Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2023-01-31, n. 202301096
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
Pubblicato il 31/01/2023
N. 01096/2023REG.PROV.COLL.
N. 00784/2016 REG.RIC.
N. 02049/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 784 del 2016, proposto dalla Regione Basilicata, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dall’avvocato A C P, con domicilio eletto presso l’ufficio di rappresentanza della Regione Basilicata in Roma, via Nizza, n. 56;
contro
la società Rendina Ambiente s.r.l. (già Fenice Ambiente s.r.l.), in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati R M, A P P e G F R, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G F R in Roma, via Cosseria, n. 5;
nei confronti
ARPAB - Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Basilicata, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
il Comune di Melfi, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Gaetano Araneo e Nicola Tartaglia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Maria Laviensi in Roma, via Marco Polo, n. 84;
sul ricorso numero di registro generale 2049 del 2016, proposto da ARPAB - Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Basilicata, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
contro
la società Rendina Ambiente s.r.l. (già Fenice Ambiente s.r.l.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati R M, A P P e G F R, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G F R in Roma, via Cosseria, n. 5;
nei confronti
la Regione Basilicata e il Comune di Melfi, non costituiti in giudizio;
per la riforma
per entrambi i ricorsi
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata n. 609 del 7 ottobre 2015, resa tra le parti;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della società Fenice Ambiente S.r.l., di ARPAB - Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Basilicata e del Comune di Melfi;
Visto l’appello incidentale proposto dal Comune di Melfi nel giudizio n. 784 del 2016;
Visti tutti gli atti delle cause;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 novembre 2022 il consigliere Alessandro Verrico;
Viste le conclusioni delle parti presenti, o considerate tali ai sensi di legge, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’oggetto dei giudizi è rappresentato dagli atti (deliberazione della Giunta Regionale della Basilicata n. 1499 del 9 dicembre 2014 ed atti presupposti) con cui si imponeva alla società Fenice Ambiente s.r.l. la sospensione delle attività relative al forno a tamburo rotante presente nell’impianto di termovalorizzazione di sua proprietà sito nel Comune di Melfi (in esercizio in virtù di autorizzazione, oggetto di successivi rinnovi, e di AIA di cui alla D.G.R. n. 428 del 14 aprile 2014), adottati a seguito e in ragione dell’uscita, in data 2 novembre 2014, di fumi anomali (emissione di iodio in atmosfera in concentrazione oltre i valori limite) da uno dei camini (E2) annessi al forno rotante e destinato ai rifiuti speciali di provenienza industriale.
1.1. In particolare, a seguito dell’evento di emissione, l’ARPAB svolgeva sopralluoghi e chiedeva più volte documentazione e relazioni alla società. Questa rispondeva tempestivamente, ad eccezione del caso dell’ultima richiesta (effettuata in data 3 dicembre 2014), in relazione alla quale, dopo solleciti del direttore dell’ARPAB del 5 dicembre 2014 e del 6 dicembre 2014 (nonché risposta interlocutoria della società in data 5 dicembre 2014), l’ARPAB in data 9 dicembre 2014 adottava le proprie determinazioni, rilevando la non appropriata gestione dei rifiuti e il non corretto funzionamento del sistema di abbattimento dei fumi, e la Regione Basilicata, nello stesso giorno, adottava - sulla base della relazione dell’ARPAB - la delibera di sospensione dell’attività.
2. Con ricorso dinanzi al T.a.r. Basilicata (r.g. n. 901/2014), la società Fenice Ambiente s.r.l. impugnava detta delibera.
2.1. Il T.a.r., con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva il ricorso della società Fenice, annullando la gravata delibera e condannando in solido la Regione Basilicata e l’ARPAB sia al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a., che al ristoro delle spese del giudizio. Il Tribunale, in particolare, fondava la propria decisione sui seguenti profili:
a) l’assenza dei presupposti di legge per disporre la sospensione dell’attività, difettando la prova della sussistenza di situazioni di pericolo per la salute umana o per l’ambiente, tanto più che l’AIA non prevedrebbe controlli specifici e limiti puntuali per l’analita “iodio”;
b) la mancanza di elementi per supportare il propedeutico assunto dell’ARPAB di inadeguatezza dell’impianto;
c) la “ piena collaborazione istruttoria ” della società rispetto alle richieste dell’ARPAB;
d) la presenza - al più - dei soli presupposti per l’adozione della mera diffida ex art. 29-decies, n. 9, lett. a), d.lgs. n. 152/2006;
e) la mancata indicazione di un termine per la sospensione.
