Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2016-03-25, n. 201601245

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2016-03-25, n. 201601245
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201601245
Data del deposito : 25 marzo 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04407/2015 REG.RIC.

N. 01245/2016REG.PROV.COLL.

N. 04407/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4407 del 2015, proposto da:
Azienda Sanitaria Locale Barletta–Andria-Trani rappresentata e difesa dall'avv. F P, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, Via Cosseria, n. 2;

contro

C M P, rappresentato e difeso dagli avv. R C, Rossella P, con domicilio eletto presso segretaria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro n.13;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA - BARI: SEZIONE II n. 00289/2015, resa tra le parti, concernente condanna al risarcimento danni in seguito dell’annullamento dell’atto di diffida al rilascio di certificati medici di idoneità all'attività sportiva agonistica;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di C M P;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 ottobre 2015 il Cons. Alessandro Palanza e udito per la Amministrazione appellante l’avvocato Panizzolo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO


1 - Con la sentenza n. 880 del 29.5.2013 il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia aveva annullato il provvedimento della ASL di Barletta A T del 30.8.2012, nella parte nella quale il dottore Cosimo P veniva diffidato dalla medesima ASL a non emettere certificazioni di idoneità all’attività sportiva agonistica senza il possesso degli speciali requisiti ed autorizzazioni previste dalla vigente normativa.

2. – La sentenza non veniva impugnata. Il dottor Cosimo P agiva conseguentemente in giudizio presso lo stesso TAR per il risarcimento dei danni causati dall’atto di diffida nella parte annullata dalla sua notificazione fino all’annullamento nei confronti della Azienda Sanitaria Locale di Barletta A T.

3. - Il TAR, con la sentenza n. 289 del 2015, impugnata nel presente giudizio, premesso che la risarcibilità del danno derivante dalla lesione di un interesse legittimo richiede la riferibilità del danno ad una condotta dolosa o colposa dell'Amministrazione, ha accolto il ricorso in quanto ha ritenuto sussistente l’elemento soggettivo della colpa della ASL a causa della univocità della normativa nazionale vigente. E’ infatti evidente che, in assenza di una normativa regionale, doveva applicarsi la normativa nazionale. Con riguardo al quantum del danno risarcibile, la sentenza ritiene che sia stato fornito un principio di prova in merito al danno patrimoniale e lo determina in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., liquidandolo nella misura di 25.000,00 euro, come mancato guadagno per un periodo di 5 mesi, decorrenti dalla notifica del provvedimento fino al momento in cui il ricorrente nella precedente causa avrebbe potuto ottenere la sospensione cautelare del provvedimento se non avesse rinunciato in camera di consiglio alla istanza cautelare, oltre a IVA, rivalutazione e interessi dalla data dell’illecito – 30.8.2012 – fino all’effettivo soddisfo.

4. – La ASL di Barletta A T ha impugnato la suddetta sentenza sottolineando di avere adottato l’atto di diffida oggetto della richiesta di risarcimento del danno a seguito di una precisa e motivata direttiva regionale adottata con nota 10185 del 19 luglio 2012, a sua volta applicativa di precedenti note regionali e di una regolamentazione della materia adottata con le delibere regionali GR n. 2234/1986 e n. 7513/1986, da lungo tempo applicate come direttive vincolanti dalla Regione e dalle ASL. Secondo l’Amministrazione appellante il giudice di primo grado ha quindi gravemente errato nell’escludere anche la ipotesi di errore scusabile senza cogliere la complessità della situazione normativa e persino negando la esistenza di qualsivoglia incertezza o dubbio interpretativo in ordine ad essa. La stessa Amministrazione appellante nega che il ricorrente in primo grado abbia fornito in giudizio un valido principio di prova del danno patrimoniale, come ha invece ritenuto la sentenza del TAR. L’appellante considera impropria e tardiva la documentazione e del tutto inattendibile la richiesta di danno. Semmai proprio a partire dagli elementi forniti tardivamente dal ricorrente, il giudice avrebbe potuto e quindi dovuto operare una valutazione non equitativa, ma basata sui dati reali di fatturato mensile del ricorrente, che non superano la media di 523 euro al mese. La valutazione equitativa operata dal giudice è invece 10 volte superiore al dato reale.

