Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-05-04, n. 202203483

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-05-04, n. 202203483
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202203483
Data del deposito : 4 maggio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/05/2022

N. 03483/2022REG.PROV.COLL.

N. 01835/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1835 del 2022, proposto dal
signor F C, rappresentato e difeso dall'avvocato F D J, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma Piazza del Fante 10;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati P L P e P R M M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’Avvocatura di Roma Capitale in Roma, via del Tempio di Giove 21;

nei confronti

Signori N F, F F non costituiti in giudizio
Partito Democratico – Federazione di Roma, rappresentato e difeso dall'avvocato F D J, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza del Fante n. 10;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 1470/2022, resa tra le parti, concernente l’impugnativa dell’atto di proclamazione degli eletti del 20 ottobre 2021 alla carica di Presidente e Consiglieri del Municipio VI di Roma Capitale e del verbale delle operazioni dell'Ufficio Centrale del 12 ottobre 2021 2021;
di tutte le presupposte e relative operazioni elettorali, svoltesi il 3-4 ottobre 2021, delle decisioni nonché delle operazioni ed attività compiute nelle Sezioni elettorali, dei relativi verbali sezionali, nella parte in cui non sono stati attribuiti al ricorrente i voti effettivamente conseguiti e/o le preferenze sono state assegnate illegittimamente ad altri candidati;
e per la correzione del risultato elettorale, con i provvedimenti conseguenti, ivi compresa la ripetizione delle operazioni di ballottaggio


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 aprile 2022 il Cons. C A e udito per Roma Capitale l’avvocato P L P;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue

'FATTO e DIRITTO'


FATTO e DIRITTO

Con il presente appello il signor F C ha impugnato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio n. 1470 dell’8 febbraio 2022, che ha dichiarato inammissibile il ricorso da lui proposto avverso il verbale delle operazioni dell'Ufficio Centrale del 20 ottobre 2021, di proclamazione degli eletti alla carica di Presidente e Consiglieri del VI Municipio di Roma Capitale, il verbale delle operazioni dell'Ufficio Centrale del 12 ottobre 2021, che non ha

ammesso il ricorrente al turno di ballottaggio tenutosi in data 17-18 ottobre 2021, il verbale delle operazioni dell'Ufficio Centrale del 12 ottobre 2021, riferito al primo turno elettorale svoltosi il 3-4 ottobre 2021, laddove non attribuisce al ricorrente i voti effettivamente conseguiti e le determinazioni inerenti le schede bianche, nulle e contestate, nonché avverso le presupposte operazioni elettorali, svoltesi il 3-4 ottobre 2021, e le decisioni, operazioni ed attività compiute nelle Sezioni elettorali, compresi i verbali sezionali, nella parte in cui non sarebbero stati attribuiti al ricorrente i voti effettivamente conseguiti e/o le preferenze sarebbero state assegnate illegittimamente ad altri candidati.

Con il ricorso di primo grado era stato esposto in fatto che il signor C era candidato alla Presidenza del 6 Municipio in occasione delle elezioni amministrative tenutesi il 3-4 ottobre 2021 a Roma, sostenuto dalle liste “Demos Democrazia solidale”, “Europa Verde Ecologista – European Green Party – Verdi” “Sinistra Civica Ecologista” , “PD Partito Democratico”, “Lista Civica Gualtieri Sindaco”, “Roma Futura Femminista Egualitaria Ecologista”, di avere ottenuto nel primo turno 15642 voti di preferenza, mentre al candidato della coalizione di centrodestra, N F (poi risultato vincitore nel turno di ballottaggio) erano stati attribuiti 30848 preferenze e alla candidata sostenuta dalla “Lista Civica V Raggi” e dal “Movimento Cinque Stelle 2050”, F F, erano stati attribuiti 15686 voti di preferenza.