Il T.a.r., quindi, accoglieva in parte la domanda risarcitoria, condannando a tal fine ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a. la Regione e l’ARPAB, in solido tra loro, parallelamente respingendo, per difetto di prova, la domanda tesa ad ottenere il ristoro del “ danno economico derivante dalla perdita di mercato ”.
3. La Regione Basilicata ha proposto appello (r.g. n. 784/2016) per ottenere la riforma della sentenza impugnata e il conseguente rigetto integrale del ricorso originario. In particolare, l’appellante, articolando un’unica complessa censura, ha ribadito le proprie deduzioni di primo grado, sostenendo che:
a) la sospensione sarebbe stata disposta in applicazione del principio di precauzione, atteso che, nonostante l’assenza di evidenze scientifiche, sussisteva, in tesi, uno stato di pericolosità del contesto per la salute, essendosi registrato in passato un evento di contaminazione di acque sotterranee;
b) la stessa Regione non sarebbe stata tempestivamente informata dell’evento e dell’esito degli accertamenti;
c) il termine della disposta sospensione dovrebbe ritenersi implicito, ossia fino all’avvenuta ottemperanza di quanto prescritto nel deliberato da parte della società.
3.1. Si è costituito in giudizio il Comune di Melfi, il quale, proponendo “ atto di appello autonomo nelle forme dell’appello incidentale ”, ha censurato la sentenza, sostenendo che:
- la sospensione sarebbe stata disposta in un contesto particolare, visti i pregressi eventi e quello immediatamente successivo del 16 dicembre 2014, e stante comunque la pericolosità ex se dell’episodio in questione, atteso che lo iodio dovrebbe essere qualificato come sostanza pericolosa, come attesterebbe la relazione tecnica depositata in primo grado;
- la società avrebbe tenuto un comportamento non collaborativo della società, considerato che nelle comunicazioni effettuate non avrebbe mai inviato i dati necessari.
3.2. Si è altresì costituita in giudizio la società Rendina Ambiente s.r.l. (già Fenice Ambiente s.r.l.), la quale, depositando memoria difensiva, si è opposta all’appello principale, eccependone preliminarmente l’inammissibilità per genericità, e ne ha chiesto l’integrale rigetto. La società ha inoltre resistito all’appello incidentale proposto dal Comune di Melfi, deducendo su ogni singola censura.
3.3. Si è infine costituita l’ARPAB, aderendo alla domanda di riforma della gravata pronuncia e dando atto della avvenuta proposizione di autonomo ricorso in appello, rispetto al quale ha chiesto di disporre la riunione.
3.4. Con l’ordinanza n. 939 del 18 marzo 2016 questa Sezione ha respinto l’istanza cautelare presentata dalla Regione appellante.
3.5. Le parti, con successive memorie, hanno replicato alle avverse deduzioni, insistendo nelle proprie deduzioni e difese.
4. L’ARPAB ha proposto autonomo appello (r.g. n. 2049/2016) per ottenere la riforma della medesima sentenza di primo grado. In particolare, l’appellante, articolando un’unica censura, ha lamentato che il primo giudice, nell’aderire alla tesi di controparte, avrebbe fatto una non corretta applicazione della disciplina dell’art. 2043 c.c., con particolare riferimento alla supposta mancanza di prova dei presupposti, del nesso di causalità e dell’elemento soggettivo con riguardo alla posizione di ARPAB nella vicenda. Invero, ARPAB si sarebbe limitata ad accertare quanto rilevato con l’istruttoria e non avrebbe partecipato alla decisione, che, per converso, sarebbe imputabile esclusivamente alla Regione.
4.1. Si è costituita in resistenza con memoria difensiva la società Rendina Ambiente s.r.l. (già Fenice Ambiente s.r.l.), eccependo preliminarmente l’inammissibilità dell’appello per genericità e chiedendone l’integrale rigetto nel merito.
