Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-03-28, n. 202303138
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Testo completo
Pubblicato il 28/03/2023
N. 03138/2023REG.PROV.COLL.
N. 09139/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9139 del 2021, proposto dalla signora A T, rappresentata e difesa dagli avvocati F T, L D e M F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;
contro
il Comune di Torre del Greco, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’avvocato A B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, Sez. III, 25 marzo 2021 n. 2011, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Torre del Greco e i documenti prodotti;
Esaminate le ulteriori memorie, anche di replica nonché le note d’udienza depositate dalle parti con documenti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del 2 febbraio 2023 il Cons. S T. Si registra il deposito di note d’udienza con le quali i difensori di entrambe le parti hanno chiesto il passaggio in decisione della controversia senza previa discussione;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Il presente giudizio in grado di appello ha ad oggetto la richiesta di riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, Sez. III, 25 marzo 2021 n. 2011 con la quale il TAR ha accolto, in parte, il ricorso (n. R.g. 2466/2020) proposto dalla signora A T al fine di ottenere l’annullamento dell’ordinanza di demolizione n. 64 emessa dal Comune di Torre del Greco – VIII Settore, in data 25 febbraio 2020.
2. - La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso in grado di appello può essere sinteticamente ricostruita sulla scorta dei documenti e degli atti prodotti dalle parti controvertenti nei due gradi di giudizio nonché da quanto sintetizzato nella parte in fatto della sentenza qui oggetto di appello, come segue:
- la signora A T è proprietaria di un fabbricato (e delle aree ad esso circostanti, per circa mq. 2.700), sito nel Comune di Torre del Greco, che si sviluppa su due livelli fuori terra, oltre il piano seminterrato e che ricade in zona “Omogenea B5” (Zona di completamento al centro urbano. Area di relativamente urbanizzazione, estesa a corona intorno al centro antico) del PRG vigente al momento dei fatti;
- ancor più nello specifico sotto il profilo urbanistico, riferisce la parte appellante, in base al vigente P.T.P. dei Comuni Vesuviani (ai sensi dell’art. 1- bis l. 8 agosto 1985, n. 431 approvato con D.M. del 4 luglio 2019) il fondo per la maggiore consistenza ricade in zona R.U.A. (Recupero urbanistico-edilizio e Restauro paesistico ambientale) e in minima parte (non interessata dagli interventi contestati nell’ordinanza di demolizione impugnata in primo grado) in zona P.I.R. (Protezione integrale con Restauro paesistico ambientale);
- in seguito ad un sopralluogo effettuato nella suddetta proprietà, i competenti uffici del Comune di Torre del Greco redigevano una relazione tecnica, prot. n. 9887 del 13 febbraio 2020, con la quale dichiaravano di avere accertato la realizzazione delle seguenti opere edilizie abusive: 1) n. 3 gazebo in legno, posti su pedane di legno, non stabilmente infissi al suolo;2) un pergolato con pali in legno e copertura con canne di bambù e rami secchi, chiusa su due lati sempre con canne di bambù per ricovero auto;3) una cuccia per cani (posta sotto il pergolato di cui al punto precedente);4) n. 2 casette in legno da giardino appoggiate al suolo;5) una piscina in difformità rispetto al PDC n. 80/2007 per dimensioni (maggiori) e per traslazione e rotazione;6) una tettoia parapioggia e paravento realizzata con struttura in ferro e materiale plastico trasparente ancorata sulla muratura del fabbricato;7) una tettoia parapioggia e paravento realizzata con struttura in ferro e materiale plastico trasparente realizzata su di un balcone al piano primo;8) una pensilina (tettoia) sul vano della porta d’ingresso al fabbricato, costituita anch’essa da struttura in ferro e materiale plastico trasparente;9) la sostituzione della copertura di un corpo esistente in muratura posto a confine della proprietà con la strada comunale, Via Fiorillo;10) l’ampliamento del manufatto di cui al punto precedente di circa mq. 20;11) un piccolo manufatto in muratura di altezza circa ml. 1.5 e copertura in lamiera zincata per deposito legna;12) una pavimentazione dell’area cortilizia in parte con mattoni in cotto (circa mq. 250) ed in parte con asfalto bituminoso (circa mq. 500);
- alla suddetta relazione seguiva l’adozione dell’ordinanza di demolizione n. 64 del 25 febbraio 2020 che veniva impugnata dinanzi al TAR per la Campania;
- il TAR, all’esito del giudizio di primo grado, con la sentenza 25 marzo 2021 n. 2011, accoglieva in parte il ricorso proposto annullando l’ordinanza di demolizione impugnata limitatamente all’ordine di ripristino riferito alla realizzazione della pavimentazione dell’area cortilizia in parte con mattoni in cotto (circa mq. 250) ed in parte con asfalto bituminoso (circa mq. 500), confermando la legittimità del provvedimento repressivo sanzionatorio con riferimento a tutte le altre opere edilizie.
