Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2024-05-09, n. 202404199

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2024-05-09, n. 202404199
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202404199
Data del deposito : 9 maggio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/05/2024

N. 04199/2024REG.PROV.COLL.

N. 00671/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 671 del 2022, proposto dalla signora M I, rappresentata e difesa dall’avvocato M B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

contro

il Comune di Pozzuoli, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato E F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, Sezione Sesta, 19 luglio 2021, n. 4999, resa tra le parti, avente ad oggetto ingiunzione a demolire.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Pozzuoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Viste le istanze di passaggio in decisione senza previa discussione orale presentate da entrambe le parti;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 23 aprile 2024, alla quale nessuno è comparso per le parti, il Cons. Antonella Manzione;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso in appello n.r.g. 671 /2022 la signora M I ha chiesto a questo Consiglio la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, Sez. VI, 19 luglio 2021, n. 4999, con la quale è stato respinto il ricorso (n.r.g. 4211/2016) da lei proposto ai fini dell’annullamento dell’ordinanza prot. n. 35798 del 26 maggio 2016 del Comune di Pozzuoli di ingiunzione a demolire un abuso edilizio. In maggior dettaglio, l’illecito è descritto in atti come « trasformazione del piano seminterrato della palazzina in civile abitazione », occupata dal figlio, cui si accede tramite scala esterna scoperta, di superficie pari a circa mq. 85 e altezza variabile da m. 2,20 a m. 2,70, essendo i piani di calpestio sfalsati tra di loro. L’intero immobile è stato oggetto di manutenzione straordinaria nell’anno 1996 e ricade in zona soggetta a vincolo ex d.m. 12 settembre 1957.

2. Il Tribunale adito ha respinto tutti i motivi di censura dedotti con il ricorso proposto, affermando la legittimità del provvedimento impugnato in quanto:

- non è stata fornita dalla parte la prova dell’avvenuta realizzazione dell’abuso prima del 1967;

- il cambio di destinazione d’uso da garage ad abitazione comporta, per giurisprudenza consolidata, la necessità di permesso di costruire;

- quand’anche l’intervento fosse assentibile con d.i.a., la sua mancanza ne implica comunque la demolizione sulla base del potere di vigilanza di cui all’art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001 (Cons. Stato, sez. VI, 9 gennaio 2013, n. 62);

- non vi sarebbe alcuna lacuna motivazionale, giusta la mancanza di discrezionalità nell’esercizio del potere sanzionatorio;

- la descrizione dell’abuso, ancorché non identificando l’area di sedime, sarebbe di per sé sufficiente stante che la individuazione di quest’ultima può sopravvenire all’atto dell’acquisizione al patrimonio che consegue alla inottemperanza all’intimazione demolitoria.

3. La signora M I ha avanzato cinque motivi di censura, così rubricati:

«error in iudicando, violazione e falsa applicazione dell’art. 31d.P.R. 6 giugno 2001, n.380 e omessa pronuncia »;

- «error in iudicando, violazione e falsa applicazione dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, violazione della l.r. 28 novembre 2001, n. 19, difetto di istruttoria e contraddittorietà dell’azione amministrativa »;

- «error in iudicando, violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. 7 agosto 1990, n. 241, difetto assoluto di istruttoria, motivazione insufficiente, carenza di interesse concreto e attuale »;

«error in iudicando, violazione e omessa applicazione dell’art. 7 della l. 7 agosto 1990, n. 241, difetto di istruttoria e violazione del giusto procedimento di legge »;

«error in iudicando, ulteriore violazione dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, difetto di istruttoria, violazione del giusto procedimento».

4. Si è costituito il Comune di Pozzuoli che ha analiticamente contestato le avverse prospettazioni chiedendo la reiezione del mezzo di gravame proposto, stante l’infondatezza dei motivi con esso dedotti.

5. All’udienza pubblica del 23 aprile 2024, in vista della quale entrambe le parti hanno avanzato istanza di pretermettere la discussione orale, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

6. L’appello non può trovare accoglimento.

7. Con un primo motivo di appello l’interessata lamenta vizio di istruttoria e di motivazione, non essendo stati a suo dire presi in considerazioni i principi di prova forniti in ordine alla preesistenza del cambio di destinazione d’uso al 1985, data in cui è stata introdotta la necessità del titolo per lo stesso.

7.1. La doglianza, oltre che inammissibile in quanto introdotta in violazione del divieto dei nova – nel ricorso di primo grado il riferimento è esclusivamente all’avvenuta edificazione del fabbricato ante 1967 - è infondata.

