Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-09-28, n. 202005635
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Pubblicato il 28/09/2020
N. 05635/2020REG.PROV.COLL.
N. 10305/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10305 del 2019, proposto da
Società Cooperativa Agricola "Fra Lavoratori" s.c.a., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato G C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Rosa Ierardi in Roma, via Fabio Massimo n. 33;
contro
ARGEA Sardegna, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato M S, con domicilio eletto presso l’Ufficio di Rappresentanza della Regione Autonoma della Sardegna in Roma, via Lucullo n. 24;
nei confronti
Regione Autonoma della Sardegna e Comune di Arzana, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda) n. 00751/2019, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di ARGEA Sardegna;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 settembre 2020 il Cons. E F;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con la sentenza appellata, il T.A.R. Sardegna ha respinto il ricorso proposto dalla odierna cooperativa appellante avverso il provvedimento ARGEA prot. n. 93 dell’11 gennaio 2019, avente ad oggetto: “Usi civici – Rigetto istanza di legittimazione dell’occupazione senza titolo di terre civiche presentata dalla Soc. Coop. Agr. Fra Lavoratori (Jerzu) – Art. 9 L. 16 giugno 1927 n. 1766 “Conversione in legge del R.D. 22 maggio 1924, n. 751, riguardante il riordinamento degli usi civici nel Regno, del R.D. 22 maggio 1924, n. 1484, che modifica l’art. 26 del R.D. 22 maggio 1924, n. 751, e del R.D. 16 maggio 1926, n. 895, che proroga i termini assegnati dall’art. 2 del R.D.L. 22 maggio 1924, n. 751”, dichiarando conseguentemente l’improcedibilità del ricorso incidentale proposto dall’intimato Comune di Arzana.
Premesso che l’istanza di legittimazione presentata dalla cooperativa appellante in data 23 maggio 2017, ed integrata in data 9 novembre 2017, riguardava i mappali ubicati in agro del Comune di Arzana, distinti catastalmente al F. 53, mappale 1 parte, di ha. 91.00.00, il T.A.R., ai fini del rigetto del ricorso proposto avverso il provvedimento di diniego, ha evidenziato che la cooperativa ricorrente, con sentenza del Tribunale di Lanusei emessa in accoglimento della domanda presentata dal Comune di Arzana, è stata condannata “al rilascio del fondo sito in Arzana, località s’Accettori, censito al N.C.T. al f. 53, mapp. 1, di ha 205 aa 61 ca 65”, desumendone che “il fatto che una sentenza, ormai passata in giudicato, stabilisca che i terreni oggetto dell’istanza di legittimazione debbano essere immediatamente rilasciati, impedisce qualsiasi riconoscimento di legittimazione dell’occupazione senza titolo degli stessi terreni”, laddove “il ricorso è quindi proposto avverso un diniego dell’istanza di legittimazione di occupazione senza titolo quando i terreni non sono più in possesso di colui che presenta l’istanza”.
Ad ulteriore supporto della statuizione reiettiva, il T.A.R. ha rilevato, sul presupposto del carattere discrezionale del potere dell’Amministrazione di legittimare l’avvenuta occupazione di terre di demanio civico, a fronte del quale il richiedente non vanta un diritto soggettivo perfetto, anche quando ricorrano le condizioni stabilite dall'art. 9 l. n. 1766/1927, che “nell’alternativa tra reintegrazione a favore del Comune, e legittimazione a favore dell’abusivo occupante, quest’ultima costituisce la soluzione da adottare solo in via del tutto eccezionale;ciò perché la legittimazione si concreta, in buona sostanza, in una sorta di ablazione, a favore e nell’interesse di un singolo, abusivo occupatore, di beni pubblici ed in una sottrazione di questi alla soddisfazione di quelle esigenze, di rilievo pubblicistico, cui l’ente titolare può destinare i beni stessi”, dovendo ritenersi che “l’istanza di legittimazione è accoglibile solo laddove ricorra una situazione del privato assolutamente eccezionale, veramente meritevole di un particolare riguardo, e quando non vi osti un preminente interesse pubblico”.
La sentenza suindicata costituisce oggetto dei rilievi critici formulati dall’originaria ricorrente, il cui contenuto sarà in seguito esaminato, mentre si oppone al loro accoglimento l’A.R.G.E.A. Sardegna - Agenzia Regionale per la Gestione ed Erogazione degli Aiuti in Agricoltura.
L’appello, all’esito dell’odierna udienza di discussione, è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
La controversia ha ad oggetto la legittimità del provvedimento di diniego opposto da A.R.G.E.A. Sardegna alla istanza di legittimazione della occupazione sine titulo di terreni gravati da usi civici a favore della comunità di Arzana (NU), presentata dalla cooperativa appellante relativamente ad un’area da essa detenuta nel Comune di Arzana, identificata in catasto al foglio 53 mappale 1/b.
