TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2018-05-18, n. 201805556

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2018-05-18, n. 201805556
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201805556
Data del deposito : 18 maggio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/05/2018

N. 05556/2018 REG.PROV.COLL.

N. 05901/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5901 del 2018, proposto da:
F D, rappresentato e difeso dall'avvocato S B, con domicilio informatico all’indirizzo PEC stefano.barone@oav.legalmail.it;;

contro

Sottocommissione Elettorale Circondariale di Anzio, Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo Roma, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Comune di Anzio, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

del verbale della Sottocommissione Elettorale Circondariale di Anzio del 12.05.2018 verbale di adunanza n. 12 (notificato mediante consegna a mani al Sig. Pierluigi Campomizzi nella qualità di delegato della lista il 12.05.2018 ore 16.30) e del relativo atto di integrazione (notificato in data 14.05.2018), relativo alla ammissibilità della lista “Lega Salvini Lazio”, e relativa all'atto di allegazione della lista “come approvata” nella parte in cui delibera l'esclusione dell'odierno ricorrente, Durazzi Franco, dalla lista dei candidati per l'elezione del Sindaco e del Consiglio Comunale e per la conseguente condanna alla riammissione dell'odierno ricorrente alla lista dei candidati per l'elezione del Sindaco e del Consiglio Comunale;

nonché di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo Roma;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella udienza pubblica speciale elettorale del giorno 18 maggio 2018 la dott.ssa Elena Stanizzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in esame l’odierno ricorrente – candidatosi quale consigliere comunale nella lista “Lega Salvini Lazio” per la competizione elettorale amministrativa del 10 giugno 2018 del comune di Anzio – propone azione impugnatoria avverso il verbale della Sottocommissione Elettorale Circondariale di Anzio, meglio indicato in epigrafe, nella parte in cui viene disposta la propria esclusione dalla lista dei candidati per l'elezione del Sindaco e del Consiglio Comunale, chiedendo altresì la condanna dell’Amministrazione a procedere alla propria riammissione nella lista dei candidati.

La contestata esclusione è stata disposta in quanto è emersa a carico del ricorrente, sulla base del Certificato del Casellario Giudiziale, una condanna, alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed euro 1.500 di multa, con sentenza definitiva emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. per un delitto di cui all’art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990 e di cui all’art. 110 c.p., ritenendo pertanto la Sottocommissione, su tale base, la non candidabilità del ricorrente ai sensi dell’art. 10 del D.Lgs. n. 235 del 2012.

Avverso il gravato atto, parte ricorrente deduce il seguente, unico, motivo di censura:

Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 15, comma 3, del D.Lgs. n. 235 del 2012 avendo la Sottocommissione escluso dalle liste il ricorrente in ragione della sentenza di applicazione della pena su richiesta ex art. 444 c.p.p. (del 26.11.2009), nonostante l'estinzione della pena. – Eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica, difetto d'istruttoria, illogicità ed irragionevolezza della motivazione. – Ingiustizia manifesta.

Lamenta sostanzialmente parte ricorrente la violazione dell’art. 15 del D.Lgs. 235 del 2012 sostenendo che, pur prevedendo tale norma – al comma 3 - che l’unica causa di estinzione dell’incandidabilità è costituita dalla sentenza di riabilitazione, dovrebbe comunque ritenersi venuta meno la propria condizione di incandidabilità stante l’intervenuta estinzione ope legis del reato di cui alla condanna inflitta ai sensi dell’art. 444 c.p.p. con sentenza del 26 novembre 2009.

Tale estinzione opererebbe di diritto, senza necessità di una formale pronuncia da parte del giudice dell’esecuzione, per effetto – ai sensi dell’art. 445 c.p.p. - del decorso del termine di cinque anni senza la commissione di reati della stessa indole.

Rappresenta, inoltre, al riguardo parte ricorrente come l’intervenuta estinzione di ogni effetto penale discendente dalla sentenza n. 363 del 2009 – posta a base del giudizio di incandidabilità - sia stata positivamente accertata dal Giudice dell’Esecuzione del Tribunale di Velletri con provvedimento del 22 dicembre 2014.