3. – Propone quindi appello, nei confronti della suddetta sentenza di primo grado, la signora A T, premettendo di avere “ provveduto a regolarizzare le opere sanzionate con l'ordinanza di demolizione. In particolare: a) ha dato avvio alle attività di ripristino parziale delle opere in muratura;b) ha presentato CILA in sanatoria per le seguenti opere: cuccia dei cani, tettoia, ricovero attrezzi e pergolato utilizzato come ricovero auto;c) ha presentato SCIA in sanatoria per le tettoie ed i gazebo ” (così, testualmente, a pag. 4 dell’atto di appello).
In disparte quanto sopra, comunque, la odierna appellante sostiene la erroneità della sentenza di primo grado in ragione di due complesse traiettorie contestative che possono sintetizzarsi come segue:
I) Errata applicazione della disciplina urbanistica e paesaggistica. Errata valutazione dei presupposti di fatto. Cessazione della materia del contendere. Il primo errore nel quale è incorso il TAR, a parere dell’appellante, consiste nell’avere considerato l’insieme degli interventi edilizi come se fossero tra loro connessi funzionalmente e quindi rilevabili nella loro complessità, senza invece apprezzare, come sarebbe stato logico fare (sempre ad avviso dell’appellante), ciascuna delle opere realizzate per la singola rilevanza, tenuto anche conto che ogni intervento edilizio contestato come abusivo presenta una distinta declinazione giuridica e dunque un proprio protocollo amministrativo di realizzazione nonché una diversa tipologia di sanzione alla quale può essere sottoposto. Del resto “ si tratta di opere assai differenti, eseguite in tempi del tutto distinti e certamente non funzionalmente collegate ” (così, testualmente, a pag. 5 dell’atto di appello), soggette quindi a sanzioni distinte e non necessariamente a quella della demolizione, oltre alla ulteriore circostanza per cui “ l’odierna parte appellante, nelle more ” ha “ agevolmente provveduto a regolarizzare gli interventi sanzionati ”, tanto che “ (i)n relazione a queste si chiede che venga dichiarata la cessazione della materia del contendere ” (così ancora, testualmente, a pag. 5 dell’atto di appello). Nello specifico e tenendo conto della numerazione degli abusi contestati contenuta nell’ordinanza di demolizione e per come sopra elencati: A) per le opere indicate ai punti 1, 2, 3, 4 e 11 dell’ordinanza di demolizione (vale a dire i gazebi non stabilmente infissi al suolo, il pergolato, i ricoveri per animali e i ripostigli per attrezzi) è stata presentata al Comune di Torre del Greco una CILA, al fine di regolarizzarne la realizzazione, dimostrandosi così illegittima l’ordinanza nella parte in cui dispone la demolizione per interventi edilizi non soggetti a tale sanzione;B) per le opere identificate ai punti 6, 7, 8 dell’ordinanza di demolizione, tutte afferenti a tettoie o pensiline, è stata presentata una apposita SCIA in sanatoria;C) per quanto concerne la realizzazione della piscina interrata (abuso n. 5 dell’ordinanza di demolizione), essa è stata realizzata in lievissima difformità (e non già in assenza) del permesso di costruire, con la conseguenza che per detto intervento il comune avrebbe dovuto fare applicazione dell’art. 34 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (irrogando al più una sanzione amministrativa pecuniaria) e non dell’art. 31 (che, come è noto, prevede la sanzione della demolizione);D) con riferimento alle opere indicate ai punti 9 e 10 dell’ordinanza (vale a dire: la sostituzione della copertura di un corpo esistente in muratura posto a confine della proprietà con la strada comunale, Via Fiorillo e l’ampliamento del predetto manufatto di circa mq. 20), l'appellante riferisce di avere provveduto ad avviare il ripristino parziale del manufatto, confermandosi in tal modo – e ancora una volta – l’inappropriatezza della irrogata sanzione demolitoria;
II) Illegittimità della sentenza per errata interpretazione della disciplina di cui agli artt. 7 e 3 l. 241/1990. Va ribadito che l’amministrazione non ha svolto alcuna valutazione in merito al “peso” dei singoli abusi contestati, determinando una comunione di abusi e considerandola, sotto il profilo dell’illiceità, un unicum , quando invece ciascuna opera realizzata assume una propria valenza e peso edilizi e non può essere confusa con gli altri interventi oggetto di contestazione, soprattutto con riferimento al regime amministrativo applicabile e alla sanzione irrogabile in caso di perpetrato illecito. Ciò conduce a ritenere insufficientemente motivata l’ordinanza di demolizione, esito di un percorso procedimentale al quale, illegittimamente, non è stata ammessa la parte appellante.
Conclusivamente la parte appellante chiede ora la integrale riforma della sentenza di primo grado, con il conseguente completo accoglimento del ricorso in quella sede proposto e l’integrale annullamento dell’ordinanza di demolizione impugnata.
4. – Si è costituito in giudizio il Comune di Torre del Greco, contestando analiticamente le avverse prospettazioni e sostenendo l’adeguatezza nei contenuti della sentenza qui oggetto di appello e la piena correttezza del provvedimento sanzionatorio impugnato in primo grado.
Le parti hanno poi depositato memorie, anche di replica e note d’udienza, con ulteriore produzione documentale, confermando le conclusioni già rassegnate negli atti processuali precedentemente depositati nel corso del processo.
5. – Va premesso che i riferimenti sviluppati dalla parte appellante relativamente alla (asserita) intervenuta cessazione della materia del contendere con riguardo al presente contenzioso e, nello specifico, ad alcune delle opere contestate come abusive dal Comune di Torre del Greco, che discenderebbe quale effetto della presentazione di CILA SCIA in sanatoria, non possono essere presi in considerazione ai fini processuali per i seguenti due ordini di motivi:
- in primo luogo, pur essendo stata segnalata tale novità dalla parte appellante successivamente rispetto alla pubblicazione della sentenza di primo grado qui oggetto di appello e fin dall’atto introduttivo del presente giudizio di secondo grado, in nessun caso il comune appellato ha dato conferma di avere verificato la legittimità dei titoli abilitativi presentati dall’appellante ma, al contrario, ha controdedotto puntualmente con riferimento ai singoli motivi di appello, ribadendo la abusività delle opere e la legittimità dell’irrogata sanzione demolitoria;
- sotto altro versante, come è noto, per interpretazione giurisprudenziale ormai prevalente e che può dirsi consolidata, la mera presentazione di una domanda di sanatoria non pone nel nulla il provvedimento demolitorio avente ad oggetto le opere edilizie che si vorrebbero, con detta domanda, sanare, ma provoca (soltanto) il temporaneo effetto (non incidente sul terreno processuale) di rendere non eseguibile l’ordine di demolizione per la durata del procedimento di verifica sulla accoglibilità della richiesta ovvero sulla intervenuta sanatoria dell’opera abusiva;
- a conferma di quanto si è appena riferito va ricordato il recente arresto della Sezione in virtù del quale “ la presentazione di una istanza di sanatoria non comporta l'inefficacia del provvedimento sanzionatorio pregresso, non essendoci pertanto un'automatica necessità per l'amministrazione di adottare, se del caso, un nuovo provvedimento di demolizione;nel caso in cui venga presentata una domanda di accertamento di conformità in relazione alle medesime opere, l'efficacia dell'ordine di demolizione subisce un arresto, ma tale inefficacia opera in termini di mera sospensione” (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 16/03/2020 , n. 1848;Cons. Stato, Sez. VI, n. 4829/2020). In caso di abusi edilizi, l'ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (Cons. Stato, Sez. VI, n. 1552/2021) ” (cfr., da ultimo e in termini, Cons. Stato, Sez. VI, 24 gennaio 2023 n. 755).
Deriva dunque, da quanto sopra, l’assenza di prova circa la positiva definizione delle procedure di sanatoria messe in campo dalla parte appellante con riferimento ad alcune delle opere contestate come abusive, essendo perciò impedito al Collegio di dichiarare la cessazione della materia del contendere, come invece richiesto dalla parte appellante.
6. – Passando all’esame del primo motivo di appello esso, nelle sue plurime prospettazioni, non si presta ad essere accolto.
In termini generali, la valutazione dell'abuso edilizio presuppone una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate. In altri termini: non è dato scomporne una parte per negare l'assoggettabilità ad una determinata sanzione demolitoria, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva non da ciascun intervento a sé stante bensì dall'insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni. L'opera edilizia abusiva va infatti identificata con riferimento all'immobile o al complesso immobiliare, essendo irrilevante il frazionamento dei singoli interventi avulsi dalla loro incidenza sul contesto immobiliare unitariamente considerato.
Nel caso in esame, si è al cospetto di numerosi interventi abusivi privi per la maggior parte di titolo per la loro realizzazione, sicché la misura ripristinatoria impugnata riguarda un unico compendio immobiliare, oltre alla circostanza che, trattandosi di opere al “servizio” del medesimo immobile, esse sono funzionalmente collegate tra di loro realizzando quindi una complessiva compromissione del territorio amplificata dal numero degli intervento piuttosto che dal “peso specifico” attribuibile a ciascuno di essi nella violazione delle norme edilizie, sicché il quadro d’insieme restituisce una attività illecita di complessiva rilevanza che, proprio per questo, non impone all’amministrazione una diversificazione degli interventi repressivi da assumere.
Ne deriva che il complesso degli abusi realizzati, consistenti in ampliamenti volumetrici, cambi di sagoma, maggiore altezze, diversa sistemazione delle aree esterne - non è parcellizzabile e quindi stante l'unitarietà dell'abuso, l'ordine non poteva che coinvolgere tutti gli interventi edilizi, rispetto ai quali grava l’ordine di ripristino “collettivo”.
Quanto poi all'omessa applicazione della sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione (per impossibilità di esecuzione senza pregiudizio per la parte conforme), è dirimente considerare, ai fini del rigetto della censura, che solo in caso di interventi eseguiti in parziale difformità, la sanzione pecuniaria può costituire una deroga alla regola generale della demolizione negli illeciti edilizi (in tal senso, depone chiaramente la lettera dell'art. 34 d.P.R. 380/2001) e peraltro la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve essere valutata dall'amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all'ordine di demolizione (cfr., tra le molte, sul tema, Cons. Stato, Sez. VI, 3 febbraio 2021 n. 995).
7. – Miglior sorte non può riservarsi al secondo motivo di appello con il quale si contesta la carente motivazione e il mancato coinvolgimento partecipativo della proprietaria del complesso immobiliare.
La motivazione, in ragione di tutto quanto si è sopra chiarito, non manifesta carenze.
Infatti, come è noto, una volta accertata l'abusività dei manufatti, mancando un titolo edilizio necessario, il provvedimento repressivo costituisce attività vincolata, doveroso in presenza, come nella fattispecie oggetto di questo giudizio, dei presupposti di legge. La natura vincolata delle determinazioni in materia di abusi edilizi esclude la possibilità di apporti partecipativi dei soggetti interessati e, conseguentemente, anche di un obbligo di previa comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della relativa domanda. Ciò anche in applicazione dell'art. 21- octies , comma 2, primo periodo, l. 7 agosto 1990, n. 241, secondo cui il mancato preavviso di diniego non produce effetti vizianti ove l'amministrazione non avrebbe comunque potuto emanare provvedimenti diversi da quelli in concreto adottati (da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 1 febbraio 2023 n. 1129).
Riepilogando, infine, alcuni principi rilevanti in materia espressi dalla Sezione, va ribadito che (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 30 gennaio 2023 n. 1000): il provvedimento con cui viene ingiunta la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso neanche nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino;a maggior ragione quindi l'amministrazione, in sede di irrogazione della sanzione demolitoria, non deve ritenersi onerata di valutare preventivamente la possibilità che l'abuso sia sanabile, anche perché (come si è già più sopra ampiamente riferito) la sanatoria richiede la domanda dell'interessato, la quale, se proposta (come nella specie), produce l'effetto di sospendere l'efficacia dell'ordine di demolizione fino a definizione della istanza di sanatoria
Pertanto anche questa doglianza non può essere accolta
8. – Le sopra rappresentate considerazioni militano nel senso di non poter accogliere i profili di doglianza dedotti in sede di appello dalla signora A T, di talché il ricorso in appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza di primo grado.
Le spese del grado di appello seguono la soccombenza processuale, per il noto principio di cui all’art. 91 c.p.c., per come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a., di talché esse vanno imputate a carico della signora A T e in favore del Comune di Torre del Greco, potendosi liquidare complessivamente nella misura di € 3.000,00 (euro tremila/00), oltre accessori come per legge.