Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2024-02-01, n. 202401041

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2024-02-01, n. 202401041
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202401041
Data del deposito : 1 febbraio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 01/02/2024

N. 01041/2024REG.PROV.COLL.

N. 02232/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 2232 del 2023, proposto da
Rocchetta s.p.a., in persona del presidente e legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato A M, con domicilio digitale p.e.c. in registri di giustizia;

contro

Regione Umbria, in persona del presidente pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato A R G, con domicilio digitale p.e.c. in registri di giustizia;

nei confronti

Comunanza agraria “Appennino gualdese”, in persona del presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato Maria Rita Fiorelli, con domicilio digitale p.e.c. in registri di giustizia;
Comune di Gualdo Tadino, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria (sezione prima) n. 673/2022,


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Umbria e della Comunanza agraria dell’appennino gualdese;

Viste le memorie e tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 gennaio 2024 il consigliere F F, sulle istanze di passaggio in decisione delle parti e le conclusioni ivi formulate;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La società odierna appellante, concessionaria dalla Regione Umbria (con decreto presidenziale del aprile 1976, n. 269) per lo sfruttamento del giacimento di acqua minerale naturale denominata “Rocchetta” sito nel Comune di Gualdo Tadino, nell’omonimo bacino imbrifero, in un’area dell’originaria estensione di 21 ettari, poi ampliata a 208 ettari, agisce nel presente giudizio per l’annullamento del provvedimento regionale di cui alla determinazione del 23 marzo 2018, n. 2916, con cui è stato determinato l’indennizzo dovuto dalla concessionaria per la compressione dei diritti di uso civico gravanti sul bacino imbrifero, ai sensi degli artt. 5 e 6 della legge 16 giugno 1927, n. 1766 ( Conversione in legge del R. decreto 22 maggio 1924, n. 751, riguardante il riordinamento degli usi civici nel Regno, del R. decreto 28 agosto 1924, n. 1484, che modifica l’art. 26 del R. decreto 22 maggio 1924, n. 751, e del R. decreto 16 maggio 1926, n. 895, che proroga i termini assegnati dall’art. 2 del R. decreto-legge 22 maggio 1924, n. 751 ).

2. Con il provvedimento impugnato era confermato il « valore di 20 €/mq attribuito alle aree di “tutela assoluta” » comprese nell’area in concessione (per un totale di € 11.021,30 annui), in cui sono installate le opere di captazione delle acque minerali, già stabilito con la precedente determinazione in data 12 novembre 2015, n. 8399, sul presupposto della loro equiparazione alle aree edificabili. Su ricorso della concessionaria l’equiparazione delle zone di tutela assolta alle aree edificabili posta da quest’ultimo provvedimento a fondamento della stima di valore era stata giudicata illegittima dal Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria con sentenza del 12 gennaio 2018, n. 49, in ragione della « destinazione urbanistica agricola » delle prime e l’esistenza su di esse di « vari vincoli di natura ambientale che impediscono qualsiasi tipo di attività e/o sfruttamento economico ». Richiamati i criteri vigenti in materia di indennizzo per espropriazione di pubblica utilità, e la possibilità in questo ambito di enucleare usi dei suoli intermedi tra quelli a scopi edificatori e quelli agricoli, la sentenza aveva precisato che l’equiparazione delle aree in contestazione ai primi « non può spingersi all’equiparazione del valore, a meno che non sussistano ragioni da indicare in motivazione tali da consentire un particolare sfruttamento economico delle prime, tenuto conto dei concreti vincoli conformativi, nel caso di specie pacificamente esistenti, insistenti sulle aree stesse ».

3. Nondimeno, con il provvedimento impugnato in questo giudizio è stato quindi confermato il valore di € 20,00 mq, sul presupposto che le aree di tutela assoluta costituiscono « parte integrante dello stabilimento di imbottigliamento della Rocchetta spa situato in zona classificata D1 dallo strumento urbanistico comunale ».

4. Il ricorso conseguente proposto dalla Rocchetta contro quest’ultimo provvedimento è stato quindi respinto in primo grado dall’adito Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria con la sentenza in epigrafe.

5. Questa ha statuito che nel riesercitarsi l’amministrazione resistente « ha motivato le ragioni per le quali le opere insistenti sulle zone di tutela assoluta devono ritenersi come parte integrante dello stabilimento di imbottigliamento della Rocchetta », in coerenza con la legislazione regionale di settore che qualifica come pertinenze del bene in concessione le opere di captazione ubicate anche al di fuori dell’area affidata (legge regionale dell’Umbria 22 dicembre 2008, n. 22 - Norme per la ricerca, la coltivazione e l’utilizzo delle acque minerali naturali, di sorgente e termali ;
art. 15). La sentenza ha inoltre affermato che la nuova determinazione regionale è conforme alla precedente sentenza di annullamento del 12 gennaio 2018, n. 49, e che sono pertanto infondate le censure relative alla mancata partecipazione procedimentale dedotte dalla società ricorrente, in ragione del fatto che questa non ha dimostrato in giudizio « in quali termini il contenuto del provvedimento impugnato avrebbe dovuto essere diverso da quello in concreto adottato ».

6. Per la riforma della sentenza i cui contenuti sono così sintetizzabili la Rocchetta s.p.a. ha proposto il presente appello, in resistenza del quale si sono costituiti la Regione Umbria e la Comunanza agraria “Appennino Gualdese”.

DIRITTO

1. Con il primo motivo d’appello viene censurata la statuizione di rigetto del motivo di impugnazione con cui era stata dedotta la violazione delle garanzie partecipative, a causa dell’omessa comunicazione di riavvio del procedimento ex art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, dopo l’annullamento in sede giurisdizionale del precedente provvedimento regionale di determinazione dell’indennità. Si sostiene che la sentenza avrebbe errato sul punto nel fare applicazione della c.d. sanatoria processuale di cui all’art. 21- octies , comma 2, della medesima legge generale sul procedimento amministrativo, sulla base di « un inesistente onere di dimostrazione della diversità sostanziale del provvedimento impugnato rispetto a quello che l’Amministrazione avrebbe dovuto adottare » a carico del ricorrente. Viene in contrario sottolineato che l’onere in questione si porrebbe in antitesi con la formulazione della norma da ultimo richiamata, che sul piano letterale riversa sull’amministrazione l’onere di dimostrare in giudizio « che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato » . Al riguardo, si riconosce che in base al temperamento elaborato dalla giurisprudenza amministrativa la disposizione non può essere interpretata nel senso di addossare alla parte pubblica una prova diabolica diretta all’esclusione di tutte le alternative di fatto. Nondimeno, viene sottolineato che la prova dell’assenza di alternative andrebbe comunque esclusa in presenza di puntuali allegazioni di parte ricorrente. Questo - si aggiunge - sarebbe il caso oggetto del presente giudizio, in cui si è dedotta l’illegittimità della determinazione dell’indennità di compressione degli usi civici, poiché disancorata dal valore dei terreni da essi gravati, inficiata da sviamento di potere e avente l’effetto di “doppia imposizione”’ gravante sulla società ricorrente con riguardo alle particelle che erano state oggetto anche della delibera regionale del 26 maggio 2017, n. 106. Viene quindi evidenziato che la circostanza in questione avrebbe potuto essere valutata dalla Regione se questa avesse consentito alla società ricorrente di contraddire in sede procedimentale. Un ulteriore errore commesso dalla sentenza sarebbe consistito nel non avere questa considerato che « si verte della legittimità di un provvedimento discrezionale adottato in sede di riedizione del potere a seguito di una sentenza di annullamento », da cui deriverebbe l’obbligo per l’amministrazione soccombente di rideterminarsi in modo da soddisfare la pretesa azionata in giudizio vittoriosamente (così: Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 15 gennaio 2013, n. 2).

2. Con il secondo motivo d’appello sono riproposte le censure di violazione dei citati artt. 5 e 6 della legge 16 giugno 1927, n. 1766, che con riguardo alla determinazione dell’indennità per la liquidazione degli usi civici stabiliscono che questa sia quantificata in base al valore del terreno su cui essi gravano, sulla base di un’apposita perizia. La violazione delle citate disposizioni di legge si ricaverebbe dal fatto che la Regione Umbria avrebbe « aprioristicamente » stabilito il valore da attribuire alle zone di tutela assoluta nella misura di € 20 al mq, corrispondente a quella accertata come illegittima nel precedente contenzioso tra le parti (giudicato infatti « del tutto errato » dalla citata sentenza del 12 gennaio 2018, n. 49, del Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria;
e abbia poi espresso una motivazione a posteriori diversa da quella della delibera annullata, con il solo fine di eludere il giudicato. Al riguardo si ribadisce che l’errore consisterebbe nel considerare le opere di captazione delle acque insistenti nelle aree di tutela assoluta come parte integrante dello stabilimento di imbottigliamento della società ricorrente, sulla base della disciplina urbanistica di zona dal piano regolatore generale del Comune di Gualdo Tadino, che nelle aree in cui sono situate le sorgenti idriche (classificate come « limite concessione acque minerali ») non prevede limiti di edificabilità per le relative attrezzature tecnologiche (art.

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