Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-02-06, n. 202401221

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-02-06, n. 202401221
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202401221
Data del deposito : 6 febbraio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/02/2024

N. 01221/2024REG.PROV.COLL.

N. 08612/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 8612 del 2020, proposto da
Retelit Digital Services s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato D I, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

contro

Comune di Milano, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati G L, A M, I M, R M, D S, A T, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G L in Roma, via Polibio n. 15;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), 29 gennaio 2020, n. 196, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Milano;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 luglio 2023 il consigliere A R e viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Si controverte della imputazione dei costi relativi allo spostamento di cavi della rete pubblica di comunicazioni posata a Milano e gestita dalla società Retelit Digital Services s.p.a. (già E-Via s.p.a., di seguito “società Retelit” o “la società” ), per evitare interferenze con la realizzazione della costruenda linea metropolitana M4, da parte della società concessionaria SPV Linea M4 S.p.A., inserita dal CIPE (con deliberazione n. 3 del 18.03.2005) nel programma delle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale ex lege 21 dicembre 2001, n. 443.

2. In particolare, con i provvedimenti impugnati in primo grado il Comune di Milano disponeva che la società, quale titolare di una rete di comunicazione elettronica (TLC) collocata nel sottosuolo comunale, in base alla convenzione del 14.07.2000, richiamante il regolamento comunale approvato con delibera consiliare n. 76 del 27 luglio 1998 avente a oggetto tale tipologia di concessioni, provvedesse a proprie spese allo spostamento delle reti nella nuova infrastruttura appositamente realizzata dal Comune, stante le interferenze riscontrate presso alcune stazioni della metropolitana (precisamente: stazione “San Babila”, stazione “De Amicis”, stazione “Sforza Policlinico”, stazione “Sant’Ambrogio”).

In assenza di riscontro da parte della società, l’amministrazione comunale, con ordinanze adottate ai sensi dell’art. 21- ter della l. 7 agosto 1990, n. 241, le ingiungeva il predetto spostamento, pena l’esecuzione in danno.

3. Con ricorso e motivi aggiunti proposti dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia la società impugnava dette ordinanze e le previe diffide, in uno agli atti presupposti, ovvero: il regolamento comunale per la concessione del suolo, del sottosuolo e di infrastrutture municipali per la costruzione di reti pubbliche di telecomunicazioni, approvato con delibera consiliare del 27 luglio 1998 (in particolare, l’art. 5, comma 8, nella parte in cui prevede che “le spese sostenute dagli operatori per le proprie opere in conseguenza delle modifiche restano a loro carico” ), il regolamento comunale per l’applicazione del canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche del 2000, approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 11 del 21 febbraio 2000 (in particolare, l’art. 8, comma 2, nella parte in cui prevede che “il Comune ha sempre facoltà di trasferire altrove i manufatti che occupano lo spazio pubblico e i relativi costi sono posti a carico dei concessionari o dei soggetti terzi che richiedono il trasferimento” ) e gli ulteriori atti indicati.

3.1. La ricorrente affidava il gravame a plurimi motivi di censura, lamentando, in particolare, la violazione degli artt. 170 e 171 del d.lgs. n. 163/2006 e dell’art. 27, comma 4, del d.lgs. n. 50/2016, la violazione dell’art. 93 commi 1 e 2 del d.lgs. n. 259 del 2003 (codice delle comunicazioni elettroniche) per imposizione di un “onere” non previsto dalla legge, nonché la violazione della riserva di legge contenuta nell’art. 23 della Costituzione e dell’art. 1 del protocollo addizionale CEDU.

3.2. Proponeva, in via subordinata, istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267 del TFUE.

3.3. Domandava, oltre all’annullamento degli atti impugnati, la condanna dell’Amministrazione resistente al risarcimento del danno, nella misura da determinarsi in corso di causa.

3.4. Nelle more, SPV Linea M4 S.p.A. provvedeva a risolvere le interferenze per il tramite di Sirti S.p.A.

4. L’adito Tar, con la sentenza indicata in epigrafe, assorbite le eccezioni di rito sollevate dall’amministrazione, respingeva l’impugnativa nel merito, ritenendo infondati tutti i motivi di censura avanzati nei confronti dei provvedimenti comunali gravati, e compensava le spese di giudizio.

5. La società ha appellato la sentenza e, premessa una sintetica esposizione delle questioni oggetto della controversia, ne ha domandato la riforma per i seguenti motivi: “2. Erroneità dei capi 2.1., punti 2.1.1. e 2.1.3. e 2.2. della sentenza nella parte in cui ha escluso l’applicabilità delle regole speciali previste dal codice delle comunicazioni. Violazione dell’art. 23 della costituzione e dell’art. 93, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 259 del 2003. 3. Erroneità del capo 2.1., punti 2.1.1. - 2.1.3. della sentenza nella parte in cui ha ritenuto la pretesa del Comune compatibile con la normativa in materia di telecomunicazioni. Violazione degli artt. 86 e 89 del d.lgs. 259 del 2003. 4. Erroneità e illegittimità del capo 2.3. della sentenza con la quale il TAR ha respinto il terzo motivo di ricorso (e i corrispondenti motivi aggiunti). Violazione dell’art. 1 del protocollo addizionale CEDU.

5. Erroneità del capo 2.1., punti 2.1.1.-2.1.3., della sentenza, nella parte in cui ha ritenuto che la convenzione stipulata nel 2000 tra Retelit DS e il Comune possa essere lo strumento per far risorgere regole giuridiche oggi contrarie rispetto alla normativa di diritto pubblico applicativa di fondamentali norme europee. Violazione dell’art. 171, comma 5, d.lgs. n. 163 del 2006. 6. Riproposizione in appello della richiesta di caducazione e, in via subordinata, di disapplicazione dei regolamenti comunali (formulata nel ricorso principale e nei motivi aggiunti).

