Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-05-22, n. 201803067

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-05-22, n. 201803067
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201803067
Data del deposito : 22 maggio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 22/05/2018

N. 03067/2018REG.PROV.COLL.

N. 03991/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3991 del 2018, proposto dal sig. F D, rappresentato e difeso dall’avvocato A B (arcangelo.barone@oav.legalmail.it) e con questi elettivamente domiciliato presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

contro

la Prefettura – Ufficio Territoriale di Governo, in persona del Prefetto pro tempore, il Ministero dell'interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
la Sottocommissione Elettorale Circondariale di Anzio, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio;

nei confronti

del Comune di Anzio, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio,

per la riforma

della sentenza del Tar Lazio, sede di Roma, sez. II bis, 18 maggio 2018, n. 5556, che ha respinto il ricorso proposto per l’annullamento del verbale di adunanza n. 12 della Sottocommissione Elettorale Circondariale di Anzio del 12 maggio 2018 e del relativo atto di integrazione, relativo alla ammissibilità della lista “Lega Salvini Lazio”, nella parte in cui ha deliberato l'esclusione del signor F D dalla lista dei candidati per l'elezione del Sindaco e del Consiglio comunale.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Prefettura – Ufficio Territoriale di Governo e del Ministero dell'interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2018 il Cons. Giulia Ferrari e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il signor F D, candidato consigliere comunale nella lista “Lega Salvini Lazio” per la competizione elettorale amministrativa del 10 giugno 2018 del Comune di Anzio, ha impugnato dinanzi al Tar Lazio, sede di Roma, la propria esclusione dalla lista, disposta in quanto è emersa a suo carico, sulla base del Certificato del Casellario Giudiziale, una condanna, alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed euro 1.500 di multa, con sentenza definitiva emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. per un delitto di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990 (reati in materia di sostanze stupefacenti o psicotrope) e di cui all’art. 110 c.p., ritenendo pertanto la Sottocommissione, su tale base, la non candidabilità ai sensi dell’art. 10, d.lgs. n. 235 del 2012.

Il signor F D ha dedotto la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 15, comma 3, d.lgs. n. 235 del 2012, avendolo la Sottocommissione escluso dalla lista in ragione della sentenza di applicazione della pena su richiesta ex art. 444 c.p.p. (del 26 novembre 2009), nonostante l'estinzione della pena. Tale estinzione opererebbe di diritto, senza necessità di una formale pronuncia da parte del giudice dell’esecuzione, per effetto – ai sensi dell’art. 445 c.p.p. - del decorso del termine di cinque anni senza la commissione di reati della stessa indole.

2. Con sentenza n. 5556 del 18 maggio 2018 la sez. II bis del Tar Lazio, sede di Roma, ha respinto il ricorso. Ha affermato che, non potendo gli effetti estintivi di cui all’art. 445 c.p.p. essere equiparati alla riabilitazione, prevista dall’art. 15, d.lgs. n. 235 del 2012 come unica causa di estinzione della incandidabilità, e venendo in rilievo una sentenza di condanna emessa nel 2009 ai sensi dell’art. 444 c.p.p. – e quindi successivamente all’1 gennaio 2000, data oltre la quale ha assunto rilevanza la situazione di incandidabilità per condanne emesse, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., per i reati di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990 - il ricorrente è stato legittimamente escluso dalla competizione, trattandosi di incandidabilità già prevista nella precedente disciplina e non avendo parte ricorrente ottenuto la riabilitazione, cui non può essere assimilata, quale causa di cessazione della situazione di incandidabilità, l’intervenuta estinzione del reato e di ogni effetto penale di cui alla condanna ex art. 444 c.p.p., ostandovi il tenore letterale dell’art. 15, d.lgs. n. 235 del 2012.

3. Il signor D ha impugnato la sentenza del Tar Lazio n. 5556 del 18 maggio 2018 con appello depositato il 21 maggio 2018, deducendo:

Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 15, comma 3, d.lgs. n. 235 del 2012, avendo ritenuto di escludere dalle liste il ricorrente in ragione della sentenza di applicazione della pena su richiesta ex art. 444 c.p.p. (del 26 novembre 2009), senza tenere in considerazione il decorso del tempo e gli effetti dell’ordinanza estintiva del reato intervenuta in data 22 dicembre 2014 a seguito di incidente di esecuzione.

Eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica, difetto d'istruttoria, illogicità ed irragionevolezza della motivazione – Ingiustizia manifesta.

L’art. 178 c.p., che disciplina l’istituto della riabilitazione, è individuato come unica causa di estinzione “anticipata” delle condizioni di incandidabilità e ne comporta la cessazione per il periodo di tempo residuo. Peraltro tale istituto non è individuato come l’unica ed esclusiva causa di estinzione di tale condizione soggettiva, dato che non esclude che possano esservi cause di estinzione non “anticipate” o ordinarie.

Nella fattispecie la sentenza di condanna del signor D è risalente di oltre 6 anni ed è stata pronunciata ex art. 444 c.p.p.;
per la stessa si è già prodotto l’effetto estintivo di cui all’art. 445 c.p.p., avuto con l’ordinanza del 22 dicembre 2014 n. 479/2014 del Tribunale Ordinario di Velletri.

Ad avviso dell’appellante, l’effetto di cui agli artt. 445 c.p.p. e 163 c.p., spiegati nel caso di specie a seguito di incidente di esecuzione dal Giudice del Tribunale di Velletri, rilevano sotto il profilo dell’estinzione del reato e, ex art. 183 c.p., sono prevalenti rispetto alle eventuali sopravvenute cause di estinzione della pena.

La disciplina dell’estinzione del reato, contenuta nel libro I, titolo VI, Capo I, del codice, deve essere applicata al caso di specie.

In definitiva, non si è più in presenza di una sentenza di condanna definitiva, essendo intervenuta la declaratoria di estinzione del reato ex artt. 163 c.p. e 445, comma 2, c.p.p. da parte del Giudice dell’esecuzione ed è venuto meno, per il verificarsi delle condizioni, il reato e la pretesa punitiva dello Stato. È evidente come la decisione di non considerare il regime di estinzione del reato ai fini della valutazione di sussistenza delle cause di incandidabilità richiesta dall'art. 12, comma 2, del Testo Unico sia del tutto illogica, irragionevole e arbitraria.

b) Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 10, comma 1, d.lgs. n. 235 del 2012, avendo la Sottocommissione Elettorale Circondariale di Anzio ritenuto di escludere dalle liste il signor D in ragione di sentenza di condanna emessa a seguito di patteggiamento in data 24 dicembre 2009 ed estinta in data 22 dicembre 2014 per fatti di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 alla pena di mesi 6 di reclusione ed € 1.500,00 di multa.

– Eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica, difetto d'istruttoria, illogicità ed irragionevolezza della motivazione. – Ingiustizia manifesta.

L’elettorato passivo, essendo un diritto costituzionalmente garantito, può essere escluso solo per cause di incandidabilità individuate in modo analitico, specifico e tassativo e per le stesse è ammessa solo un’interpretazione di tipo restrittivo.

L’art. 10, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 235 del 2012 fa riferimento ai fatti di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990 nel suo complesso e non alla diversa fattispecie di cui al comma 5 dello stesso art. 73, che è reato distinto e diverso da quello richiamato, individuando una condotta lieve e di certo non assimilabile per quanto riguarda le condizioni di candidabilità a quelle previste dall’art. 73 sia sotto un profilo di allarme sociale sia sotto il diverso profilo della condotta.

4. Si sono costituiti in giudizio la Prefettura – Ufficio Territoriale di Governo e il Ministero dell'interno, che hanno sostenuto l’infondatezza dell’appello.

5. Il Comune di Anzio non si è costituito in giudizio.

6. La Sottocommissione Elettorale Circondariale di Anzio, non si è costituita in giudizio.

7. Alla pubblica udienza del 22 maggio 2018 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato.

Il Collegio ritiene infatti condivisibili - e pertinenti al caso sottoposto al proprio esame - i principi già espressi dalla Sezione con la sentenza n. 2552 del 29 maggio 2017, richiamata dal Tar Lazio, nell’impugnata sentenza n. 5556 del 18 maggio 2018, a supporto delle conclusioni alle quali è pervenuto.