5. - Il dottor Cosimo P, in qualità di appellato, si è costituito in giudizio in data 12 giugno 2015, presentando memoria costitutiva in vista della udienza cautelare. L’appellato contesta la eccezione di scusabilità dell’errore riproposta dalla ASL nel ricorso di appello, sottolineando come sia evidente la violazione di legge che vizia l’atto di diffida impugnato nel presente giudizio. Infatti la già ricordata sentenza dello stesso Tar n. 880/2013, che ha annullato l’atto di diffida ed è passata in giudicato, a dimostrazione della violazione di legge ricorda nella motivazione che la delibera n. 2234/1986 all’epoca della sua approvazione era stata oggetto di rilievi da parte della Commissione regionale di controllo che aveva sollevato dubbi sulla competenza della Giunta regionale ad adottarla in luogo del Consiglio regionale, con atto normativo. Perciò la successiva delibera n. 7513/1986 aveva dovuto chiarire la portata della precedente, affermando che la delibera 2234 “non fa altro che unificare in un testo le procedure e le modalità che le UU.SS.LL. devono assumere nell’esercizio delle funzioni”. Ciò equivaleva a dire che le delibere adottate dalla Regione in materia non erano derogatorie rispetto alla disciplina legislativa nazionale, ma costituivano una mera compilazione delle modalità da seguirsi nella attuazione di tale normativa nazionale da parte delle ASL. Pertanto le note del dirigente regionale del competente settore del 21 febbraio 2006 e 30 gennaio del 2012 invocate dalla difesa appellante non possono avere alcuna validità perché adottate in contrasto con le sopracitate deliberazioni di Giunta regionale e con la vigente normativa nazionale. Infatti l’appellato rileva che la giurisprudenza costante del Consiglio di Stato nega ogni validità alle “circolari” illegittime, che devono essere senz’altro disapplicate dai destinatari. Nel caso di specie non ricorrono elementi quali incertezze normative, contrasti giurisprudenziali o complessità dei fatti tali da integrare i presupposti dell’errore scusabile. Non vi è infatti alcun possibile dubbio sulla sussistenza delle condizioni abilitanti al rilascio della certificazione di idoneità all’attività sportiva in capo al dottor P ai sensi della normativa nazionale allora vigente. La Regione Puglia è intervenuta solo successivamente con la legge regionale n. 18 del 19 luglio 2013 e con il regolamento n. 7 del 09/04/2014 di istituzione degli elenchi regionali dei medici specialisti in medicina dello sport, ove il dottor P si è tempestivamente iscritto per tutte le discipline sportive. Neppure l’argomento della mancata iscrizione ai suddetti elenchi ha dunque alcun fondamento, visto che la iscrizione non era certamente possibile prima della istituzione degli elenchi medesimi. Infine l’appellato ribadisce la validità del principio di prova fornito in ordine alla consistenza del danno in base ad una pluralità di elementi oggettivi o notori. A tali elementi l’Amministrazione ha avuto modo di replicare in primo grado sia con il deposito di una memoria il giorno successivo al deposito dei documenti sia attraverso l’intervento del difensore in udienza: non può quindi riscontrarsi alcuna violazione del contraddittorio.

6. – Con la ordinanza n. 2720 del 18 giugno 2015 questa Sezione ha accolto la istanza cautelare dell’Amministrazione per la sospensione degli effetti della sentenza impugnata, riconoscendo la sussistenza degli estremi di danno nella esigenza di evitare il pagamento di somme in attesa delle definizione nel merito del giudizio.

7. - L’appellato ha presentato una nuova memoria in vista della udienza di merito, nella quale chiede che l’appello sia dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse o per sussistenza di altre ragioni ostative ad una pronuncia di merito, ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. c), c.p.a., in quanto l‘Azienda ASL con la delibera n. 734 del 15 giugno 2015 ha riconosciuto il diritto del dottor P al risarcimento del danno subito a causa dell’atto di diffida. L’Azienda ha successivamente provveduto al pagamento della somma stabilita con la delibera n. 734/2015 in data 27 giugno 2025 successiva all’ordinanza di accoglimento dell’istanza cautelare di sospensione della esecutività della sentenza n. 289/2015. La difesa dell’appellato ne deduce che l’Azienda avrebbe posto in essere un fatto estintivo della pretesa del dottor P e che si sarebbe quindi determinata la cessazione della materia del contendere.