E’ quindi necessario, ai fini della piena intelligenza dell’oggetto della controversia, procedere alla illustrazione del contenuto motivazionale del provvedimento oggetto di impugnativa: ciò non senza aver prima evidenziato che sullo sfondo della controversia de qua si colloca altra, ormai definita - in senso favorevole all’attore - con sentenza passata in giudicato, avente quale oggetto principale la domanda di rilascio dei terreni de quibus promossa dal Comune di Arzana dinanzi al Tribunale di Lanusei, ai cui atti processuali rimanda, come si vedrà, il provvedimento di rigetto impugnato in primo grado.
Ebbene, premesso che la ragione sintetica sottesa alla adozione dell’impugnato provvedimento di diniego si evince dal rilievo iniziale della “mancanza del requisito dell’occupazione di fatto, fondamentale per poter attivare il procedimento di legittimazione”, l’Amministrazione appellata, al fine di giustificare (e corroborare) tale conclusione, pone in evidenza i seguenti dati fattuali:
- in sede di contraddittorio nell’ambito del tentativo di conciliazione tra la cooperativa ed il Comune di Arzana, il Direttore della prima sosteneva che “il provvedimento prefettizio del 1954 era un provvedimento di proroga ventennale e non con scadenza 1970/1971”;
- col ricorso presentato avverso il provvedimento di revoca del finanziamento di cui al Piano di Ristrutturazione e Riconversione Vinicola della Sardegna – Campagna 2004/2005, la medesima cooperativa allegava che “la legittima disponibilità dei terreni risultava dimostrata anche dall’autorizzazione comunale espressa proprio in relazione alla realizzazione dei lavori oggetto di finanziamento, elemento che dimostrava l’idoneo possesso delle aree agricole”;
- nella comparsa depositata il 20 novembre 2015 in sede di costituzione nella causa civile instaurata dal Comune di Arzana per il rilascio del fondo, la Cooperativa affermava che:
nel novembre 1971, anno di scadenza della concessione prefettizia, “sono intervenute disposizioni normative che hanno prorogato i rapporti agrari in essere” ed “il Comune, mediante atteggiamenti concludenti, ha dimostrato in modo inequivoco e ben oltre quella data di considerare ancora in essere il rapporto”;
“una prima proroga (…) prevedeva la proroga dei contratti di affitto per un periodo non inferiore ad anni dodici (…) qualora fossero stati realizzati, come è avvenuto nella specie, miglioramenti del fondo…”;
“una seconda proroga di 14 anni è intervenuta per effetto dell’art. 2 l. 3 maggio 1982 n. 203, sino dunque al 1996. Non essendo stata inoltrata a quella data una formale disdetta, il rapporto si è prorogato tacitamente per 15 anni sino al 2011…”;
“il Comune (…) il 26/10/1986 ha stipulato un accordo con la Cooperativa per procedere alla delimitazione del terreno oggetto della concessione;fino al 2005 ha continuato a concedere autorizzazioni al reimpianto (…);con deliberazione di Giunta n. 46 del 21/01/2015 ha dato incarico a un legale affinché provvedesse a porre in essere tutti gli atti necessari all’adeguamento del canone annuale di concessione dell’immobile in oggetto. Dunque, il rapporto deve considerarsi prorogato per ulteriori 15 anni sino al 2026”;
- le medesime motivazioni venivano poste a fondamento del ricorso in appello presentato dalla cooperativa contro la sentenza con la quale il Tribunale di Lanusei aveva accolto la domanda presentata dal Comune di Arzana (sentenza n. 216/2016) per il rilascio del fondo da parte della Cooperativa Agricola Fra Lavoratori. Tale ricorso veniva rigettato dalla Sezione specializzata per le controversie agrarie della Corte d’Appello di Cagliari (sent. 1/2017) che, nel pronunciarsi sul contestato difetto di giurisdizione, affermava che “né può ritenersi che la cooperativa appellante sia una mera occupante di fatto di terreni gravati da uso civico;invero, la stessa cooperativa, in primo grado, aveva espressamente dedotto di detenere il fondo in forza di un contratto di affitto, tanto che ne aveva sostenuto la proroga in forza delle leggi succedutesi nel tempo in materia, e segnatamente aveva fondato la propria difesa sulle proroghe previste dalla legge 203/1982”.
Tanto premesso, il T.A.R., con la sentenza appellata, ha fondato la reiezione del ricorso proposto dalla cooperativa avverso il menzionato provvedimento negativo sui rilievi motivazionali di seguito sintetizzati:
- da un lato, ha rilevato che la condanna della cooperativa ricorrente al rilascio dei terreni “impedisce qualsiasi riconoscimento di legittimazione dell’occupazione senza titolo degli stessi terreni”, i quali “non sono più in possesso di colui che presenta l’istanza” di legittimazione;
- dall’altro lato, ha evidenziato che “nell’alternativa tra reintegrazione a favore del Comune, e legittimazione a favore dell’abusivo occupante, quest’ultima costituisce la soluzione da adottare solo in via del tutto eccezionale” e sempre che “non vi osti un preminente interesse pubblico”.
