica del 9 aprile 2016, della natura civica dell’area di proprietà dell’appellante, poiché anche l’attestazione sulla natura civica dei beni rientrerebbe nelle competenze esclusive della Regione Puglia.
2.6. L’appellante ha quindi concluso per la riforma della sentenza impugnata e conseguentemente per l’accertamento e la declaratoria della nullità degli atti impugnati, ai sensi dell’art. 31, comma 4, c.p.a., ovvero per il loro annullamento.
3. Si è costituito in giudizio il Comune di Celle di S. Vito (FG), depositando di seguito memoria con la quale in via preliminare ha eccepito l’inammissibilità dell’appello, in quanto le doglianze con esso proposte altro non sarebbero che la riproposizione delle censure già sollevate in primo grado, senza alcuna puntuale contestazione della decisione del T.A.R., in violazione del principio di specificità dei motivi di cui all’art. 101, comma 1, c.p.a.;nel merito ha comunque eccepito l’infondatezza di dette doglianze, contestando, tra l’altro, l’assunto del B secondo cui gli atti impugnati in primo grado sarebbero nulli.
3.1. L’appellante ha depositato una breve replica, insistendo nelle conclusioni già rassegnate, nonché istanza di passaggio della causa in decisione.
3.2. All’udienza pubblica del 16 gennaio 2024 è comparso il difensore del Comune appellato;di seguito l’appello è stato trattenuto in decisione.
4. In via preliminare occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa comunale per la (pretesa) violazione del principio di specificità dei motivi ex art. 101, comma 1, c.p.a., poiché l’appellante non avrebbe mosso puntuali contestazioni a quanto deciso e motivato dal T.A.R., ma si sarebbe limitata a riproporre le censure formulate avverso gli atti impugnati in prime cure, dolendosi del fatto che il T.A.R. non le abbia adeguatamente valutate.
4.1. L’eccezione è infondata.
4.2. Ed invero, il principio di specificità dei motivi di impugnazione, previsto dall’art. 101, comma 1, c.p.a., prescrive che sia rivolta una critica puntuale alle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, non bastando la mera riproposizione dei motivi contenuti nel ricorso introduttivo e ciò, in quanto il giudizio di appello innanzi al giudice amministrativo ha natura di revisio prioris instantiae , i cui limiti oggettivi risultano segnati dai motivi di impugnazione (cfr., ex multis , C.d.S., Sez. VII, 22 giugno 2023, n. 6147;id., 9 maggio 2023, n. 4680;Sez. V, 7 marzo 2022, n. 1619;id., 30 novembre 2021, n. 7988;id., 8 aprile 2021, n. 2843;Sez. II, 2 febbraio 2022, n. 717;Sez. IV, 24 febbraio 2020, n. 1355).
4.2.1. Per ottemperare al precetto della specificità dei motivi, l’appello deve censurare le motivazioni della sentenza impugnata ed esporre le ragioni per le quali questa sarebbe erronea e da riformare (cfr., ex plurimis , C.d.S., Sez. II, 12 marzo 2021, n. 2152;id., 21 maggio 2019, n. 3253;Sez. V, 4 aprile 2017, n. 1543;id., 17 giugno 2014, n. 3088;Sez. III, 3 aprile 2017, n. 1529;Sez. IV, 26 settembre 2016, n. 3936;Sez. VI, 19 gennaio 2016, n. 158). È stato precisato che non è necessario che i motivi di gravame siano rubricati in modo puntuale, né espressi con formulazione giuridica assolutamente rigorosa, rilevando invece che gli stessi vengano esposti con specificità sufficiente a fornire almeno un principio di prova utile alla identificazione delle tesi sostenute a supporto della domanda finale (cfr. C.d.S., Sez. V, 27 settembre 2022, n. 8321) e che la specificità si articola, comunque, in relazione alla natura delle controversie (C.d.S., Sez. VI, 9 luglio 2012, n. 4006).