Così dato atto dell’oggetto del ricorso, incentrato sulla affermata parificazione, agli effetti del venir meno delle cause di incandidabilità, della riabilitazione e dell’estinzione del reato di cui all’art. 445 c.p.p., ne rileva il Collegio l’infondatezza.

La materia della incandidabilità per le cariche elettive è attualmente disciplinata dal D.Lgs. n. 235 del 2012 il quale nel disporre, all’art. 15, che l’incandidabilità opera anche nel caso di sentenza definitiva che disponga l’applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 c.p.p., prevede, al comma 3, che “la sentenza di riabilitazione, ai sensi dell’art. 178 e seguenti del codice penale, è l’unica causa di estinzione anticipata dell’incandidabilità”.

Stante il chiaro tenore della norma, inserita in un testo normativo recante il testo unico in materia di incandidabilità, non può aversi estinzione della situazione di incandidabilità al di fuori dei casi in cui sia intervenuta una sentenza di riabilitazione, adottata ai sensi degli artt. 178 e seguenti c.p.p., non potendo conseguentemente essere equiparate alla riabilitazione – agli specifici fini della estinzione della incandidabilità – diverse ipotesi in cui si verifichi l’estinzione del reato o degli effetti penali della condanna, come avviene nei casi di estinzione del reato e dei relativi effetti ai sensi dell’art. 445 c.p.p..

Al riguardo, ritiene il Collegio – sulla base di un più attento esame dei dati testuali e di argomenti logico-sistematici - di doversi discostare dal precedente orientamento espresso con la sentenza della Sezione n. 6103 del 2017 e di aderire, invece, a quello manifestato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 2552 del 2017, non potendo la riabilitazione trovare equipollenti sulla base di interpretazioni estensive ed analogiche, le quali condurrebbero alla sostanziale disapplicazione della chiara norma di cui all’art. 15, comma 3, del D.Lgs. n. 235 del 2012, espressamente riferita, tenuto conto del suo inserimento sistematico, anche alle ipotesi di condanna ex art. 444 c.p.p.

In tale direzione depone, invero, l’espressione ‘unica’ riferita alla riabilitazione come causa di estinzione della situazione di incandidabilità.

Nè le due figure della riabilitazione e dell’estinzione del reato e degli effetti penali possono ritenersi equivalenti sotto il profilo sostanziale, dal momento che l’estinzione del reato e degli effetti penali della condanna di cui all’art. 445 c.p.p. discende dal mero decorso del tempo ove il condannato non commetta altro reato della stessa indole nel termine di cinque anni, mentre nel caso della riabilitazione l’effetto estintivo si verifica solo se il condannato ha dato prove effettive e costanti di buona condotta.

Ai fini della riabilitazione non è, difatti, sufficiente la mancata commissione di altri reati, come nel caso dell’estinzione conseguente al patteggiamento ai sensi dell’art. 445 c.p.p., ma occorre l’accertamento del “completo ravvedimento dispiegato nel tempo e mantenuto sino al momento della decisione, e tradotto anche nella eliminazione (ove possibile) delle conseguenze civili del reato” (Cassazione Penale, Sezione I, 18 giugno 2009, n. 31089).

Mentre, infatti, l’estinzione della pena patteggiata si produce con il solo mancato avveramento della condizione risolutiva nel previsto arco temporale, la riabilitazione viene pronunziata all’esito di un effettivo approdo rieducativo del reo, così emergendo la diversità degli istituti dell'estinzione del reato e della riabilitazione per presupposti e modalità di funzionamento atteso che: l'estinzione del reato è istituto che si fonda, ai sensi dell'art. 167 comma 1 c.p., sul decorso dei termini stabiliti unitamente ad ulteriori elementi (il condannato non commetta entro tali termini un delitto, ovvero una contravvenzione della stessa indole, e adempia gli obblighi impostigli);
la riabilitazione è un beneficio che può essere concesso solo a seguito di una pronuncia del Tribunale di sorveglianza con cui si riscontri che è decorso il termine fissato dalla legge “ dal giorno in cui la pena principale è stata eseguita o si è in altro modo estinta, e il condannato ha dato prove effettive e costanti di buona condotta ” ex art. 179, comma 1, c.p. (Consiglio di Stato, sez. V, 31 gennaio 2017, n. 386).

