Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-06-11, n. 201502866

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-06-11, n. 201502866
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201502866
Data del deposito : 11 giugno 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 10557/2014 REG.RIC.

N. 02866/2015REG.PROV.COLL.

N. 10557/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello n. 10577 del 2014, proposto dal
Immobiliare Podere Trieste s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avv.ti N P e N P, ed elettivamente domiciliata presso i difensori in Roma, via Barnaba Tortolini n. 34, come da mandato in calce al ricorso introduttivo;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero dell’economia e delle finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso la stessa domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi n.12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima, n. 9564 del 9 settembre 2014, resa tra le parti, concernente l’ottemperanza alla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 23/10/2012 - illecita occupazione di terreno di proprietà;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell’economia e delle finanze;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 aprile 2015 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti l’avvocato N P e l'avvocato dello Stato Giuseppe Albenzio;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso iscritto al n. 10577 del 2014, Immobiliare Podere Trieste s.r.l. propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima, n. 9564 del 9 settembre 2014 con la quale è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero dell’economia e delle finanze per l'ottemperanza alla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 23 ottobre 2012.

Il giudice di prime cure così sintetizzava i fatti di causa:

“Rilevato che, con il ricorso in esame, la Podere Trieste s.r.l. ha agito per l’esecuzione del giudicato costituito dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 23 ottobre 2012;

Rilevato ancora che, con tale decisione, la Corte, vista la propria precedente sentenza del 16 novembre 2006 - con la quale aveva accertato l’illecita occupazione di fatto, da parte del Comune di Roma, di un terreno di proprietà della ricorrente - ha liquidato in favore di questa, e a carico dello Stato italiano, la somma di € 47.740.000 (quarantasette milioni e settecentoquarantamila euro) a titolo di “equa soddisfazione”, ai sensi dell’art. 41 della legge 4 agosto 1955, n. 848, di ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.”

Costituitisi la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero dell’economia e delle finanze, il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva infondate le doglianze proposte, rilevando l’inammissibilità del ricorso sotto il profilo dell’incompatibilità dell’azione per l’ottemperanza con il sistema di esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto e in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo come motivi di appello le proprie originarie censure.

Nel giudizio di appello, si è costituita l’Avvocatura dello Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero dell’economia e delle finanze, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

All’udienza in camera di consiglio del 28 aprile 2015, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.

DIRITTO

1. - L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.

2. - In via preliminare, la Sezione ritiene di evidenziare come la fattispecie de qua attenga unicamente a profili di diritto e non vi sono state contestazioni sulla ricostruzione in fatto, come sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, per cui, vigendo la preclusione di cui all’art. 64 comma 2 del codice del processo amministrativo, deve considerarsi assodata la prova dei fatti oggetto di giudizio.

3. - Osserva la Sezione come il meccanismo per l’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo sia autonomamente costruito, secondo le regole valevoli nell’ambito dell’ordinamento internazionale, dallo stesso trattato istitutivo, ossia la Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950.

L’art. 46 “Forza vincolante ed esecuzione delle sentenze” della Convenzione, nella formulazione attualmente vigente, così recita:

“1. Le Alte Parti contraenti s'impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte per le controversie di cui sono parte.

2. La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne sorveglia l'esecuzione.

3. Ove il Comitato dei Ministri ritenga che la sorveglianza di una sentenza definitiva è intralciata dalla difficoltà d'interpretare tale sentenza, esso può investire la Corte affinché si pronunzi su tale questione d'interpretazione. La decisione di investire la Corte è presa con un voto a maggioranza di due terzi dei rappresentanti aventi diritto ad un seggio nel Comitato.

4. Ove il Comitato dei Ministri ritenga che un'Alta Parte contraente rifiuti di attenersi ad una sentenza definitiva in una controversia di cui é parte, esso può, dopo aver messo in mora questa Parte e mediante una decisione adottata con un voto a maggioranza dei due terzi dei rappresentanti aventi diritto ad un seggio nel Comitato, investire la Corte della questione dell'osservanza di questa Parte degli obblighi relativi al paragrafo 1.

5. Se la Corte accerta una violazione del paragrafo 1, essa rinvia il caso al Comitato dei Ministri affinché esamini i provvedimenti da adottare. Qualora la Corte accerti che non vi è stata violazione del paragrafo 1, essa rinvia il caso al Comitato dei Ministri, il quale decide di porre fine al suo esame.”