4.3. Tanto premesso, nel caso di specie il precetto dell’art. 101, comma 1, c.p.a. risulta rispettato, in quanto l’appellante ha mosso critiche specifiche e puntuali alla sentenza di prime cure (in disparte la fondatezza delle stesse), individuando con sufficiente chiarezza le ragioni per le quali, a suo avviso, la riferita sentenza sarebbe errata e da riformare. Dunque, non si ravvisano violazioni del principio di specificità, essendo giuridicamente irrilevante, ancorché visivamente meno ordinato, che la parte non abbia rubricato in maniera puntuale le censure da essa dedotte e non abbia loro conferito un’apposita intestazione formale (C.d.S., Sez. VII, n. 6147/2023, cit.).
5. Nel merito, il Collegio osserva quanto segue.
5.1. Come si è accennato, la Società ha censurato anzitutto i capi della sentenza appellata che hanno dichiarato il ricorso irricevibile nella parte avente a oggetto le delibere della Giunta e del Consiglio Comunale degli anni 2011 e 2012 e inammissibile nella parte relativa al certificato di destinazione urbanistica del 2016. È evidente il carattere pregiudiziale di dette censure, poiché la decisione sul loro accoglimento condiziona la possibilità per questo giudice di procedere all’esame delle altre doglianze con cui si è lamentata l’illegittimità degli atti impugnati in primo grado, contestandosi la pronuncia, emessa dal T.A.R., di infondatezza del ricorso: ad esse, perciò, deve essere accordata priorità in sede di disamina del merito dell’appello.
5.2. Con riferimento alla tardività dell’impugnazione delle suindicate delibere comunali del 2011 e del 2012, il B lamenta che le stesse non sarebbero atti generali, ma atti che incidono su un numero limitato di soggetti privati, cosicché esse avrebbero dovuto formare oggetto di notificazione individuale ai destinatari ed anzi avrebbe dovuto essere notificato personalmente anche l’avvio del relativo procedimento amministrativo. Vengono richiamate in proposito le norme che regolamentano gli usi civici (ad es. l’art. 15 del r.d. n. 332/1928), postulanti la notifica diretta agli interessati del procedimento. In difetto di detta notificazione, la pubblicazione delle citate delibere comunali (atti limitativi del diritto di proprietà dell’appellante) non sarebbe adempimento idoneo a far decorrere il termine per l’impugnativa delle stesse, non potendo pretendersi che un cittadino debba ispezionare quotidianamente tutti gli Albi pretori delle Amministrazioni locali e/o regionali alla ricerca di atti pubblicati potenzialmente lesivi. Su tali basi, quindi, il ricorso introduttivo del giudizio non potrebbe essere considerato tardivo.
5.3. Quanto alla declaratoria, da parte del T.A.R., dell’inammissibilità dell’impugnazione della nota del Comune di Celle di S. Vito del 9 aprile 2016, recante attestazione che le terre della ricorrente sono gravate da usi civici, tale declaratoria sarebbe erronea, perché il certificato di destinazione urbanistica di cui alla suddetta nota comunale sarebbe il solo atto con cui il Comune ha attestato con chiarezza gli esiti dell’istruttoria del 2011/2012 e certificato con altrettanta chiarezza l’apposizione dell’uso civico sulle proprietà della Società. Esso sarebbe, perciò, atto impugnabile, in quanto autonomamente lesivo della sfera della stessa ricorrente.
6. Le censure ora riportate non sono suscettibili di positivo apprezzamento.
6.1. Non sono condivisibili, anzitutto, le argomentazioni con cui la Società afferma che le delibere impugnate avrebbero dovuto esserle notificate.