8. – La causa è stata chiamata alla udienza pubblica del 29 ottobre 2015. Dopo che il Collegio ha consentito al deposito agli atti da parte della difesa della ASL della copia integrale della delibera n. 734/2015, che è identica a quella già depositata dalla controparte in allegato alla ultima memoria di udienza e ha preso atto della dichiarazione della difesa della Amministrazione che con tale delibera non si è in alcun modo fare acquiescenza alla sentenza, ma come attestato dalla quartultima premessa solo “ ottemperare alla stessa al fine di evitare ogni altra azione esecutiva che comporterebbe un conseguente aggravio di spesa ”, la causa passa in decisione.

9. – Il Collegio valuta preliminarmente la eccezione di improcedibilità dell’appello per intervenuta acquiescenza sollevata dalla difesa appellata. Considerate le circostanze e gli interessi pubblici coinvolti, il Collegio ritiene che debba prevalere la volontà della ASL resa in udienza e la interpretazione dalla stessa fornita del significato autentico della delibera in concomitanza con il dato oggettivo dell’attiva coltivazione del ricorso in appello, pur dovendo sottolineare la singolarità del comportamento della ASL alla vigilia della udienza cautelare nel giudizio di appello e l’ambigua formulazione della delibera anche nel punto richiamato dalla difesa appellante.

10. – L’appello è nel merito fondato.

10.1. – Come il TAR ha giustamente rilevato in premessa, la risarcibilità del danno derivante dalla lesione di un interesse legittimo richiede la riferibilità del danno ad una condotta dolosa o colposa dell'Amministrazione. Su questo punto essenziale, il Collegio giunge tuttavia a conclusioni opposte a quelle del TAR sulla base di un’attenta analisi della normativa nazionale di cui all’art. 5, ultimo comma, del d.l. n. 663/1979, convertito nella legge n. 33/1980 da applicare al caso di specie secondo la sentenza del TAR n. 880/2013 passata in giudicato, che è alla base della richiesta di risarcimento del danno.

10.2. – L’art. 5, ultimo comma, del d.l. n. 663 appena citato stabilisce che: “ Fermo restando quanto disposto dall’art. 61, quarto comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 833, i controlli sanitari sono effettuati, oltre che ……. dai medici della Federazione medico-sportiva italiana, dal personale e dalle strutture pubbliche e private convenzionate, con le modalità fissate dalle regioni di intesa con il CONI e sulla base di criteri tecnici generali che saranno adottati con decreto del Ministro della sanità ”. L’art. 61, quarto comma, della legge n. 833/1978 istitutiva del Servizio sanitario nazionale, richiamato e confermato dalla precedente norma, dispone che fino alla costituzione delle Unità sanitarie locali “ la tutela sanitaria delle attività sportive, nelle regioni che non abbiano emanato proprie norme in materia, continuerà ad essere assicurata, con l'osservanza dei principi generali contenuti nella legge 26 ottobre 1971, n. 1099, e delle normative stabilite dalle singole federazioni sportive riconosciute dal CONI, secondo i propri regolamenti ”. Il combinato disposto delle due norme conferma in materia la competenza normativa regionale, ma provvede anche una disciplina transitoria assicurando la vigenza di una normativa statale cedevole fino all’adozione di nuove norme regionali.

10.3. – Alla normativa legislativa sopra riportata si aggiunge successivamente normativa secondaria statale ed in specie il DM 18 febbraio 1982 che all’art. 2 specifica che: “ l’accertamento di idoneità relativamente all’età e al sesso, per l’accesso alle singole attività sportive agonistiche viene determinato dai medici di cui all’art. 5, ultimo comma, del decreto legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito in n.33/80 ”. A sua volta questa norma, che si limita a rinviare alla norma legislativa soprastante, è ulteriormente chiarita dalla circolare del Ministero dalla Sanità del 31 gennaio 1983 n. 7 –DM 18 febbraio 1982 “ norme per la tutela sanitaria della attività sportiva agonistica ”, che precisa: “ un’altra difficoltà emersa ha riguardato l’esatta identificazione dei medici di cui all’art. 5, ultimo comma, della legge n. 33/80. Per “medici della FMSI” bisogna intendere coloro che lo Statuto della Federazione stessa definisce “soci ordinari” e cioè medici in possesso della specializzazione in medicina dello sport o dell’attestato ministeriale di cui alla legge n. 1099/71 ”.