7. In via subordinata e gradata, riproposizione in appello dell’istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267 del TFUE (riproposizione in appello dell’istanza di rinvio formulata nel ricorso principale e nei motivi aggiunti.”
.

5.1. Il Comune di Milano si è costituito in resistenza, concludendo per la reiezione dell’appello, di cui ha illustrato l’infondatezza.

5.2. L’appellante ha depositato una memoria di replica.

5.3. Alla pubblica udienza del 13 luglio 2023, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

6. È oggetto di appello la sentenza indicata in epigrafe con cui il Tribunale amministrativo per la Lombardia ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti proposti dalla società Retelit (già E-Via s.p.a.), ente gestore di una rete di telecomunicazioni (tlc), avverso i provvedimenti comunali che hanno intimato lo spostamento delle reti per la risoluzione delle c.d. interferenze fra l’opera strategica in fase di attuazione (il tracciato della linea 4 della metropolitana di Milano) e i sottoservizi preesistenti, ponendo le spese a carico del gestore.

6.1. Secondo la tesi del Comune, condivisa dalla sentenza impugnata, i costi della nuova infrastruttura di rete (cavidotti), alla luce della convenzione del 14 luglio 2000 e del regolamento ivi richiamato, restano a carico dell’Amministrazione, mentre la società dovrebbe farsi carico delle spese per il trasferimento delle reti (cavi), escluso l’obbligo di rimborso. Ciò anche in applicazione dell’art. 171, comma 5, ultimo periodo, del d.lgs. n. 163 del 2006, il quale fa salve questo tipo di pattuizioni e così come, inoltre, indicato anche nelle deliberazioni del CIPE aventi a oggetto la risoluzione delle interferenze per la realizzazione della Linea M4.

6.2. Secondo l’appellante, invece, tali conclusioni sono erronee per violazione dell’art. 93 del d.lgs. n. 259 del 2003, nonché dell’art. 171 del d.lgs. n. 163 del 2006: non terrebbero conto, infatti, del divieto, disposto dal citato art. 93, di porre a carico dei gestori oneri e prestazioni ulteriori rispetto a quelli espressamente previsti dalla norma stessa (ossia tassa o canone di occupazione di suolo pubblico, c.d. TOSAP o COSAP), sia in fase di installazione dell’impianto che per l’esercizio dei servizi.

Il regolamento e la convenzione non sarebbero, pertanto, compatibili con il sistema normativo vigente;
dal che l’illegittimità degli atti applicativi impugnati in prime cure.

6.2.1. Inoltre, nell’addossare alla società gli oneri finanziari dello spostamento, il Comune avrebbe imposto a carico del soggetto privato una prestazione patrimoniale in assenza di fonte legislativa, in violazione dell’art. 23 della Costituzione, a mente del quale “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge” .

6.2.2. In definitiva, per l’appellante, alla luce di dette norme, le amministrazioni non possono richiedere agli operatori di TLC oneri diversi da quelli tipizzati, ancorché previsti in fonti normative antecedenti (in parte abrogate), successive ma generali (non applicabili in base al principio di specialità), regolamentari e amministrative.

7. L’appello di Retelit, nel riproporre sostanzialmente le doglianze articolate in primo grado (compresa la prospettata questione di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, disattesa dal T.a.r.), sostiene quindi, con un primo ordine di censure, la “non conformità delle prescrizioni del regolamento e della convenzione (e degli atti che ne hanno dato esecuzione) al d.lgs. n. 259 del 2003” e, con un secondo ordine di doglianze, deduce “l’inidoneità della convenzione a esplicare l’efficacia derogatoria prevista dagli artt. 171 del d.lgs. n. 163 del 2006 .

7.1. Più precisamente, con i primi due motivi di gravame proposti l’appellante lamenta che il giudice di prime cure avrebbe erroneamente negato sia l’applicabilità alla fattispecie delle regole speciali del codice delle comunicazioni di cui al d.lgs. n. 259 del 2003 (violando così le disposizioni dell’art. 93 commi 1 e 2 del d. lgs n. 259 del 2003, nonché l’art. 23 della Costituzione) sia che l’imputazione delle spese al gestore per lo spostamento della rete costituisca un onere finanziario ulteriore vietato dall’art. 93 del detto codice.

7.1.1. Infatti, secondo l’appellante, ai sensi della sopravvenuta disciplina legislativa del 2003, che ha attribuito alle reti di tlc la qualifica di infrastrutture di pubblica utilità (superando così la logica marcatamente privatistica sottesa alle disposizioni regolamentari e pattizie), gli operatori e i gestori di reti di telecomunicazioni possono essere sottoposti solo al pagamento della tassa di occupazione per gli spazi pubblici (TOSAP o COSAP), con espressa esclusione di imposizione di qualsiasi “altra indennità” o altro “onere finanziario, reale o contributo” (cfr. art. 93, comma 2, d.lgs. n. 259/2003), tra cui dovrebbero annoverarsi anche i costi per lo spostamento degli impianti e la risoluzione delle interferenze, così come disciplinati dal Regolamento comunale, a sua volta richiamato dall’art. 22 della Convenzione sottoscritta tra le parti nel 2000.

Tali costi graverebbero, pertanto, sul soggetto aggiudicatore.