Era, quindi, stato dedotto che tra il ricorrente e la signora F vi era uno scarto di soli 44 voti e che se il candidato C fosse andato al turno di ballottaggio “ avrebbe potuto ragionevolmente aspirare all’elezione a presidente del Municipio VI” ;
che le operazioni di spoglio e di scrutinio sarebbero state inficiate da tutta una serie di errori caratterizzati dalla sottrazione di voti di preferenza in danno del C;
a titolo esemplificativo ” veniva indicata la Sezione n. 480 nella quale al ricorrente erano stati attribuiti 56 voti, mentre all’insieme delle liste che lo sostenevano 111, con “ una differenza francamente eccessiva, che non trova giustificazione alcuna, neppure laddove alcuni elettori avessero ipoteticamente esercitato il voto disgiunto ”, mentre la candidata F avrebbe avuto circa gli stessi voti conseguiti dalle liste di riferimento.

La mancata attribuzione dei voti al candidato ricorrente sarebbe risultata dalle contestazioni dei rappresentanti di lista nei verbali delle Sezione di cui si chiedeva l’acquisizione;
inoltre, i verbali delle singole sezioni, nonché le relative tabelle di scrutinio conterrebbero dati contrastanti o addirittura in bianco, da cui sarebbero derivati voti fantasma come sarebbe stato riportato dalla stampa;
è stato depositato a sostegno di tale deduzione un articolo del quotidiano “Leggo” che indicava la presenza di verbali non compilati con riferimento alle elezioni alla carica di Sindaco di Roma e di consigliere comunale con indicazione di varie Sezioni appartenenti a vari Municipi di Roma.

Sono stati formulati due motivi di ricorso: il primo di violazione e falsa applicazione degli articoli 1, 48 e 97 della Costituzione;
degli articoli 57, 68, 69, 70, 72 e 74 del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570;
degli articoli 1, 3 e 6 della L. 7 agosto 1990, n. 241;
di sviamento ed eccesso di potere per violazione dei principi in materia di trasparenza e regolarità delle operazioni elettorali, nonché di genuinità del risultato elettorale, con il quale è stato dedotto che “ l’esito della competizione elettorale è stato completamente falsato da errori di una eccezionale gravità, che viziano insanabilmente il processo democratico, avendo stravolto e falsato l’effettiva volontà degli elettori”, in quanto i “ voti attribuiti ai singoli candidati alla carica di presidente del 6 Municipio, non riflettono il vero esito della competizione elettorale medesima, laddove i dati dello spoglio e delle operazioni elettorali sono incongrui ed inattendibili nelle loro risultanze e non sono conformi al parametro normativo di riferimento, né tantomeno lo sono rispetto ai principi di legalità, buon andamento ed imparzialità”. Sono state indicate le Sezioni n. 498 e n. 688 nelle quali vi sarebbe un consistente scarto di voti tra quelli attribuiti al candidato Presidente C (rispettivamente 55 voti nella sezione n. 498 e 133 nella Sezione n. 688 ) e quelle attribuite all’insieme delle liste che lo sostenevano, sostenendo che la tendenza complessiva delle altre Sezioni sarebbe stata all’opposto nel senso della coincidenza tra il numero di voti attribuiti a ogni lista e quelli ottenuti dalle liste di riferimento. Secondo la parte ricorrente tale scarto di voti sarebbe derivato dalla mancata attribuzione di voti “ per immotivato annullamento o per omesso conteggio ”.