10.4. – Infine la circolare del 18 marzo 1996, n. 500.4/MSP/CP/643 – del Ministero della sanità ha dettato le seguenti linee guida : “ Le singole regioni e le province autonome, in base alle risorse disponibili, di intesa con il CONI, scelgono la situazione più idonea per l’accertamento dell’idoneità alla pratica sportiva agonistica nel loro territorio, secondo tre possibili moduli organizzativi, anche tra loro complementari, costituiti: 1) dai servizi pubblici di medicina dello sport;
2) dai centri privati autorizzati e accreditati ai sensi di legge;
3) dai singoli specialisti in medicina dello sport autorizzati a svolgere l’attività certificatoria in quanto operanti in locali adeguati ….le regioni e le province autonome, pertanto coerentemente e conseguentemente ….nel caso dei singoli medici identificano, tramite specifici elenchi aperti, gli specialisti titolari della funzione
.”

10.5. – Dal quadro normativo sopradescritto la sentenza n. 880/2013 passata in giudicato e presupposto della richiesta di risarcimento danni oggetto del presente giudizio, ha condivisibilmente dedotto che le delibere adottate dalla Regione Puglia (n. 2234 e 7513 del 1986) non contengono né potrebbero contenere una disciplina della materia derogatoria rispetto alla vigente disciplina nazionale in quanto questa avrebbe potuto essere adottata solo con legge regionale e non con delibera della Giunta.

10.6. – Questa affermazione non è tuttavia mai contraddetta dalla Regione, che ha infatti confermato di avere inteso solo definire le modalità attuative della normativa statale come richiesto dalla stessa normativa statale. Secondo la sentenza n. 880 passata in giudicato, l’art. 5, ultimo comma, va interpretato e applicato ( non avendo la regione Puglia emanato norme legislative in materia) secondo le precisazioni rese dalla circolare del Ministero dalla Sanità del 31 gennaio 1983 n. 7 –DM 18 febbraio 1982 “ norme per la tutela sanitaria della attività sportiva agonistica ” la quale esplicitamente prevede che devono essere ricompresi: i “ medici della FMSI” tra i soggetti abilitati all’ accertamento dell’idoneità alla pratica sportiva agonistica, i medici in possesso della specializzazione in medicina dello sport, che sono soci ordinari della FMSI . Pertanto le delibere e le note della Regione Puglia che dispongono il contrario sono illegittime.

10.7. – Questa statuizione è passata in giudicato e non è comunque in discussione in questo giudizio. Spetta a questo giudizio di confermare o meno la tesi del TAR, secondo la quale la interpretazione della legislazione statale statuita dal TAR nella sentenza n. 880, passata in giudicato, è connotata da quei requisiti di evidenza, indubitabilità e univocità da escludere qualsiasi incertezza e quindi configurare la colpa grave in capo alla ASL per avere applicato un diverso criterio interpretativo e adottato l’atto di diffida di cui si discute, sia pure in presenza di specifiche direttive regionali sia di ordine generale sia di ordine puntuale in questo senso.

10.8. – Alla luce di un attento esame della normativa sopra riportata, la tesi sostenuta dal TAR con la sentenza n. 289/2015 impugnata nel presente giudizio non convince. L’esame della normativa statale conduce invece questo Collegio a ritenere che il TAR con la precedente sentenza n. 880/2013, passata in giudicato, abbia compiuto una operazione ermeneutica e ricostruttiva assai complessa per le ragioni di seguito esposte. Secondo questo Collegio si deve quindi escludere che la normativa statale in questione presenti quelle caratteristiche di evidenza e di univocità di significato da integrare i presupposti di colpa grave richiesti come presupposto per l’accoglimento del risarcimento del danno a seguito dell’ annullamento di un atto amministrativo illegittimo.

10.9. – Deve in primo luogo rilevarsi che la situazione normativa vigente al momento della adozione dell’atto di diffida era oggettivamente e manifestamente di difficile interpretazione per il concomitante incrociarsi nella fattispecie normativa in questione di tre fenomeni giuridici ad alto grado di complessità:

a) i rapporti tra le fonti di diversi livelli territoriali in un’area di competenza regionale non ancora esercitata con la presenza di una normativa statale “cedevole”;

b) il concorso nella attuazione della normativa primaria statale di fonti secondarie statali e regionali in presenza di una normativa legislativa che invece demanda alle regioni la competenza a definire le modalità attuative;

c) il carattere sommario e generico della norma legislativa di riferimento che si limita a formulare un elenco di soggetti (per di più con errori o incertezze anche grammaticali che ne rendono oscuro il significato: è ad esempio errata la concordanza della parola “personale” con il successivo aggettivo “convenzionate”ovvero deve supporsi che manca una parola);

d) la stessa norma legislativa non fa alcun riferimento ad una normativa statale secondaria per la sua attuazione, ma rinvia alle regioni le modalità attuative (rinvio del tutto diverso rispetto a quello operato dall’art. 61 della legge n. 833 soprariportato, che rimanda ad una normativa regionale sostitutiva);

e) la normativa statale secondaria che interviene in materia deve pertanto considerarsi una normativa aggiuntiva resa necessaria dalla scarsa chiarezza della norma legislativa in questione e quindi come una forma di interpretazione autentica della norma legislativa. Essa ha quindi una funzione ausiliaria nell’agevolare lo svolgimento del compito che la norma legislativa demanda alle regioni di determinare le sue modalità attuative.

10.10. – In questa situazione normativa, al fine di valutare la funzione assolta dalle richiamate delibere regionali n. 2234/1986 e n. 7513/1986, vanno considerati i seguenti elementi:

- la delibera regionale n. 7513/1986 adottata a seguito dei rilievi della Commissione regionale di controllo sulla precedente circolare n. 2234/1986, che conteneva la contestata disciplina regionale per il rilascio dei certificati di idoneità sportiva, precisava che la precedente circolare doveva considerarsi esente dai dubbi di legittimità sollevati dalla Commissione regionale di controllo perché: “ la deliberazione n. 2234 …non fa altro che unificare in un testo le procedure le modalità che le ULSS devono assumere nell’esercizio delle funzioni ”;

- la Regione non ha mai affermato di avere voluto adottare con le delibere n. 2234/1986 e n. 2234/1986 una normativa sostitutiva della normativa nazionale, ma al contrario di aver inteso definire con le due delibere richiamate le modalità applicative della disciplina nazionale con i margini di discrezionalità che essa esplicitamente lasciava alla autorità amministrativa regionale nei termini in cui la Regione aveva ritenuto di interpretarla;

- tale interpretazione non è priva di significativi e plausibili riscontri nella norma legislativa statale che si intendeva attuare. L’art. 5, ultimo comma, del d.l. n. 663/1979 convertito nella legge n. 33/1980 sopra riportato prevede infatti che “ i controlli sanitari sono effettuati, oltre che dai medici della Federazione medico-sportiva italiana… ” senza alcuna specificazione e aggiunge “ con le modalità fissate dalle regioni di intesa con il CONI ”;

- la stessa disposizione del citato art. 5, ultimo comma, non fornisce alcuna indicazione sul tipo di fonte con le quali le Regioni dovessero definire tali modalità: se cioè con legge o con atto amministrativo;

- si può dunque presumere che lo strumento amministrativo sia del tutto idoneo a definire modalità attuative contrariamente a quanto deve ritenersi nella del tutto diversa ipotesi in cui invece si fosse voluto sostituire con legislazione regionale la normativa statale prevista fin dall’inizio cedevole alla futura legislazione regionale sulla stessa materia;

- in questo quadro la normativa secondaria statale può svolgere solo un ruolo meramente ausiliario per il migliore svolgimento dei compiti attuativi demandati alle regioni ovvero un ruolo sussidiario per il caso in cui la Regione non avesse provveduto a specificare e fissare le modalità attuative con propri atti;

- sembra confermare in pieno il carattere meramente ausiliario o sussidiario il già ricordato tenore della ultima circolare del 18 marzo 1996, n. 500.4/MSP/CP/643 del Ministero della sanità, che indica alle regioni la possibilità di scegliere “ la situazione più idonea per l’accertamento dell’idoneità alla pratica sportiva agonistica nel loro territorio, secondo tre possibili moduli organizzativi, anche tra loro complementari ”. Il terzo di tali eventuali moduli organizzativi riguarda i singoli specialisti in medicina dello sport autorizzati a svolgere l’attività certificatoria in quanto operanti in locali adeguati con la predisposizione di appositi elenchi da parte regionale.