6.2. In particolare, la deliberazione del Consiglio Comunale n. 38 del 28 dicembre 2012, avente a oggetto l’approvazione definitiva della ricognizione generale delle terre demaniali di uso civico e del relativo regolamento comunale, è indubbiamente atto generale, soggetto a pubblicazione e non certo a notifica individuale a singoli destinatari. Il regolamento comunale sulle terre demaniali di uso civico con essa approvato è un atto normativo dotato dei caratteri della generalità e astrattezza, di tal ché per esso nemmeno sono ipotizzabili destinatari determinati a cui avrebbe dovuto essere notificato: orbene, per regola generale gli atti di natura normativa secondaria, in quanto aventi destinatari indeterminati, non vanno notificati personalmente ai fini della decorrenza del termine per impugnare (cfr., ex multis , C.d.S., Sez. V, 19 settembre 2019, n. 6238;id. 7 ottobre 2009, n. 6165;id., 13 giugno 2008, n. 1971;Sez. VI, 6 aprile 2010, n. 1918). Né può ipotizzarsi che la deliberazione in esame, nella parte recante l’approvazione dell’indagine storico-giuridica in cui si è tradotta la ricognizione generale delle terre demaniali di uso civico, cessi di essere un atto a contenuto generale per acquisire, invece, la veste di un provvedimento individuale soggetto a notifica, ove si consideri che il Comune di Celle di S. Vito, con il procedimento sfociato nella deliberazione n. 38/2012, ha avuto il fine di realizzare un progetto di sistemazione “ generale ” dei beni di uso civico del territorio comunale (così la deliberazione del Consiglio Comunale n. 5 del 25 gennaio 2011).
6.2.1. Come giustamente osservato dalla sentenza appellata, che le delibere comunali degli anni 2011 e 2012 (e in particolare la delibera consiliare n. 38/2012) rientrino nella categoria degli atti generali, emerge in modo inconfutabile dalla circostanza che si tratta di atti inerenti una pluralità di suoli e il complessivo territorio comunale.
6.3. La deliberazione n. 38 cit. reca in calce l’attestazione della sua pubblicazione all’Albo Pretorio comunale, ai sensi dell’art. 124 T.U.E.L., per quindici giorni consecutivi dal 3 gennaio 2013 e, quindi, dalla scadenza di detta pubblicazione è decorso il termine decadenziale per la sua impugnazione (cfr., ex multis , C.d.S., Sez. V, 8 luglio 2019, n. 4774;Sez. IV, 30 marzo 2018, n. 2022;Sez. VI, 13 febbraio 2017, n. 622). Come affermato in una fattispecie analoga da un precedente della Quinta Sezione di questo Consiglio poc’anzi richiamato (n. 6238 del 19 settembre 2019), nella vicenda ora in esame deve “ farsi applicazione del principio giurisprudenziale secondo cui il termine decadenziale per ricorrere contro gli atti amministrativi soggetti a pubblicazione necessaria decorre per i soggetti non espressamente nominati (o immediatamente rintracciabili) dalla pubblicazione medesima, non essendo indispensabile la notificazione individuale o la piena conoscenza (cfr. Cons. Stato, sez. III, 8 gennaio 2019, n. 190;V, 6 luglio 2018, n. 4147;III, 22 novembre 2018, n. 6606;VI, 7 maggio 2014, n. 2825;IV, 13 luglio 2011, n. 4239) ”. Poiché, però, la delibera n. 38/2012 è stata impugnata, in uno con la certificazione emessa dal Comune nel 2016, con il ricorso notificato il 26 luglio 2016, è di palmare evidenza la tardività della sua impugnazione.
6.4. In contrario non può argomentarsi sulla base del difetto di attribuzione (e quindi della nullità) da cui sarebbe affetta la delibera stessa secondo la prospettazione dell’appellante, in primo luogo – e tale rilievo è dirimente – perché, ai sensi dell’art. 31, comma 4, c.p.a., la nullità degli atti amministrativi va fatta valere entro il termine di decadenza di centottanta giorni e nella vicenda in esame anche detto termine era ormai ampiamente decorso all’epoca della proposizione del ricorso.
6.5. Inoltre la tesi del difetto assoluto di attribuzione in capo al Comune di Celle di S. Vito, dunque della carenza di potere in astratto che vizierebbe le delibere impugnate, le quali sarebbero pertanto nulle, non convince.
6.5.1. Per giurisprudenza consolidata, infatti, la nullità del provvedimento amministrativo ha carattere eccezionale (cfr., ex multis , C.d.S., Sez. II, 14 gennaio 2022, n. 272;Sez. IV, 17 novembre 2015, n. 5228): le categorie della nullità e annullabilità, quali vizi che inficiano un atto giuridico costituente manifestazione di volontà, si presentano nel diritto amministrativo in relazione invertita rispetto alle omologhe figure valevoli per i negozi giuridici di diritto privato (C.d.S., Sez. V, 16 febbraio 2012, n. 792). Il difetto assoluto di attribuzione, quale causa di nullità del provvedimento, ricorre solo in caso di carenza di potere in astratto, vale a dire quando l’Amministrazione esercita un potere che in realtà nessuna norma le attribuisce, poiché tale vizio può essere configurato solo nei casi “di scuola” in cui un atto non può essere radicalmente emanato da una autorità amministrativa, che non ha alcun potere nel settore, neppure condividendone la titolarità con un’altra Amministrazione, risultando altrimenti un vizio di incompetenza (oltre alle sentenze già citate cfr. C.d.S., Sez. V, 10 gennaio 2017, n. 45;id., 30 agosto 2013, n. 4323;id., 2 novembre 2011, n. 5843;Sez. IV, 18 novembre 2014, n. 5671;id., 19 dicembre 2007, n. 2273;Sez. VI, 31 ottobre 2013, n. 5266;id., 27 gennaio 2012, n. 372). Ma nel caso di specie è la stessa appellante a riconoscere l’esistenza di un potere del Comune nella materia in esame, sia pure residuale e condizionato alla previa adozione, da parte della Regione, del decreto ex art. 42 della l. n. 1766/1927, di tal ché risulta palese che il vizio da cui sarebbero affette – secondo il B – le delibere impugnate debba riqualificarsi in termini di incompetenza relativa;si tratta quindi di un vizio di annullabilità delle delibere stesse, da far valere a pena di decadenza nel termine di impugnazione di sessanta giorni ex art. 29 c.p.a.: termine ampiamente scaduto, come si è visto, al tempo della proposizione del ricorso.
7. Neppure è possibile, per la Società, “recuperare” il termine di impugnativa delle delibere comunali in questione attraverso l’impugnazione della nota emessa il 9 aprile 2016 dal Comune, contenente l’attestazione che le particelle di terreno di proprietà del B sono gravate da usi civici, poiché questa, come giustamente osservato dal T.A.R., è un atto meramente dichiarativo, privo di per sé di efficacia lesiva e quindi non autonomamente impugnabile.
7.1. Si richiama sul punto l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui il certificato di destinazione urbanistica redatto dal pubblico ufficiale è atto meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che da esso risultano: effetti che discendono, invece, da precedenti provvedimenti, i quali hanno determinato la situazione giuridica acclarata con il certificato. Tale atto, perciò, non ha natura provvedimentale ed è sprovvisto di concreta lesività e, dunque, non è suscettibile di impugnazione (così C.d.S., Sez. IV, 4 febbraio 2014, n. 505;nello stesso senso v. altresì Sez. VI, 3 febbraio 2023, n. 1182;id., 16 febbraio 2011, n. 985;Sez. IV, 8 febbraio 2016, n. 476;id., 26 agosto 2014, n. 4306;Sez. V, 25 settembre 1998, n. 1328).
7.2. Come già accennato, l’infondatezza delle censure dell’appello ora esaminate esonera il Collegio dalla disamina delle ulteriori censure del gravame volte a contestare la legittimità degli atti gravati, in quanto comunque insuscettibili di portare all’accoglimento dell’appello e quindi ad una modifica dell’esito sfavorevole alla ricorrente del giudizio di primo grado.
8. In conclusione, l’appello deve essere respinto, dovendo essere confermata la declaratoria da parte del T.A.R. dell’irricevibilità e inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio.
9. Le spese del giudizio di appello seguono la soccombenza e sono liquidate a carico dell’appellante nella misura di cui al dispositivo.