Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-03-06, n. 202302307

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-03-06, n. 202302307
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202302307
Data del deposito : 6 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/03/2023

N. 02307/2023REG.PROV.COLL.

N. 07141/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7141 del 2021, proposto da
D G, A C, G C, rappresentati e difesi dall'avvocato A F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Stalettì, non costituito in giudizio;
Ministero delle Infrastrutture e delle Mobilità Sostenibili, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Seconda) n. 00852/2021, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero delle Infrastrutture e delle Mobilità Sostenibili;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 febbraio 2023 il Cons. M M;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza appellata è stato respinto il ricorso proposto per l’annullamento dell’ordinanza di ingiunzione di sgombero di area demaniale n. 109 dell’8 febbraio 2019, notificata in data 14 ottobre 2019, con la quale il Comune di Stalettì ha ingiunto agli odierni ricorrenti di rilasciare l’appezzamento di terreno sito in località Panaja Caminia del Comune di Stalettì, a valle del tracciato ferroviario della linea Taranto-Reggio Calabria, ricadente al foglio 14, particella 581.

La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze in punto di fatto.

I ricorrenti hanno impugnato, chiedendone la sospensione in via cautelare, l’ordinanza di sgombero n. 109 dell’8 febbraio 2019, adottata dal Comune di Stalettì, con la quale - sulla base della nota della Guardia Costiera di Soverato, di accertamento dell’occupazione abusiva di suolo demaniale marittimo mediante il mantenimento di un manufatto - è loro stato ingiunto «di rilasciare l’appezzamento di terreno sito in località Panaja Caminia del Comune di Stalettì, a valle del tracciato ferroviario della linea Taranto-Reggio Calabria, ricadente al foglio di mappa 14 p.lla 581, …». L’ordinanza precisa altresì che «le opere risultano realizzate in assenza dei necessari titoli autorizzativi su area individuata secondo il P.R.G. vigente come Zona di riqualificazione del litorale;
l’area interessata dai lavori risulta sottoposta a vincolo di tutela paesaggistica ai sensi del D. lgs 42/2004… nonché a vincolo idrogeologico ai sensi dell’art. 1… Legge Forestale 30 dicembre 1923 n° 3267».

Gli esponenti, agendo altresì per il risarcimento del danno, hanno rilevato che il Comune di Stalettì, fin dai primi anni ‘60, ha adottato una serie di atti, con i quali ha invitato i cittadini ad occupare una porzione di fondo di proprietà comunale posta a valle della ferrovia, compresa tra linea ferrata e la spiaggia, provvedimenti idonei ad ingenerare nei destinatari il ragionevole e legittimo convincimento di poter costruire su tale area, usufruendo altresì di tutti i servizi necessari (fognatura, idrico, raccolta rifiuti), appositamente implementati dal medesimo ente nella descritta zona, dietro regolare pagamento allo stesso dei relativi oneri. Hanno riferito, ancora, che in relazione agli immobili insistenti nella zona di Caminia si sono svolti molteplici processi penali per il reato di occupazione abusiva di area demaniale marittima ex artt. 54 e 1161 cod. nav., tutti definiti con l’assoluzione degli imputati.

Nel tempo, sono anche insorti conflitti tra l’amministrazione statale e l’ente territoriale circa la natura demaniale della predetta area, ciascuno asserendo la titolarità del diritto di proprietà esclusiva sulla stessa e nel 2016 il medesimo Comune di Stalettì, invitato dalla Regione Calabria a inviare i dati concernenti la ricognizione della fascia costiera, ha trasmesso la revisione organica delle zone demaniali marittime, nelle quali non risulta inserita l’area oggetto dell’ordinanza di sgombero, con ciò confermando quanto da sempre sostenuto dallo stesso ente, ossia che tale area non fa parte del demanio marittimo.

La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze in punto di diritto.

In via pregiudiziale il Tar ha affermato la giurisdizione amministrativa con statuizione non oggetto del giudizio di appello.