L’articolo in questione definisce dunque un sistema compiuto, sia in tema di individuazione delle decisioni oggetto di esecuzione, sia in relazione alle questioni interpretative ed esecutive concernenti le decisioni della Corte, rimesse alla Corte medesima, e al controllo sulla esecuzione, attribuito al Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, mentre è attribuita al Presidente del Consiglio dei ministri del Governo della Repubblica italiana, la promozione degli “adempimenti di competenza governativa conseguenti alle pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo emanate nei confronti dello Stato italiano", in forza della legge 23 agosto 1988, n. 400, art. 5, comma 3, lett. a- bis ).

L’autonomia del sistema, ma non la sua eccezionalità, visto che l’attuazione delle sentenze tramite lo spontaneo adempimento degli Stati è il modulo operativo tipico delle giurisdizioni internazionali, è ribadita dalla giurisprudenza nazionale, sia essa costituzionale (dove si è espressamente affermato che le norme CEDU “vincolano lo Stato, ma non producono effetti diretti nell'ordinamento interno” -sentenze n. 348 e n. 349 del 2007-, affermazione confermata anche successivamente all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona -sentenza n. 80 del 2011- e che le decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo creino vincoli sul solo piano internazionale -sentenza n. 129 del 2008, sulla carenza nell’ordinamento nazionale di strumenti preordinati a garantire l’effettività del citato articolo 46 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo), civile (in quanto le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno notato che “le sentenze definitive della Corte europea dei diritti dell'uomo, con le quali sono accertate e dichiarate violazioni della Convenzione e/o dei suoi Protocolli, non incidono direttamente nell'ordinamento giuridico dello Stato convenuto, vincolando invece, sul piano internazionale appunto, soltanto quest'ultimo a conformarvisi” - ordinanza 16 maggio 2013, n. 11826) ed amministrativa (“le decisioni della Corte europea non sono assimilabili ad un titolo esecutivo giudiziale suscettibile di esecuzione forzata nei confronti dello Stato contraente condannato dalla Corte, poiché nessuna disposizione della Convenzione prevede meccanismi esecutivi diretti di tali provvedimenti. Esse, in altre parole, creano reciproci vincoli obbligatori tra gli Stati membri e non danno luogo ad obbligazioni di tipo privato nei confronti dei ricorrenti vittoriosi, ciò che urterebbe contro la lettera della Convenzione e i comuni principi di diritto internazionale riconosciuti dagli Stati contraenti” - T.A.R. Sicilia, Catania, 6 febbraio 2014, n. 424).

Non vi sono quindi ragioni per discostarsi dalla consolidata giurisprudenza in tema e le affermazioni della parte appellante (“è l’intero sistema Stato, in tutte le sue articolazioni, che ha l’onere di adempiere e conformarsi alle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo” pag. 7 dell’appello) non aggiungono argomenti di carattere tecnico alla questione.

Va solo sottolineato come il tentativo di ricondurre le sentenze in questione nell’ambito dei titoli esecutivi si scontra con una palese obiezione, di carattere normativo e ordinamentale.

È del tutto pacifico che le pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo non sono contemplate tra i titoli per l’esecuzione dei quali può essere proposta, ai sensi dell’art. 112 c.p.a., l’azione di ottemperanza e ciò non solo perché, come correttamente ha affermato il primo giudice, non può dedursi un ampliamento della nozione evincibile dalla lettera d) del comma 2 del suddetto articolo (in riferimento alle sentenze passate in giudicato e altri provvedimenti ad essi equiparati per i quali non sia previsto il rimedio dell’ottemperanza) solo per ragioni storiche e sistematiche, ma soprattutto perché gli strumenti di adeguamento a decisioni di giudici non nazionali trovano compiuta regolamentazione in altri settori dell’ordinamento (e in generale dalla legge 31 maggio 1995, n. 218 “Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato” che, all’art. 2, fa rinvio ai modi di applicazione delle diverse convenzioni internazionali).

In particolare, tanto per allontanare ogni residuo dubbio sul fatto che un giudizio di ottemperanza possa poi essere praticabile in ragione della natura meramente pecuniaria della condanna, va ricordato che anche le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea, decisioni caratterizzate da un effetto dai contenuti molto maggiori di quelle delle altre corti internazionali, diventano esecutive nel territorio nazionale a seguito dell’apposita procedura di cui al d.P.R. 2 dicembre 1960 n. 1824 “Apposizione della formula esecutiva sulle sentenze della Corte di giustizia unica per le Comunità europee e sulle decisioni degli organi delle Comunità europee”, che si colloca a valle dell’apposita norma del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, dove si prevede che le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea (e quelle del Tribunale di prima istanza, a cui si estende la disciplina, giusta il rinvio dato dall’art. 254) hanno forza esecutiva (art. 280).

4. - Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis , per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

5. - L’appello va quindi respinto. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali, determinati dalla parziale novità della questione decisa.

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