5. All’udienza del 24 novembre 2022 entrambe le cause sono state trattenute in decisione dal Collegio.
6. In via preliminare, il Collegio rileva che l’appello proposto dalla Regione Basilicata (r.g. n. 784/2016) e l’appello proposto da ARPAB (r.g. n. 2049/2016), in quanto aventi ad oggetto la medesima sentenza, devono essere riuniti ai sensi dell’art. 96, comma 1, c.p.a..
7. Nel merito, entrambi gli appelli, nonché l’appello incidentale proposto dal Comune di Melfi, sono infondati e devono pertanto essere respinti: ciò esonera il Collegio, per economia dei mezzi processuali, dallo scrutinio delle eccezioni di rito svolte dalla società appellata.
8. Gli appelli della Regione Basilicata e del Comune di Melfi possono essere esaminati congiuntamente in ragione della sostanziale coincidenza delle censure proposte, le quali peraltro risultano tra loro strettamente connesse e, quindi, meritevoli di trattazione unitaria.
8.1. Al riguardo, il Collegio osserva che l’art. 29- decies , comma 9, lett. b), del d.lgs. n. 152 del 2006, nella versione applicabile ratione temporis , prevedeva che “ In caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie o di esercizio in assenza di autorizzazione, ferma restando l’applicazione delle sanzioni e delle misure di sicurezza di cui all’articolo 29-quattuordecies, l’autorità competente procede secondo la gravità delle infrazioni: … b) alla diffida e contestuale sospensione dell’attività per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni [di pericolo alla salute o all’ambiente] , o nel caso in cui le violazioni siano comunque reiterate più di due volte all’anno ”.
8.2. Dalla lettura della norma emerge, pertanto, che il presupposto per l’applicazione, e quindi per procedere alla diffida e alla sospensione dell’attività, è duplice ed alternativo: i) il manifestarsi di situazioni pericolose;ii) la reiterazione di violazioni per più di due volte all’anno. Inoltre, la sospensione può essere disposta solo “ per un tempo determinato ”.
8.3. Del resto, la conferma di tale interpretazione può essere tratta dall’esame della versione attuale del medesimo articolo, secondo cui: “ In caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie o di esercizio in assenza di autorizzazione, ferma restando l’applicazione delle sanzioni e delle misure di sicurezza di cui all’articolo 29-quattuordecies, l’autorità competente procede secondo la gravità delle infrazioni: … b) alla diffida e contestuale sospensione dell’attività per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni che costituiscano un pericolo immediato per la salute umana o per l’ambiente o nel caso in cui le violazioni siano comunque reiterate più di due volte in un anno. Decorso il tempo determinato contestualmente alla diffida, la sospensione è automaticamente prorogata, finché il gestore non dichiara di aver individuato e risolto il problema che ha causato l’inottemperanza. La sospensione è inoltre automaticamente rinnovata a cura dell’autorità di controllo di cui al comma 3, alle medesime condizioni e durata individuate contestualmente alla diffida, se i controlli sul successivo esercizio non confermano che è stata ripristinata la conformità, almeno in relazione alle situazioni che, costituendo un pericolo immediato per la salute umana o per l’ambiente, avevano determinato la precedente sospensione ”.
Invero, la nuova formulazione, mantenendo fermi i presupposti richiesti per disporre la sospensione, apporta nuove specificazioni in ordine ai caratteri delle situazioni pericolose che legittimano il provvedimento, chiarendo che esse debbano costituire un “ pericolo immediato per la salute umana o per l’ambiente ”. Segue una disciplina dettagliata concernente la durata della sospensione, con particolare riferimento alle ipotesi di proroga e rinnovo automatico, subordinandone l’attivazione alla persistente mancata ottemperanza e ripristino della conformità dell’impianto da parte del gestore.
9. Ciò considerato, si ravvisa l’infondatezza degli appelli, atteso che, in primo luogo, l’impugnato provvedimento non reca motivazioni in ordine alla situazione di pericolo alla salute o all’ambiente, né fissa un termine per la durata della sospensione. Del resto, tale ultima mancanza non può ritenersi ovviata facendo implicito riferimento al momento di adeguamento da parte della società, non risultando alcun elemento che conduca a tale conclusione.