Il Tar ha quindi respinto nel merito il ricorso, ritenendo infondato il primo motivo di ricorso, incentrato sull’incompetenza dell’ente comunale ad adottare il provvedimento avversato. Infatti, l’ordinanza impugnata, intimando lo sgombero delle opere abusive realizzate su un’area di proprietà pubblica, risulta adottata in esercizio della potestà repressiva riconosciuta ai comuni dall’art. 35 d.p.r. 380/2001, non ostandovi il mancato richiamo espresso della norma, poiché l’atto va interpretato nella sua intrinseca consistenza, a prescindere dalle formule utilizzate nel testo.

L’art. 35 d.p.r. 380/2001, sopra richiamato, subordina l’esercizio del potere alla realizzazione, da parte di soggetti privati, di interventi edilizi abusivi «su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici». Presupposto per l’adozione del provvedimento è, dunque, la pubblicità del suolo, in disparte che si tratti di area demaniale o appartenente al patrimonio statale o di enti locali. Il fondamento del potere repressivo, infatti, deriva pur sempre da un illecito edilizio, che - se realizzato su suolo pubblico - risulta ancor più grave che se commesso su suolo privato, e non anche da esigenze di salvaguardare specificamente la proprietà demaniale.

Perde pertanto rilevanza qualunque contestazione in ordine alla certezza della natura demaniale della proprietà e alle modalità con cui essa sia stata accertata, mentre assume portata decisiva la circostanza che, nel caso di specie, non vi è alcun dubbio sull’appartenenza pubblicistica dell’area. Il titolo, infatti, è conteso unicamente tra lo Stato e il Comune, mentre i privati non vi hanno mai acquisito diritti reali.

Ciò è evincibile anche dalla circostanza che il Comune di Stalettì autorizzò, con bando pubblico risalente agli anni ‘60, l’occupazione del suolo in attesa di procedere a lottizzazione e a cessione a titolo oneroso ai privati, cessione che però non ha mai avuto luogo a causa delle dispute insorte con l’amministrazione statale.

Tale bando non può essere considerato titolo edilizio. Innanzitutto, esso non è stato emesso ad personam, bensì era rivolto genericamente alla collettività e senza alcuna indicazione delle caratteristiche delle eventuali costruzioni. Inoltre, è stato emesso prima ancora che i suoli venissero resi edificabili mediante lottizzazione, cui peraltro non si è mai pervenuti.

L’evanescenza dell’invito e la sua anteriorità rispetto alla lottizzazione e alla cessione dei terreni ai privati impediscono di riconoscere al bando natura di titolo edilizio - legittimo o illegittimo che sia - e portano, di conseguenza, a escludere che i privati potessero riporre su di esso alcun legittimo affidamento circa la regolarità delle edificazioni, e ciò a prescindere dell’eventuale ritardo con cui l’amministrazione abbia emanato il provvedimento avversato (Cons. Stato, Sez. VI, 4 ottobre 2019, n. 6720).

Circa il prospettato difetto di motivazione, è sufficiente richiamare una recente pronuncia del Consiglio di Stato, secondo cui «i provvedimenti di demolizione sono atti vincolati il cui presupposto è costituito esclusivamente alla sussistenza di opere abusive;
per la adozione di tali atti non è richiesta, quindi, una specifica motivazione circa la ricorrenza del concreto interesse pubblico alla rimozione, in quanto, verificata la sussistenza dei manufatti abusivi, l’amministrazione ha il dovere di adottare il provvedimento, essendo la relativa ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato compiuta a monte dal legislatore. Inoltre, non rileva l’eventuale decorso del termine dalla commissione dell’abuso, in quanto il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso» (Cons. Stato, Sez. II, 5 luglio 2019, n. 4662).

Né, ancora, incide sulla legittimità dell’avversata ordinanza la dedotta pendenza di un procedimento in sanatoria, posto che dalla documentazione in atti non risulta la presentazione della domanda né un principio di prova dal quale evincere la stessa.

L’ordinanza impugnata dà atto dell’insistenza, sull’area, di vincoli paesaggistici e idrogeologici, rispetto ai quali non risulta esser stata ottenuta né richiesta alcuna sanatoria. V’è infatti da rilevare che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza, se è vero che il vincolo sopravvenuto non può operare in via retroattiva, lo stesso non può neppure restare senza conseguenze sul piano giuridico, dovendosi ritenere sussistente l’onere di acquisire il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo in ordine alla assentibilità della sanatoria delle opere abusivamente realizzate in precedenza alla sua apposizione (ex multis Cons. Stato, Sez. VI, 21 luglio 2017, n. 3603;
Id., 7 maggio 2015, n. 2297).

È stata altresì respinta la richiesta di risarcimento del danno, in ragione del mancato accertamento dell’illegittimità del provvedimento impugnato, quale elemento necessario per l’integrazione dell’illecito imputabile all’intimata amministrazione ex art. 2043 cod. civ..

2. Gli appellanti lamentano error in procedendo: mancata pronuncia in merito all’istanza istruttoria e acquisizione di informazioni e documenti ex art. 64 c.p.a. e violazione del principio di non contestazione delle allegazioni e documenti prodotti in giudizio.

Ritengono che la sentenza appellata abbia erroneamente ignorato le seguenti circostanze:

(i) l’invito e l’autorizzazione a occupare l’area con manufatti rivolto dal Comune di Stalettì nel 1964 (pertanto ante il 1967) ai propri cittadini;

(ii) la costruzione delle infrastrutture necessarie (quali strade, parcheggi, fognature) e la predisposizione di servizi pubblici (quali l’erogazione del servizio idrico e del servizio di raccolta di nettezza urbana e il relativo pagamento da parte dei privati) da parte del Comune di Stalettì (almeno a far data dal 2000);

(iii) la piena conoscenza da parte del Comune di Stalettì dalla situazione di fatto, voluta dal medesimo Ente circa 60 anni fa, senza che lo stesso abbia mai ritenuto la stessa illegittima ed anzi, prendendo posizione avverso il Ministero, a tutela del proprio operato e delle posizioni dei propri cittadini;

(iv) l’assoluta carenza di motivazione dell’ordinanza e l’assoluta carenza di istruttoria da parte del Comune di Stalettì che non ha allegato in giudizio alcuna attestazione, né alcuna documentazione in tal senso, limitandosi ad una mera costituzione formale;

(vi) l’inutilizzabilità in sede amministrativa degli accertamenti della Guardia Costiera, come dichiarato nella memoria depositata dallo stesso Ministero e non contestato dal Comune di Stalettì.

Gli appellanti lamentano error in judicando: per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c.;
difetto di motivazione, ovvero motivazione apparente;
violazione dell’art. 64 c.p.a. e del principio di non contestazione.

Lamentano in particolare che quella adottata dal Comune di Stalettì sarebbe un’ordinanza di sgombero fondata esclusivamente sui rilievi risultanti dalla nota del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – Ufficio Circondariale Marittimo – Giardia Costiera di Soverato, con la quale sarebbe stata accertata l’occupazione abusiva di suolo demaniale marittimo, senza alcuna istruttoria da parte del Comune di Stalettì e, quindi, senza alcuna competenza da parte dello stesso.

Lamentano la contraddittorietà del comportamento e degli atti e provvedimento adottati dal Comune di Stalettì che nel dichiararsi da sempre proprietario dell’area in oggetto, all’improvviso, a distanza di oltre 50 anni, ha invece cambiato il proprio convincimento, ritenendo di dover adottare l’ordinanza impugnata basandosi sulla presunta occupazione abusiva di area demaniale marittima da parte degli odierni appellanti, peraltro a seguito di accertamenti compiuti non dallo stesso Comune ma dalla Guardia Costiera di Soverato nell’estate del 2017.

Gli appellanti ritengono che l’area indicata nell’ordinanza di sgombero per natura e conformazione non rientra nel concetto di lido o spiaggia.

Ribadiscono che lo stesso Comune di Stalettì riceve ogni anno il pagamento del Tributo Comunale sui Rifiuti (TARI) relativo ai predetti immobili e il pagamento della Tariffa dell’Acquedotto per il Servizio di fornitura dell’acqua potabile, fognatura e depurazione (cfr. all. 7 fascicolo di primo grado), con ciò dimostrando senza tema di smentita non soltanto la circostanza che è stato lo stesso Comune di Stalettì ad aver autorizzato il privato, ma la piena conoscenza da parte dello stesso della presenza della costruzione dell’immobile presso l’area di Caminia almeno dai primi anni 2000 quando è stato imposto l’allaccio delle fognature.

Gli appellanti fanno riferimento ai seguenti elementi:

(i) la consolidazione nel tempo della posizione del privato e la conoscenza da parte dell’amministrazione di tale posizione;

(ii) l’inerzia della p.a. ovvero l’induzione in errore mediante il rilascio di provvedimenti positivi o lo sfruttamento della situazione di fatto;

(iii) il legittimo affidamento del privato anche in considerazione della diversità dello stesso dal soggetto che ha posto in essere la fattispecie oggetto del provvedimento adottato a distanza di anni dalla p.a..

Fanno altresì riferimento ai giudizi penali di assoluzione pronunciati a favore di chi ha costruito l’immobile.

3. L’appello è infondato (come analoghi appelli che sono già stati respinti dalla sezione, v. tra le tante Consiglio di Stato VII n° 8987 del 21 ottobre 2022).

Come infatti dedotto e documentato in primo grado dal Comune di Stalettì, e come ribadito dall’allora Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ogni incertezza riguardo la titolarità del bene è venuta meno una volta definito nel senso della sua appartenenza al demanio marittimo il giudizio civile aventi come parti in causa uno dei privati occupanti l’area e le amministrazioni demaniale e comunale (sentenza della Corte di Cassazione 17 giugno 2016, n. 12629, di conferma della sentenza Corte d’appello di Catanzaro del 18 giugno 2010, n. 763). Su questa base e sul successivo accertamento della Guardia costiera di abusiva occupazione da parte del ricorrente è stato dunque legittimamente emesso l’ordine di sgombero impugnato nel presente giudizio che ha natura di atto dovuto e vincolato.

Ne consegue altresì che non era necessario un ulteriore accertamento preliminare ai fini dell’individuazione del terreno.

Con il provvedimento impugnato in primo grado è stato ordinato di rilasciare l’appezzamento di terreno per tutelare gli interessi demaniali marittimi in relazione all’occupazione abusiva di suolo demaniale marittimo.

Nessun affidamento sulla legittimità dell’edificazione è invocabile a fronte della presentazione di una domanda di sanatoria da parte dell’interessato, e tanto meno in ragione delle vicende che hanno contraddistinto l’occupazione dell’area sin da quando la stessa è stata autorizzata dal Comune di Stalettì nel 1964. A quest’ultimo riguardo è sufficiente rilevare che, come accertato dalla sentenza di primo grado, la delibera consiliare ha autorizzato tale occupazione in vista di una futura lottizzazione che tuttavia non è mai stata realizzata a mezzo dei necessari atti formali, tra cui la cessione dei singoli lotti edificabili ai privati ed il rilascio a ciascuno di essi dei titoli a costruire.

Né alcun affidamento può essere determinato dal giudicato penale cui gli appellanti fanno riferimento, attesa la diversità tra l’oggetto del procedimento penale e l’oggetto dei provvedimenti amministrativi e del giudizio amministrativo.

L’ordinanza di sgombero, impugnata in primo grado, è dunque correttamente motivata in ordine ai presupposti di fatto ed alla natura di atto dovuto e vincolato.

L’appello deve pertanto essere respinto.

Per le sopra descritte peculiarità della risalente vicenda controversa le spese di causa possono essere compensate.

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