7.2. A ben guardare peraltro già prima della l. n. 47 del 1985 la giurisprudenza, in particolare penale, basava la valutata sussistenza dell’illecito sull’art. 41 della l. 17 agosto 1942, n. 1150, come modificato dall’art. 13 della l. 6 agosto 1967, n. 765, nonché sull’art. 1 della l. 28 gennaio 1977, n. 10 e più in generale sulla necessità di garantire l’assetto urbanistico e il sistema di zonizzazione introdotto per effetto del d.m.. 2 aprile 1968, n. 1444 non solo nella fase di edificazione, ma anche nella fase di utilizzazione degli edifici: e ciò nel presupposto che ogni mutamento di destinazione d’uso, anche senza opere, può avere ripercussioni sulla trasformazione urbanistica del territorio, violando in tal modo gli strumenti urbanistici e richiedendo pertanto l’assenso preventivo della pubblica amministrazione.

7.3. La non sempre agevole lettura delle disposizioni della l. 28 febbraio 1985, n. 47 che si sono occupate espressamente della modifica di destinazione d’uso (artt. 8, 25 e 26), con ampio rinvio alla legislazione regionale, evidenzia poi come la stessa costituisca spesso il discrimine alla riconosciuta rilevanza dell’opera interna, nel senso che la non necessità di concessione o autorizzazione viene meno proprio laddove essa si risolva in ridetto cambio di destinazione d’uso. E ciò per l’evidente ragione che l’obiettivo del legislatore, come detto, è quello di controllare gli interventi che incidono comunque sul carico urbanistico e sul relativo standard territoriale Obiettivo da ultimo sfociato nella predeterminazione a monte delle categorie da considerare omogenee (art. 23- ter , introdotto nel d.P.R. n. 380 del 2001 dall’art. 17, comma 1, lettera n), legge n. 164 del 2014).

8. Ammesso e non concesso, dunque, che il limite temporale del 1985 assuma un qualche rilievo nel caso di specie, giusta la tipologia e consistenza dell’intervento effettuato, vale quanto detto dal primo giudice in generale in ordine alla mancata prova da parte dell’appellante del tempo effettivo di ultimazione delle opere edilizie. I presunti principi di prova che avrebbero dovuto compulsare il supplemento istruttorio da parte del Comune di Pozzuoli sarebbero da ricondurre all’ultimo titolo edilizio ottenuto con riferimento all’intero fabbricato, ovvero la d.i.a. per interventi di manutenzione straordinaria (tale è infatti la qualificazione riportata nella relazione tecnica versata in atti, anziché ristrutturazione, come indicato dall’appellante) ai sensi del d.l. n. 495 del 1996, ove si ribadisce la destinazione residenziale, da un lato, si esclude qualsivoglia modifica di destinazione d’uso, dall’altro.

8.1. A tutto concedere alla tesi dell’appellante, infatti, ovvero pur ammettendo che entrambe le affermazioni si riferiscano non al fabbricato nella sua interezza, ma a ciascuna delle unità immobiliari nelle quali esso ha finito per venire frazionato una volta trasformata una parte del seminterrato in abitazione autonoma (il che non è dato evincere dagli atti di causa), la situazione cui gli atti si riferiscono è quella di cui al 1996, con previsione di ultimazione dei lavori il 12 maggio 1997. Non si vede come essa possa essere fatta retroagire a data imprecisata antecedente al 1985, ovvero addirittura al 1967, sol perché la palazzina sarebbe stata realizzata antecedentemente a tali annualità.

8.2. Mancando quindi anche un semplice principio di prova dell’epoca effettiva di realizzazione dell’abuso, e non potendo desumersi lo stato legittimato dal titolo del 1996, che peraltro al più conferma l’illiceità della situazione, ma non ne giustifica la realizzazione, correttamente il Comune di Pozzuoli ha disposto il ripristino dello stato dei luoghi.

9. Anche il secondo motivo è privo di pregio.

9.1. Con esso, l’appellante vorrebbe dequotare il cambio di destinazione d’uso da seminterrato ad abitazione ad intervento assoggettato a mera s.c.i.a., sulla base delle previsioni dell’art. 2, lett. f), della l.r. 28 novembre 2001, n. 19, che consente tale procedimento dichiarativo ove non vi sia stata trasformazione dell’aspetto esteriore, di volumi e di superfici e la nuova destinazione d’uso sia compatibile con le categorie consentite dalla strumentazione urbanistica.

9.2. Ritiene il Collegio che nella specie non operi nessuna delle condizioni previste dalla richiamata disciplina regionale: in primo luogo, come già detto, l’unità immobiliare è stata resa accessibile da una scala esterna, nonché corredata di un terrazzino, sicché non può escludersi l’avvenuta modifica dell’aspetto esteriore;
inoltre è principio consolidato in giurisprudenza che il cambio di destinazione d’uso da garage, magazzino, seminterrato ad abitazione è urbanisticamente rilevante e come tale richiede il permesso di costruire (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. VI, 26 gennaio 2018, n. 551;
sez. VII, 21 agosto 2023, n. 7835). Quanto detto ancorché non esista una autonoma collocazione negli atti di governo del territorio per i locali garage o cantina, accessori ad abitazioni. Essi infatti, proprio in quanto privi di autonoma rilevanza, accedono alla categoria residenziale cui sono asserviti, costituendo effettivamente pertinenze nell’accezione civilistica cui si è fatto già cenno (v. Cons. Stato, sez. II, 22 aprile 2024, n. 3645).

La disciplina urbanistica, infatti, si connota, o quanto meno dovrebbe connotarsi, per la necessaria commisurazione delle dotazioni territoriali all’impatto in termini di carico prodotto da una determinata destinazione, la cui ampiezza è evidentemente calcolata avuto riguardo alla assentita fruibilità funzionale. La fruibilità funzionale all’uso residenziale è data quindi dalla superficie e dalla volumetria abitabile, ovvero rispondente ai requisiti minimi di vivibilità contenuti, nel loro nucleo originario successivamente integrato anche da regolamenti comunali di settore, nel d.m. 5 luglio 1975. In altre parole, la volumetria assentibile su cui si basa il calcolo degli indici edificatori è quella “abitabile”, perché consente di individuare l’estensione anche potenziale dell’insediamento umano e la pressione che lo stesso è necessariamente destinato a produrre sul contesto inteso come necessità di fruire delle opere di urbanizzazione, primaria o secondaria;
le volumetrie di servizio, pur latamente intese, in quanto strutturalmente inidonee a incrementare ridetta pressione da parte della popolazione residenziale, che rimane immutata, sono inserite al solo scopo di migliorare la qualità della vita della zona anche in relazione al singolo complesso immobiliare. Esse si caratterizzano, dunque, per una compatibilità con la categoria generale di riferimento, pur ricevendo una finalizzazione “mirata” a servizio, non convertibile in una qualunque delle altre tipizzate dal legislatore, ivi compresa quella cui accede, senza che il mutamento venga considerato “rilevante”.

10. A quanto sopra detto consegue il rigetto anche del terzo e quarto motivo di appello.

11. L’atto impugnato, infatti, appare adeguatamente motivato avuto riguardo alla descrizione dell’abuso, sicché non era affatto necessario precisare l’interesse alla demolizione, che è intrinseco all’accertamento dello stesso. La sua risalenza nel tempo in alcun modo può ingenerare un legittimo affidamento nella correttezza del proprio operato.

12. La natura necessitata dello stesso rende inutile l’inoltro della previa comunicazione di avvio del procedimento, stante che il contributo della parte destinataria dell’atto non può comunque modificarne gli esiti finali. Nel procedimento sanzionatorio, inoltre, alla finalità informativa sopperisce l’accertamento dell’illecito, che nella specie è avvenuto a seguito di sopralluogo della Polizia municipale che ha finanche constatato l’attuale utilizzo a fini abitativi da parte del signor Dario Guardascione, figlio dell’appellante. L’ingiunzione a demolire, inoltre, riferisce testualmente che « la parte interessata fornisce copia della piantina catastale del piano seminterrato recante la data 16/11/2011, riferendo che l’intera palazzina è stata oggetto di lavori di straordinaria manutenzione nell’anno 1996 » e che « l’attuale abitazione occupata dal figlio, è stata ottenuta distaccandola dalla restante parte del seminterrato […]», il che conferma per tabulas la consapevolezza dell’avvenuto avvio del procedimento sanzionatorio.

13. Infine, nessuna carenza motivazionale può essere ravvisata nella mancata indicazione, nel corpo del provvedimento demolitorio, dell’area di sedime da acquisire in caso di inottemperanza. Sul punto, infatti, il Collegio condivide la ricostruzione data dal T.a.r. per la Campania che ritiene, conformemente del resto alla giurisprudenza consolidata sul punto, tale elemento ultroneo nell’ambito dell’atto in questione, stante che la relativa precisazione attiene a quelli da adottare nell’evenienza la parte risulti inottemperante, quale conseguenza sanzionatoria di tale distinta condotta.

13.1. Tale ricostruzione delle fasi del procedimento sanzionatorio non muta per l’ipotesi di illecito concretizzatosi, come nella specie, in una modifica di destinazione d’uso, la cui estensione si identifica con quella dell’unità immobiliare destinata ad uso abitativo, e le peculiarità del suo inserirsi in un altro fabbricato immobiliare saranno affrontate dal Comune a tempo debito, valutando altresì le possibilità ripristinatorie in fase esecutiva.

14. Per tutto quanto detto, l’appello va respinto e per l’effetto va confermata la sentenza impugnata.

15. La tipologia della materia trattata giustifica la compensazione delle spese.

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