Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-06-28, n. 201803986

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-06-28, n. 201803986
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201803986
Data del deposito : 28 giugno 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/06/2018

N. 03986/2018REG.PROV.COLL.

N. 03436/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3436 del 2017, proposto dalla Signora S Z, rappresentata e difesa dagli avvocati M A Q, V P, con domicilio eletto presso lo studio Francesco Paoletti in Roma, via Maresciallo Pilsudski n. 118;

contro

Comune di Genova, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati L D P, G P, con domicilio eletto presso lo studio G P in Roma, viale Giulio Cesare 14;
Citta' Metropolitana di Genova, Regione Liguria non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 1103/2016.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Genova;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 giugno 2018 il consigliere F T e uditi per le parti gli avvocati Francesco Paoletti su delega di M A Q e G P;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe appellata, n. 1103 dell’8 novembre 2016 il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria– sede di Genova – ha esaminato e respinto il ricorso proposto dalla signora S Z volto ad ottenere l’annullamento degli atti di approvazione del PUC di Genova, nella parte in cui inseriscono i terreni di sua proprietà in zona BB-CE, e segnatamente della deliberazione 4.3.2015, n. 8 del consiglio comunale di Genova, della deliberazione 30.7.2015, n. 42 del consiglio comunale di Genova, delle risultanze e dell’approvazione della conferenza dei servizi istruttoria;
delle controdeduzioni;
degli esiti della conferenza dei servizi referente 6.8.2015;
degli esiti della conferenza dei servizi decisoria 4.11.2015;
della deliberazione 3.11.2015, n. 1201 della giunta regionale;
della deliberazione 2.11.2015, n. 3858 della città metropolitana di Genova;
del voto 686 del CTU regionale 29.10.2015;
della deliberazione 24.11.2015, n. 57 del consiglio comunale di Genova;
della determinazione 2015-118.0.0 del dirigente del comune di Genova.

2. La signora S Z originaria ricorrente aveva proposto articolate censure di violazione di legge ed eccesso di potere;
essa aveva anche chiesto la condanna delle amministrazioni intimate al risarcimento del danno.

3. Il comune di Genova si era costituito in giudizio, chiedendo la declaratoria di inammissibilità, ovvero la reiezione del ricorso in quanto infondato.

4. Il Ta.r. con la predetta sentenza n. 1103 ha innanzitutto fatto presente, in punto di fatto, che:

a) la originaria ricorrente era proprietaria di un’area ubicata nella zona Marassi del comune di Genova in fregio a via Centurione Bracelli, che in precedenza era vocata all’edificazione privata;

b) lo strumento urbanistico previgente aveva collocato il sedime nella zona residenziale ‘BB’, conferendogli un determinato indice edificatorio, mentre quello entrato in vigore nel 2015 aveva mutato la classificazione in ‘BB-CE’ (con l’esclusione, quindi, di ogni possibilità di edificazione privata);

c) in particolare si trattava di un’area collinare ricoperta da verde spontaneo, tuttavia contornata da un’estesa e poco ordinata edificazione risalente agli anni settanta del decorso secolo;
le mappe prodotte documentavano che il fondo era collocato su un pendio che degradava verso la valle del Bisagno da una parte, e in particolare sul più piccolo rio Ferreggiano che aveva causato la più recente alluvione di Genova;

d) la deliberazione 73/2010 del consiglio comunale aveva respinto (tra le altre) le osservazioni presentate dall’interessata, rilevando la necessità di dare attuazione alla legge regione Liguria 16/2008 nel frattempo approvata, che imponeva anche di porre riparo ai difetti della pregressa pianificazione nella parte in cui non era stato assicurato il controllo delle trasformazioni edilizie nelle zone di tipo ‘B’. Una delle ipotesi previste per raggiungere tale fine era costituita dall’imposizione di pause nell’edificato, così da ridurre l’impermeabilizzazione del suolo (relazione illustrativa alla variante del PUC 2000) che veniva considerata una delle cause delle ricorrenti inondazioni che colpiscono proprio la valle del Bisagno, nella parte in cui il torrente attraversa l’abitato di Genova.

4.1. Il T.a.r. ha quindi partitamente esaminato censure di merito e le ha respinte, sui seguenti rilievi:

a) non poteva darsi ingresso a censure impingenti nel merito;

b) era corretta l’impostazione del piano regolatore nella parte in cui introduceva previsioni di destinazione non edificatoria al fine di salvaguardare l’ambiente urbano ritenuto poco vivibile a causa delle costruzioni che lo caratterizzavano: era corretto il rilievo secondo cui la segnalazione relativa alla presenza di pini neri ( essenze rare e come tali tutelate) era effettivamente erronea, ma tale vizio non era tale da connotare le deliberazioni “vincolistiche” come illegittime per eccesso di potere per difetto di istruttoria;

c) non sussisteva la violazione dell’art. 2 della legge urbanistica regionale 36/1997, nel testo modificato dalla legge 11 del 2015, sotto il profilo del difetto di motivazione, in quanto:

I) l’amministrazione comunale si era posta l’obiettivo di ridurre l’edificazione (pagina 11 della citata relazione alla variante 2010 del PUC previgente, atto valorizzato anche nel corso dell’istruttoria che aveva portato all’approvazione dello strumento vigente) soprattutto nelle Zone B dell’abitato, stimando con ciò che erano state eccessivamente urbanizzate nelle precedenti epoche, allorché la città di Genova si pose il problema di accogliere le numerose persone che abbandonarono le campagne e le montagne circostanti;

II) l’Amministrazione aveva ritenuto, quindi, che l’urbanizzazione andasse diradata soprattutto nelle zone ‘B’ (il sedime in questione si presentava rilevante in quanto ubicato in una zona collinare che in occasione delle forti piogge raccoglieva una quantità d’acqua che il Bisagno non riusciva a smaltire convenientemente), dal che emergeva la enucleabilità di una motivazione desumibile dagli atti impugnati sufficiente a dar conto delle scelte effettuate;

d) neppure era ravvisabile l’asserita contraddittorietà della destinazione assegnata all’area con la generale previsione del piano, che da un lato assegnava al fondo la funzione di conservazione, e d’altro canto vi ammetteva la possibilità di insediamenti alberghieri, in quanto:

I) l’ipotesi di insediare un albergo nell’area in questione costituiva una forma di adempimento alla prescrizione dell’art. 33 della legge regionale 36/1997, che richiamava l’attenzione del pianificatore sul carico urbanistico che un sedime poteva sopportare;

II) rilevavano in senso contrario alla tesi della originaria ricorrente le previsioni del piano stesso sul carico diverso in termini di standard che derivavano da un albergo rispetto a quelle discendenti da un palazzo;

III) quel che il comune aveva inteso evitare era la conurbazione che sarebbe derivata dalla costruzione progettata dall’architetto B per conto della proprietà, essendo evidente che un albergo occuperebbe un’area verde inferiore e la impegnerebbe con un carico minore di residenze, autovetture e necessità di servizi;

e) per altro verso, il valore assegnato dal PUC all’area era quello di fondo interposto verde o senza necessità di servizi tra le pregresse costruzioni, che invece prevedevano un ingente carico urbanistico alla zona: ne derivava la insussistenza della dedotta incoerenza asseritamente riposante nel destinare l’area incolta e coperta da sterpaglie ad ambito di conservazione;

f) quanto alla deduzione secondo cui l’area costituiva un’importante cerniera per i sedimi contermini, tutti intensamente edificati ( dal che sarebbe derivata l’asserita inopportunità della destinazione a verde imposta) in senso contrario doveva tenersi presente che non era possibile apprezzare la dedotta carenza infrastrutturale della zona in questione, assegnando con ciò al fondo di proprietà ricorrente la funzione di sopperire alle carenze evidenziate, in quanto ne sarebbe discesa una pronuncia additiva che avrebbe alterato l’impostazione dello strumento, imponendo all’amministrazione di ubicare delle infrastrutture laddove essa non intendeva prevederle;

g) in ultimo, neppure era apprezzabile alcuna contraddizione tra la disposizione dello strumento e quelle del PTCP vigente, nella parte in cui l’area era stata sottoposta al regime di conservazione (che invece l’atto regionale assumeva in modo più elastico), in quanto il piano paesistico era deputato ad individuare strumenti minimi di tutela, che il comune poteva legittimamente rendere più rigidi;
peraltro, il PTCP non sembrava imporre l’assenza di strumenti di tutela per l’area in questione, tenendo particolarmente conto che anche la regione Liguria si era fatta partecipe con i suoi atti delle esigenze di prevenzione delle inondazioni e di limitazione dei danni che da esse derivano.

5. La originaria ricorrente rimasta integralmente soccombente ha proposto un articolato appello avverso la suindicata sentenza, nell’ambito del quale, dopo avere riepilogato quali fossero state le principali tappe del complesso iter infraprocedimentale e del giudizio di primo grado, (pagg.

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