9.1. D’altro canto, dall’analisi dello svolgimento dei fatti, più ampiamente descritti dalla sentenza di primo grado - alla quale sul punto si rinvia - e non oggetto di specifica contestazione, emerge che la società prestava nell’occasione ampia collaborazione alle autorità di controllo intervenute per gli accertamenti, avendo acconsentito all’effettuazione di ben tre sopralluoghi (nelle date del 2 novembre 2014, 4 novembre 2014 e 3 dicembre 2014) ed avendo risposto, oltretutto tempestivamente, alle richieste dell’ARPAB (risposte inviate nelle date del 5 novembre 2014, 14 novembre 2014 e 5 dicembre 2014).
Peraltro, con l’ultima di tali richieste, da cui scaturiva la diffida e la sospensione da parte della Regione, l’ARPAB concedeva un termine di sole 48 ore (che peraltro cadevano nelle giornate di sabato e domenica), sebbene nel corso dell’ultimo sopralluogo fossero stati pattuiti termini più lunghi per la trasmissione dei dati.
9.2. Ad ogni modo, pur a voler prescindere dalla mancata indicazione nell’ambito del provvedimento della pericolosità della situazione, tale carattere non può essere riconducibile alla presenza di iodio, considerato che l’AIA rilasciata all’impianto con la D.G.R. n. 428 del 14 aprile 2014 non indica tale sostanza tra i contaminanti che richiedono particolare attenzione o controllo.
La conferma di tale interpretazione si è avuta in occasione dell’episodio simile verificatosi recentemente nell’impianto (24 novembre 2021), al quale non ha fatto seguito alcun provvedimento (né cautelativo né sanzionatorio), sulla base di quanto affermato dall’ARPAB in ordine all’assenza di previsione dello iodio come parametro oggetto di controllo o monitoraggio da parte della normativa italiana ed europea, comprese le BAT, ovvero da parte dell’AIA.
9.3. Infine, resta fermo che l’introduzione in giudizio del tema del principio di precauzione sostanzia un inammissibile tentativo di integrazione postuma della motivazione, atteso che il gravato provvedimento indica chiaramente come unica base normativa il solo art. 29- decies , ut supra citato. Al riguardo, come noto, la costante giurisprudenza limita l’ammissibilità dell’integrazione in sede giudiziale della motivazione dell’atto amministrativo al caso in cui questa sia stata effettuata mediante gli atti del procedimento oppure attraverso l’emanazione di un autonomo provvedimento di convalida, restando invece inammissibile un’integrazione postuma effettuata in sede di giudizio mediante atti processuali o, comunque, scritti difensivi (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. III, 28 novembre 2022, n. 10448).
10. Parimenti infondato è il gravame proposto da ARPAB.
10.1. In proposito, ferme restando le sopra esposte considerazioni in ordine alla carenza dei presupposti di legge riscontrata nel provvedimento impugnato, occorre altresì considerare, limitatamente al ruolo svolto da ARPAB nel procedimento de quo , che la stessa, nell’effettuare l’istruttoria, poneva la base su cui la Regione esercitava il proprio potere sanzionatorio. Invero, ARPAB, con la nota in data 9 dicembre 2014, rilevava, in assenza di una prova idonea, la non appropriata gestione dei rifiuti e il non corretto funzionamento del sistema di abbattimento dei fumi e, sulla base di tali conclusioni, la Regione imponeva la sospensione dell’attività dell’impianto.
10.2. D’altro canto, quanto alla lamentata mancata applicazione dei presupposti in tema di responsabilità da parte del primo giudice, si rileva che, sebbene nella pronuncia non emerga una esplicita motivazione sulla sussistenza dei requisiti ex art. 2043 c.c., questa è comunque implicita nella rilevata illegittimità degli atti gravati e dei loro necessari ed ineludibili presupposti procedimentali, quali appunto, in primis , le valutazioni dell’ARPAB.
11. In conclusione, in ragione di quanto esposto, tutti gli appelli devono essere respinti.
12. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.