Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2024-04-26, n. 202403809

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2024-04-26, n. 202403809
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202403809
Data del deposito : 26 aprile 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/04/2024

N. 03809/2024REG.PROV.COLL.

N. 09575/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9575 del 2022, proposto dal signor -OMISSIS- rappresentato e difeso dall’avvocato F P, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia,

contro

il Ministero della giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, non costituito in giudizio,

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per il Lazio, Sezione I quater , n.-OMISSIS- resa inter partes , concernente il rigetto di un’istanza di riammissione in servizio.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 marzo 2024 il consigliere Giovanni Sabbato e udito, per la parte appellante, l’avvocato Sergio -OMISSIS- in dichiarata delega dell’avvocato F P;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso n. -OMISSIS- proposto innanzi al T.a.r. Lazio, il signor -OMISSIS- Ispettore Capo della Polizia Penitenziaria, aveva chiesto l’annullamento del provvedimento PU- 0145616 del 29 aprile 2016, con cui il Ministero della giustizia rigettava la sua richiesta di riammissione in servizio.

1.1. La complessa vicenda trae origine dalla sentenza n. 373 del 6 giugno 2012, con la quale il Tribunale di Cuneo assolveva il signor -OMISSIS- — già Ispettore Capo della Polizia Penitenziaria — dai reati di cui agli artt. 61, n. 9, 609- bis , comma 1, 609-septies, comma 4, n. 3, «perché trattasi di persona non imputabile in quanto incapace di intendere e di volere, per infermità, al momento del fatto», disponendo nei suoi confronti l’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata per un periodo non inferiore ad anni uno. A seguito di tanto, infatti, il -OMISSIS- veniva destituito dal servizio ai sensi dell’art. 6, d.lgs. n. 30 ottobre 1992, n. 449 con decreto del 6 agosto 2013, che veniva impugnato in sede giurisdizionale con ricorso che veniva respinto sia in prime (sentenza T.a.r. Torino, I, 7 novembre 2013, n. 1149) che in seconde cure (sentenza Consiglio di Stato, IV, 18 novembre 2015, n. 376) con la successiva declaratoria di inammissibilità dell’istanza di revocazione (sentenza Consiglio di Stato, IV, 2 febbraio 2016, n. 391). Proposta istanza all’amministrazione per la riammissione in servizio ai sensi dell’art. 10, commi 2, 3 e 4, 1. n. 19/1990 questa rimaneva inevasa cosicché veniva proposto ricorso giurisdizionale che veniva accolto con sentenza del T.a.r. Lazio, I- quater, 4 febbraio 2016, n. 1672, alla quale faceva seguito la nota 29 aprile 2016, n. 0145616 con la quale l’Amministrazione riscontrava l’istanza del ricorrente, rigettando la sua istanza di riammissione in servizio alla luce delle «ragioni poste a base del decreto di destituzione dal servizio del 6 agosto 2013». Avverso tale atto veniva proposto ricorso che veniva respinto con la sentenza odiernamente impugnata.

2. A sostegno di tale gravame il ricorrente aveva dedotto:

- l’incompetenza del Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria;
- la violazione di diverse previsioni di rango procedimentale;

- il difetto di motivazione;

- il carattere sproporzionato della sanzione e l’insussistenza dei presupposti in considerazione della condizione di incapacità di intendere e di volere in cui versava il ricorrente;

- l’abuso del diritto nel quale l’Amministrazione sarebbe incorsa.

2.1. Aveva quindi articolato istanza di risarcimento del danno morale e materiale.

3. Nella resistenza del Ministero, il Tribunale adìto (Sezione I quater ), dopo aver accolto la domanda cautelare con ordinanza (6 luglio 2016, n. 6379) riformata in appello (ordinanza Cons. Stato, IV, 30 settembre 2016, n. 4237), ha respinto il ricorso e compensato le spese di lite.