Con un secondo motivo di violazione e falsa applicazione degli articoli 1, 48 e 97 della Costituzione, di violazione della disciplina contenuta nel D.P.R. n. 570/1960, inosservanza della circolare n. 74/2021 e delle istruzioni edite dal Ministero dell’Interno in occasione delle consultazioni amministrative del 3-4 ottobre 2021, di difetto di motivazione, eccesso di potere per errore nei presupposti e carenza di istruttoria, contraddittorietà ed illogicità manifesta, travisamento dei fatti, è stato dedotto che l’attribuzione dei voti ai candidati presidente, alle liste ed ai singoli candidati consiglieri non sarebbe avvenuto in base alle risultanze dei verbali delle singole sezioni o delle tabelle di scrutinio, ma sulla base del cd. «mod.121», cioè della velina che i presidenti di seggio consegnano ai messi comunali, in quanto i verbali e le tabelle sarebbero stati lasciati in bianco;
tali circostanze risulterebbero dai verbali di audizione dei presidenti di seggio convocati presso l’Ufficio centrale elettorale, di cui è stato chiesto al TAR di ordinare l’esibizione nonché dalla dichiarazione della presidente della sezione n. 491, di aver attribuito i voti in stato di “confusione” utilizzando “foglietti volanti”, che risulterebbe nel verbale dell’audizione.

Pertanto si chiedeva in via istruttoria “ l’acquisizione di tutti gli atti del procedimento, ed in particolare le schede contenenti i voti espressi (anche quelli nulli e contestati), nonché la documentazione non in possesso del ricorrente relativa al procedimento elettorale, e cioè i verbali dell’Ufficio centrale contenenti le osservazioni dei rappresentati di lista, nonché delle audizioni dei Presidente di Seggio ” di “ disporre, laddove occorra, una verificazione, onde accertare la piena fondatezza delle doglianze mosse nel gravame ”.

Nel giudizio di primo grado si è costituita Roma Capitale eccependo l’inammissibilità del ricorso, in quanto meramente esplorativo, non essendo indicata né la natura dei vizi denunziati, né il numero delle schede contestate e le sezioni cui si riferiscono le schede medesime, senza alcun principio di prova delle irregolarità genericamente lamentate, trattandosi di un giudizio teso alla ripetizione delle operazioni di spoglio.

E’ intervenuto ad adiuvandum il Partito democratico - Federazione di Roma con argomentazioni analoghe a quelle del ricorrente.

Interveniva, altresì, chiedendo dichiararsi il proprio difetto di legittimazione passiva, il Ministero dell’Interno.

La sentenza di primo grado ha escluso di potere estromettere dal giudizio il Ministero dell’Interno essendosi questo costituito spontaneamente, senza che gli fosse stato notificato il ricorso.

Ha dichiarato il ricorso inammissibile, in base alla giurisprudenza anche dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, per cui non sono consentiti ricorsi elettorali “esplorativi”, che, attraverso la prospettazione di doglianze generiche non supportate da concreti elementi di riscontro, mirino ad ottenere la sostanziale revisione, in sede giurisdizionale, di tutte le operazioni elettorali, essendo state proposte censure generiche, ipotetiche e non supportate da alcun principio di prova.

Il giudice di primo grado ha ritenuto irrilevanti, anche quale principio di prova, le affermazioni relative alla mancata compilazione dei verbali meramente dedotta senza alcuna indicazione specifica delle Sezioni in cui sarebbe avvenuta e supportata solo da un ritaglio di stampa;
ha escluso altresì la rilevanza della dichiarazione della Presidente della Sezione n. 491 – di aver attribuito i voti in stato di “confusione” utilizzando “foglietti volanti” – priva di alcun elemento documentale idoneo a confermare che l’attribuzione delle preferenze fosse avvenuta in danno del ricorrente.

La parte ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese di giudizio (liquidate in 1500,00 euro).

Con l’atto di appello in epigrafe, notificato a Roma Capitale e al Partito democratico- Federazione di Roma il 2 marzo 2022, e in pari data depositato in giudizio, è stato formulato un unico motivo di “ Erroneità/contraddittorietà/perplessità della motivazione;
violazione e comunque falsa applicazione degli artt. 3, 24, 111 e 113 della Costituzione;
violazione e comunque falsa applicazione dell’art. 130 del c.p.a.;
violazione e comunque falsa applicazione degli artt. 6 e 13 della CEDU, nonché dell’art. 3 del Protocollo addizionale alla Convenzione medesima;
violazione e comunque falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ
.” in quanto la sentenza sarebbe lesiva del principio di effettività della tutela giurisdizionale e dei canoni del giusto processo, avendo limitato il diritto di difesa del ricorrente;
secondo la ricostruzione difensiva il ricorso non sarebbe stato generico ma le censure sarebbero state specifiche e mirate e sarebbero stati forniti idonei elementi indiziari;
l’interpretazione del quadro giurisprudenziale da parte della sentenza di primo grado comporterebbe una probatio diabolica a carico della parte con impossibilità di far valere le proprie ragioni nella materia elettorale, in cui, invece, l’onere della prova sarebbe attenuato per la particolare asimmetria informativa delle parti;
era stato, infatti, operato, uno specifico riferimento ai voti delle Sezioni nn. 498 e 688, mentre il distacco tra la candidata presidente del M5S, che è passata al secondo turno, ed il ricorrente, che ne è stato escluso, era di soli 44 voti;
è stata genericamente contestata, altresì, la condanna alle spese;
sono stati quindi riproposti i motivi del ricorso di primo grado.

Unitamente all’atto di appello è stata presentata istanza di rimessione in termini, deducendo di avere depositato altro appello avverso la medesima sentenza il 25 febbraio 2022 (R.G. n. 1708 del 2022)..

La parte appellata, nella memoria depositata il 24 marzo 2022, ha dedotto la tempestività dell’appello, in quanto l’articolo 131 c.p.a. non disciplinerebbe espressamente il termine lungo per l’appello, in difetto di notificazione della sentenza, con la conseguenza che dovrebbe ritenersi applicabile il termine lungo ordinario decorrente dalla pubblicazione della sentenza, ai sensi dell’art. 92, comma 3, c.p.a. dimezzato in base alla previsione del comma 10 dell’art. 130, ossia tre mesi dalla pubblicazione della sentenza, nel caso di specie depositata l’8 febbraio 2022, con conseguente tempestività dell’appello;
in subordine ha chiesto concedersi il beneficio dell’errore scusabile per le difficoltà interpretative e incertezze della previsione dell’art. 130 c.p.a., avendo la difesa appellante già depositato il 25 febbraio 2022 l’altro appello avverso la medesima sentenza (non notificato).

Si è costituita in giudizio Roma Capitale che ha insistito per la inammissibilità del ricorso e per la conferma della sentenza appellata.

Con atto notificato il 28 marzo 2022 si è costituito in giudizio il Partito democratico - Federazione di Roma a sostegno delle ragioni dell’appellante.

La difesa appellante ha presentato istanza di passaggio in decisione senza discussione orale.

All’udienza pubblica del 12 aprile 2022 il giudizio è stato trattenuto in decisione.

In via preliminare, ritiene il Collegio di precisare di non potere procedere alla riunione del presente giudizio con il giudizio R.G. 1708 del 2022 proposto avverso la medesima sentenza, in quanto in quel giudizio non si è correttamente costituito alcun rapporto processuale, non risultando notificato il ricorso, e lo stesso non è, dunque, idoneo ad individuare una ulteriore “ impugnazione ” proposta avverso la medesima sentenza per far luogo alla riunione, ai sensi dell’art. 96 c.p.a.

Ai sensi dell’art. 131 comma 2 c.p.a., infatti, al giudizio d’appello in materia elettorale si applicano le norme che regolano il processo di appello innanzi al Consiglio di Stato, con i termini dimezzati rispetto a quelli del giudizio ordinario. Ne deriva che l’appello, diversamente dalla disciplina dell’art. 130 c.p.a., deve essere prima notificato e poi depositato (cfr. Cons. Stato Sez. II, 19 luglio 2021, n. 5428).

Circa la questione della tardività del presente appello, posta dalla stessa difesa appellante con la istanza di rimessione in termini e nell’atto di costituzione dalla Federazione romana del Partito democratico - ma non eccepita dalla difesa comunale - si deve invece rilevare che il presente appello è stato tempestivamente proposto, ai sensi del comma 1 dell’art. 131 c.p.a..

Infatti tale norma prevede: “ l’appello avverso le sentenze di cui all'articolo 130 è proposto entro il termine di venti giorni dalla notifica della sentenza, per coloro nei cui confronti è obbligatoria la notifica;
per gli altri candidati o elettori nel termine di venti giorni decorrenti dall'ultimo giorno della pubblicazione della sentenza medesima nell'albo pretorio del comune”
.

Nel caso di specie, la sentenza non risulta notificata, mentre l’art. 130 comma 8 dispone la pubblicazione “ per quindici giorni del dispositivo della sentenza nell'albo o bollettino ufficiale dell'ente interessato ”, da effettuarsi entro ventiquattro ore dal ricevimento della copia della sentenza da parte della Segreteria del tribunale amministrativo regionale.

Pertanto, essendo avvenuta la pubblicazione della sentenza l’8 febbraio 2022, anche ammesso che la pubblicazione all’albo pretorio sia avvenuta in pari data, solo dal 23 febbraio 2022 è decorso il termine perentorio di venti giorni per la notifica dell’appello, effettivamente avvenuta il 2 marzo 2022, quindi tempestivamente.

L’appello è infondato.

Il contenuto e le censure del ricorso di primo grado non possono, infatti, che condurre alla conferma della sentenza di primo grado, che ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso.

Il Collegio ritiene, in primo luogo, di richiamare quanto affermato dall’Adunanza Plenaria nella sentenza n. 32 del 2014 - citata anche dalla difesa appellante - per cui l’onere di specificità dei motivi si ritiene osservato nei giudizi elettorali quando è indicato il tipo di vizio, il numero delle schede e le sezioni elettorali in cui le illegittimità si sono verificate. Peraltro, anche un motivo strutturato in termini specifici può rendere inammissibile il ricorso laddove questo presenti caratteri tali da doversi qualificare come esplorativo ovvero con esso si punti a conseguire il risultato di un complessivo riesame del voto in sede contenziosa;
infatti, “la finalità strumentale del gravame deve essere stabilita sulla base di elementi oggettivi, quali la dimensione quantitativa delle schede contestate, il numero delle sezioni elettorali interessate in rapporto al numero degli elettori coinvolti nella tornata sottoposta al vaglio giurisdizionale, potendo darsi il caso che la contestazione, in giudizio, di alcune migliaia di schede non evidenzi finalità esplorativa di sorta (laddove, ad esempio, l'elezione abbia coinvolto un'ampia platea di elettori) e che, per contro, lo stesso ammontare di voti implichi, in altri contesti, una rinnovazione pressoché integrale di uno scrutinio (quanto il voto abbia riguardato un ente di modesta dimensione demografica) ”.

Inoltre, resta a carico del ricorrente anche l'onere della prova (non assorbito neppure dalla specificità dei motivi, posto che anche una denuncia estremamente circostanziata dell'irregolarità in cui sia incorsa la sezione elettorale, deve pur sempre essere sorretta da allegazioni ulteriori rispetto alle affermazioni del ricorrente), il quale, pur in una forma attenuata in relazione alla asimmetria informativa che può riguardare i giudizi elettorali, deve essere assolto in maniera idonea a consentire l’esercizio mirato dei poteri istruttori del giudice (sotto tale profilo l’Adunanza Plenaria ha ammesso quale principio di prova il deposito in giudizio delle dichiarazioni dei rappresentati di lista).

La giurisprudenza si è dunque consolidata nel senso che nel giudizio elettorale i principi della specificità dei motivi di censura e dell'onere della prova sono da considerarsi attenuati in considerazione della situazione di obiettiva difficoltà in cui si trova il soggetto che ha interesse a contestare le operazioni elettorali illegittime sulla base di dati informativi di carattere indiziario e della correlata esigenza di garantire l'effettività della tutela giurisdizionale sancita dagli artt. 24 e 113 Cost., con la conseguenza che è necessario e sufficiente, ai fini dell'ammissibilità del ricorso o delle singole doglianze, che l'atto introduttivo indichi, non in termini astratti ma con riferimento a fattispecie concrete, “ la natura dei vizi denunziati, il numero delle schede contestate e le sezioni cui si riferiscono ”, mentre sono inammissibili azioni esplorative volte al mero riesame delle operazioni svolte (Cons. Stato, sez. III, 13 dicembre 2018, n. 7037;
Sez. V, 13 aprile 2016, n. 1477).

Anche la Sezione ha di recente ribadito che in materia elettorale, in relazione alla caratteristiche proprie dei ricorsi elettorali in cui al privato può mancare la piena cognizione degli atti delle operazioni elettorali, devono essere contemperati il principio dell’effettività della tutela e i principi generali del processo amministrativo della specificità dei motivi e dell’onere della prova, per cui ha costantemente affermato il divieto di ricorso c.d. esplorativo, per evitare che il ricorso si trasformi in una inammissibile richiesta di riesame generale delle operazioni di scrutinio dinanzi al giudice amministrativo;
per cui anche se l’onere di specificità dei motivi viene applicato con minore rigore, si richiede comunque che vengano indicati nel ricorso con riferimento a circostanze concrete, la natura dei vizi denunciati, il numero delle schede contestate e le sezioni di riferimento, mentre l’onere della prova può considerarsi circoscritto alla allegazione di elementi indiziari, pur estranei agli atti del procedimento, ma dotati della attendibilità sufficiente a costituire un principio di prova plausibile ed idoneo a legittimare l’attività acquisitiva del giudice (Consiglio di Stato, Sezione II, 7 gennaio 2022, n. 113;
id, 19 luglio 2021, n. 5428).

L’applicazione di tali coordinate giurisprudenziali al caso di specie conduce ad affermare la correttezza delle argomentazioni del giudice di primo grado in ordine alla inammissibilità del ricorso.

Infatti, il ricorso introduttivo del giudizio non contiene alcun elemento concreto in fatto né alcuna contestazione circostanziata riferita a specifiche sezioni o ad un numero preciso di schede elettorali.

Nella sostanza - come correttamente affermato dal giudice di primo grado – in base alla circostanza di fatto della mancata coincidenza tra i voti attribuiti al candidato presidente del Municipio e i voti ottenuti dalle liste che lo sostenevano, si desume in via meramente ipotetica la conseguenza che si siano verificate irregolarità nella attribuzione dei voti per il candidato presidente, senza che tale procedimento logico di carattere ipotetico sia accompagnato non solo dalla prova ma neppure dalla allegazione di specifiche circostanze relative al tipo di vizio, che si sarebbe verificato nella attribuzione dei voti o nel conteggio delle schede, o delle Sezioni in cui i vizi (non specificati) si sarebbero effettivamente verificati.

Con riferimento a tale carenza di specificità e genericità del motivo non può rilevare l’indicazione nel primo motivo di ricorso di primo grado delle Sezioni n. 498 e n. 688, trattandosi del richiamo ai voti ottenuti in tali sezioni ai fini della mera individuazione del fenomeno del discostamento tra i voti del candidato presidente e quelli delle liste che lo sostenevano, senza il riferimento ad alcun vizio specifico che si sarebbe verificato nella attribuzione di tali voti, oltre alla mancanza di qualsiasi allegazione anche solo in termini di principio di prova.

In mancanza di concreti elementi di fatto relativi ai vizi lamentati, il discostamento dei voti tra il candidato presidente e le liste che lo sostenevano non può che essere attribuibile alla volontà del corpo elettorale.

Sotto il profilo probatorio, non ha poi alcuna rilevanza il ritaglio di stampa depositato in giudizio, il quale, oltre a non avere alcuna intrinseca idoneità di carattere probatorio, trattandosi della indicazione di generiche disfunzioni nelle operazioni elettorali, non ha neppure attinenza con le elezioni contestate (quelle del Municipio VI) né tanto meno con le sezioni individuate nel primo motivo di ricorso (n. 498 e n. 688);
l’articolo, infatti, concerne le elezioni alla carica di Sindaco e di Consigliere comunale e si riferisce ad altre sezioni elettorali, tra cui quelle anche di altri Municipi.

Anche riguardo al secondo motivo di ricorso non può che rilevarsi l’assoluta genericità della censura, con cui è stato dedotto che l’attribuzione dei voti da parte dell’ufficio elettorale sarebbe avvenuta sulla base dei modelli 121, mentre i verbali e le tabelle di scrutinio sarebbero stati lasciati in bianco, sostenendo che tale circostanza risulterebbe dall’audizione dei Presidenti di seggio presso l’ufficio elettorale.

Tale irregolarità è stata indicata, infatti, del tutto genericamente senza alcun riferimento ad una o più specifiche sezioni in cui si sarebbe verificata avvenuta e in assenza di qualsiasi elemento probatorio anche solo indiziario, quali ad esempio le dichiarazioni dei rappresentanti di lista (ammesse quale principio di prova dalla giurisprudenza se riferite a specifiche circostanze).

Né diversa rilevanza può avere il riferimento alle dichiarazioni della presidente della sezione n. 491, di avere attribuito i voti in stato confusionale e sulla base di foglietti volanti, trattandosi di affermazioni meramente indicate in ricorso e non supportate da alcun elemento probatorio, oltre alla circostanza che il seggio elettorale è composto dal presidente, dagli scrutatori e da un segretario, ai sensi dell’art. 20 del T.U. 570 del 1960, e le operazioni elettorali sono svolte con la presenza dei rappresentati di lista.

Inoltre, non vi è neppure alcun collegamento di tali asseriti vizi con i voti che non sarebbero stati attribuiti al candidato presidente ricorrente, né tali voti sono stati concretamente quantificati.

Il ricorso proposto denotava, quindi, pienamente le caratteristiche di un ricorso esplorativo, in quanto teso ad una completa ripetizione delle operazioni di scrutinio, in sostanza, per tutte le sezioni del VI Municipio.

La genericità delle censure è confermata dal tipo di richieste istruttorie presentate aventi ad oggetto la richiesta di acquisizione di “ tutti gli atti del procedimento, ed in particolare le schede contenenti i voti espressi (anche quelli nulli e contestati), nonché la documentazione non in possesso del ricorrente relativa al procedimento ”;
nonché una richiesta di verificazione genericamente riferita all’accertamento “ della fondatezza delle doglianze mosse nel gravame ”, per cui è stato chiesto un intervento del giudice con un potere istruttorio d’ufficio integralmente sostitutivo dell’onere posto a carico della parte.

Il giudice di primo grado ha quindi fatto corretta applicazione dei principi delineati dalla giurisprudenza di questo Consiglio e, in particolare, dall’Adunanza Plenaria n. 32 del 2014, richiamata dallo stesso appellante a sostegno della ammissibilità del ricorso.

Quanto alla generica contestazione mossa avverso il capo di sentenza relativo alle spese, il Collegio ritiene di richiamare la consolidata giurisprudenza, per cui la statuizione sulle spese e sugli onorari di giudizio costituisce espressione di un ampio potere discrezionale, come tale insindacabile in sede di appello, fatta eccezione per le ipotesi di abnormità ovvero di condanna della parte totalmente vittoriosa, o per statuizioni manifestamente irrazionali o con una indicazione di somme palesemente inadeguate (cfr. Cons. Stato, VI, 13 gennaio 2020, n. 309;
id, 3 aprile 2019, n. 2208;
Sez. II, 5 luglio 2019, n. 4669).

Nel caso di specie, il Tribunale ha fatto applicazione del principio della soccombenza, con una condanna di modestissima entità, per cui sono esclusi profili di abnormità sindacabili in appello.

In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.

In considerazione della particolare natura della controversia le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate.

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