10.9. – Gli elementi riportati al punto precedente dimostrano che la sentenza del TAR n. 880/2013 è intervenuta in una situazione normativa assai complessa e confusa e quindi aperta a diverse interpretazioni. La sentenza in questo quadro statuisce che il significato normativo delle ellittiche espressioni utilizzate dall’art. 5 sul punto in questione deve essere interpretato tenendo conto della normativa secondaria statale che ne fornisce una più articolata spiegazione. Ci si riferisce nella specie al DM 18 febbraio 1982, in combinazione con la successiva ulteriore esplicita spiegazione fornita dalla circolare del Ministero dalla Sanità del 31 gennaio 1983 n. 7 – DM 18 febbraio 1982, la quale dice apertis verbis che per “ medici della FMSI” bisogna intendere coloro che lo Statuto della Federazione stessa definisce “soci ordinari” e cioè medici in possesso della specializzazione in medicina dello sport o dell’attestato ministeriale di cui alla legge n. 1099/71 ”. La stessa circolare afferma nel contempo, proprio per giustificare il suo intervento sull’argomento, che “ l’esatta identificazione dei medici ” costituisce “ un’altra difficoltà emersa ”. La successiva circolare dello stesso Ministero 18 marzo 1996, anche essa richiamata dalla sentenza n. 880, si limita tuttavia a considerare come uno dei possibili moduli organizzativi lo svolgimento del compito in questione “ dai singoli specialisti in medicina dello sport autorizzati a svolgere l’attività certificatoria in quanto operanti in locali adeguati … ”.e quindi legittimerebbe la scelta della Regione di utilizzare due delle tre modalità alternativamente indicate.

10.10. – Da quanto in precedenza considerato, consegue che la sentenza n. 880 passata in giudicato ha certamente compiuto una necessaria azione di accertamento interpretativo, giovandosi del parere della Commissione regionale di controllo dalla stessa sentenza richiamato, ma nel contempo ha fatto anche emergere tutta la complessità del quadro normativo che ha richiesto questa impegnativa azione di chiarimento interpretativo a causa della incertezza e dell’ambiguità delle formulazioni normative di fonte statale nei termini indicati nei punti precedenti.

10.11. – In base alle considerazioni che precedono non possono essere condivise le affermazioni della sentenza n. 289/2015 impugnata nel presente giudizio sulla mancanza di incertezza e di dubbi sul quadro normativo che disciplina la questione oggetto del presente giudizio. La normativa legislativa nazionale presenta al contrario formulazioni ambigue e suscettibili di diverse interpretazioni. Inoltre, in presenza di una norma che demanda alle regioni la definizione delle modalità attuative in una materia che è tutta di competenza regionale, deve considerarsi di per sé fonte di ulteriori problemi di stratificazione normativa la stessa esistenza di una ulteriore normativa secondaria statale, che è a sua volta suscettibile di diverse interpretazioni, come si è sopra dimostrato.

10.12. - In conclusione, deve escludersi una specifica colpa della ASL per aver doverosamente eseguito le direttive regionali in materia, dal momento che è la Regione il soggetto demandato ad interpretare ed applicare la normativa statale, definendone le modalità applicative secondo lo stesso art. 5, ultimo comma, del d.l. n. 663/1979 convertito nella legge n. 33/1980 già citato che disciplina la materia in assenza di una legge regionale. Anche se non è materia di questo giudizio deve escludersi anche la astratta possibilità non sollevata in questo giudizio di configurare la colpa grave per errata interpretazione in capo alla Regione, dal momento che, secondo la impostazione accolta in questa sentenza, anche la interpretazione da essa adottata - con le delibere del 1986 e successivi note direttive -rientrava tra le interpretazioni possibili in un quadro normativo così generico e confuso.

11. – L’appello dell’Amministrazione deve essere pertanto accolto e la sentenza del TAR corrispondentemente riformata nel senso del rigetto del ricorso in primo grado.

12. – In relazione all’alterno andamento del giudizio e al comportamento dell’Amministrazione appellante con riferimento a quanto osservato al punto 9, le spese per entrambi i gradi del giudizio devono essere compensate.

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