7.1.2. Soggiunge, inoltre, l’appellante:

- che, per via della sua specialità, il codice delle comunicazioni elettroniche prevale sulle altre fonti legislative, sicché andrebbe sempre esclusa l’applicazione alle reti di comunicazione elettronica di oneri aggiuntivi rispetto a quelli di cui all’art. 93;

- secondo l’orientamento della Corte costituzionale l’art. 93 del codice delle comunicazioni elettroniche (con cui lo Stato italiano ha recepito le direttive quadro sulle comunicazioni elettroniche) costituisce “espressione di un diritto fondamentale in quanto persegue la finalità di garantire a tutti gli operatori un trattamento uniforme e non discriminatorio, attraverso la previsione del divieto di porre a carico degli stessi oneri o canoni” ;

- che anche la Corte di Cassazione in numerose pronunce ha dichiarato, in via incidentale, l’illegittimità di atti amministrativi con cui era stato previsto il pagamento di canoni od oneri nei confronti dei gestori delle reti di comunicazioni elettroniche e affermato, in via principale, la non debenza delle somme in tal senso pretese dalle Amministrazioni pubbliche titolari del potere impositivo, affermando che la non assoggettabilità degli operatori al pagamento di oneri o canoni diversi da quelli previsti dal codice delle comunicazioni elettroniche o da legge ad essa successiva garantisce agli operatori medesimi “l’accesso al mercato con criteri di trasparenza e non discriminazione e agli utenti la fornitura del servizio universale” (Cass. Civ., sez. I, 14 agosto 2014 n. 18004);

7.2. Il secondo motivo si dirige avverso le statuizioni della sentenza le quali hanno ritenuto che la pretesa del Comune sia coerente con il quadro normativo vigente in materia di telecomunicazioni, anche sulla base del richiamo a quanto stabilito dagli artt. 86 e 89 del codice delle comunicazioni, norme che però, ad avviso dell’appellante, regolando la diversa questione del riparto dei costi di coubicazione e condivisione in sede di installazione degli impianti, non si attaglierebbero alla presente fattispecie.

7.3. Col terzo motivo di doglianza si sostiene, invece, che la sentenza avrebbe erroneamente ritenuto inesistente la violazione dell’art. 1 del protocollo n.1 CEDU ( Protezione della proprietà ) a opera degli atti impugnati muovendo dall’erroneo presupposto che lo spostamento delle reti (il cui onere finanziario è stato addossato al gestore) determinerà l’ammodernamento e, dunque, il corrispondente aumento di valore dell’impianto, a beneficio della società ricorrente.

7.4. Con il quarto e il quinto motivo la società Retelit censura la sentenza impugnata, nella parte in cui non ha applicato alla fattispecie la regola generale degli artt. 170 e 171 del d.lgs. n. 163/2006 (applicabile ratione temporis ), che addossa l’onere economico delle interferenze a carico del soggetto che realizza l’opera pubblica, bensì la norma derogatoria di cui all’art. 171 comma 5 del d.lgs. n. 163/2006 che “fa salve le diverse previsioni di convenzioni tra soggetto aggiudicatore ed ente gestore” .

7.4.1. Ad avviso dell’appellante, la disciplina derogatoria dettata dalla convenzione del 2000 e dalle disposizioni del regolamento comunale ivi richiamato sarebbe divenuta inefficace a partire dal 16 settembre 2003, per effetto dell’entrata in vigore del codice delle comunicazioni elettroniche, che avrebbe escluso di imporre agli operatori e ai gestori di reti di telecomunicazioni oneri diversi dal pagamento della tassa di occupazione per gli spazi pubblici (tosap/cosap).

Il contenuto della regola convenzionale andrebbe valutato alla luce della normativa sopravvenuta per la quale nessun onere ulteriore può essere richiesto al gestore: sicché il Tribunale, nel porre il presupposto dell’applicazione della regola eccezionale, non si è avveduto che l’obbligo della società di sostenere i costi di spostamento della rete, derivante dalla concessione e dal regolamento ivi richiamato, era stato abrogato dall’art. 93 del codice delle comunicazioni elettroniche.

Pertanto, la norma derogatoria pattizia sarebbe divenuta inefficace e, in ogni caso, andrebbe disapplicata, perché in contrasto con le disposizioni sopravvenute del codice delle comunicazioni e del codice dei contratti pubblici.

7.5. Col quinto motivo si ripropongono le istanze non accolte in primo grado di caducazione e, in subordine, di disapplicazione dei regolamenti comunali in parte qua , precisamente delle disposizioni regolamentari di cui agli articoli 5.7 e 5.8 del regolamento del 1998 e dell’art. 8, comma 2, del regolamento del 2000 per contrasto con la normativa sopravvenuta.

7.6. Con il sesto motivo di appello, formulato in via subordinata, l’odierna appellante ripropone l’istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE ex art. 267, comma 3, TFUE, sostenendo che la sentenza di primo grado, laddove confermata, determinerebbe un contrasto tra la normativa nazionale e il diritto europeo, con specifico riferimento all’interpretazione e all’applicazione delle direttive europee sulle comunicazioni elettroniche.

8. I motivi di appello sono infondati.

9. Va preliminarmente rilevato che:

- nel territorio del Comune di Milano è stata prevista la realizzazione della linea n. 4 della metropolitana, la quale costituisce una infrastruttura strategica ai sensi della l. 443/2001;

- la società concessionaria per la progettazione, costruzione e gestione dell’opera è la SPV Linea M4 s.p.a., partecipata dal Comune di Milano e da altri soci privati scelti mediante procedura concorsuale;

- i lavori di costruzione hanno comportato la necessità di spostare reti e cavi collocati a vario titolo nel sottosuolo cittadino, costituenti le c.d. interferenze, secondo quanto statuito dagli articoli 170 e 171 di cui al previgente d.lgs. n. 163/2006, applicabile alla fattispecie ratione temporis ;

- la società appellante, titolare di una rete di telecomunicazioni, ha stipulato con il Comune di Milano, in data 14.07.2020, una convenzione per la concessione del suolo, del sottosuolo e delle infrastrutture municipali per la costruzione di reti pubbliche di telecomunicazioni che rimanda al più volte citato regolamento comunale del 1998.