4. In particolare, il Tribunale, dopo aver argomentato nel senso che il perimetro del giudizio verte sulla «richiesta di riammissione in servizio ai sensi dell'art. 10 commi 2, 3, 4 e ss. 1. 19/1990» e non su quella, definita “ ambigua ”, di «riapertura del procedimento disciplinare ai sensi dell'art. 21 e 22, d.lgs. n. 44911992» , ha ritenuto che:

- “ l’art. 21, d.lgs. n. 449/1992 è in ogni caso del tutto inapplicabile al caso di specie ”;

- “ l'amministrazione ha adottato il citato provvedimento di destituzione all'esito di un'istruttoria attenta e completa in cui sono stati considerati tutti gli elementi rilevanti ”;

- sono da reputare financo inammissibili le altre censure siccome già precedentemente scrutinate ovvero formulate genericamente.

5. Avverso tale pronuncia il signor -OMISSIS- ha interposto l’appello in trattazione, notificato e depositato il 13 dicembre 2022, articolando quattro motivi di gravame (pagine 6-11) così rubricati:

I) Error in procedendo e in iudicando, errata percezione dei fatti ed atti di causa;
violazione e falsa applicazione degli 3f919a::LR8E903D207286424AA93D::1990-02-13" href="/norms/laws/itatext42xvsxit52sjbj6/articles/itaartawz8y7v139zroo?version=8b456d57-df1c-5349-8c77-6e5a733f919a::LR8E903D207286424AA93D::1990-02-13">artt. 10 l. 07/02/1990, n. 19, e 21 e ss del d.lgs. 30/10/1992, n. 449
;

II) Error in procedendo e in iudicando, errata percezione dei fatti ed atti di causa;
Violazione e falsa applicazione degli artt. 10 l. 19/1990, e 21 e ss del d.lgs. 449/92;
nonché dell’art.653 c.p.p.
;

III) Error in procedendo e in iudicando, errata percezione dei fatti ed atti di causa ;
Violazione e falsa applicazione dell’art 21 del d.lgs. 449/92 e dall’art. 38, comma 1, lett. g), d.lgs. 29 maggio 2017, n. 95;
incompetenza del Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria
;

IV) Omesso o erroneo esame dei motivi. Error in procedendo e in iudicando, errata percezione dei fatti ed atti di causa, con particolare riferimento al IV motivo del ricorso di primo grado .

5.1. L’appellante, detto in sintesi, deduce che il T.a.r. avrebbe frainteso il giudicato intervenuto tra le parti di cui alla sentenza dello stesso Tribunale n. 1672 del 2016 di accoglimento del ricorso “ per l'annullamento del silenzio sulla richiesta di riammissione in servizio ai sensi dell’art. 10 co. 2, 3, 4 e ss. l. 19/1990 ”, in quanto l’istanza del ricorrente, lungi dall’essere ambigua, richiedeva in primo luogo la riapertura del procedimento disciplinare e, solo all’esito totalmente, o anche solo parzialmente positivo di questo, l’annullamento o la riduzione della sanzione già inflitta. L’iniziativa della parte era quindi intesa all’applicazione dell’art.21 del d.lgs. n. 449/1992, il cui primo comma prevede che “ avverso le sanzioni della sospensione dal servizio e della destituzione è ammesso rivolgere istanza di riesame al Ministro della giustizia ”. Nemmeno il T.a.r. avrebbe tenuto conto del fatto che “ nel caso di specie è stata pronunciata sentenza di assoluzione del ricorrente ”, sia pure per temporanea incapacità di intendere e di volere, con conseguente ineluttabile refluenza sul procedimento disciplinare. Il T.a.r. avrebbe dovuto rilevare l’incompetenza del Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, dovendosi correttamente ritenere competente il Ministro della giustizia, ai sensi dell’art. 21, d.lgs. n. 449/1992, venendo in gioco considerazioni che attengono al rapporto di fiducia della pubblica amministrazione con il proprio personale, anche nell’ottica di assicurarne il buon funzionamento. Il T.a.r. avrebbe, infine, erroneamente dichiarato inammissibile per genericità il quarto motivo del ricorso di primo grado con la conseguente riproposizione delle relative censure.

