Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-06-30, n. 201403272
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N. 03272/2014REG.PROV.COLL.
N. 07413/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 7413 del 2013, proposto dal Comune di Desio, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato R G, con domicilio eletto presso Ettore Travarelli in Roma, via Alberico II, n 5;
contro
Playtech Srl in persona del legale rappresentante in carica, non costituita;Scuola Media Statale Pirotta, in persona del legale rappresentante in carica, non costituita;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE I n. 01185/2013, resa tra le parti, concernente limitazione della fascia oraria di apertura dei locali autorizzati all'esercizio di giochi leciti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 maggio 2014 il Consigliere Carlo Schilardi e udito per il Comune appellante l’avvocato R G;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso notificato il 5 aprile 2012, i sig.ri Ehud Goldshmidt, Stefania Casati e Martino Filini, in qualità di amministratori della società "Playtech s.r.l.", impugnavano innanzi al T.A.R. per la Lombardia l'ordinanza n. 15 del 7 febbraio 2012, con la quale il sindaco del Comune di Desio stabiliva la fascia oraria massima di apertura (ricompresa tra le ore 13.00 e le ore 22.30) degli esercizi autorizzati, in via esclusiva o prevalente, al funzionamento degli apparecchi da gioco.
I ricorrenti lamentavano violazione del principio di legalità, del buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa, nonché eccesso di potere per violazione del principio di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità ed infine violazione dell'art. 3 della legge 241/1990.
Nel corso del giudizio il comune di Desio ha emesso un'altra ordinanza sindacale, la n. 248 dell'8 ottobre 2012, di contenuto simile alla precedente.
Il T.A.R. con sentenza n. 1185 del 24 aprile 2013, depositata il 9 maggio 2013, ha accolto il ricorso ritenendo fondati tutti i motivi proposti dai ricorrenti ed osservando, in particolare, che la motivazione posta a fondamento dell'impugnata ordinanza sindacale, a giudizio del collegio giudicante, era risultata generica e priva di fondamento giuridico.
Avverso la sentenza ha proposto appello il Comune di Desio.
La società Playtech s.r.l. non si è costituita in giudizio.
All'udienza pubblica del 13 maggio 2014 la causa è stata trattenuta per la decisione.
In via preliminare, l'appellante lamenta error in procedendo , irricevibilità o inammissibilità del ricorso originario per la mancata impugnazione da parte della società Playtech s.r.l. dell'ordinanza sindacale n. 248/2012, che asserisce essere innovativa della prima ordinanza n. 15/2012 del 7 febbraio 2012, perché adottata con autonomo procedimento e più accurata motivazione .
Viene censurata, così, la decisione del T.A.R., laddove il Tribunale ha ritenuto che la seconda ordinanza fosse "confermativa" della precedente e che non fosse, quindi, necessario muovere motivi aggiunti al ricorso in essere.
La censura è infondata.
Al riguardo si osserva che la motivazione dell'ordinanza comunale n. 15 del 7 febbraio 2012, è la seguente "ritenuto che l'insediamento e l'esercizio di sale giochi, come definite dall'art. 1 e 3, comma 1, lett. b) del su citato Regolamento, se non regolamentati anche sotto il profilo degli orari di funzionamento in modo che siano coerenti e funzionali con la normale vita di relazione di ciascuno possono creare allarme sociale le cui conseguenze arrecano danno specie ai più giovani".
E tale motivazione si ripete anche nell'ordinanza n. 248 del 5 ottobre 2012, nella quale è detto, laconicamente, che una sala giochi "possa incentivare il fenomeno dell'evasione scolastica, anche di minori" e "determinare intralci alla circolazione e fenomeni di disturbo della quiete pubblica, specie nelle ore notturne".
Come sostenuto dallo stesso appellante, la fattispecie va esaminata alla luce di quanto evidenziato nella sentenza n. 5196 del 3 ottobre 2012 di questa Sezione e cioè, che per stabilire se un atto amministrativo sia da ritenere meramente di conferma, e perciò non impugnabile, o non confermativo in senso proprio di altri precedenti e, quindi, autonomamente lesivo e da impugnarsi nei termini, "occorre verificare se l'atto successivo sia stato adottato o meno senza una nuova istruttoria e una nuova ponderazione di interessi".
Orbene, dal testo della seconda ordinanza, si evince che il provvedimento è stato adottato sulla base di affermazioni del tutto simili tra loro, senza una nuova vera e propria istruttoria, né alcun riesame della situazione di fatto, così da potersi considerare un provvedimento sostanzialmente diverso dal precedente e quindi autonomamente impugnabile.
Con il secondo motivo di censura l'appellante lamenta l'erroneità della sentenza impugnata, con riguardo alla normativa richiamata per l’adozione delle ordinanze di competenza sindacale in tema di esercizio delle attività economiche.
Al riguardo, si osserva che l'art. 3 della legge n. 248/2006 è applicabile non solo al commercio in genere, quale disciplinato dal D.Lgs. n. 114/1998, ma anche al settore specifico della somministrazione di alimenti e bevande e ai pubblici esercizi latu sensu, attesa la "ratio" della recente legislazione, che è rivolta alla sempre maggiore liberalizzazione del mercato ed alla promozione della concorrenza, come si evince dalla chiara dizione del comma 1 dell'art. 3 della legge n. 248/2006, in ordine al suo ambito applicativo "… le attività commerciali, come individuate dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114 e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte …".
Va, altresì, richiamato il parere reso dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato con atto del 7 giugno 2007 (pubblicato sul Bollettino dell'Autorità n. 22/2007), nel quale è evidenziata la necessità di ricomprendere nell'ipotesi applicativa dell'art. 3, comma 1, lettera d) della legge n. 248/2006, anche le attività di somministrazione di alimenti e bevande, posto che la scelta contraria costituirebbe un "ostacolo normativo ad un corretto funzionamento del mercato".
Nel caso di specie appare, poi, pienamente calzante quanto già ritenuto da questa Sezione, cioè che le disposizioni, espressioni del principio di libertà di impresa e di concorrenza, sono applicabili a tutte le attività economiche che una specifica norma legislativa statale o regionale non confliggente con quella statale, non sottopone a specifica regolamentazione (Cons.Stato, sez. V, 9 dicembre 2008, n. 6060).
Con il terzo ed ultimo motivo di censura l'appellante lamenta l'erroneità della sentenza laddove è detto che il sindaco, per la tutela di valori collettivi quali la quiete pubblica, la circolazione stradale e la frequenza scolastica minorile, non poteva fare riferimento, nel provvedimento, al disposto dell'art. 50 del D.Lgs. n. 267/2000.
Il Comune di Desio sostiene, in particolare, che "l'ordinanza sindacale (originariamente) impugnata fonda il proprio potere sulle previsioni dell'art. 50 comma 7 del D.Lgs. n. 267/2000, secondo cui il sindaco (altresì) coordina e riorganizza, sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell'ambito dei criteri eventualmente indicati dalla regione, gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici …".
L'appellante sostiene, ancora, che il provvedimento sindacale ha tra le sue finalità la tutela di valori collettivi, messi in concreto pericolo dalle attività commerciali in questione, quali la quiete pubblica, la circolazione stradale e la frequenza scolastica minorile.
Il Comune di Desio critica, infine, la sentenza laddove è detto che il sindaco, per la tutela dei suddetti valori, diversamente da quanto ha fatto, poteva ricorrere ad altri strumenti giuridici, quale l'art. 54 del D.Lgs. n. 267/2000.
Le suddette censure non sono condivisibili.
Le amministrazioni comunali possono, invero, regolare l’attività degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, a termini dell’art. 50, comma 7, del D.lgs. 267/2000, graduando, in funzione della tutela dell’interesse pubblico prevalente, gli orari di apertura e chiusura al pubblico.
Tuttavia, tale potere è stato ridimensionato nei suoi contenuti dall’art. 31 del D.L. 201/2011, convertito nella legge 214/2011 (c.d. decreto “salva Italia”), che ha riformato l’art. 3 del D.L. 223/2006, statuendo che “le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni … (quali) il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell'esercizio”.
L’art. 3 del D.L. n. 138/2011, convertito nella legge n. 148/2011, sempre in tema di abrogazione delle restrizioni all'accesso e all’esercizio delle professioni e delle attività economiche, ha poi disposto che “l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge”, affermando un principio, derogabile soltanto in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute), interessi che nella specie non possono ritenersi incisi.
La circostanza che il regime di liberalizzazione degli orari sia applicabile indistintamente agli esercizi commerciali e a quelli di somministrazione, non preclude all’amministrazione comunale la possibilità di esercitare il proprio potere di inibizione delle attività, per comprovate esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, nonché del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica;tuttavia, ciò è consentito dal legislatore solo in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati quali quelli richiamati (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute), interessi che non possono considerarsi violati aprioristicamente e senza dimostrazione alcuna.
Nel caso di specie, il nocumento asseritamente derivante dal notevole aumento della frequentazione dei luoghi ove sono posti gli esercizi in questione, con presunto e intollerabile incremento del traffico e del rumore e con conseguente compromissione della quiete pubblica, appare descritto in via del tutto generica e per nulla circostanziato e tale carenza della motivazione “sostanziale”, non può ritenersi superata dall'affermazione che, essendo l’ordinanza di carattere generale, non necessitava di particolare motivazione.
Giova soggiungere, peraltro, che allorquando un comune ritiene di dover contrastare la lesione di specifici interessi pubblici degni di tutela, ha il potere di emanare ordinanze mirate, con effetti spaziali e temporali limitati.
Ugualmente inconferente è quanto sostenuto nell'appello, che con il provvedimento si sia inteso provvedere alla protezione della popolazione giovanile e a contrastare un fenomeno sempre più diffuso, quale l'evasione scolastica, amplificato da attrattive forti quali quelle rappresentate dall'uso dei giochi elettronici".
L'art. 50 del D.lgs n. 267/2000 non attribuisce, infatti, all'amministrazione comunale il potere di individuare o disciplinare gli orari degli esercizi commerciali senza vincoli di sorta, come si è verificato nella decisione qui assunta dal Comune, con un provvedimento che nulla ha da vedere con i poteri di polizia.
Ingiustificato è quanto sostenuto dal comune che "nessuna specifica istruttoria andava quindi svolta, … , avendo il provvedimento impugnato dato peraltro conto delle ragioni a fondamento della sua adozione", dovendosi ritenere sufficienti i generici accertamenti di viabilità compiuti dalla polizia locale nei pressi dei locali al cui interno si trovano apparecchi da gioco.
Nella sentenza, il T.A.R. non manca di evidenziare, infatti, che "anche a voler ammettere in astratto la possibilità di ricorrere al potere di disciplina degli orari in funzione della tutela dei predetti interessi, ciò dovrebbe essere il frutto di un'accurata e documentata istruttoria che mettesse in evidenza quali siano le specifiche esigenze della collettività locale che rendano necessaria la limitazione degli orari in cui è possibile offrire determinati servizi".
Tuttavia, anche nel caso di adozione di provvedimenti contingibili a termini dell'art. 54 del D.lgs. n. 267/2000, un'amministrazione, operando restrittivamente nei confronti di operatori economici, non poteva astenersi dal dimostrare la esistenza concreta di fenomeni pregiudizievoli per la collettività, quali una particolare e documentata evasione scolastica, blocchi anomali della circolazione o turbamenti della quiete pubblica.
Conclusivamente l'appello è infondato e va respinto.
Nessuna determinazione va assunta in ordine alle spese del presente grado di giudizio, nessuno essendosi costituito per gli appellati.