In effetti la riabilitazione, ai sensi dell'art. 178 c.p., estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti;
in questo contesto essa costituisce, quindi, un istituto che vale ad attestare in modo più sicuro il riacquistato possesso dei requisiti morali da parte del condannato perché opera sulla base di una valutazione ex post della condotta dello stesso e, a differenza dell'estinzione della pena, non opera ope legis, ma postula uno specifica pronuncia costitutiva, fondata sulla verifica di prove effettive e costanti di buona condotta. Il rapporto fra le due misure va, pertanto, inteso in termini di compatibilità e differenza di effetti, atteso che la persona condannata ha interesse ad ottenere la riabilitazione anche quando il reato risulti estinto per il compiuto decorso del termine previsto dalla legge, in quanto essa comporta vantaggi ulteriori rispetto a quelli prodotti dall'estinzione ex art. 167 comma 1, c.p., anche ai fini della candidabilità secondo le rigorose disposizioni dettate dal citato art. 15 del D.Lgs. n. 235 del 2012.

La Corte di Cassazione ha difatti riconosciuto al condannato, la cui pena sia stata medio tempore estinta ex art. 445 c. 2 c.p.a., l’interesse a chiedere la riabilitazione, in quanto correlato ad una completa valutazione post factum, non irrilevante sul piano dei diritti della persona (ex plurimis: Cass. Pen. Sez. I, 18 giugno 2009, n. 31089 citata).

Ne consegue che sebbene entrambi gli istituti – della riabilitazione e dell’estinzione della pena patteggiata - assicurino al condannato la cessazione degli effetti penali della condanna, non possono ritenersi sovrapponibili ed equiparabili, in quanto solo con la riabilitazione si acquista la certezza dell’effettiva rieducazione del reo, poiché l’estinzione ex art. 445 c.p.p. deriva dal solo dato fattuale del mero decorso del tempo.

Dalle differenze sostanziali tra i due istituti emerge la ratio della scelta rigorosa del Legislatore il quale, nell’ambito della propria discrezionalità, non ha ritenuto – nel dettare la norma di cui all’art. 15, comma 3, del D.Lgs. n. 235 del 2012 – di dover ancorare la cessazione della situazione di incandidabilità al venir meno degli effetti penali della condanna, richiedendo invece espressamente la prova dell’effettiva rieducazione del reo, come attestata attraverso la sentenza di riabilitazione, quale elemento indefettibile per il riacquisto dei requisiti di onorabilità richiesti dall’art. 54, comma 2, della Costituzione, per l’accesso alle funzioni pubbliche, ben potendo il Legislatore, nel disciplinare i requisiti per l'accesso e il mantenimento delle cariche elettive, ricercare un bilanciamento tra gli interessi in gioco, ossia tra il diritto di elettorato passivo, da un lato, e il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione (Corte Costituzionale, 19 novembre 2015, n. 236).

Deve, inoltre, precisarsi – a fini di completezza nella ricostruzione del quadro normativo applicabile - che in ragione della data del 24 dicembre 2009 in cui è divenuta irrevocabile la sentenza di condanna del ricorrente con pena patteggiata per uno dei reati in materia di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1999, trova applicazione l’art. 16 del D. Lgs. n. 235 del 2012, ai sensi del cui comma 1 è prevista l’incandidabilità alle elezioni, se già rinvenibile nella disciplina previgente, per le sentenze di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. pronunciate successivamente alla data della sua entrata in vigore, da cui consegue che può essere candidato in un'elezione solo chi ha patteggiato una condanna penale prima dell'entrata in vigore della normativa sui requisiti morali per l'accesso alle cariche amministrative e politiche, e ciò in base alla ricostruzione del quadro normativo stratificatosi nel tempo.

Difatti, la normativa precedente, individuata nell’art. 15 della legge n. 55 del 1990, come modificato dall’art. 1, comma 2, della legge 13 dicembre 1999 n. 475, prevedeva, al comma 1-bis, l’equiparazione, agli effetti della disciplina ivi prevista, delle sentenze ex art. 444 c.p.p. alle sentenze di condanna, contemplando quale causa di incandidabilità i reati di cui all'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990.

