Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2013-12-20, n. 201306114

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2013-12-20, n. 201306114
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201306114
Data del deposito : 20 dicembre 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 09369/2003 REG.RIC.

N. 06114/2013REG.PROV.COLL.

N. 09369/2003 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9369 del 2003, proposto da:
V A, rappresentato e difeso dall'avvocato R B, con domicilio eletto presso Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone, n.44;

contro

Comune di Todi, non costituito;
Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per l’Umbria, n. 42829 del 29 maggio 2003.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 novembre 2013 il Cons. L M T e uditi per le parti l’avvocato R B e l'avvocato dello Stato Agnese Soldani;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con sentenza n. 428 del 29 maggio 2003 il TAR Umbria respingeva i ricorsi proposti dall’odierno appellante per l’annullamento:

a) dell'ordinanza sindacale n. 3293 del 13 maggio 1991, con la quale veniva ingiunta la demolizione di manufatti abusivi, di proprietà del ricorrente, siti in Todi, via delle Cerquette;

b) del decreto ministeriale n. 998/104245 datato 4 luglio 1991 - notificato alla sig.ra Laura M (già proprietaria degli immobili, e dante causa del ricorrente) il 18 marzo 1992 - con cui veniva disposta la demolizione degli stessi manufatti di cui al primo ricorso, in applicazione dell'art. 59 della legge n. 1089/1939;

c) del provvedimento sindacale 14 febbraio 1991 - notificato alla signora M il 22 febbraio 1991 - con il quale veniva respinta l'istanza di condono presentata dalla medesima ai sensi della legge n. 47 del 1985.

2. La pronuncia gravata:

a) ha posto in rilievo che le opere oggetto dei provvedimenti impugnati, oltre ad essere state realizzate senza concessione od autorizzazione di sorta, ricadono in area totalmente inedificabile dal punto di vista urbanistico (destinazione a verde pubblico e zona di rispetto stradale) e vincolata altresì ai sensi dell'art. 21, legge n. 1089 del 1939 (vincolo monumentale indiretto);

b) ha evidenziato, inoltre, che la Soprintendenza aveva negato il nulla-osta per il condono di cui alla legge n. 47 del 1985, sicché all’amministrazione comunale non residuava alcun margine di discrezionalità in ordine al rilascio del condono richiesto;

c) ha ravvisato una modifica sostanziale di uno dei manufatti oggetto dei provvedimenti impugnati nelle more della decisione della domanda di condono, che, se nella relazione tecnica del 25 marzo 1986 allegata alla domanda di condono viene definito come locale ad uso serra, dal "rapporto" comunale 18 gennaio 1991 viene, invece, descritto come manufatto ad uso abitativo “ …costituito da cucina, bagno, corridoio e soggiorno, con pavimentazione esterna antistante, delle dimensioni di m. 3,00x10,00 circa ”.

d) in definitiva, ha respinto entrambi i ricorsi poiché oggetto della domanda di condono era soltanto il manufatto sopra descritto frutto di un abuso nuovo, per il quale il condono non è stato mai chiesto, né avrebbe potuto essere chiesto, essendo stato realizzato dopo il 1986 (domanda di condono della signora M) e più probabilmente dopo il 1988 (acquisto del sig. V).

3. Ha interposto appello il Sig. V limitatamente alla parte in cui la sentenza di primo grado ha respinto il ricorso avverso il diniego di condono edilizio nonchè avverso l’ordinanza di demolizione limitatamente a due dei manufatti ivi indicati, con esclusione in particolare: a) della tettoia sorretta da pali di legno;
b) del serbatoio di raccolta dell’acqua.

3.1. Con una prima doglianza l’appellante si duole del difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in quanto il TAR avrebbe respinto i ricorsi valutando un profilo non considerato dai provvedimenti impugnati, ossia la modifica degli stessi nelle more della decisione dell’istanza di condono edilizio, in questo modo producendo l’effetto di un nuovo provvedimento amministrativo di diniego di condono edilizio. In ogni caso avrebbe omesso di pronunciarsi sulle censure di legittimità spiegate dall’odierno appellante.

3.2. Errata sarebbe a giudizio dell’appellante anche la ricostruzione in fatto operata dal TAR in relazione al manufatto oggetto di domanda di condono edilizio:

a) le modifiche strutturali consistite nella sostituzione delle vetrate frontali non costituiscono realizzazione di un diverso manufatto;

b) le modifiche funzionali ossia la realizzazione di una cucina e di un bagno costituiscono accessori necessari per un annesso rustico in assenza nei pressi di una civile abitazione.

3.2.1. Conseguentemente, l’appellante ripropone le censure rimaste non accolte all’esito del giudizio di primo grado. Ed, in particolare, si duole del fatto che:

a) il fabbricato all’interno del quale è stato realizzato un bagno ed un angolo cottura esiste fin dai primi decenni del 1900 è stato riadattato nel 1961 e quindi prima che la zona fosse assoggettata a vincolo ex art. 21, l. n. 1089/1939. Questa circostanza escluderebbe l’assoggettabilità dell’opera al divieto di nuove costruzioni di cui al D.M. 8 aprile 1968, impositivo del vincolo. Prova di ciò dovrebbe trarsi dal contratto stipulato dal fratello della dante causa dell’attuale proprietario del bene con il comune di Todi per la fornitura di acqua potabile e dalla circostanza che la superficie del manufatto pari a 29 mq è rimasta invariata;

b) il diniego di condono sarebbe illegittimo per erroneo travisamento dei fatti in quanto l’annesso agricolo non è visibile dal Tempio della Consolazione;

c) vi sarebbe un difetto di competenza nel diniego del nulla – osta da parte del Comitato preposto alla tutela dei beni ambientali, in quanto ratione temporis la stessa spetterebbe al Consorzio economico urbanistico Beni culturali della Media Valle del Tevere, che si sarebbe espresso favorevolmente con deliberazione n. 120 del 31 dicembre 1990;

d) sarebbe illegittimo il parere del Comitato preposto alla tutela dei beni ambientali, ed in via derivata anche il D.M. del 4 luglio 1991, per essersi il suddetto organo limitato a esprimere considerazioni contrarie all’interesse dell’appellante sulla scorta della finalità sottesa alla richiesta del titolare del bene, ossia quella di stabilizzare l’assetto edilizio provvisorio rappresentato da una struttura di servizio rurale a carattere provvisorio;

e) illegittimo sarebbe anche il provvedimento sindacale per non aver esercitato in concreto il potere amministrativo di valutare l’accoglibilità dell’istanza di concessione in sanatoria;

f) l’eventuale mutamento della sola disposizione interna e la modifica degli infissi non avrebbero in alcun caso potuto determinare la non condonabilità in toto del fabbricato, ma al più condizionare la concessione del condono al ripristino delle condizioni esistenti prima del 1967;

g) il potere ministeriale a tutela dei beni di interesse storico e artistico e quello comunale a tutela del territorio rappresentano poteri autonomi che devono fondare su valutazioni distinte;

h) illegittima sarebbe anche l’ordinanza di demolizione della rimessa degli attrezzi, per non aver considerato che la sua realizzazione nei primi decenni del ‘900, comportava una situazione tale da non renderne necessaria la sanatoria per condono.

3.3. Quanto, invece, al locale di rimessa degli attrezzi di cui veniva disposta la demolizione con ordinanza sindacale, l’appellante si duole del fatto che il TAR Umbria ha ritenuto sufficiente che per lo stesso non fosse stata avanzata istanza di condono edilizio, nonostante lo stesso non ne abbisognasse in quanto risalente ai primi decenni del 1900. In particolare, secondo l’appellante il Comune avrebbe omesso di accertare e valutare l’epoca in cui è stato effettivamente realizzato l’immobile.

3.4. Nelle ulteriori memorie difensive l’appellante reitera le proprie argomentazioni giuridiche

4. Si è costituita in giudizio l’Avvocatura Generale dello Stato per il Ministero per i beni culturali e ambientali, invocando la reiezione del gravame e la conferma della sentenza impugnata.

4.1. Determinante, a giudizio dell’Avvocatura, sarebbe l’intervento edilizio complessivamente posto in essere sui quattro immobili, che testimonierebbe la violazione del vincolo imposto dal D.M. 8 aprile 1968 e renderebbe irrilevante l’individuazione dell’epoca cui far risalire la realizzazione dell’originaria opera. Il vincolo indiretto, infatti, spiegherebbe efficacia tale da impedire ogni modificazione che comporti una alterazione delle caratteristiche fisiche e culturali che connotano lo spazio circostante (Cons. St., n. 233/1999), tanto da risultare irrilevante la circostanza che i manufatti in questione non siano visibili dal Tempio della Consolazione.

4.2. Quanto alle relazioni esistenti tra il potere di tutela dei complessi sottoposti a vincolo monumentale e il potere comunale di tutela dell’ordinato e razionale assetto del territorio non vi sarebbe a giudizio dell’Avvocatura un’inconciliabilità tale da impedire al Comitato preposto per la tutela dei beni ambientali e architettonici di richiamare valutazioni di natura edilizia/urbanistica, ma al contrario si sarebbe in presenza di una tutela rafforzata.

4.3. Da ultimo, l’Avvocatura ritiene insussistente il difetto di rispondenza tra chiesto e pronunciato nella misura in cui il TAR ha dichiarato la non condonabilità dei manufatti oggetto dei provvedimenti impugnati, tanto in ragione del fatto che la valutazione dei vizi di legittimità dovrebbe essere preceduta, in ogni caso, da una corretta ricostruzione fattuale.

5. Questa sezione , con ordinanza n. 5013 del 18 novembre 2003, ha respinto la richiesta di sospensione dell’esecutività della sentenza oggetto dell’odierno gravame, ritenendo assenti i necessari presupposti di legge.

DIRITTO

1. Preliminarmente occorre rilevare che il dichiarato difetto di interesse all’impugnazione della sentenza gravata e prima ancora al ricorso originario in relazione all’ordinanza di demolizione sindacale n. 293 del 15 maggio 1991 di due dei manufatti ivi descritti ed in particolare della tettoia sorretta da pali in legno e del serbatoio dell’acqua determina il formarsi del giudicato parziale con conseguente inoppugnabilità e definitività del citato provvedimento in parte qua .

1.1. Va, inoltre, dato atto che la documentazione prodotta in appello in data 4 ottobre 2012 da parte dell’originario ricorrente non può essere utilizzata ai fini dell’odierna decisione, perché depositata in violazione del divieto di cui all’art. 104, comma 2, c.p.a. Stessa sorte merita anche la memoria depositata in data 25 ottobre 2013, che appare non consentita, nella logica dell’art. 73, co.1., in quanto ultrone - rispetto alla memoria già depositata in data 16 ottobre 2012 ed alla memoria di replica depositata in data 5 febbraio 2013 – non avendo la controparte depositato altra memoria cui replicare.

2. La censura che per priorità logica occorre affrontare è quella inerente il difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ossia se il TAR Umbria abbia errato nel respingere gli originari ricorsi sulla scorta della non condonabilità del manufatto descritto “ad uso serra” nell’istanza di condono e nella assenza di richiesta di condono per il locale individuato come rimessa per gli attrezzi. Quanto alla corretta interpretazione del principio contenuto nell’art. 112 c.p.c., oggi richiamato dall’art. 39 c.p.a. deve rammentarsi che: “ La qualificazione giuridica dei fatti e della domanda giudiziale ovvero l’ interpretazione della stessa, operata dal giudice, non comporta violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (ex art. 112 c.p.c.) purché non alteri gli elementi identificativi dell’azione e non trasmodi nella valutazione di atti o fatti che non sono stati neppure indicati dalle parti a fondamento delle proprie pretese ” (Cons. St., sez. IV, 10 gennaio 2006, n. 26). Il giudicante nell’offrire risposta alle richieste sottoposte alla sua attenzione non può andare oltre rispetto ai fatti che le parti introducono nel giudizio, ma può e deve procedere ad una loro corretta qualificazione giuridica in omaggio al principio statuito dall’art. 113 c.p.c. In particolare, nel caso di domanda di annullamento è tenuto a valutare la legittimità degli atti secondo le censure proposte in fatto dal ricorrente, ma secondo la ricostruzione giuridica ritenuta rispondente all’ordinamento giuridico. In questo senso non è tenuto ad una puntuale confutazione delle argomentazioni giuridiche portate dal ricorrente laddove le stesse vengano superate dalla diversa qualificazione giuridica assegnata ai dati fattuali confluiti in giudizio e quindi, implicitamente, appaiano superate.

3. Nella fattispecie, la soluzione offerta dal TAR Umbria coglie il cuore della controversia sulla scorta di una ricostruzione fattuale e giuridica rispondente a quella desumibile dalla documentazione in atti.

3.1. In particolare, circa la disciplina giuridica operante, è bene rammentare che l’art. 21, l. n. 1089 del 1939, applicabile ratione temporis , prevedeva la “ …facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo la integrità delle cose immobili soggette alle disposizioni della presente legge, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro ”. Un simile vincolo posto con D.M. 8 aprile 1968 sul terreno su cui ricadono i manufatti oggetto dei provvedimenti impugnati ha lo scopo di tutelare indirettamente il complesso monumentale del Tempio della Consolazione. Si tratta di un vincolo che salvaguarda le condizioni di ambiente e decoro delle cose immobili tutelate dalla stessa legge, vanno stabilite con riguardo alla globale consistenza della cosiddetta cornice ambientale, la quale, pertanto, si estende fino a comprendere ogni immobile, purché in prossimità del bene monumentale, che sia con questo in tale relazione che la sua manomissione sia idonea ad alterare il complesso di condizioni e caratteristiche fisiche e culturali che connotano lo spazio a quello circostante.

Irrilevante, pertanto, appare a tal fine che l’immobile sul quale ricade il vincolo indiretto non sia visibile nella prospettiva fruibile dal bene monumentale, perché la ratio della norma non è semplicemente quella di salvaguardare l’estetica del bene monumentale, ma quella di preservare una continuità storico ed artistica con gli insediamenti che circondano l'oggetto del vincolo diretto, indipendentemente, quindi, dalla circostanza - pur addotta dal ricorrente - che i terreni sottoposti a vincolo non si trovino nelle immediata percezione visiva rispetto al bene oggetto di vincolo diretto. Da ciò discende l’infondatezza della censura descritta supra nella parte in fatto al 3.2.1. sub b).

3.2. Quanto all’efficacia del vincolo occorre ribadire come da giurisprudenza costante di questo Consiglio (da ultimo, Cons. St., sez. IV, 29 novembre 2012, n. 6082) che l'esistenza del vincolo va valutata al momento in cui deve essere presa in considerazione la domanda di condono, a prescindere dall'epoca della sua introduzione e, quindi, anche per le opere eseguite anteriormente all'apposizione del vincolo in questione. In questo senso la differenza tra vincoli preesistenti alla realizzazione dell’opera e vincoli sopravvenuti si coglie in termini di regime giuridico applicabile. Infatti, i vincoli di inedificabilità sopravvenuti alla realizzazione dell'intervento edilizio non operano quali fattori di preclusione assoluta al condono, ma costituiscono vincoli relativi ai sensi dell'art. 32 della l. n. 47 del 1985, che impongono un apprezzamento concreto di compatibilità (Cons. St., Sez. IV, 4 dicembre 2012, n. 2576). Da ciò discende l’infondatezza della censura descritta supra nella parte in fatto al 3.2.1. sub a).

3.3. Infondata risulta anche la censura di incompetenza, in merito al parere reso dalla Sopraintendenza, sotto il profilo che le competenze del Ministero sarebbero state assegnate al Consorzio economico urbanistico della Media Valle del Tevere, per la dirimente circostanza che il vincolo indiretto posto sull’immobile de quo ha carattere storico artistico. Pertanto, non si ravvisa alcun difetto di competenza in capo al Comitato di Settore per i Beni Ambientali ed Architettonici o vizio di legittimità derivato che infici il D.M. con il quale l’amministrazione ha ingiunto ex art. 59 l. 1089/1939, la demolizione del manufatto oggetto di istanza di condono.

3.4. Del pari destituita di fondamento è la censura al parere del Comitato di Settore per i Beni Ambientali ed Architettonici, che si sarebbe pronunciato evidenziando profili di carattere strettamente urbanistico ed edilizio e comunque eccedenti l’ambito degli interessi allo stesso affidati. Sotto questo profilo, infatti, va rimarcato come i due profili ossia quello di tutela storico-architettonica e quello edilizio-urbanistico non sono tra loro slegati, nel senso che la consistenza dell’intervento sul piano edilizio-urbanistico si riverbera inevitabilmente sul piano della tutela imposta con il vincolo monumentale indiretto. Pertanto, all’organo consultivo sopra richiamato non può ritenersi impedito di trarre convincimento anche da aspetti di tipo prettamente urbanistico-edilizio che riflettono in concreto l’utilità che il privato istante intende soddisfare attraverso la propria richiesta e che va comparata con l’interesse pubblico alla tutela storico-architettonica. In questi termini non appare illogico l’esercizio di discrezionalità tecnica posto in essere dal Comitato di Settore per i Beni Ambientali ed Architettonici, che ha arricchito la propria valutazione con riferimenti di tipo edilizio-urbanistico, constatando che l’intervento posto in essere dall’odierno appellante risulta perseguire il fine di dare un assetto edilizio definitivo ad una struttura rurale provvisoria. Su questi presupposti, nel caso di specie, il parere negativo era adeguatamente motivato e dunque legittimo, in quanto costituisce sufficiente motivazione del diniego di sanatoria di opere realizzate in zone vincolate l'indicazione delle ragioni assunte a fondamento della valutazione di compatibilità dell'intervento edilizio con le esigenze di tutela paesistica poste a base del relativo vincolo;
in tal senso anche una motivazione scarna e sintetica, laddove rilevi gli estremi logici dell'incompatibilità, va considerata soddisfacente (cfr. Cons. Stato, Sez. IV 30 giugno 2005, n. 3542;
Id. Sez. IV, 18 settembre 2012, n. 4945). Pertanto, appare da respingere anche la censura descritta supra nella parte in fatto al 3.2.1. sub d) e g).

3.5. Nella fattispecie gli interventi edilizi che hanno interessato il manufatto, che nella istanza di condono viene descritto come ad uso serra, successivi all’istanza di condono pongono in luce la presenza di un’opera che differisce rispetto a quella descritta nella richiesta di sanatoria. Nonostante gli stessi nell’atto di appello vengano qualificati di poca importanza, al contrario, stravolgono la natura e la funzione stessa dell’immobile de quo. La serra di cui si riferisce nella richiesta di condono viene meno per lasciare il posto ad un locale di 29 mq dotato di bagno e cucina, che presenta una spiccata destinazione abitativa. Un intervento di radicale trasformazione che non consente una riduzione in pristino diversa dalla demolizione ingiunta. Sicché del tutto infondata è la censura mossa anche l’eventuale accoglimento condizionato della richiesta di condono.

3.6. Quanto ancora alla censura relativa al mancato esercizio in concreto del potere del Comune di ponderare la richiesta di condono edilizio la stessa risulta erronea, già solo per il fatto che, come ribadito dalla giurisprudenza di questo Consiglio (Cons. St., sez. VI, 9 luglio 2012, n. 4013), ai sensi l’art. 32 della l. n. 47 del 1985, il parere dell’Organo preposto a tutela del vincolo ha natura obbligatoria e vincolante, nel procedimento di condono. Pertanto, il provvedimento sindacale non poteva assumere contenuto favorevole rispetto alla richiesta dell’odierno appellante.

3.7. Resta da valutare, infine, la doglianza inerente la prospettata illegittimità dell’ordinanza sindacale di demolizione n. 293/1991 avente ad oggetto la rimessa degli attrezzi;
nella specie l’ordine di demolizione veniva impartito per la conclamata assenza di istanza di condono edilizio avente ad oggetto il suddetto immobile. A giudizio dell’appellante vi sarebbe una violazione della l. n. 47 del 1985, nonché eccesso di potere per difetto assoluto dei presupposti, difetto di istruttoria ed infondatezza dei motivi, in quanto l’immobile risale ai primo decenni del ‘900 e sarebbe esente dall’obbligo di sanatoria. Anche questa censura è priva di fondamento per le stesse ragioni esposte al punto 3.2. della parte in diritto della presente pronuncia. Sicché appare non necessario l’approfondimento istruttorio invocato dall’appellante;
inoltre il ricorrente non ha fornito la prova certa – della quale per giurisprudenza costante è onerato – della anteriorità del manufatto al 1968 (anno in cui è stato imposto il vincolo indiretto).

4. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza ex art. 26, comma 1, c.p.a. e 91 c.p.c. e vengono liquidate in dispositivo.

5. Sussistono, inoltre, fondati motivi rappresentati dalle ragioni manifeste di rigetto del ricorso e dal contrasto con pacifici orientamenti giurisprudenziali, per ritenere, ai sensi del comma 2 dell’art. 26 c.p.a., che la parte ricorrente abbia agito temerariamente (cfr. Cons. St., Sez. V, 11 giugno 2013, n. 3210). Per quanto concerne la quantificazione della pena, entro i limiti edittali sanciti dall'art. 26 comma 2, cit., il Collegio ritiene di determinarla nella misura del doppio del contributo unificato, avuto riguardo ai criteri applicativi elaborati dalla giurisprudenza ai sensi dell'originario secondo comma dell'art. 26 c. p.a. che, in parte qua , ben possono orientare l'esercizio del potere di scelta della misura della sanzione pecuniaria (nella specie si tratta di correlare la misura pecuniaria alle spese di lite, cfr. Cons. Stato, Sez. V, n. 1733 del 2012 cit.;
Sez. V, n. 3252 del 2011, cit., cui si rinvia a mente dell'art. 88 comma 2 lett. d) c.p.a.).

6. La segreteria della Sezione provvederà agli adempimenti conseguenti alla condanna della ricorrente, ex art. 26 comma 2 c.p.a., secondo quanto previsto dagli artt. 202 e segg. D.P.R. n. 115 del 2002 in ordine al recupero delle somme dovute all'erario a titolo di sanzione pecuniaria processuale.

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