6. L’appellante ha concluso chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento del ricorso di primo grado e quindi l’annullamento del provvedimento con lo stesso impugnato.

7. Il Ministero della giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, sebbene ritualmente intimato, non si è costituito in giudizio.

8. La causa, chiamata per la discussione all’udienza del 5 marzo 2023, nel corso della quale il difensore di parte appellante ha ribadito che il -OMISSIS- ha chiesto la riapertura del procedimento non la riammissione in servizio, è stata assunta in decisione.

9. Occorre preliminarmente rilevare, stante la mancata costituzione dell’Amministrazione intimata, che il ricorso risulta ritualmente notificato alla luce delle seguenti annotazioni riportate nella piattaforma informatica: “ Notificazione ai sensi della Legge n. 53 del 21.01.1994 ” proveniente da “ potenza.francesco@cert.ordineavvocatipotenza.it ”ed indirizzato a: “ ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it ”.

10. Rilevata la corretta instaurazione del contraddittorio tra le parti si impone la disamina delle deduzioni di parte appellante che, per le ragioni di cui infra , si rivelano infondate.

11. Come esposto in punto di fatto, la vicenda di causa è innescata dall’istanza dell’odierno appellante di riammissione in servizio dopo che veniva destituito a seguito del suo coinvolgimento nel giudizio penale per il reato di “ violenza sessuale ” di cui agli artt. 61, n. 9, 609- bis , comma 1, 609-septies, comma 4, n. 3, reato dal quale veniva sì assolto ma per incapacità di intendere e di volere per infermità, al momento del fatto, con l’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata per un periodo non inferiore ad anni uno.

11.1. Con il primo motivo, parte appellante deduce che il T.a.r. avrebbe frainteso il giudicato intervenuto tra le parti di cui alla sentenza dello stesso Tribunale n. -OMISSIS- non impugnata, che aveva accolto il ricorso “ per l'annullamento del silenzio sulla richiesta di riammissione in servizio ai sensi dell'art. 10 co. 2, 3, 4 e ss. l. 19/1990 ”, in quanto “ l’istanza del ricorrente, lungi dall’essere ambigua, richiedeva in primo luogo la riapertura del procedimento disciplinare e, solo all’esito totalmente, o anche solo parzialmente positivo di questo, l’annullamento o la riduzione della sanzione già inflitta ” (cfr. appello, pagina 7). Il T.a.r. avrebbe frainteso l’oggetto del precedente giudizio non essendo in discussione la legittimità del provvedimento di destituzione, ormai verificata con sentenza passata in giudicato, quanto la sussistenza dei presupposti per chiedere la riammissione in servizio a norma dell’art. 10 surrichiamato. Nemmeno rileverebbe la suscettibilità applicativa dell’art.21 del d.lgs. n. 449/1992 - il cui primo comma prevede che “ avverso le sanzioni della sospensione dal servizio e della destituzione è ammesso rivolgere istanza di riesame al Ministro della giustizia ”- e che dal T.a.r. è stata esclusa, in quanto la norma di cui si invoca l’applicazione è la diversa disposizione di cui all’art. 10, comma 3, della l. n. 19/1990.

11.1.1. Ad avviso del Collegio tale primo motivo di gravame non risulta assistito dal necessario profilo di interesse, in quanto le considerazioni di parte appellante, seppure formulate con accenti critici nei confronti della pronuncia di primo grado, risultano sostanzialmente collimanti con la ricostruzione operata dal T.a.r. in ordine all’oggetto del giudizio innescato dal ricorso di prime cure, condividendosi in sostanza che esso è focalizzato sull’applicabilità della ridetta norma di cui all’art. 10. Sia il T.a.r. che la parte appellante sostanzialmente concordano nel ritenere che sia del tutto estraneo al giudizio sia il riesame del provvedimento di destituzione, la cui legittimità è stata positivamente vagliata con pronuncia passata in giudicato, sia l’applicabilità o meno della normativa di cui al d.lgs. n. 449/1992.