Inoltre, il comma 3, del citato art. 1 della legge n. 475 del 1999 – la cui vigenza è stata fatta salva dal D.Lgs. n. 267 del 2000 che ha abrogato la legge n. 375 del 1999 ad eccezione proprio dell'art. 1, comma 3 - al fine di regolare gli effetti temporali della predetta equiparazione, ha espressamente previsto che “la disposizione del comma 1-bis dell’art. 15 della legge 19 marzo 1990 n. 55, introdotto dal comma 2 del presente articolo, si applica alle sentenze previste dall’articolo 444 del codice di procedura penale pronunciate successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge” (1 gennaio 2000).

Sotto il profilo della ricostruzione del quadro normativo, deve ancora rilevarsi che l’art. 58 del D.Lgs. n. 267 del 2000 – poi abrogato con il D.Lgs. n. 235 del 2012 – prevede anch’esso la incandidabilità nei casi di condanne per i reati di cui all'art. 73 del testo unico approvato con d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, emergendo quindi una continuità normativa nella previsione della incandidabilità per siffatta tipologia di reati perseguiti con sentenze di patteggiamento.

Né può assumere rilievo la distinzione – invocata da parte ricorrente soprattutto nella discussione orale – tra le diverse ipotesi incriminatorie previste dall’art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990, cui l’art. 10, comma 1, lettera a) del D.Lgs. n. 235 del 2012 ricollega l’incandidabilità alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali.

Come già rilevato dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sezione III, 19 maggio 2016, n. 2103), la circostanza che il citato art. 10, nell’operare il richiamo all’art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990, ne riassume solo in parte il contenuto, non consente una lettura restrittiva dell’ambito di operatività delle cause di incandidabilità, trattandosi di una mera indicazione esemplificativa non idonea a limitare il richiamo alle sole parti dell’art. 73 indicate ed a legittimare una lettura riduttiva della norma basata sul livello di gravità delle diverse fattispecie di reato, non emergendo dal tenore di tale norma alcuna volontà del Legislatore di operare siffatta distinzione.

In applicazione delle illustrate coordinate ermeneutiche, assume quindi carattere dirimente la circostanza che, nella fattispecie in esame, viene in rilievo una condanna ex art. 444 c.p.p. adottata nel 2009, ovvero allorquando era già operante l'equiparazione delle sentenze di patteggiamento a quelle di condanna sulla base della previsione di cui all’art. 15 della legge n. 55 del 1990, poi modificato dall’art. 1, comma 2, della legge 13 dicembre 1999 n. 475, che prevedeva l’equiparazione, ai fini della incandidabilità, delle sentenze ex art. 444 c.p.p. alle sentenze di condanna, tenuto conto degli effetti intertemporali regolati dal comma 3 dell’art. 1 della legge n. 475 del 1999, sopra citato, e della norma di cui all’art. 58 del D.Lgs. n. 267 del 2000.

In conclusione, alla luce delle considerazioni sopra illustrate, non potendo gli effetti estintivi di cui all’art. 445 c.p.p. essere equiparati alla riabilitazione, prevista dall’art. 15 del D.Lgs. n. 235 del 2012 come unica causa di estinzione della incandidabilità, e venendo in rilievo una sentenza di condanna emessa nel 2009 ai sensi dell’art. 444 c.p.p. – e quindi successivamente all’1 gennaio 2000, data oltre la quale ha assunto rilevanza la situazione di incandidabilità per condanne emesse, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., per i reati di cui all’art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990 - il ricorrente è stato legittimamente escluso dalla competizione, trattandosi di incandidabilità già prevista nella precedente disciplina e non avendo parte ricorrente ottenuto la riabilitazione, cui non può essere assimilata, quale causa di cessazione della situazione di incandidabilità, l’intervenuta estinzione del reato e di ogni effetto penale di cui alla condanna ex art. 444 c.p.p., ostandovi il tenore letterale dell’art. 15 del D.Lgs. n. 235 del 2012.

Le considerazioni sopra illustrate conducono, conseguentemente, al rigetto del ricorso.

In considerazione della non uniformità della giurisprudenza, sussistono particolari ragioni che consentono di interamente compensare tra le parti le spese del giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi