Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2016-08-10, n. 201603581

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2016-08-10, n. 201603581
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201603581
Data del deposito : 10 agosto 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 10/08/2016

N. 03581/2016REG.PROV.COLL.

N. 09979/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9979 del 2015, proposto dalla Regione Campania, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato M V D G (C.F. DGNMVT67B57F839K), domiciliato in Roma, via Poli, n. 29;

contro

La s.s. Kiwicilento, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato M F (C.F. FRTMCL68P14H703J), con domicilio eletto presso il signor G L in Roma, via XX Settembre, n. 98/E;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Campania, Sezione staccata di Salerno, Sez. I, n. 995/2015, resa tra le parti, concernente l’esclusione dai benefici di cui alla «misura n. 121 del PSR Campania 2007/2013»;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della s.s. Kiwicilento;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 maggio 2016 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti l’avvocato M V D G e l’avvocato Dario Gioia, su delega dell’avvocato M F;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La società odierna appellata era stata inserita in posizione utile, nella graduatoria delle domande ammesse a finanziamento a valere sulla «Misura 121 del PSR Campania 2007/2013», approvata con decreto regionale n. 129/2009, come destinataria di un contributo di 500.000 euro per la realizzazione di un programma di investimento aziendale del costo totale di 1.321.076 euro.

2. In esito ai controlli sulle autocertificazioni, è risultato che il rappresentante legale della società non aveva dichiarato di aver riportato una condanna da parte della Corte d’appello di Roma di data 28 novembre 1995, a due anni e sei mesi di reclusione per il reato di “adulterazione di sostanze alimentari” in concorso, ex art. 110 e 440 c.p.

3. Dopo una fase partecipativa e la presentazione di scritti difensivi, con provvedimento regionale n. 259402 in data 23 marzo 2010, la società è stata esclusa dal contributo.

4. Il TAR Campania, con la sentenza appellata (Salerno, I, n. 995/2015), ha accolto il ricorso n. 1051 del 2010 ed ha annullato il provvedimento di esclusione.

Il TAR ha sottolineato che il provvedimento non è applicativo di una previsione di esclusione contenuta nel bando, bensì conseguenza della violazione dell’obbligo dichiarativo, che ha impedito all’amministrazione di valutare, sulla base delle condanne eventualmente riportate (e doverosamente dichiarate), la sussistenza dei requisiti di moralità professionale in capo al richiedente il finanziamento, in applicazione dell’art. 75 del d.P.R. 445/2000.

Il TAR ha poi ritenuto, tuttavia, che ciò imponesse all’amministrazione l’accertamento rigoroso del nesso causale tra l’omissione dichiarativa contestata e l’attribuzione del beneficio economico;
nesso causale che “avrebbe potuto ritenersi dimostrato qualora fosse emerso, anche sulla base di un giudizio di concreta e ragionevole verosimiglianza, che, qualora la condanna riportata fosse stata puntualmente dichiarata dal legale rappresentante della società ricorrente, l’amministrazione regionale, all’esito delle valutazioni di sua competenza in ordine alla incidenza del pregiudizio penale sulla moralità professionale del richiedente il contributo, ne avrebbe disposto l’esclusione dal procedimento di assegnazione”.

Al contrario, ad avviso del TAR, la Regione si è basata su un automatismo, pur essendo ravvisabili molteplici circostanze (il carattere risalente del fatto, l’avvenuta estinzione della pena, la peculiarità della condotta contestata e le ragioni addotte dal ricorrente per escluderne la gravità) che avrebbero giustificato una valutazione concreta, in ordine all’effettiva compromissione della moralità professionale del ricorrente, quale conseguenza della condanna riportata.

5. Con l’appello in esame, la Regione Campania ha chiesto che in riforma della sentenza del TAR sia respinto il ricorso di primo grado.

L’Amministrazione ribadisce che:

- la omessa menzione in sede di autocertificazione delle condanne riportate comporta, in applicazione dell’art. 75, cit., la perdita del beneficio costituito dall’ammissione al finanziamento;

- la dichiarazione mendace, laddove il bando stabilisca l’obbligo di dichiarazione, costituisce un’autonoma fattispecie di esclusione;

- non vi è dubbio che la condanna in questione rientrasse tra i reati previsti dal Titolo VI, Capo II, c.p. cui si riferiva detto obbligo, mentre il riferimento ai “reati di frode o di sofisticazione” deve ritenersi meramente esemplificativo ed introduttivo al richiamo a detto Capo.

L’Amministrazione sottolinea, inoltre, che l’esclusione non discende da alcun automatismo, ma consegue ad una fase partecipativa e ad un supplemento di istruttoria (cfr. parere n. 259402 in data 23 marzo 2010).

6. La società appellata controdeduce, sottolineando che, secondo l’orientamento giurisprudenziale ormai prevalente, l’omessa dichiarazione di condanne penali può essere sanzionata solo in presenza di un obbligo di dichiarazione stringente, che nella specie mancava;
che, comunque, non vi è stata omissione, in quanto l’obbligo di dichiarazione non concerneva il reato di “adulterazione di sostanze alimentari”, diverso dalla “frode o sofisticazione”;
che, in ogni caso, tale condanna non è in alcun modo tale da incidere sulla moralità professionale (anche perché, oltre ad essere risalente nel tempo - così che sussistono tutti i requisiti per la riabilitazione - derivava dalla condotta di altra società affittuaria dell’azienda agraria ed è stata comminata a titolo di dolo eventuale).

7. Il Collegio osserva che la sussistenza dell’obbligo di dichiarare le condanne concernenti reati come quello in questione è stato oggetto di espressa pronuncia del TAR.

Il TAR ha infatti rimarcato come “non possa negarsi che il reato di cui all’art. 440 c.p., cui si riferisce la condanna non dichiarata, rientri nel novero di quelli oggetto dell’obbligo dichiarativo sancito dal bando (atteso che, da un lato, la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 440 c.p., recante la rubrica “adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari”, appartiene al Capo II del Titolo VI, raggruppante i “delitti di comune pericolo mediante frode”, denotando che, al di là delle definizioni dogmatiche, una componente di frode è tipicamente presente anche nel reato di cui all’art. 440 c.p., dall’altro lato, il bando correla l’obbligo dichiarativo, appunto, ai “reati di frode o sofisticazione di prodotti alimentari”)”.

L’odierna appellata non si è ritualmente gravata contro tale statuizione.

Si tratta quindi di un aspetto che non può più essere contestato in giudizio, in quanto coperto dal giudicato interno.

8. E’ poi pacifico che la Regione abbia fatto discendere l’esclusione dall’omissione della dichiarazione.

9. L’aspetto decisivo della controversia consiste dunque nello stabilire quali effetti si debbano riconnettere all’omissione della dichiarazione della condanna, sulla base dell’art. 75 del d.P.R. 445/2000.

Il Collegio osserva che, per quanto esposto, non può dubitarsi che la dichiarazione del rappresentante legale della società appellata “di non aver subito condanne …”, a fronte dell’esistenza della condanna suindicata, debba ritenersi dichiarazione non veritiera.

Il Collegio osserva poi che la ratio della dichiarazione sostitutiva è proprio quella di mettere a disposizione dell’Amministrazione gli elementi informativi sulla base dei quali operare la valutazione di sussistenza o meno dei requisiti di partecipazione necessari, senza onerare gli interessati dell’acquisizione e della produzione dei documenti e delle certificazioni riguardanti tali requisiti.

In giudizio non è stata evidenziata l’esistenza di un sistema di controlli delle autodichiarazioni nell’ambito della disciplina della sovvenzione in questione.

Tuttavia, anche nell’ipotesi che mancasse una siffatta disciplina, troverebbe applicazione l’art. 71 del medesimo d.P.R. 445/2000, che in via generale dispone che “ le Amministrazioni procedenti sono tenute ad effettuare idonei controlli, anche a campione, e in tutti i casi in cui sorgono fondati dubbi, sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive ”.

A presidio della serietà della dichiarazione, l’art. 75, cit., al comma 1, sanziona il principio di autoresponsabilità, prevedendo che, “ qualora dal controllo di cui all'articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera ”.

L'art. 75, comma 1, cit., è incentrato, infatti, sul dato oggettivo della “non veridicità”, apprezzato ex ante e rispetto al quale è irrilevante il complesso delle giustificazioni addotte dal dichiarante.

Non vi è, dunque, nel caso in esame, un contrasto con il principio di tassatività delle cause di esclusione, atteso che l’ammissione alla gara conseguita mediante la produzione di una dichiarazione non veritiera altro non è che quel beneficio, il cui conseguimento (o mantenimento) la medesima disposizione intende impedire.

In altri termini, la disposizione impone di eliminare qualsiasi effetto positivo che sia derivato in favore del dichiarante non fedele;
per cui, in base a detta norma, la non veridicità della dichiarazione sostitutiva presentata comporta la decadenza dai benefici eventualmente conseguiti, non residuando alcun margine di discrezionalità alle Amministrazioni che si avvedano della non veridicità delle dichiarazioni, in quanto ciò prescinde dalla condizione soggettiva del dichiarante, e si attesta sul dato oggettivo della non veridicità, rispetto al quale sono irrilevanti le giustificazioni addotte dal dichiarante.

D’altro canto, nel caso di procedure concorsuali volte alla concessione di contributi pubblici, non è previsto un soccorso istruttorio per le ipotesi di dichiarazioni mancanti o lacunose, di portata analoga a quella derivante dagli artt. 46 e 38, comma 2-bis, del Codice di cui al d.lgs. 163/2006.

E comunque, anche con riferimento ad autodichiarazioni di non esistenza di fatti riconducibili alle cause di esclusione di cui all’art. 38, del d.lgs. 163/2006, la giurisprudenza del tutto prevalente di questo Consiglio ha affermato l’applicazione dell’art. 75 del d.P.R. 445/2000, negando che possa rilevare il soccorso istruttorio, dal momento che non è contestata la mancanza o l’incompletezza della dichiarazione, ma l’aver reso dichiarazione “non veritiera” (cfr. Cons. Stato, V, n. 2106/2016;
n. 1412/2016;
n. 943/2015;
IV, n. 4455/2013;
III, n. 2289/2014).

10. In conclusione, l’appello è fondato e deve pertanto essere accolto, sicché – in riforma della sentenza impugnata – va respinto il ricorso di primo grado.

11. Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

L’appellata dovrà rimborsare alla Regione il contributo unificato che ha anticipato per la proposizione del gravame, ai sensi dell’art. 13, comma 6-bis, del d.P.R. 115/2002.

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