Al fine del decidere occorre ricordare che il comma 3 dell’art. 15, d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 235 ha previsto che “la sentenza di riabilitazione, ai sensi dell’art. 178 e seguenti del codice penale, è l’unica causa di estinzione anticipata dell’incandidabilità”: la norma non reca un’analoga previsione con riferimento all’estinzione del reato ex art. 445 c.p.p., ma anzi il riferimento all’aggettivo “unica” depone nel senso di ritenere che soltanto la riabilitazione sia stata considerata dal legislatore idonea a far venir meno l’incandidabilità.

Riabilitazione ex art. 178 c.p. ed estinzione conseguente al patteggiamento ai sensi dell’art. 445 c.p.p. non sono equivalenti.

Ed invero, ai fini della riabilitazione non è sufficiente la mancata commissione di altri reati, come nel caso dell’estinzione conseguente al patteggiamento ai sensi dell’art. 445 c.p.p., ma occorre l’accertamento del “completo ravvedimento dispiegato nel tempo e mantenuto sino al momento della decisione, e tradotto anche nella eliminazione (ove possibile) delle conseguenze civili del reato” (Cass. pen., sez. I, 18 giugno 2009, n. 31089).

La Cassazione ha precisato, infatti, che “mentre l’estinzione della pena patteggiata si produce con il solo mancato avveramento della condizione risolutiva nel previsto arco temporale ….la riabilitazione viene pronunziata all’esito di un effettivo approdo rieducativo del reo”. Ha inoltre riconosciuto al condannato, la cui pena sia stata medio tempore estinta ex art. 445, comma 2, c.p.p., l’interesse a chiedere la riabilitazione, in quanto correlato ad una completa valutazione post factum, non irrilevante sul piano dei diritti della persona.

Da tale premessa consegue, come corollario obbligato, che sebbene entrambi gli istituti assicurino al condannato la cessazione degli effetti penali della condanna, non possono però ritenersi sovrapponibili, in quanto solo con la riabilitazione si acquista la certezza dell’effettiva rieducazione del reo, poiché l’estinzione ex art. 445 c.p.p. deriva dal solo dato fattuale del mero decorso del tempo.

Come si è detto, ai fini del venir meno della incandidabilità il Legislatore ha previsto che rilevi solo la sentenza di riabilitazione ex art. 178 c.p.: è dunque necessaria la prova dell’effettiva rieducazione del reo per il riacquisto dei requisiti di onorabilità richiesti dall’art. 54, comma 2, Cost. per l’accesso alle funzioni pubbliche;
prova che peraltro può essere chiesta anche dal condannato con sentenza di patteggiamento dopo il decorso del termine quinquennale di estinzione del reato, facendo così venire meno la condizione di incandidabilità.

2. È invece inammissibile il secondo motivo, proposto per la prima volta in appello in violazione del divieto dei nova sancito dall'art. 104 c.p.a. Infatti, nel giudizio di appello il thema decidendum è circoscritto dalle censure ritualmente sollevate in primo grado, non potendosi dare ingresso, per la prima volta, a nuove doglianze in violazione del divieto dei nova sancito dall’art. 345 c.p.c. (Cons. St., sez. VI, 27 novembre 2010, n. 8291), siano dette doglianze in fatto o in diritto (Cons. St., sez. IV, 8 gennaio 2018, n. 76;
id. 8 febbraio 2017, n. 549;
id., sez. V, 22 marzo 2012, n. 1640).

Il Collegio rileva che, seppure si potesse prescindere dal detto assorbente profilo di inammissibilità, il motivo sarebbe comunque infondato nel merito.

L’art. 10, comma 1, d.lgs. n. 235 del 2012 fa, infatti, riferimento generico ad “un delitto di cui all'art. 73, t.u. n. 309 del 1990 concernente la produzione o il traffico di dette sostanze, o per un delitto concernente la fabbricazione, l'importazione, l'esportazione, la vendita o cessione”, senza distinzione alcuna tra le fattispecie previste dai diversi commi.

3. L’appello deve dunque essere respinto, ma sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese e degli onorari del giudizio.

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