9.1. Tanto chiarito, la questione fondamentale posta dalla controversia è l’individuazione del soggetto cui imputare i costi relativi allo spostamento delle reti della società a causa dei predetti lavori, vale a dire i costi per la risoluzione delle interferenze, da sostenersi per consentire la realizzazione dell’opera pubblica, secondo il disposto dell’art. 170, comma 1, sopra citato, i quali, per l’appellante, in forza del sopra descritto sistema normativo speciale e per le altre ragioni sopraindicate, non potrebbero essere posti a carico dell’operatore di TLC, tesi che, pur nella sua suggestività – e con l’avvertenza che tutti i riferimenti alle norme del codice delle comunicazioni sono effettuati ratione temporis , cioè senza tenere conto delle modifiche apportate alla loro numerazione e formulazione con la riforma del 2021 – non può essere condivisa.

9.2. In materia la Sezione si è già pronunciata in tal senso, riconoscendo la legittimità dell’operato comunale (Cons. Stato, sez. V, 22 agosto 2023 n. 7910;
Cons. Stato, sez. V, 22 agosto 2023 n. 7908), sulla base delle argomentazioni che il Collegio condivide e che di seguito si espongono.

10. Possono essere esaminati congiuntamente, stante la loro connessione, i primi due motivi di appello.

10.1. In primo luogo, non possono essere accolte le doglianze con cui si denuncia la violazione dell’art. 93 del d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259 (codice delle comunicazioni elettroniche), così come confermato dalla norma di interpretazione autentica di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 33 del 2016.

10.2. L’art. 93 citato prevede, in particolare, al comma 1 che: “Le Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre per l'impianto di reti o per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge” . Al comma 2 prevede, inoltre, che: “Gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica hanno l'obbligo di tenere indenne la Pubblica Amministrazione, l'Ente locale, ovvero l'Ente proprietario o gestore, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d'arte le aree medesime nei tempi stabiliti dall'Ente locale. Nessun altro onere finanziario, reale o contributo può essere imposto, in conseguenza dell'esecuzione delle opere di cui al Codice o per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, fatta salva l'applicazione della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al capo II del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, oppure del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui all'articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, calcolato secondo quanto previsto dal comma 2, lettere e) ed f), del medesimo articolo, ovvero dell'eventuale contributo una tantum per spese di costruzione delle gallerie di cui all'articolo 47, comma 4, del predetto decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507” .

La norma di interpretazione autentica ratione temporis applicabile (art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 33 del 2016) prevede, invece, che: “L'articolo 93, comma 2, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica possono essere soggetti soltanto alle prestazioni e alle tasse o canoni espressamente previsti dal comma 2 della medesima disposizione” .

10.3. L’art. 93 del codice delle comunicazioni elettroniche prevede che gli enti gestori di reti di comunicazione elettronica sono tenuti a corrispondere solo la Cosap/Tosap, con esclusione di ogni altra tassa, prestazione o canone.

L’esclusione riguarda dunque, testualmente, le “prestazioni coattive” di natura pubblicistica;
nel caso di specie, invece, si controverte su “spese” di trasferimento degli impianti di rete, ossia su costi di esercizio di carattere squisitamente privatistico.

10.4. In altre parole, il ridetto art. 93 si riferisce agli “oneri impositivi” ;
gli atti impugnati riguardano, invece, i “costi vivi” afferenti allo spostamento, necessitato da ragioni di interesse pubblico, degli impianti e delle installazioni delle imprese di telecomunicazioni.

La distinzione è coerente con l’art. 171 comma 1 del d.lgs. n. 163/2006 (applicabile ratione temporis ), a norma del quale gli enti gestori di strutture costituenti interferenze con l’opera pubblica devono cooperare con il soggetto aggiudicatore per consentire la realizzazione dell’opera stessa, pena la loro responsabilità patrimoniale in caso di ritardi.

La conclusione non è smentita dal parere n. 131 del 30 gennaio 2023 della Sezione I di questo Consiglio di Stato, atteso che in quella fattispecie si affrontava il tema degli “extracosti amministrativi” (anche questi oneri impositivi di origine pubblicistica) consistenti a vario titolo in depositi cauzionali e contributi di scavo, laddove nel caso di specie viene in rilievo un obbligo di spostamento derivante da un dovere di cooperazione legalmente previsto (art. 171, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006), da cui scaturiscono spese di gestione (dunque costi di esercizio di origine strettamente privatistica) la cui ripartizione è disciplinata, per le ragioni che di seguito si esporranno, dall’art. 171 comma 5 del d.lgs. n. 163/2006, a tenore del quale “ Le attività di collaborazione dell’ente gestore sono compiute a spese del soggetto aggiudicatore”, mentre “ Sono fatte salve le diverse previsioni di convenzioni vigenti tra soggetto aggiudicatore ed ente gestore”.

10.5. Non si tratta quindi di oneri finanziari imposti né tanto meno “richiesti” dalla pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 33 del 2016 (anche nella versione attualmente vigente), ossia di oneri aggiuntivi per “ l’esecuzione delle opere di cui al Codice delle comunicazioni o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica” , che comportano “occupazioni si suolo pubblico” , quanto piuttosto di spese che derivano dal predetto dovere di cooperazione, declinato nel dovere di spostamento delle reti previsto in presenza di opere di interesse nazionale.

E, come condivisibilmente affermato dal giudice di primo grado, tali spese vive, il cui esborso è correlato alla necessità di “spostamento” delle reti per la risoluzione delle c.d. interferenze con la realizzanda opera pubblica, non sono normate dall’art. 93 del codice delle comunicazioni elettroniche.

Di conseguenza, non si tratta neanche di distinguere tra oneri ordinari e oneri straordinari quanto piuttosto tra oneri amministrativi di installazione delle reti (di matrice pubblicistica) e spese legate allo spostamento dei cavi (di matrice privatistica), in cui questi ultimi non sono richiesti o tantomeno imposti ai sensi dell’art. 93, costituendo costi correlati al trasferimento di impianti (rete) in connessione a un dovere di collaborazione.

10.6. Nel descritto contesto, trova applicazione non la norma speciale di cui al citato art. 93 del codice delle comunicazioni elettroniche, bensì la disposizione superspeciale di cui all’art. 171 comma 5 del d.lgs. n. 163/2006, che regola proprio il tema delle interferenze con le grandi opere. La Metro di Milano, come detto, è infatti così classificata.

Tale disposizione non risulta intaccata neppure dagli interventi interpretativi del suddetto art. 93 a opera del d.lgs. n. 33/2016, il quale esclude, all’art. 12, ratione temporis applicabile, “ ogni altro tipo di onere finanziario” , senza tuttavia mai citare la questione specifica delle “interferenze” : da qui la capacità dell’art. 171 a resistere anche rispetto a tali successivi interventi interpretativi.

La portata più ampia e omnicomprensiva della disciplina normativa sopravvenuta di cui al codice delle comunicazioni propugnata dall’appellante si scontra con la evidente peculiarità dell’oggetto trattato all’interno della disposizione di cui all’art. 171 del d.lgs. n. 163/2006, il cui “nocciolo duro”, ovvero la modalità di gestione e risoluzione delle interferenze, non è stato intaccato dagli interventi normativi invocati dalla società, i quali non hanno mai espressamente e inequivocabilmente riguardato il tema delle interferenze degli impianti.

In questi termini, il principio secondo cui lex posterior generalis non derogat priori speciali opera sì ma nel senso che nel caso di specie – e per il contenuto sostanzialmente rinvenibile nei rispettivi atti normativi – il carattere di maggiore specialità è senz’altro da annettersi all’art. 171 comma 5 del d.lgs. n. 163/2006 e non all’art. 93 del codice delle comunicazioni elettroniche.

10.7. La conclusione trova conferma nell’art. 86 comma 2 del codice delle comunicazioni (articolo rubricato “Infrastrutture di comunicazione elettronica e diritti di passaggio” ), a norma del quale: “Sono, in ogni caso, fatti salvi gli accordi stipulati tra gli Enti locali e gli operatori, per quanto attiene alla localizzazione, coubicazione e condivisione delle infrastrutture di comunicazione elettronica” : disposizione, questa, che bene si salda con quanto previsto per fattispecie dello stesso genere dagli artt. 170 e 171 del d.lgs. n. 163/2006.

Inoltre, ulteriore conferma testuale e sistematica a quanto sinora sostenuto è agevolmente rinvenibile dal successivo art. 89 ( “Coubicazione e condivisione di infrastrutture” ), che (recependo sul punto l’art. 12 della Direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 marzo 2022) in tema di condivisione e coordinamento di infrastrutture ammette la legittimità di «regole sulla ripartizione dei costi della condivisione delle strutture o delle proprietà» .

Anche le norme di legge da ultimo citate confermano, pertanto, che la pretesa del Comune appare coerente con il vigente sistema normativo sulle comunicazioni elettroniche.

Non possono, invece, condividersi i rilievi dell’appellante (articolati col secondo motivo di appello) secondo cui le norme appena richiamate non sarebbero pertinenti rispetto alla fattispecie in esame, concernente la risoluzione delle interferenze con la realizzanda opera pubblica: infatti, l’art. 86 fa testuale riferimento anche alla “localizzazione” , non potendo perciò ritenersi che gli accordi tra enti locali e operatori richiamati dalle predette norme debbano circoscriversi soltanto alla coubicazione e alla condivisione delle infrastrutture “in sede di installazione” , come sostenuto nel ricorso in appello.

10.8. Stabilito come sopra che il regime applicabile alla controversia è quello, specifico, sulle “interferenze” di cui al citato art. 171 comma 5 del d.lgs. n. 163/2006, va allora considerato che la disposizione prevede che le spese che scaturiscono dallo spostamento causato dall’interferenza siano poste: in linea generale, a carico del soggetto che realizza la grande opera;
in via eccezionale, ossia nell’ipotesi in cui siano intercorsi diversi patti tra le parti, a carico del gestore.

E infatti, e come già ricordato, il citato comma 5 stabilisce al primo periodo che “Le attività di collaborazione dell’ente gestore sono compiute a spese del soggetto aggiudicatore” e all’ultimo periodo che “Sono fatte salve le diverse previsioni di convenzioni vigenti tra soggetto aggiudicatore ed ente gestore” .

10.9. Ipotesi quest’ultima che, nel caso di specie, si ravvisa dal momento che la convenzione di concessione stipulata il 14 luglio 2000 tra il Comune di Milano e la società appellante (E-Via s.p.a., ora Retelit) fa espressamente riferimento, per gli aspetti non disciplinati, tra cui anche il tema degli eventuali trasferimenti di impianto, al regolamento del Comune di Milano il quale stabilisce che tali spese siano sempre poste a carico del gestore, mentre le spese per la realizzazione della infrastruttura che ospita la rete sono a carico del Comune.

In particolare, la ridetta convenzione, all’art. 22 ( “Disposizione finale” ), prevede che i rapporti fra il Comune e l’operatore siano disciplinati “sulla base della normativa vigente ed in particolare del Regolamento che costituisce parte integrante del presente contratto ed al quale le parti fanno espresso rinvio per tutti gli aspetti non specificamente previsti o disciplinati” .

Il regolamento cui si fa rinvio è quello comunale “per la concessione del suolo, del sottosuolo e di infrastrutture municipali per la costruzione di reti pubbliche di telecomunicazioni” , approvato con deliberazione del consiglio comunale n. 76 del 27 luglio 1998, che, all’art. 5.7, pone a carico del Comune gli oneri per le modifiche delle infrastrutture municipali, mentre, al successivo art. 5.8, stabilisce che le spese degli operatori «per le proprie opere in conseguenza delle modifiche restano a loro carico» .

11. La convenzione rinvia, pertanto, quanto al proprio contenuto, al regolamento succitato e tale rinvio, come correttamente ritenuto dal primo giudice, deve reputarsi recettizio e di carattere sostanziale, nel senso che le norme regolamentari divengono parte integrante della pattuizione negoziale, come tale vincolante per le parti ai sensi dell’art. 1372, comma 1, del codice civile ( «Il contratto ha forza di legge tra le parti» ).

Dunque tale disposizione regolamentare, a termini della convenzione, ha assunto una dimensione pattizia tale da rientrare nella previsione derogatoria di cui al citato art. 171 comma 5: la convenzione di concessione in parola, nello stabilire i diritti e obblighi reciproci delle parti, anche dal punto di vista patrimoniale, modulata sul noto schema delle “concessioni-contratto” , manifesta infatti la “bilateralità” tipica dei contratti, e del resto proprio il citato art. 22 dispone che il regolamento comunale costituisce parte integrante del “contratto” . Non può dunque escludersi la sua sottoponibilità al regime normativo di cui all’art. 171 comma 5. Pertanto, gli oneri per gli spostamenti delle reti di sotto-servizi, necessari per eliminare le interferenze con l’opera pubblica, non sono a carico del soggetto aggiudicatore se tra le parti è stata convenzionalmente pattuita una regolamentazione diversa.

12. In questa direzione, non può dunque essere condivisa la tesi di parte appellante secondo cui il citato art. 22 della Convenzione in data 14 luglio 2000 e le previsioni regolamentari cui esso rimanda sarebbero state abrogate dall’art. 93 del codice delle comunicazioni (nella parte in cui si prevede il divieto di imporre nuovi e diversi oneri finanziari), e ciò proprio perché il contenuto di tale regola convenzionale, che fa propria una disposizione regolamentare comunale, è fatto salvo dall’art. 171 comma 5 del d.lgs. n. 163/2006.

13. Inoltre, nel quadro normativo sopra delineato, neanche può essere accolta la censura di violazione dell’art. 23 Cost. e del principio di riserva di legge per le prestazioni patrimoniali “imposte” ai privati, tenuto conto della copertura normativa dettata dalla speciale disciplina di cui all’art. 171, comma 5, del d.lgs. n. 163/2006, nella parte in cui fa salvi i pregressi diversi accordi tra le parti, e delle disposizioni del regolamento comunale, così come espressamente recepite dalla convenzione vigente tra soggetto aggiudicatore ed ente gestore.

13.1. Ed infatti:

- se è vero che l’art. 171 comma 5 non prevede alcuna prestazione coattiva, tuttavia quella di cui trattasi ha come visto una fonte pattizia che la norma espressamente contempla, riservando uno spazio all’autonomia privata, che nella fattispecie è stato esercitato, mediante il rimando alle norme regolamentari, con la previsione che le spese da sostenersi dagli operatori TLC per l’attività di spostamento in conseguenza di eventuali modifiche dell’infrastruttura restino a loro carico;

- per le ragioni dianzi indicate, non è sostenibile né che la convenzione di concessione intercorsa tra il Comune di Milano e la società non abbia natura pattizia, né, conseguentemente, che il regolamento comunale cui esso rinvia imponga una prestazione coattiva priva di copertura legale, stante, appunto, la sua natura pattizia.

14. Per quanto sopra, corretto è anche il richiamo operato dal Tar, a supporto delle proprie argomentazioni, alle delibere del CIPE che per la realizzazione dell’opera pubblica di cui si tratta contemplano la possibilità di regolare convenzionalmente, mediante specifici accordi fra ente gestore e aggiudicatore, il regime degli oneri derivanti dalla risoluzione delle interferenze con gli impianti dei concessionari o gestori di tlc, con riferimento alle modalità, alle tempistiche e ai costi dei lavori da eseguire (in particolare, si vedano la prescrizione n. 57 della deliberazione n. 99 del 6 novembre 2009, nonché le analoghe prescrizioni n. 114 della delibera n. 66 del 9 settembre 2013 e n. 13 della delibera CIPE n. 10 del 3 marzo 2017).

Tali delibere fanno poi espressamente salvo il caso di convenzioni già in essere tra soggetto aggiudicatore ed enti interferiti, ipotesi nella quale “essendo applicabili le convenzioni già vigenti tra le parti, ai sensi dell’art. 171, comma 5, ultimo periodo, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, dovranno essere oggetto di regolazione esclusivamente i profili eventualmente non disciplinati dalle stesse” (cfr. delibera CIPE n. 10/2017).