La sentenza appellata, alla luce delle censure attoree, merita di essere riformata.
Con il primo punto motivazionale, il giudice di primo grado ha fatto discendere la reiezione del ricorso dal fatto che osterebbe, all’accoglimento dell’istanza di legittimazione, la perdita ope iudicis del possesso dei terreni interessati da parte del richiedente.
A prescindere dal fatto che il rilievo esula dal contenuto motivazionale del provvedimento impugnato, che si fonda invece, come si è visto, sulla non configurabilità in capo alla cooperativa dello status di occupante di fatto ( ergo , sine titulo ) del terreno oggetto dell’istanza di legittimazione, deve osservarsi, in senso contrario, che tra lo spossessamento dell’area subito dalla ricorrente ed il procedimento di legittimazione non è ravvisabile alcun profilo di assoluta incompatibilità, essendo il secondo appunto finalizzato a ripristinare, in capo all’occupante abusivo, un titolo giuridico legittimante il possesso da parte sua dell’immobile, la cui assenza è stata posta dalla A.G. a fondamento del comando restitutorio: ad assumere rilievo decisivo, invece, è la sussistenza, alla data di presentazione dell’istanza (ma sarebbe meglio dire, in relazione al requisito dell’occupazione di fatto almeno decennale, alla data del rilascio), dei presupposti delineati dalla legge per il suo favorevole esame.
Deriva, dai rilievi che precedono, che le circostanze sopravvenute alla presentazione dell’istanza di legittimazione – come, nella specie, l’intervenuto rilascio del bene (avvenuto in data 31 dicembre 2018) - non sono idonee ad inficiare la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento della stessa, allo stesso modo in cui l’azione recuperatoria dell’Amministrazione non potrebbe vanificare il procedimento di legittimazione, ove portata ad esecuzione in data successiva alla attivazione del secondo.
Ugualmente non condivisibile è il passaggio motivazionale della sentenza appellata, incentrato sul carattere discrezionale del potere di assentire la legittimazione e sul rilievo preminente che assumerebbe, nell’ambito della sottostante valutazione comparativa degli interessi concorrenti, quello pubblico alla conservazione dei diritti di uso civico, ai fini del soddisfacimento delle esigenze agli stessi sottese.
Premesso che, anche a tale riguardo, non può non osservarsi che la ragione opposta dall’Amministrazione alla cooperativa appellante, ai fini giustificativi del diniego, non attiene alla meritevolezza dell’istanza di legittimazione, alla luce dell’interesse che essa è finalizzata a perseguire in comparazione con gli altri suscettibili di attenta considerazione, ma alla assenza dei presupposti per il rilascio dell’atto di assenso – ergo , alla componente vincolata del potere contemplato dall’art. 9 l. n. 1766/1927 – deve osservarsi, in primo luogo, che la preminenza dell’interesse pubblico alla conservazione dei diritti di uso civico in capo alla comunità di riferimento non può essere affermata in astratto, ma deve comunque essere verificata in concreto, alla luce dell’atteggiarsi degli interessi compresenti (compreso quello della cooperativa istante), attraverso la mediazione dell’esercizio della discrezionalità amministrativa, la quale può far emergere, alla luce delle circostanze concrete, che il suddetto interesse assume carattere cedevole rispetto a quello realizzato mediante il perfezionamento del procedimento di legittimazione.
Quanto invece alle effettive ragioni del diniego, come dianzi richiamate, assumono rilievo decisivo, ai fini della verifica della sussistenza del requisito legittimante della occupazione decennale sine titulo , piuttosto che le allegazioni delle parti formulate nell’ambito del giudizio di rilascio, come ritenuto dall’Amministrazione appellata, le sentenze conclusive (in primo e secondo grado) del giudizio medesimo.
Deve infatti osservarsi che, sebbene le stesse non siano idonee a creare, in capo all’Amministrazione preposta all’esame dell’istanza di legittimazione, il vincolo del giudicato (essendo stata la stessa estranea alla relativa controversia), la medesima Amministrazione, nell’esercizio della sua competenza, non avrebbe potuto non considerare attentamente le sentenze citate, piuttosto che gli atti difensivi promananti dalle parti: ciò tanto più in quanto, come si vedrà meglio infra , l’oggetto di quel giudizio presenta un’intima connessione con il nucleo della presente controversia, come innanzi delimitato.
