Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2024-04-03, n. 202403054

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2024-04-03, n. 202403054
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202403054
Data del deposito : 3 aprile 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/04/2024

N. 03054/2024REG.PROV.COLL.

N. 09998/2023 REG.RIC.

N. 10003/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9998 del 2023, proposto dal signor F A G, rappresentato e difeso dall’avvocato S C, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Roma, via Lucrezio Caro, n. 62;

contro

il Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, e il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, in persona del Comandante pro tempore , non costituiti in giudizio;



sul ricorso numero di registro generale 10003 del 2023, proposto dal signor F A G, rappresentato e difeso dall’avvocato S C, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Roma, via Lucrezio Caro, n. 62;

contro

il Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, e il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, in persona del Comandante pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

entrambi per l’ottemperanza delle sentenze della sez. IV del Consiglio di Stato, n. 5310/2004 e n. 5511/2005, rese tra le parti


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa e del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri nel solo procedimento n.r.g. 10003 del 2023;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 114 cod. proc. amm.;

Relatore, nella camera di consiglio del giorno 27 febbraio 2024, il Cons. Antonella Manzione e udito per l’appellante l’avvocato S C;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con il ricorso in ottemperanza (n.r.g. 7817/2014) il signor F A G adiva il T.a.r. per il Lazio per la dichiarazione di nullità del provvedimento datato 12 marzo 2014, con il quale l’Amministrazione della Difesa aveva escluso dal computo e posto a suo carico esclusivo ai fini della ricongiunzione il periodo lavorativo successivo al 18 luglio 1999. Ciò malgrado fosse stata disposta la sua reintegra nel servizio con decorrenza giuridica e di carriera da tale data con atto n. 1424 del 19 maggio 2006, in esecuzione della sentenza della sez. IV del Consiglio di Stato del 26 luglio 2004, n. 5310.

2.. Con successivo ricorso di analogo tenore e natura (n.r.g. 10408/2014) lo stesso promuoveva un nuovo giudizio avverso il provvedimento datato 8 maggio 2014, di conferma del precedente con motivazione integrata, lamentando anche la quantificazione dell’onere di ricongiunzione in euro 17.692,14, ovvero una somma di gran lunga superiore a quella originariamente comunicatagli.

3. Con la richiamata sentenza n. 5310 del 2004, dopo avere riunito i contrapposti appelli del militare e dell’Amministrazione, il Consiglio di Stato aveva confermato la cessazione dal servizio per scarso rendimento disposta nel 1987 ai sensi degli artt.12, lett. c), e 17 della l. 18 ottobre 1961, n. 1168 - norma dichiarata incostituzionale con decisione della Corte n. 240 del 18 luglio 1997- ma annullato il diniego di riammissione del 28 maggio 1999. Ciò sul presupposto della analogia tra gli istituti della “destituzione di diritto” e della “dispensa dal servizio permanente”, che aveva consentito di applicare alla fattispecie in questione l’art. 10 della legge n.19 del 1990, seppure riferito letteralmente alla seconda e non alla prima. La decorrenza della riassunzione pertanto, proprio in ragione di tale ricostruita natura, doveva essere ex nunc e non ex tunc , ferma restando la possibilità (che il Ministero non ha attivato nei termini) di promuovere il procedimento disciplinare (o paradisciplinare) per i fatti a suo tempo posti a base dell’unilaterale valutazione di scarso rendimento.

4. A seguito dell’inerzia dell’Amministrazione e previa apposita diffida, il militare promuoveva un giudizio di ottemperanza conclusosi a suo favore con la sentenza della medesima sez. IV del Consiglio di Stato, n. 5511 dell’11 ottobre 2005, che imponeva al Ministero della Difesa di provvedere collocandolo « nel grado posseduto all’atto della dispensa, con decorrenza degli effetti giuridici dal centottantesimo giorno successivo al 19 gennaio 1999 [quindi dal 18 luglio 1999] e di quelli economici dall’effettivo ripristino del rapporto (entro centottanta giorni dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notificazione della presente decisione) ».