In conclusione, anche i provvedimenti del CIPE finalizzati al finanziamento e alla realizzazione dell’opera ammettono, pertanto, al pari del citato art. 171, comma 5, che la disciplina delle interferenze possa essere rimessa all’autonomia delle parti.

15. Deve pertanto concludersi, in uno con la sentenza impugnata, che legittimamente il Comune di Milano, al fine di eliminare le interferenze con la progettata Linea Metropolitana M4 e tenuto conto della disciplina convenzionale convenuta tra le parti e del suo rimando a quella regolamentare, si è addossato le spese della realizzazione ex novo delle infrastrutture municipali, e ha invece addebitato alla società i costi residui relativi al nuovo alloggiamento dei suoi cavi.

16. È parimenti infondato e va respinto il terzo motivo con cui l’appellante contesta la sentenza per aver ritenuto che nella specie non si configuri alcuna violazione dell’art. 1 del protocollo addizionale n. 1 CEDU.

16.1. Invero, non si ravvisa alcun contrasto o incoerenza tra le statuizioni impugnate e l’interpretazione prospettata dall’appellante secondo cui il concetto di “beni” (ai sensi del richiamato art. 1, del protocollo addizionale n. 1 alla CEDU) avrebbe un ampio significato, comprensivo “ tanto [de]i ‘beni attuali’ quanto [de]i valori patrimoniali” (cfr. ricorso appello pag. 20).

16.2. In questa direzione, come condivisibilmente ritenuto dal primo giudice, deve osservarsi che il criterio di ripartizione delle spese per lavori convenuto tra le parti non comporta alcuna privazione della proprietà o del valore dei beni ai danni dell’odierna appellante: infatti, se, per un verso, occorre considerare che dei lavori di ricostruzione e di ammodernamento delle infrastrutture a carico dell’Amministrazione beneficeranno innegabilmente anche le opere private, vale a dire le reti che in quelle infrastrutture saranno collocate a seguito dello spostamento e che rimarranno, comunque, di proprietà del gestore, per altro verso non può trascurarsi che anche la richiamata norma della CEDU, al comma 1, consente la privazione della proprietà “per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale” , mentre, al comma 2, fa salvo il “diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale” , ipotesi quest’ultima nella quale certamente rientra la costruzione di un’opera pubblica di interesse nazionale (quale è la linea 4 della metropolitana di Milano).

17. Parimenti, per le ragioni anzidette con riguardo ai primi due mezzi di impugnazione, non possono essere accolte le doglianze articolate con il quarto e il quinto motivo di gravame, esaminabili congiuntamente.

17.1. Acclarato, come detto, che la sentenza appellata ha correttamente ritenuto che la fattispecie in esame trova la sua compiuta regolamentazione negli artt. 170 e 171 del d.lgs. n. 163/2006, che disciplinano la ripartizione delle spese per la risoluzione delle interferenze, e, specificamente, nella disposizione di cui all’art. 171, comma 5, citato, norma super speciale e prevalente rispetto alla regola generale sancita dall'art. 171 la quale fa «… salve le diverse previsioni di convenzioni vigenti tra soggetto aggiudicatore ed ente gestore» , non può configurarsi la sopravvenuta inefficacia della convenzione né l’abrogazione del regolamento per contrasto con la normativa sopravvenuta di cui all’art. 93 del codice delle comunicazioni elettroniche.

17.2. Sono pertanto corrette e vanno confermate le argomentazioni della sentenza secondo cui:

- trovano applicazione diretta, nella presente fattispecie, i citati articoli 170 e 171 del d.lgs. n. 163/2006 sulle interferenze nella realizzazione delle opere strategiche, articoli che ammettono la perdurante applicazione delle convenzioni esistenti, come quella di cui è causa;

- le norme del codice delle comunicazioni citate dalla ricorrente, al pari del resto della giurisprudenza alle stesse relativa, non trovano applicazione, non solo alla luce della convenzione esistente e delle speciali norme del d.lgs. n. 163/2006 sulle interferenze (queste ultime, fra l’altro, temporalmente successive a quelle del 2003 del codice delle comunicazioni), ma considerando altresì che l’art. 93, comma 2, del codice delle comunicazioni vieta l’imposizione di ulteriori oneri finanziari e indennità aggiuntive agli operatori di tlc o per l’esecuzione delle opere di cui al codice delle comunicazioni o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, facendo riferimento a situazioni di occupazione di suolo pubblico, che il legislatore statale consente di assoggettare soltanto a tosap oppure a cosap, a garanzia dello sviluppo della rete di tlc e per evitare discriminazioni fra operatori, che potrebbero minare la concorrenza nel settore (cfr. Corte costituzionale n. 47/2015);

- nel caso di specie si configurano, invece, degli spostamenti di reti private (installate nelle infrastrutture comunali) per la realizzazione di un’opera pubblica – in relazione alla quale le reti danno luogo ad interferenza – sicché non viene in rilievo l’introduzione di un ulteriore onere finanziario per l’occupazione del suolo pubblico, illegittimo per contrasto con l’art. 93 del codice delle comunicazioni elettroniche.

