Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2014-03-13, n. 201401208

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2014-03-13, n. 201401208
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201401208
Data del deposito : 13 marzo 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 07251/2008 REG.RIC.

N. 01208/2014REG.PROV.COLL.

N. 07251/2008 REG.RIC.

N. 07252/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7251 del 2008, proposto da:
M B, rappresentata e difesa dagli avv. M P, B C d T, F P, G G, con domicilio eletto presso B C d T in Roma, via di Porta Pinciana, 6;

contro

Comune di Quartu Sant'Elena, rappresentato e difeso dall'avv. C A M C, con domicilio eletto presso Gianluigi Falchi in Roma, via Benozzo Gozzoli, 82;



sul ricorso numero di registro generale 7252 del 2008, proposto da:
M B, rappresentata e difesa dagli avv. M P, B C d T, F P, G G, con domicilio eletto presso B C d T in Roma, via di Porta Pinciana, 6;

contro

Comune di Quartu Sant'Elena, rappresentato e difeso dall'avv. C A M C, con domicilio eletto presso Gianluigi Falchi in Roma, via Benozzo Gozzoli, 82;

per la riforma

quanto al ricorso n. 7251 del 2008:

della sentenza del T.a.r. Sardegna - Cagliari: Sezione II n. 00930/2008, resa tra le parti, concernente diniego concessione edilizia in sanatoria

quanto al ricorso n. 7252 del 2008:

della sentenza del T.a.r. Sardegna - Cagliari: Sezione II n. 00931/2008, resa tra le parti, concernente ordine di demolizione

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 febbraio 2014 il Cons. G C e uditi per la parte appellante l’Avv. B C d T;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La signora Brunilde M è proprietaria, nel territorio del Comune di Quartu Sant’Elena, di un immobile adibito a civile abitazione, sul quale ha compiuto dei lavori di ampliamento in assenza dei titoli necessari. In data 22 luglio 1986, ha fatto domanda di concessione edilizia in sanatoria, che il Comune ha respinto con provvedimento n. 19656 del 15 febbraio 1991.

La signora M ha quindi impugnato il provvedimento comunale con ricorso che il T.A.R. per la Sardegna ha rigettato, ritenendo infondati tutti e cinque i motivi proposti (sentenza 12 maggio 2008, n. 930).

La parte soccombente ha interposto appello contro la sentenza (ricorso n. 2008/7251) chiedendone anche la sospensione dell’efficacia esecutiva con domanda cautelare che la Sezione ha respinto (ordinanza 1° ottobre 2008, n. 5119).

L’appello sviluppa tre ordini di censure:

1. mancanza - alla data della pronuncia del Tribunale regionale - del vincolo di inedificabilità sull’area, affermato invece dalla sentenza impugnata, per distanza inferiore a 150 metri dal mare. La normativa regionale imporrebbe tale vincolo solo per le aree ricadenti in determinate zone, fra le quali non rientrerebbe quella dell’immobile in questione, passato dalla zona F alla zona C per effetto del piano urbanistico comunale – P.U.C. approvato con delibera n. 33 del 18 marzo 1997;

2. sussistenza del nulla-osta paesistico ai sensi dell’art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 32, rilasciato dalla Regione con provvedimento n. 4917 del 16 giugno 1998, dopo che un precedente rifiuto era stato ritenuto illegittimo e annullato dal medesimo T.A.R. (sentenza 8 giugno 1995, n. 1055);

3. errore nei presupposti, avendo il Tribunale trascurato la decisione del Comune di prendere atto del nulla osta regionale e di rimettere la pratica alla commissione edilizia in vista di una possibile revoca del divieto di sanatoria (nota n. 234 del 14 marzo 2003).

L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio per resistere all’appello.

Nell’ambito della medesima vicenda, il Comune ha adottato un provvedimento di demolizione (ordinanza sindacale n. 291 in data 7 maggio 1998), del pari impugnato dalla signora M con ricorso che il T.A.R. per la Sardegna, sez. II, ha nuovamente respinto (sentenza 12 maggio 2008, n.931).

Anche contro tale sentenza la parte privata ha interposto appello (ricorso n. 2008/7252), chiedendone la sospensione dell’efficacia esecutiva con domanda cautelare che la Sezione ha accolto (ordinanza 1° ottobre 2008, n. 5120).

Nel merito, l’appello censura la sentenza di primo grado articolando diffusamente i motivi che seguono:

1. violazione di legge ed errore nei presupposti, essendo illegittima la decisione del Comune – posta a base dell’ordinanza – di rigetto della domanda di sanatoria,

2. mancata comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento: nella specie, l’atto adottato non potrebbe ritenersi del tutto vincolato, tanto è vero che l’Amministrazione avrebbe promosso il riesame della domanda;
mancata motivazione, anche con riguardo al lungo tempo trascorso fra la realizzazione dell’opera e l’ordine di demolizione;

3. in via subordinata, perdita di efficacia dell’ordinanza impugnata, dovendosi ritenere ancora pendente la procedura della concessione in sanatoria.

L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio per resistere all’appello.

Dichiarato perento il giudizio con decreto del Presidente della Sezione 2 marzo 2011, n. 75, quest’ultimo è stato revocato, a seguito di opposizione dell’appellante, con sentenza 20 luglio 2011, n. 4375.

All’udienza pubblica dell’11 febbraio 2014, entrambi gli appelli sono stati chiamati e trattenuti in decisione.

DIRITTO

Gli appelli in esame riguardano diverse scansioni della stessa vicenda. Pertanto, essi vanno riuniti a norma dell’art. 70 c.p.a.

Quanto al ricorso n. 2008/7251, l’infondatezza del gravame è evidente alla luce della cronologia dei fatti:

- l’ampliamento contestato, per ammissione della stessa parte privata, risale a un periodo intercorrente tra il 1982 e il 1983;

- all’epoca, l’immobile si trovava in zona F, posto che solo nel 1997 il P.U.C. ha classificato l’area in zona C;

- il provvedimento di diniego impugnato è del 1991;

- valeva dunque al momento la legislazione regionale ricordata dall’appello (in particolare: l’art. 14, lett. b), della legge regionale 19 maggio 1981, n. 17, che per le zone F stabiliva un vincolo di inedificabilità assoluta sino alla distanza di 150 metri dal mare.

Su tali incontestate premesse, non può dunque che applicarsi l’art. 33 della legge n. 47 del 1985, che considera non suscettibili di sanatoria le opere abusive quando siano – tra l’altro – in contrasto con i vincoli imposti da norme statali e regionali a difesa delle coste marine, lacuali e fluviali, tali vincoli comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse.

Dal canto suo, l’art. 28 della legge regionale 19 maggio 1981, n. 23, esclude la sanabilità delle opere realizzate all’interno della fascia di rispetto di 150 metri dal mare, con riguardo alle zone elencate dalla citata legge regionale n. 17 del 1981.

L’impossibilità di condonare l’abuso, dunque, è palese (per un precedente in termini, relativo alla Regione Sardegna, cfr. Cons. Stato, sez. V, 15 dicembre 2005, n. 7138). E del tutto irrilevante è il successivo rilascio del nulla-osta paesistico, su cui l’appellante fa leva. Per giurisprudenza costante, infatti (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. VI, 6 maggio 2013, n. 2409), il principio tempus regit actum impone di avere riguardo al regime vincolistico sussistente alla data di esame della domanda di sanatoria, rispetto alla quale eventuali sopravvenienze potrebbero assumere rilievo nella sola ipotesi - ben diversa, e in un certo senso opposta a quella che qui ricorre - del vincolo di inedificabilità assoluta posto in un momento successivo all’edificazione (con le conseguenze esaminate, ad es., da Cons. Stato, sez. VI, n. 2409 del 2013, ora citata, in relazione appunto alla necessità di acquisire il parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo).

Dalle considerazioni che precedono, discende che – come anticipato – l’appello non ha pregio e va perciò respinto.

Egualmente infondato è l’appello n. 2008/7252.

Come si è appena visto, il presupposto dell’ordinanza di demolizione impugnata (cioè il diniego di sanatoria) è del tutto legittimo.

La mancata comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento, prevista dall’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, non conduce all’annullabilità del provvedimento, trattandosi di un inadempimento meramente formale rispetto a un atto di natura vincolata, il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (cfr. art. 21 octies, comma 2, della citata legge n. 241 del 1990, che - sebbene inserito dall'articolo 14, comma 1, della legge 11 febbraio 2005, n. 15 - il Collegio ritiene comunque applicabile alla vicenda, per trattarsi di una disposizione ricognitiva di una regola già esistente e non innovativa).

A tale riguardo, il Collegio non può qui non ribadire quanto più volte precisato da questo Consiglio di Stato (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. IV, 26 settembre 2008, n. 4659;
Id., sez. IV, 4 febbraio 2013, n. 666;
Id., sez. IV, 25 giugno 2013, n. 3471) e cioè che nei procedimenti preordinati all'emanazione di ordinanze di demolizione di opere edili abusive non trova applicazione l'obbligo di comunicare l'avvio dell'iter procedimentale in ragione della natura vincolata del potere repressivo esercitato, che rende di per sé inconfigurabile un qualunque apporto partecipativo del privato. In questo senso va così intesa la ricorrente affermazione del medesimo Consiglio di Stato, secondo cui le norme sulla partecipazione del privato al procedimento amministrativo non vanno applicate meccanicamente e formalmente (così testualmente da ultimo, anche sez. IV, 17 settembre 2012, n. 4925;
sez. IV, 4 giugno 2013, n. 3072, proprio con riguardo all’ipotesi del provvedimento vincolato).

Non è destinato a miglior sorte, infine, il punto relativo al preteso difetto di motivazione, che deriverebbe dall’essere l’ordine di demolizione intervenuto, senza adeguata considerazione dell’interesse pubblico, per un manufatto che si assume realizzato oltre 15 anni prima dell’adozione del provvedimento impugnato.

Al contrario, è principio consolidato che la demolizione degli abusi edilizi non richieda nessuna specifica motivazione, necessaria invece in casi di contrarie determinazioni. L'ordine di demolizione di opera edilizia abusiva è sufficientemente motivato, cioè, con l'affermazione dell’accertata abusività del manufatto.

Resta soltanto salva - per taluni orientamenti giurisprudenziali, comunque di frequente contestati - l'ipotesi in cui, per il lungo intervallo di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso e il protrarsi della inerzia dell'Amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato. E’ questa la sola vicenda in cui potrebbe essere lecito ravvisare un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all’entità e alla tipologia dell'abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso e ulteriore rispetto a quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato (per tutti, Cons. Stato, sez. IV, 6 giugno 2008, n. 2705).

Senonché, premesso che l’orientamento da ultimo richiamato non convince il Collegio, che preferisce l’indirizzo dominante sull’inesistenza di un obbligo di motivazione “ulteriore”, nella specie non sussiste alcun elemento idoneo a sovvertire il richiamato principio della prevalenza del pubblico interesse alla rimozione dell’illecito, tale non potendosi ritenere l’avvio del riesame della pratica, che non risulta avere avuto alcun seguito e comunque – per le ragioni sopra esposte – non potrebbe mai condurre alla concessione della sanatoria.

Dimostrata la mancanza della c.d. doppia conformità urbanistica, l’art. 36 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 360, non appare richiamato a proposito.

In definitiva - come detto sopra - anche il secondo appello deve essere respinto.

Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.

Tuttavia, apprezzate le circostanze, le spese di giudizio possono essere compensate fra le parti.

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