5. L’odierno contenzioso attiene pertanto agli atti gestionali successivi a tale reintegro, avvenuto con decorrenza 2 febbraio 2005, in quanto - ad avviso del ricorrente - elusivi dell’obbligo di ricostruirne la carriera in termini giuridici. Dopo la riassunzione, infatti, egli aveva presentato al Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri un’istanza ai sensi dell’art. 2 della l. 7 febbraio 1979, n. 29, volta a ottenere la ricongiunzione dei periodi assicurativi per l’utilizzazione ai fini pensionistici dei contributi versati dai diversi datori di lavoro presso i quali aveva svolto attività anche nel periodo nel quale era stato dispensato dal servizio permanente. A seguito di una defatigante istruttoria, contrassegnata da plurime interlocuzioni tra la difesa dell’interessato e l’ufficio preposto dell’Amministrazione di appartenenza, si era quindi addivenuti all’atto del 12 marzo 2014, che aveva annullato e sostituito il precedente, individuando il periodo da ricongiungere ai fini previdenziali in 11 anni, 4 mesi e 5 giorni e ponendo a esclusivo carico del ricorrente l’onere di ricongiunzione, fissato in euro 17.692,14, da corrispondere in 136 rate mensili di euro 130,09 ciascuna. Lo stesso era stato confermato con nota dell’8 maggio 2014, che si era limitata ad esplicitare la motivazione della scelta seguita.

6. Il T.a.r. per il Lazio, mantenendo distinti i due procedimenti, ha declinato la propria competenza con le ordinanze n. 17407 e n. 17408 del 23 novembre 2023 a favore del Consiglio di Stato, cui sono da ascrivere le sentenze azionate. Quanto all’istruttoria disposta in corso di causa con ordinanza presidenziale n. 704 del 6 febbraio 2023, rimasta peraltro inevasa, ha sottolineato che essa « non costituisce decisione implicita sulla competenza, ai sensi dell’articolo 92, comma 5, cod. proc. amm. ».

7. Il signor F A G ha riassunto i due distinti giudizi.

7.1. In via preliminare ( sub A) ha chiesto la riunione degli stessi, la cui autonomia sarebbe da ricondurre esclusivamente al mantenuto parallelismo rispetto alla duplicità delle ordinanze con cui è stato definito il giudizio di primo grado, malgrado peraltro l’analoga istanza avanzata anche in tale sede.

7.2. Con un primo motivo di censura ( sub B) ha lamentato la nullità ex art. 21- septies della l. n. 241 del 1990 sia del provvedimento del 12 marzo 2014 (oggetto di ricorso al T.a.r. n.r.g. 7817/2014, di cui all’ordinanza n. 17408/2023) che del successivo, dell’8 maggio 2014 (oggetto di ricorso n.r.g. 10408/2014, definito con l’ordinanza n. 17407 del 2023): ciò in quanto con gli stessi sarebbe stata omessa la ricostruzione giuridica e di carriera imposta dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 5310/2004, ribadita con la successiva, n. 5511 del 2005.

7.3. Con il secondo motivo ( sub C) ha eccepito l’eccesso di potere per violazione del giudicato, sviamento, illogicità, manifesta ingiustizia e mancanza del presupposto, contrasto con precedenti provvedimenti resi dalla stessa amministrazione e violazione del principio del superiore gerarchico. Il decreto n. 1424 del 19 maggio 2006 aveva infatti espressamente disposto la sua iscrizione nel ruolo degli ispettori con il grado di maresciallo « dal 18 luglio 1999 » (art. 3), in piena coerenza con la decisione del Consiglio di Stato n. 5511/2005, che aveva ribadito come al 2 febbraio 2005 andava riferita la sola decorrenza economica del rapporto di servizio ripristinato. Il Direttore dell’Amministrazione del Comando Generale dell’Arma, con nota in data 10 marzo 2014, in risposta ad apposito quesito postogli dal responsabile dell’ufficio, aveva espressamente affermato che spettava all’Amministrazione farsi carico della ricongiunzione di quanto già versato dal ricorrente nel periodo dal 18 luglio 1999 al 13 maggio 2001, come attestato dall’INPS di Macerata.

7.4. Con un terzo motivo ( sub D) ha rilevato l’incoerenza della decisione adottata con gli atti dell’istruttoria svolta, stante che il medesimo firmatario dei provvedimenti avversati aveva chiesto lumi alla Direzione di Amministrazione, salvo poi ignorarne totalmente le indicazioni. Egli inoltre con nota in data 16 dicembre 2013 aveva scritto al suo difensore giustificando le divergenze di calcolo con la mancata inclusione nello stesso del periodo dal 18 luglio 1999 al 13 maggio 2001, con risultato conseguentemente più vantaggioso per l’interessato, nella logica dell’onere gravante esclusivamente sullo stesso.

7.5. Tali vizi degli atti impugnati, secondo l’interessato, ben avrebbero potuto essere esaminati dal primo giudice, in quanto riferiti in via autonoma agli stessi.

7.6. Con un’ulteriore censura ( sub E) ha infine lamentato la mancanza di motivazione dell’incremento dell’importo dovuto a fini di ricongiunzione, che nel primo provvedimento adottato (15 dicembre 2011) era pari ad euro 6.835.98, mentre nell’ultimo ammonta ad euro 17.692,14. Ha invocato l’applicazione delle aliquote vigenti al momento dell’inoltro della domanda di ricongiunzione (4 ottobre 2006), non di quelle successivamente intervenute, non potendo certo le incertezze e il ritardo dell’Amministrazione gravare sul privato incolpevole.

7.7. Il ricorrente ha sottolineato che la mancata decisione sulla ricongiunzione dei periodi previdenziali gli sarebbe di ostacolo al collocamento in quiescenza, malgrado abbia da tempo (5 anni) raggiunto il limite massimo di età (60 anni prorogato solo per lui di due anni), tanto che a far data dal 9 gennaio 2021, pur essendo stato dichiarato cessato per tale ragione dal servizio permanente con provvedimento del 17 dicembre 2020, è stato collocato in via provvisoria nella categoria dell’ausiliaria in attesa che venga valutata la sua posizione ai fini previdenziali. Da qui la permanenza dell’interesse alla decisione della causa.

7.8. In sintesi il ricorrente ha dunque chiesto l’accertamento del proprio diritto a vedersi riconosciuto e conteggiato a fini pensionistici il periodo compreso fra il 18 luglio 1999 e il 2 febbraio 2005, con oneri economici integralmente a carico dell’Amministrazione, con dichiarazione di nullità per elusione del giudicato dei provvedimenti impugnati e con l’indicazione del contenuto corretto di quelli da adottare;
ha chiesto altresì la nomina di un Commissario ad acta per l’ipotesi di inadempienza del Ministero, fissando una somma per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del giudicato.

8. Il Ministero della Difesa e il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri si sono costituiti nel solo procedimento n.r.g. 10003/2023 per resistere al ricorso, chiedendone il rigetto.

9. Alla camera di consiglio del 27 febbraio 2024 le cause, chiamate congiuntamente come da verbale, sono state trattenute in decisione.

DIRITTO

10. In via preliminare deve disporsi la riunione dei ricorsi ( nn.r.g. 9998/2023 e 10003/2023) in quanto riferiti all’ottemperanza delle medesime sentenze del Consiglio di Stato, n. 5310/2004 e n. 5511/2005.

11. Va innanzi tutto ricordato che il ricorso consegue a riassunzione avendo il T.a.r per il Lazio preventivamente adito declinato la propria competenza.

12. Secondo il ricorrente lo stesso, al contrario, avrebbe dovuto pronunciarsi con riferimento ai vizi propri degli atti impugnati e segnatamente la contraddittorietà esterna (rispetto alle indicazioni del superiore gerarchico) ed interna (rispetto alla scelta di chiedere chiarimenti, salvo poi disattenderli);
ugualmente dovrebbe dirsi per gli errori di computo e la mancata motivazione delle modifiche intervenute nel tempo nell’indicazione degli importi dovuti a fini di ricongiunzione.

13. Le regole dettate sul riparto di competenza sull’ottemperanza sono contenute nell’art. 113, c.p.a., che ha codificato affermazioni già consolidate nella giurisprudenza precedente (v. Cons. Stato, A.p. 11 giugno 2001, n. 4). La dizione « stesso contenuto dispositivo e conformativo », utilizzata dalla norma per radicare la competenza nel giudice di primo grado anche quando vi sia stata successiva pronuncia in appello, è stata da subito letta in senso molto ampio, al fine di relegare quella del Consiglio di Stato ad un ambito del tutto residuale, così scongiurando il pericolo di duplicazione di ricorsi, con conseguente dispendio di risorse giudiziarie, stante che il giudice che ha posto un obbligo conformativo ne sarà anche il miglior interprete “naturale” (v. Cons. Stato, sez. V, 21 settembre 2020, n. 5485).

14. Nel caso di specie la sentenza n. 5310 del 2004, della quale si chiede l’ottemperanza, non ha affatto confermato le due sentenze del T.a.r. per il Lazio (n. 1309 del 15 aprile 1998 e n. 11530 del 18 dicembre 2001), impugnate, rispettivamente, dal signor F A G e dal Ministero della Difesa. Al contrario essa, in riforma della prima, ha dichiarato improcedibile il ricorso avverso il provvedimento di cessazione dal servizio, conseguentemente confermandone l’efficacia, seppure per ragioni solo di rito, mentre ha accolto quello avverso il diniego di riassunzione. È evidente dunque che correttamente il primo giudice ha declinato la propria competenza a favore del Consiglio di Stato.

15. A ciò deve aggiungersi che per indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato « avverso i provvedimenti emanati dall’amministrazione successivamente al giudicato di annullamento di proprio precedente provvedimento può ammettersi che, al fine di consentire l’unitarietà di trattazione di tutte le censure svolte dall’interessato a fronte della riedizione del potere, le doglianze relative vengano dedotte con un unico ricorso davanti al giudice dell’ottemperanza, sia in quanto questi è il giudice naturale dell’esecuzione della sentenza, sia in quanto egli è il giudice competente per l’esame della forma di più grave patologia dell’atto, quale è la nullità ». (Cons. Stato. A.p., 15 gennaio 2013, n. 2).

16. Nell’articolazione del ricorso in esame manca una distinzione sul piano formale tra le doglianze formulate ex artt. 33 e 112 c.p.a. e quelle lato sensu demolitorie, sicché la qualificazione degli effettivi petita e causae petendi di ciascuna, in quanto embricati indissolubilmente, non risulta affatto agevole. Le censure più propriamente incentrate sul provvedimento, infatti, si presentano per molti versi come il naturale sviluppo dell’invocato ripristino della carriera del militare. A mero titolo di esempio, basti pensare all’insistito richiamo, che figura anche nel secondo motivo di ricorso, pur riferito alla violazione del giudicato, al contrasto tra l’interpretazione data dal firmatario dell’atto impugnato e quella del proprio superiore gerarchico, che di per sé peraltro non configura un vero e proprio vizio dell’atto.

17. Quanto al presunto difetto di motivazione delle modalità di calcolo seguite - recte , delle diverse risultanze del calcolo stesso - ovvero, in senso ancora più ampio, all’erroneità nella individuazione delle aliquote applicate, trattasi di questione che in quanto afferente al quantum del trattamento pensionistico esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo, come implicitamente riconosciuto anche dal T.a.r. nelle ordinanze n. 17407 e 17408 del 2023, laddove si dà atto di aver prospettato all’udienza dell’11 ottobre 2023 non solo i profili di incompetenza funzionale, ma anche quelli, seppure « in via subordinata, di parziale inammissibilità per difetto di giurisdizione in favore della Corte dei conti ».

18. D’altro canto la scelta della parte di “accettare” lo spostamento di competenza si è ormai estrinsecata prestando acquiescenza alle più volte ricordate ordinanze n. 7807 e n. 7808 del 2023 del Tribunale di prime cure.

19. Chiarito quanto sopra, occorre svolgere le seguenti ulteriori precisazioni in fatto e in diritto.

19.1. Il signor A G ha promosso due giudizi di ottemperanza in ragione dell’avvenuta adozione da parte del Ministero della Difesa di due atti in rapida sequenza temporale tra di loro, ovvero quello del 12 marzo 2014 e quello dell’8 maggio 2014, che in realtà si limita a confermare il precedente, sull’assunto che « nel corso del citato ambito temporale [18 luglio 1999/2 febbraio 2005, n.d.r.] l’interessato non ha percepito alcuna retribuzione da parte dell’Amministrazione Militare e conseguentemente quest’ultima non ha operato il versamento dei relativi contributi previdenziali. Pertanto, il suddetto periodo non può essere considerato ex se valido a fini pensionistici ». In entrambi i casi ha lamentato l’elusione di quanto imposto al Ministero con le sentenze del Consiglio di Stato n. 5310 del 26 luglio 2004 e n. 5511 dell’11 ottobre del 2005. Va tuttavia chiarito come la seconda di tali pronunce, in quanto già decisione sull’ottemperanza, non può essere oggetto di (nuova) ottemperanza, delineando piuttosto ulteriori chiarimenti e precisazioni del quadro giuridico cui comparare la correttezza del comportamento e delle scelte adottate dall’Amministrazione rispetto alle indicazioni propulsive del giudicato originario.

19.2. La sentenza n. 5511 del 2005 fornisce elementi di precisazione della portata conformativa della precedente, che già aveva imposto all’Amministrazione di reintegrare il militare con effetto giuridico e di carriera dal 18 luglio 1999, differendo solo quello economico, ovvero stipendiale, al momento del ripristino del sinallagma prestazionale con la riassunzione vera e propria, avvenuta il 2 febbraio 2006. Ciò in quanto « mentre da un lato la riforma della sentenza del T.a.r. Lazio n. 1309/98 ha definitivamente precluso al ricorrente ogni possibilità di ottenere il ripristino del rapporto di impiego con effetto ex tunc , e cioè con ricostruzione di carriera e corresponsione di arretrati dal 31 marzo 1987 ad oggi, viceversa la riforma della sentenza dello stesso T.a.r. n. 11530/01 e l’accoglimento in appello del relativo ricorso di prime cure dà diritto al Gennari, con correlato obbligo dell’Amministrazione, di ottenere il ripristino del rapporto di impiego, come Vicebrigadiere dei Carabinieri, con effetto ex nunc , vale a dire con le decorrenze fissate dalla decisione ottemperanda (cioè dal 18 luglio 1999 agli effetti giuridici e di carriera;
e dal 2 febbraio 2005 agli effetti economici e di corresponsione della retribuzione)
» (Cons. Stato, n. 5511/2005).

20. Punto essenziale della vicenda è allora se la scelta di non computare tale periodo nel calcolo pensionistico nonché, più in generale, quella di far gravare gli oneri economici necessari alla ricongiunzione dell’attività lavorativa prestata altrove durante lo stesso, sia o meno conforme alle indicazioni rivenienti dal giudicato.

21. L’interessato ha avanzato in data 4 ottobre 2006, ai sensi dell’art. 2 della l. 7 febbraio 1979, n. 29, l’istanza di ricongiungimento riferendola a tutte le attività lavorative svolte al di fuori dell’ambito militare (dal 1° gennaio 1978 al 31 ottobre 1978;
indi dal 1° gennaio 1988 al 13 maggio 2001).

Ciò posto deve innanzitutto chiarirsi da subito che l’unico lasso temporale di interesse nell’odierna controversia è quello successivo al 18 luglio 1999, in quanto data di reintegro nella carriera secondo il giudicato ottemperando.

L’Amministrazione, pronunciandosi su tale richiesta complessiva, ha comunicato via via diverse quantificazioni dell’onere di ricongiunzione, sicché si è di fatto passati da una prima indicazione di euro 6385,98, datata 15 dicembre 2011, a quella del marzo 2014, poi confermata negli importi nel maggio 2014, di euro 17.692,14. A prescindere dalle ragioni di tale incremento, che in quanto riferibile alle aliquote applicate attiene al quantum del regime pensionistico ed esula dalla competenza del giudice amministrativo, con il secondo degli atti impugnati l’Amministrazione ha inequivocabilmente esplicitato di non avere inteso includere nel calcolo il periodo successivo al 18 luglio 1999, sull’assunto che, benché “virtualmente” in servizio, il militare non lo ha effettivamente prestato, sicché l’Amministrazione non ha versato per suo conto alcun contributo. Tale ricostruzione contrasta con la statuizione dell’obbligo di ricostruire interamente la carriera del dipendente a partire da una certa data, obbligo che ragionevolmente impone al Ministero di farsi carico anche della parte previdenziale, non consentendo la formazione di uno iato nella continuità della relativa posizione in ragione del fatto che egli non era in servizio effettivo, non certo per sua scelta. Il numero di annualità da prendere in considerazione, dunque, deve necessariamente comprendere anche quelle tra l’8 luglio 1999 e il 2 febbraio 2005, corrispondente al lasso di tempo durante il quale il dipendente avrebbe dovuto essere riassunto. Ciò proprio perché, come chiarito dalla Direzione generale nella nota del 10 marzo 2014, lo stesso non ha effettuato attività lavorativa presso il Ministero e conseguentemente non ha assunto - rectius , non gli è stato permesso di assumere - alcuna posizione previdenziale presso lo stesso.

22. Va ricordato che per costante giurisprudenza perché sia ravvisabile il vizio di violazione o elusione del giudicato è necessario che la pubblica amministrazione eserciti la potestà pubblica in contrasto con il contenuto precettivo dello stesso, cioè con un obbligo assolutamente puntuale e vincolato, integralmente desumibile nei suoi tratti essenziali dalla sentenza, ovvero che l’attività asseritamente esecutiva della stessa sia connotata in realtà da un manifesto sviamento di potere diretto ad aggirare l’esecuzione delle puntuali prescrizioni ivi stabilite (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. IV, 17 luglio 2020, n.459). Il che è quanto accaduto nel caso di specie, non avendo il Ministero fatto esattamente ciò che la sentenza gli imponeva di fare, ovvero la ricostruzione della carriera giuridica ed economica, id est anche la posizione previdenziale, del militare a far data dal 18 luglio 1999. La circostanza, infatti, che lo stesso abbia svolto altrove la propria attività lavorativa implica esclusivamente che nella ricostruzione non potrà darsi luogo a duplicazioni contributive, ma resta fermo l’onere di garantire continuità alle stesse.

23. La ricostruzione di carriera rappresenta infatti uno degli istituti fondamentali per la definizione dello stato giuridico ed economico del personale, la cui retribuzione dipende, appunto, oltre che dal profilo di appartenenza, anche dall’anzianità, dal servizio pregresso valutabile e riconoscibile, nonché da altri eventuali benefici attribuibili.

24. L’istituto della ricongiunzione costituisce il primo rimedio introdotto nel diritto previdenziale per far fronte al pluralismo che connota l’ordinamento di settore, caratterizzato dalla molteplicità ed eterogeneità dei regimi pensionistici, ognuno con proprie peculiarità e discipline. Esso è stato introdotto, come noto, proprio al fine di scongiurare il rischio di dispersione dei contributi e quindi della loro “sterilizzazione” o utilizzazione solo parziale, nel solco peraltro del diritto unionale, orientato verso la tutela del lavoratore migrante. Fruendo dello stesso (e degli altri che nel tempo gli sono succeduti) il rapporto previdenziale viene considerato unico, proprio perchè le posizioni assicurative in gestioni diverse vengono riunite mediante trasferimento presso un’unica gestione, allo scopo di ottenere la pensione. L’intero trattamento pensionistico quindi viene calcolato secondo la disciplina propria del regime scelto dall’interessato, da presumersi più favorevole. Come chiarito dalla giurisprudenza, la ricongiunzione « consente la concentrazione di tutte le posizioni contributive presso la gestione, prevedibilmente destinata ad erogare la pensione in base al proprio regime, all’uopo trasferendo la contribuzione - effettivamente versata presso più gestioni previdenziali ‘competenti’, in dipendenza dei lavori prestati - ad altra gestione che - in forza di scelta operata dal lavoratore, ricorrendone le prescritte ‘condizioni’ - è deputata ad erogare, all’atto del collocamento a riposo, ‘una unica pensione’ - commisurata a tutti i contributi che vi risultino concentrati - garantendo, di regola, l’accesso al regime più favorevole ed alla prestazione più elevata » (Corte cost., 5 marzo 1999, n. 99 e 5 dicembre 1997, n. 374;
Cass. Civ., SS.UU., 13 febbraio 1999, n. 61;
id., 10 maggio 2001, n. 193;
Cass. Civ., Sez. lav., 4 gennaio 2016, n. 15).

Per i lavoratori pubblici, la ricongiunzione, che non opera automaticamente, ma ad istanza dell’interessato, è disciplinata dalla legge 7 febbraio 1979, n. 29.

25. Nel caso di specie l’avvenuta effettuazione di prestazioni lavorative nel periodo successivo al 18 luglio 1999, in quanto evidentemente necessitata dall’esigenza di garantirsi un impiego, per giunta dopo anni dalla dispensa dal servizio (avvenuta, come già detto, nel 1987) non può andare a svantaggio del dipendente, onerandolo di adempimenti che il giudice ha inteso porre a carico dell’Amministrazione.

A ciò consegue che per quanto concerne il periodo antecedente il 18 luglio 1999 allo stesso non può che applicarsi la disciplina ordinaria, con onere finanziario a carico dell’interessato. Lo stesso non può evidentemente valere per il periodo successivo a tale data. Di ciò è del resto pienamente consapevole la Direzione Generale dell’Amministrazione che, interpellata in merito, non ha esitato a rispondere all’ufficio richiedente che non solo gli anni in questione andavano computati quale anzianità di servizio utile all’attribuzione dell’assegno funzionale, ma ne andava disposta la ricongiunzione « atteso che l’A.D. non ha versato contributi previdenziali [che avrebbe dovuto versare, ove lo stesso fosse stato tempestivamente riassunto] in favore del militare nel periodo dal 18.07.1999 al 02.02.2005 ».

Pertanto avere escluso dal computo degli anni da “ricongiungere” a fini pensionistici quelli successivi alla data di decorrenza del ripristino della carriera giuridica del dipendente si pone in contrasto con la chiara indicazione di segno opposto contenuta nella sentenza del Consiglio di Stato n. 5319 del 2004, per come già chiarita anche dalla successiva sentenza n. 5511 del 2005.

26. A tutto quanto sopra osservato consegue l’accoglimento del ricorso.

L’Amministrazione dovrà pertanto provvedere ad operare il ricongiungimento della posizione previdenziale del ricorrente, con onere a proprio carico limitatamente al periodo successivo alla data della riassunzione “virtuale” (18 luglio 1999) e a carico del dipendente in relazione agli ulteriori archi temporali indicati dall’interessato;
ciò entro il termine di 90 giorni dalla comunicazione o notificazione, se precedente, della presente sentenza.

Per il caso di ulteriore ingiustificato inadempimento si nomina fin d’ora quale commissario ad acta il Direttore Generale dell’INPS di Roma o funzionario dallo stesso delegato, al quale il ricorrente potrà rivolgersi direttamente facendo constare l’inutile decorso del tempo assegnato all’Amministrazione .

27. La complessità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese di lite dell’attuale fase di giudizio, nonché la mancata condanna al pagamento di una somma in ragione di ogni giorno di inadempimento, ben trovando il ritardo pregresso giustificazione nelle difficoltà interpretative affrontate dal responsabile dell’ufficio.

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