Ribadito quindi che la cornice normativa, nella quale la vicenda di causa va collocata, è quella di cui all’art. 10, comma 3, della l. n. 19/90 ed escluso che il primo motivo sia assistito dal necessario profilo di interesse, non resta che transitare alla disamina delle altre censure appunto intese ad inficiare la legittimità del diniego interposto dall’Amministrazione.

11.2. Infondato è il secondo motivo, col quale si lamenta l’erroneità della pronuncia di prime cure laddove (§ 3.2.): - non ha tenuto conto che trattasi di un nuovo procedimento disciplinare il cui esito non deve essere condizionato da quello del precedente conclusosi con la destituzione;
- ha reputato non rilevante la pronuncia assolutoria emessa in sede penale nei confronti del ricorrente per difetto di imputabilità che esclude, a norma dell’art. l’art. 653 c.p.p., che il -OMISSIS- fosse da ritenere autore del reato.

11.2.1. Ai fini della disamina del rilievo occorre prendere le mosse dalla stessa formulazione dell’art. 10 che così recita: “ La riammissione è concessa solo se all’esito del procedimento disciplinare, che deve essere proseguito o promosso entro novanta giorni dalla ricezione della domanda di riammissione da parte dell'amministrazione competente e che deve essere concluso entro i successivi novanta giorni, non venga inflitta la destituzione ”. Dal tenore di tale norma è dato inferire infatti che l’esito del procedimento disciplinare instaurato nei riguardi dell’odierno appellante, come detto sottoposto al vaglio giurisdizionale con esito favorevole all’Amministrazione, ha una decisiva refluenza sull’accoglibilità dell’istanza di riammissione escludendone ogni suscettibilità accoglitiva.

11.2.2. Infondato è anche l’ulteriore versante censorio, atteso che con questo parte appellante formula considerazioni che investono la legittimità del provvedimento destitutorio come detto già vagliata in sede giurisdizionale e pertanto non più suscettibile di essere sottoposta a revisione critica.

11.3. Infondato è altresì il terzo motivo di gravame, col quale parte appellante insiste nel dedurre l’incompetenza del Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria in favore del Ministro della giustizia sottolineando anche che il decreto di destituzione non può considerarsi un mero atto di gestione del personale come invece classificato dal Tribunale.

11.3.1. Parte appellante richiama all’uopo la formula di cui all’art. 21, d.lgs. n. 449/1992 – confermata peraltro dall’art. 38, comma 1, lett. g), d.lgs. 29 maggio 2017, n. 95 (ad esclusione della sostituzione della dicitura “ Ministro di grazia e giustizia ” con quella di “ Ministro della giustizia ”) – in quanto definisce il suo ambito applicativo discorrendo appunto di Riesame delle sanzioni della sospensione dal servizio e della destituzione ”.

11.3.2. L’infondatezza della censura si deve a quanto disposto dall’art. 4, comma, 2, d.lgs. n. 165/2001 (“ Ai dirigenti spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno ”) a fronte di quanto statuito dal primo comma in ordine all’attribuzione agli organi di governo delle funzioni di indirizzo politico-amministrativo così come l’art. 16 del medesimo decreto affida ai dirigenti di uffici dirigenziali “ le attività di organizzazione e gestione del personale ”.