18. Va, infine, disatteso anche l’ultimo motivo di appello.

18.1. Come già statuito da Cons. Stato, sez. V, n. 7910/2023 cit., stante l’accertata natura pattizia dell’obbligo della società di sopportare i costi derivanti dalla necessità di spostare le reti a causa dell’interferenza delle stesse con l’opera pubblica, il Collegio non ravvisa i presupposti per la rimessione alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art 267 TFUE, del quesito proposto in via subordinata finalizzato a chiarire se le richiamate previsioni del diritto eurounitario – nella specie, gli articoli 11 e 12 della direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 marzo 2002 (che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica), il principio di libera installazione delle reti, ivi sancito, i principi di certezza e di affidamento, più volte declinati dalla giurisprudenza comunitaria (CGUE n. 201 del 10 settembre 2009), nonché i principi di trasparenza e di certezza degli oneri posti a carico dei gestori di reti pubbliche di comunicazione, sanciti dagli articoli 6, 11 della menzionata direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 marzo 2002 – consentano a un’autorità amministrativa di uno Stato membro di imporre al gestore di una rete pubblica di comunicazioni elettroniche l’assunzione a proprio carico dell’onere economico per lo spostamento di tale rete, nel caso in cui su tale installazione interferisca la successiva realizzazione di un’altra opera di pubblica utilità.

18.2. Infatti, il giudice di prime cure ha correttamente affermato che la società non ha chiarito le ragioni per cui gli atti impugnati che hanno applicato la disciplina pattizia della risoluzione delle interferenze si ponga in contrasto con le richiamate direttive europee in materia di comunicazioni elettroniche.

18.3. Inoltre, come dedotto dalla difesa dell’amministrazione, la normativa regolamentare avente a oggetto tale tipologia di concessioni per la costruzione e l’installazione di reti pubbliche di telecomunicazioni si applica a tutti i gestori del servizio sul territorio comunale ed è stata recepita, senza alcuna discriminazione o disparità di trattamento, in tutte le convenzioni pattizie sottoscritte tra il Comune e gli operatori di telecomunicazioni.

Non si ravvisa, dunque, alcun contrasto con le direttive europee richiamate da parte appellante, così come recepite dal codice delle comunicazioni elettroniche.

18.4. Come chiarito dalla Corte costituzionale, la normativa europea e nazionale persegue la finalità di garantire a tutti gli operatori un trattamento uniforme e non discriminatorio, attraverso la previsione del divieto di porre oneri o canoni a carico degli stessi. Per queste ragioni la finalità della norma è anche quella di “tutela della concorrenza” , di garanzia di parità di trattamento e di misure volte a non ostacolare l'ingresso di nuovi soggetti nel settore (così Corte cost. 26 marzo 2015 n. 47).

18.5. L’odierna fattispecie, come detto, non ha, tuttavia, per oggetto l’imposizione di oneri finanziari, reali o contributivi aggiuntivi, non previsti dalla legge, in conseguenza dell’esecuzione delle ordinarie opere di installazione delle reti o di gestione dei servizi di tlc, bensì la diversa ipotesi dello spostamento delle reti di proprietà del gestore interferenti con la realizzazione di un’opera pubblica nelle infrastrutture comunali appositamente ricostruite a cura e spese dell’amministrazione.

18.6. Tale intervento, nel caso di specie, è disciplinato dalla convenzione sottoscritta tra le parti e, per gli aspetti ivi non disciplinati (tra cui il tema delle interferenze), dal relativo regolamento, accettato come elemento integrativo del rapporto contrattuale.

Pertanto, non sussiste la denunciata violazione dei principi della concorrenza e della parità di trattamento sanciti dalle norme comunitarie.

18.7. Del resto, giova ribadire che lo stesso codice delle telecomunicazioni, all’art. 86 (rubricato Infrastrutture di comunicazione elettronica e diritti di passaggio ), dopo aver imposto alle Autorità competenti speditezza, trasparenza e parità di trattamento nelle procedure di rilascio delle concessioni per l’installazione di infrastrutture, fa salvi, in ogni caso, «gli accordi stipulati tra gli Enti locali e gli operatori, per quanto attiene alla localizzazione, coubicazione e condivisione delle infrastrutture di comunicazione elettronica» .

Analogamente, l’art. 89, comma 2, del codice delle telecomunicazioni - che recepisce sul punto l’art. 12 della direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 marzo 2002 - afferma che: «Tali disposizioni su condivisione o coordinamento possono comprendere regole sulla ripartizione dei costi della condivisione delle strutture o delle proprietà» .

18.8. Dal complessivo quadro normativo sopra delineato emerge chiaramente che le disposizioni regolamentari e convenzionali che disciplinano il rapporto tra il Comune e la società sono coerenti con i principi e le disposizioni normative, comunitarie e nazionali, che regolano la specifica materia, in virtù delle quali le parti possono convenzionalmente disciplinare ai sensi dell’art. 1372 c.c. l’imputazione delle spese in capo all’ente gestore e al soggetto aggiudicatore, determinando i reciproci obblighi e le rispettive prestazioni.

18.9. Pertanto, per tutto quanto sinora detto, lo schema adottato, sulla base della disciplina regolamentare e convenzionale convenuta tra le parti, secondo il quale il Comune di Milano, al fine di eliminare ogni interferenza con la progettata linea 4 della metropolitana, ha provveduto a proprie spese a realizzare ex novo le infrastrutture municipali, mentre sulla società è gravato il residuale compito di alloggiarvi i propri cavi a proprie spese non si pone in contrasto né con le disposizioni del codice delle comunicazioni elettroniche, né con le norme eurounitarie, volte a garantire a tutti gli operatori un trattamento uniforme e non discriminatorio, a tutela della concorrenza e a garanzia di imparzialità, al fine di non ostacolare l’ingresso di nuovi soggetti nel settore.

19. In ragione delle suesposte considerazioni, l’appello va, pertanto, respinto, con conseguente conferma della sentenza di primo grado.

20. Le spese del giudizio, nondimeno, possono essere interamente compensate tra le parti, attesa la peculiarità e la novità delle questioni trattate.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi