Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-07-18, n. 201703524

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-07-18, n. 201703524
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201703524
Data del deposito : 18 luglio 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/07/2017

N. 03524/2017REG.PROV.COLL.

N. 02377/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2377 del 2016, proposto dal Ministero dello sviluppo economico - Dipartimento delle comunicazioni, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

contro

la società Euromedia a r.l. e l’«Associazione Rosina Attardi», in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dall'avvocato G B, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Panama, n. 77;

per l’annullamento e la riforma

della sentenza del TAR Lazio, sede di Roma, sezione I, 24 novembre 2015 n.13274, resa fra le parti, che ha pronunciato sul ricorso n.10175/2015, proposto per l’annullamento:

a) del decreto 10 giugno 2013, n. 37847, del Ministero per lo sviluppo economico – MISE, di annullamento dell’art. 5, comma 3 dell'autorizzazione 31 luglio 2012, n. 63160, che prevede siano trasferibili le frequenze oggetto dei diritti d'uso a trasmettere in tecnica digitale terrestre sul CH 28, che opera in Contrada Belvedere di Licodia Eubea (CT), concesse all'emittente televisiva Tv Europa;

b) del decreto 19 marzo 2015, n. 11708, del MISE, con il quale si nega la voltura della predetta frequenza CH 28 dalla azienda cedente Tv Europa, di proprietà della Euromedia, alla azienda cessionaria Cinquestelle Canale 8, di proprietà della «Associazione Rosina Attardi»;

c) della lista degli assegnatari dei "diritti d'uso" delle frequenze televisive in Sicilia, pubblicata il giorno 14 luglio 2015 sul sito www.sviluppoeconomico.gov.it, nella parte in cui non include la citata emittente Cinquestelle Canale 8 quale assegnataria del diritto d'uso a trasmettere in tecnica digitale terrestre sul CH 28, cedutole quale ramo d'azienda da Tv Europa;

In particolare, la sentenza ha dato atto dell’intervenuto annullamento in altra sede del decreto 10 giugno 2013 ed ha annullato il decreto 19 marzo 2015;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della s.r.l. Euromedia e della «Associazione Rosina Attardi»;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 giugno 2017 il Cons. F G S e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Alessia Urbani Neri e l’avvocato Gianluca Guglielmetti, per delega dell’avvocato G B;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. In tempi recenti, il servizio radiotelevisivo è stato interessato dal cd switch off , ovvero dal passaggio, in conformità alle nuove e migliori tecnologie disponibili, dalla trasmissione in modalità analogica a quella in modalità digitale.

Di conseguenza, le radiofrequenze utilizzate per la trasmissione analogica sono state disattivate ed ai soggetti, ovvero alle stazioni televisive, che prima le utilizzavano, è stata data la possibilità di vedersi assegnate una o più frequenze per la trasmissione digitale.

Lo strumento tecnico utilizzato a tal fine dal Ministero per lo sviluppo economico – MISE, e per esso dalla Direzione generale a ciò preposta, è stato l’emanazione di appositi bandi, che per gli operatori locali sono stati redatti tendenzialmente su base regionale, finalizzati a formare una graduatoria fra gli aspiranti, in modo del tutto analogo a quanto avviene per la generalità delle pubbliche gare, il tutto così come previsto dall’art. 4 del d.l. 31 marzo 2011, n. 34, convertito con modificazioni dalla l. 26 maggio 2011, n. 75.

Per quanto qui interessa, il MISE ha quindi emanato per la Regione Sicilia il bando di cui al provvedimento 20 marzo 2012 del Dipartimento comunicazioni, Direzione generale per i servizi di comunicazione elettronica e di radiodiffusione.

A tale bando ha partecipato la prima ricorrente appellata, che all’epoca era titolare dell’emittente televisiva “TV Europa”, costituita in un’«intesa» con altri quattro operatori del settore, ovvero la Associazione Pubbliservices, titolare dell’emittente “Cinquestelle Canale 8”, ed altri tre soggetti, estranei alla vicenda per cui è causa.

L’«intesa» suddetta, all’esito della procedura, si è collocata al diciannovesimo posto in graduatoria, non utile per l’assegnazione in base al bando stesso, che comprendeva diciotto frequenze.

Ciò considerato, il MISE, con la nota 18 giugno 2012, n. 50833, ha convocato presso la propria sede tutti i soggetti partecipanti all’«intesa» in questione, «ai fini della valutazione di una possibile assegnazione di risorse frequenziali».

A seguito di tale convocazione, il MISE per quanto qui interessa ha disposto due assegnazioni di frequenza, definibili come ‘provvisorie’, a vantaggio di due membri dell’«intesa».

Con un primo atto 31 luglio 2012, il Ministero ha assegnato un canale per le trasmissioni in digitale terrestre alla citata Associazione Pubbliservices (v. in proposito la sentenza del TAR per il Lazio, Sede di Roma, Sez. I, 17 novembre 2014, n. 11508).

Con altro atto del 31 luglio 2012, il Ministero ha poi assegnato un altro canale dello stesso tipo, il CH 28 operante da Licodia Eubea, alla ricorrente appellata, con autorizzazione che – per l’art. 1, comma 2, del provvedimento - «ha un carattere temporaneo e potrà essere revocata in qualsiasi momento dall’amministrazione qualora dovessero verificarsi le esigenze di urgenza e diversa destinazione d’uso del canale».

I due provvedimenti hanno un contenuto in comune: entrambi stabiliscono all’art. 5, comma 3, che «l’autorizzazione di cui al presente provvedimento è trasferibile su iniziativa dell’assegnatario, conformemente all’art. 14 ter del codice delle comunicazioni elettroniche n. 259/03 e dell’art. 8 novies comma 3 della legge n. 101 del 6 giugno 2008 e successive modifiche e integrazioni».

Successivamente, la prima appellata ha ceduto alla associazione seconda appellata - la quale gestisce per conto proprio, l’emittente “Cinquestelle Canale 8” - il ramo di azienda che comprende l’emittente “TV Europa”, e con esso il CH 28 di cui si è detto.

Di conseguenza, l’associazione cessionaria ha chiesto al MISE la voltura dell’autorizzazione ad utilizzare il canale in questione.

A fronte di ciò, il MISE, con il provvedimento n. 11708/2013, ha negato la voltura, facendo rinvio in motivazione al precedente proprio atto n. 37847/2013, di cui ha riassunto il contenuto.

Nell’atto n. 37847/2013, a sua volta, il MISE ha premesso che la titolare di “TV Europa” non è «titolare di diritto d’uso in quanto non utilmente collocata nella graduatoria di assegnazione delle frequenze in tecnica digitale della Regione Sicilia e che pertanto l’autorizzazione alla stessa rilasciata non è soggetta alla disciplina di cui all’art. 14 ter del d. lgs. 1 agosto 2003, n. 259, e successive modifiche e integrazioni», ed ha quindi annullato l’art. 5, comma 3, del provvedimento di assegnazione, determinandone la non trasferibilità.

Contro il provvedimento di diniego di voltura, il presupposto provvedimento di annullamento parziale e il consequenziale elenco degli assegnatari di cui pure meglio in epigrafe, hanno proposto congiuntamente ricorso in primo grado l’assegnataria e la cessionaria.

Con la sentenza indicata in epigrafe, il TAR ha accolto il ricorso, con le motivazioni che si riassumono.

In primo luogo, il TAR ha accolto il motivo di ricorso fondato su una asserita violazione di una propria precedente sentenza, 17 novembre 2014, n. 11508, in quel momento appellata, ma comunque esecutiva.

Era accaduto che l’Associazione Pubbliservices, anch’essa assegnataria di un canale in via provvisoria, lo aveva a sua volta ceduto alla stessa seconda appellata, titolare dell’emittente “Cinquestelle Canale 8”.

Quest’ultima si era vista negare anche in questo caso la voltura, per ragioni identiche a quelle per cui è causa, aveva impugnato l’atto di diniego e l’identico atto di annullamento della clausola di trasferibilità dell’autorizzazione, e aveva visto accogliere il proprio ricorso.

Pertanto, a dire del TAR, nel caso che interessa il MISE aveva fondato il proprio ulteriore diniego di voltura su un atto già annullato.

In secondo luogo, il TAR, richiamando quanto affermato nella motivazione della citata sentenza n. 11508/2014, ha accolto il motivo di ricorso fondato sulla violazione dell’art. 21 novies della l. 7 agosto 1990, n. 241, ed ha ritenuto che l’annullamento della clausola di trasferibilità non fosse stato in realtà disposto, e comunque non considerasse la necessaria comparazione dell’interesse pubblico all’annullamento con quello privato a mantenerla.

In terzo luogo, il TAR ha ritenuto fondato il motivo fondato sulla mancanza del preavviso di diniego di cui all’art. 10 bis l. 241/1990.

Contro tale sentenza, ha proposto impugnazione il MISE, con appello contenente tre motivi:

- con il primo di essi, deduce la violazione degli artt. 21 octies e 21 novies della l. 241/1990 e sostiene che il TAR avrebbe errato nel ritenere che l’atto di annullamento della clausola di trasferibilità fosse stato già annullato, e puntualizza che l’annullamento disposto con la sentenza n. 11508/2014, pur avendo identico contenuto rispetto a quello per cui è causa, riguardava un diverso atto di autotutela (con identica data, ma con numero di protocollo n. 37858, relativo ad un diverso soggetto, la Associazione Pubbliservices);

- con il secondo motivo, deduce la violazione dell’art. 10 bis l. n. 241/1990, perché a suo dire il diniego di voltura era atto di contenuti “puramente consequenziali” all’annullamento della clausola di trasferibilità, e quindi, secondo logica, nessun preavviso di diniego sarebbe stato dovuto;

- con il terzo motivo, deduce infine la violazione e la falsa applicazione dell’art. 4 del d.l. 31 marzo 2011, n. 34, e contesta l’affermazione che a suo dire si troverebbe nella sentenza, ovvero che secondo il TAR con l’assegnazione provvisoria per cui è causa si sarebbe operato uno «scorrimento della graduatoria» (v. l’atto d’appello, p. 14 dal quinto rigo) e quindi una assegnazione della frequenza pura e semplice. Il Ministero osserva infatti che il diritto attribuito alle appellate non sarebbe trasferibile, perché non costituisce un diritto d’uso pieno della frequenza assegnata, e che quindi il provvedimento che avrebbe disposto in contrario sarebbe stato illegittimo ed aggiunge che vi sarebbe stato un interesse pubblico corrispondente ad annullare la clausola in questione, interesse di rango superiore a qualsiasi affidamento dei privati.

Le appellate hanno resistito, con memorie depositate in data 30 maggio 2016 e 3 giugno 2016, ed hanno chiesto che l’appello sia respinto.

Con l’ordinanza 10 giugno 2016, n. 2145, la Sezione ha respinto la domanda cautelare, ritenendo prevalente l’interesse delle appellate a continuare la loro attività.

Con memoria depositata in data 12 maggio 2017, le appellate hanno poi ribadito le loro difese, che si richiamano alla motivazione della sentenza impugnata e il successivo 26 maggio 2017 hanno poi prodotto copia della sentenza di questo Consiglio, Sez. III, 12 maggio 2017, n. 2208, la quale ha respinto l’appello del MISE contro la ricordata sentenza n. 11508/2014.

All’udienza del giorno 15 giugno 2017, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.

DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è fondato, perché la sentenza impugnata contiene sul punto una motivazione errata in fatto.

E’ vero a tale proposito che la sentenza del TAR Lazio 11508/2014, confermata in appello dalla sentenza di questo Consiglio Sez. III n. 2208/2017, riguardava non il caso di specie, ma un caso diverso, ancorché analogo.

Essa infatti pronuncia sull’atto di autotutela di protocollo 37858 e di data e contenuto identici a quello impugnato in questa sede, con il quale il MISE aveva annullato la clausola di trasferibilità contenuta nel parimenti identico atto 31 luglio 2012, di assegnazione di un canale per le trasmissioni in digitale terrestre alla Associazione Pubbliservices, ovvero ad un soggetto che all’evidenza non coincide con alcuna delle parti di questo processo.

Vale quindi in proposito il principio pacifico, che come tale non richiede puntuali citazioni di giurisprudenza, per cui la sentenza è giuridicamente efficace soltanto fra le parti, altro essendo, lo si aggiunge per completezza, il valore persuasivo che essa può in fatto assumere nel giudizio su un caso analogo.

Tale principio trova una sua deroga quando la sentenza di annullamento – avendo ad oggetto un atto generale a contenuto inscindibile – abbia efficacia erga omnes , corrispondente a quella dell’atto annullato, ma non è questo il caso all’esame della Sezione, in cui la precedente sentenza del TAR aveva riguardato atti emessi nei confronti di uno specifico destinatario.

2. Peraltro, la fondatezza del motivo appena esaminato non comporta, nel caso presente, l’accoglimento dell’appello.

La sentenza impugnata, infatti, si fonda su distinte ed autonome rationes decidendi , ciascuna delle quali idonea a giustificarne il dispositivo.

Devono quindi essere scrutinati gli ulteriori motivi di appello, che si riferiscono appunto alle ulteriori ragioni poste a sostegno della sentenza, perché una sua riforma si può avere solo se anch’essi risultino fondati: sul principio, fra le molte, C.d.S. sez. V, 1° agosto 2015, n. 3773, e sez. VI, 27 luglio 2015, n. 3667.

3. Ciò posto, il secondo motivo di appello è infondato.

E’ sicuramente vero, per ragioni logiche prima che giuridiche, quanto sostiene la difesa del Ministero, ovvero che il diniego di voltura, una volta ammesso che l’atto di assegnazione del canale non fosse trasferibile, era un atto necessitato.

Tale affermazione però non comporta le conseguenze volute dall’amministrazione appellante.

Le appellate hanno avuto notizia in via contestuale dei due provvedimenti per loro pregiudizievoli, che nei loro confronti hanno operato come un unico provvedimento di contenuto complesso, e in linea di fatto non hanno avuto possibilità alcuna di rappresentare il loro punto di vista nel procedimento relativo, sia quanto al diniego di voltura, sia quanto all’annullamento della clausola di trasferibilità che ne era il presupposto.

Il preavviso di diniego, quindi, si sarebbe dovuto comunicare, a fronte della domanda di voltura, prima di adottare ciascuno dei due atti pregiudizievoli.

4. E’ a sua volta infondato anche il terzo motivo di appello.

L’art. 21 novies , comma 1, prima parte, della l. 241/1990, nel testo vigente all’epoca dei fatti, disponeva che « Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell' articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge ».

L’annullamento d’ufficio richiedeva quindi, e richiede tuttora, dato che le modifiche successivamente introdotte alla norma citata non hanno disposto diversamente sul punto, tre presupposti, ovvero l’illegittimità dell’atto sul quale si interviene, un interesse pubblico all’autotutela, che pacificamente non si riduce al mero interesse a ristabilire la legalità, e una comparazione di tale interesse con quello privato al mantenimento dell’efficacia dell’atto, che deve risultare, all’esito, meritevole di minor tutela.

5. Nel caso di specie, difetta anzitutto il primo di questi presupposti, ovvero l’illegittimità in origine dell’atto impugnato, meglio detto della clausola in esso contenuta, che rendeva trasferibile la frequenza attribuita.

Il trasferimento dei diritti d’uso delle frequenze in questione è disciplinato anzitutto dall’art. 8 novies , comma 3, del d. l. 8 aprile 2008, n. 59, convertito nella l. 6 giugno 2008, n. 101, correttamente citato dal MISE nell’atto di assegnazione descritto in premesse, che dispone letteralmente: « Fermo restando quanto stabilito dalla vigente normativa in materia di radiodiffusione televisiva, il trasferimento di frequenze tra due soggetti titolari di autorizzazione generale avviene nel rispetto dell'articolo 14 del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 ».

Il riferimento originario, ovvero il testo previgente dell’art. 14 d. lgs. 259/2003, che si riporta per chiarezza, conteneva di questa fattispecie una disciplina piuttosto sintetica, limitandosi a stabilire, al comma 3, che « Fermo restando quanto stabilito da norme di legge o di regolamento in materia di radiodiffusione sonora e televisiva, i diritti di uso delle frequenze con limitata disponibilità di banda e conseguentemente assegnati ad un numero predeterminato di operatori, possono essere trasferiti su base commerciale dagli operatori che ne hanno legittima disponibilità ad altri operatori già autorizzati a fornire una rete con analoga tecnologia, con le modalità di cui ai commi 4 e 5 », ovvero in sintesi previo nulla osta richiesto al Ministero.

Peraltro, ai fatti di causa è applicabile l’art. 14 ter dello stesso codice n. 259/2003, inserito dall’art. 11, comma 1, del d. lgs. 28 maggio 2012, n. 70, e in vigore dal 1° giugno 2012: esso disciplina la fattispecie del trasferimento, gli va quindi riferito il rinvio dell’art. 8 novies d.l. n. 59/2008, e ancora una volta correttamente lo richiama il MISE nel provvedimento di assegnazione.

6. L’art. 14 ter dispone, per quanto interessa: « Le imprese titolari di diritti individuali di uso delle radiofrequenze nelle bande individuate dalla Commissione europea a norma dell'articolo 9-ter, paragrafo 3, della direttiva 2002/21/CE, possono trasferire o affittare ad altre imprese le frequenze radio oggetto dei diritti d'uso, secondo le condizioni legate a tali diritti d'uso, con le modalità di cui ai commi 5 e 6 » (comma 1). « Fermo restando quanto stabilito dal comma 1, i diritti di uso delle frequenze in bande con limitata disponibilità e conseguentemente assegnati ad un numero predeterminato di operatori, possono essere trasferiti su base commerciale dagli operatori che ne hanno legittima disponibilità ad altri operatori già autorizzati con le modalità di cui ai commi 5 e 6 e nel rispetto delle eventuali deroghe adottate ai sensi dei commi 3 e 4 dell’articolo 1. Per le altre frequenze il trasferimento dei diritti di uso è assoggettato alle disposizioni di cui all’articolo 25, comma 8» (comma 2). « Salvo diverse indicazioni del Ministero o dell'Autorità, le condizioni cui sono soggetti i diritti individuali d'uso delle frequenze radio continuano ad applicarsi anche dopo il trasferimento o l'affitto» (comma 3). « Resta fermo il potere del Ministero e dell'Autorità di stabilire le condizioni di assegnazione dei diritti individuali d'uso delle frequenze, anche disponendo il divieto di trasferimento e affitto dei diritti d'uso eventualmente ottenuti a titolo gratuito« (comma 4).

7. Sulla base delle norme riportate, deriva immediatamente la piena legittimità, anzitutto in astratto, della clausola, contenuta nell’atto di assegnazione, che sanciva la trasferibilità della frequenza così ottenuta: essa è conforme alla prima parte del comma 2, che la consente in modo espresso, e il MISE, se la avesse voluta escludere, avrebbe dovuto farlo espressamente, così come consentitogli dal successivo comma 4.

Le norme stesse rendono poi priva di significato la preoccupazione espressa dal Ministero appellante nei propri atti (si veda in particolare l’appello alle pp. 16 e ss.), secondo la quale il consentire la cessione sarebbe equivalso a trasformare il diritto attribuito alle appellate - di natura precaria, perché revocabile a discrezione - in un diritto pieno, non più soggetto a tali limitazioni.

Sul punto infatti è esplicito il comma 3, per cui il trasferimento del diritto non ne altera il contenuto: per conseguenza, un diritto precario resta tale anche rispetto all’avente causa.

In tali termini, quindi, la clausola annullata doveva ritenersi legittima, e non annullabile.

8. Peraltro, nel provvedimento di annullamento riportato in premesse, il MISE contrasta per implicito tale ordine di idee, sostenendo la tesi poi sviluppata nell’appello (in particolare si veda p. 17), ovvero che l’atto di assegnazione avrebbe avuto ad oggetto non un diritto d’uso della frequenza, disciplinato dall’art. 14 ter , ma una situazione giuridica di tipo diverso, che non viene espressamente qualificata in termini giuridici, ma sarebbe non trasferibile per sua natura.

E’ implicito in tale tesi che tale intrasferibilità deriverebbe da una norma imperativa, anch’essa non specificamente indicata, ma tale da rendere illegittima la clausola che ad essa deroghi.

9. Tale ordine di idee non va condiviso.

In primo luogo, è in astratto contestabile che una siffatta situazione giuridica di rango minore, diversa dal diritto d’uso, ma in assoluto non trasferibile, sia configurabile, tenuto conto che in base all’art. 14 ter l’amministrazione può conformare in vario modo il diritto d’uso attribuito, e quindi può consentire per implicito anche un diritto d’uso precario come quello di cui si tratta, che però rimane tale quanto alla trasferibilità, salvo che l’amministrazione stessa non disponga altrimenti.

In concreto, poi, va condiviso il rilievo espresso - come si è detto a proposito di un caso identico - dalla citata sentenza della Sez. III n. 2208/2017: la fonte costitutiva del diritto attribuito alle appellate è pur sempre l’originaria selezione pubblica, dalla quale il MISE ha deciso di attingere, e ciò indipendentemente dalla qualificazione giuridica che di quest’operazione si voglia dare, in termini di “scorrimento della graduatoria” o altrimenti.

Sarebbe pertanto illogico ritenere che dalla medesima fonte fossero originati diritti intrinsecamente diversi.

10. Dell’annullamento d’ufficio operato, pertanto, manca il primo dei necessari presupposti, e ciò rende superflua qualsiasi ulteriore indagine sulla possibile sussistenza di quelli ulteriori.

11. In conclusione, quindi, la sentenza impugnata va confermata, con la diversa motivazione di cui sopra.

12. La particolarità del caso deciso, su cui non constano precedenti editi negli esatti termini, è giusto motivo per compensare le spese del presente grado di giudizio.

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