11.3.3. A ciò deve aggiungersi quanto statuito dall’art. 1, comma 7, del decreto legislativo n. 146/2000 laddove sostituisce l’espressione “ Direttore generale dell’amministrazione penitenziaria ” con quella di “ Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ”. Non è invero suscettibile di applicazione l’art. 21 invocato da parte appellante, atteso che riguarda il riesame dei provvedimenti disciplinari quando invece la norma di riferimento, come più volte dianzi evidenziato, è quella di cui all’art. 10, comma 3, della l. n. 19/90, che appunto contempla la fattispecie della “riammissione in servizio” a seguito di destituzione come tale diversa da quella del “riesame”. Questo Consiglio ha avuto modo di sottolineare la peculiarità della fattispecie evidenziando che trattasi di “ una norma di favore nei confronti dei soggetti già destituiti di diritto, tendente, nonostante la loro posizione fosse ormai factum praeteritum, a permettere agli stessi, qualora lo avessero voluto, di rientrare nei ruoli dell'Amministrazione. Al dipendente reintegrato, peraltro, non spetta la integrale ricostruzione ex tunc della carriera, ma la reintegrazione nel ruolo “con la qualifica, il livello e l'anzianità posseduti alla data di cessazione del servizio”, conformemente alla lettera della disposizione, la quale è espressione di una rilevante esigenza di pubblico interesse alla concreta e rapida definizione delle situazioni pendenti e, come tale, regola la materia prevalendo su ogni altra precedente ” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 5 novembre 2012, n. 5618). Non a caso questo Consiglio ha precisato che “ La legge n. 19/1990 realizza un sistema il quale ha, come momento iniziale, la cessazione degli effetti dell’atto destitutivo e come momento finale la rideterminazione dello status del dipendente, in conseguenza della rinnovata valutazione della sua condotta in sede disciplinare e tale rideterminazione del nuovo status ha effetti, sempre e per tutte le summenzionate ipotesi, non ex tunc, ma dalla conclusione del procedimento disciplinare, come indicato dall'art. 10, secondo, terzo e quarto comma della L. n. 19/1990, qualora il procedimento disciplinare non si sia concluso con l'inflizione della destituzione ” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30 maggio 2005, n. 2830). E’ quindi in tale peculiare cornice normativa che si colloca la vicenda, alla quale la previsione di cui all’art. 21, d.lgs. n. 449/1992 risulta estranea e questo in considerazione del fatto che, come valorizzato dalla pronuncia odiernamente appellata, la sentenza n. -OMISSIS- del T.a.r. Lazio, Sez. I quater , accoglieva il ricorso del sig. -OMISSIS- avverso il silenzio dell’Amministrazione facendo specifico ed esclusivo riferimento alla previsione di cui all’art. 10 della legge n. 19 del 1990.

11.4. Va infine confermata la inammissibilità del quarto motivo del ricorso di primo grado, così come dichiarata dal T.a.r., stante la obiettiva genericità delle censure ivi articolate, imperniate sull’assunto secondo cui l’Amministrazione sarebbe incorsa in “abuso del diritto” senza specificare alcunché in ordine all’effettiva consistenza di tale condotta. Le considerazioni sul punto di parte appellante (secondo cui “ con quella censura si denunciava la complessiva illegittimità commessa ai danni del ricorrente, avendo l'amministrazione travisato sorprendentemente le istanze da questi proposte per la riapertura del procedimento disciplinare e la conseguente riammissione in servizio, anche attraverso una sanzione meno grave di quella ingiustificatamente adottata nei propri confronti ”) si traducono in una integrazione del quadro censorio non consentita in questa sede di giudizio pena la violazione del divieto di nova in appello ex art. 104, comma 1, c.p.a. Infatti, come ribadito di recente da questo Consiglio, tale previsione normativa “ esclude che possano essere introdotti, per la prima volta nel giudizio di secondo grado, profili di doglianze, in fatto e diritto, ulteriori rispetto a quelli che, proposti con atti ritualmente notificati, hanno delimitato il perimetro del thema decidendum in prime cure ” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 4 gennaio 2024, n.141).

12. In conclusione, l’appello deve essere respinto.

12.1. Nulla vi è a provvedere sulle spese del presente grado di giudizio stante la mancata costituzione della parte appellata.

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