Né vale osservare che le deduzioni difensive svolte dalla cooperativa nell’ambito di quel giudizio fossero di tenore diverso (od anche opposto) rispetto al contenuto dell’istanza di legittimazione (così come del ricorso proposto avverso il relativo provvedimento di diniego), avendo essa, in quella sede, sostenuto la titolarità di un rapporto di affitto agrario efficace fino al 2026: l’Amministrazione infatti, nell’esercizio delle sue funzioni, non ha il compito di sanzionare i comportamenti, eventualmente contraddittori o incoerenti, dei cittadini, anche mediante il rigetto delle loro istanze, ma di verificare imparzialmente ed obiettivamente la sussistenza dei relativi presupposti legittimanti, potendo la contraddittorietà delle loro rappresentazioni assumere rilievo - ma pur sempre in un contesto valutativo ed istruttorio complessivo - nella misura in cui inficino l’esito positivo di quella verifica.
Ebbene, iniziando dalla sentenza del Tribunale di Lanusei n. 216 del 22 dicembre 2016, già l’inciso introduttivo, di seguito trascritto, pone in luce l’interferenza probatoria tra la stessa e l’esercizio del potere di legittimare l’occupazione dei terreni da parte della Cooperativa appellante: “la presente controversia verte sulla vigenza o meno, all’epoca dell’instaurazione del giudizio, di un contratto di affitto agrario legittimante l’occupazione dei terreni per cui è causa in capo alla resistente”.
Alla risposta negativa al quesito il giudice civile perviene sulla scorta delle seguenti testuali argomentazioni (cfr. pagg. 3 – 6 della sentenza de qua ):
“Stante quanto ritenuto dal ricorrente, infatti, la concessione delle terre incolte di cui all’atto introduttivo, avrebbe cessato di avere efficacia fin dal 1971, data dalla quale sarebbe decorso, per la Cooperativa intimata, l’obbligo di rilascio del bene.
Secondo la ricostruzione dell’Ente, infatti, la norma di cui all’art. 12 della legge n. 11/1971, non potrebbe trovare applicazione nel caso di specie, non avendo, la Cooperativa, effettuato miglioramenti fondiari successivi all’entrata in vigore della citata legge.
Invero, nonostante quanto asserito da parte resistente circa l’inequivocabile esistenza di miglioramenti (…) con l’assunto del ricorrente questo collegio non può che concordare. Per pacifica giurisprudenza della Suprema Corte, infatti, i miglioramenti cui sarebbe applicabile l’art. 12 cit. sono esclusivamente quelli successivi all’approvazione della legge n. 11/1971, se non altro in virtù della previsione normativa che àncora la proroga dodicennale al rispetto della procedura prevista dagli artt. 11 e 14 della medesima legge, non prevista prima della novella in questione.
Detta motivazione, collocando il termine di efficacia della concessione prefettizia alla fine dell’annata agraria del 1970-71, risulta già, di per se stessa, assorbente anche con riguardo a tutte le ulteriori questioni sollevate dalla parte resistente.
Pare opportuno rilevare che, ad ogni modo, se anche si volesse ritenere applicabile al rapporto agrario de quo la proroga di cui all’art. 12 l. 11/71 e quindi, di conseguenza, ritenere che alla data di entrata in vigore della successiva l. n. 203 del 1982 il contratto risultasse ancora efficace e durevole, ai sensi dell’art. 2 L. 2031982, per ulteriori quindici anni, la ricorrente avrebbe comunque avuto diritto al rilascio quantomeno a decorrere dal 1996.
E’ infatti pacifico come, nello specifico caso che oggi ci occupa, debba essere categoricamente esclusa l’operatività della rinnovazione tacita di cui all’art. 4 della citata normativa.
Nel caso in esame, invero, una delle parti del contratto risulta essere un ente pubblico, ragion per cui sarebbe stata necessaria la manifestazione espressa della volontà negoziale mediante forma scritta ad substantiam ai sensi dell’art 17 R.D. n. 2440/1923.
(…)
La domanda principale avanzata dalla ricorrente, volta ad ottenere il rilascio del fondo sito in Arzana, località S’Accettori, censito al N.C.T. al f. 53, mapp. 1, di ha 205 aa 61 ca 65, deve, per le ragioni sopra esposte, trovare accoglimento.
È indubbio che, nel caso in esame, il mancato rilascio del fondo rustico – o meglio la continuata occupazione sine titulo – ha reato una situazione di occupazione abusiva che ha generato dei danni risarcibii ex art 2043 c.c.”.
A non diverse conclusioni, quanto alla ricostruzione giudiziale della situazione di occupazione sine titulo da parte della cooperativa appellante, può giungersi alla stregua della sentenza della Corte di Appello di Cagliari, Sezione Specializzata per le controversie agrarie, n. 1 del 30 novembre 2017.
A venire in rilievo, in senso apparentemente contrario alla tesi attorea, è il seguente passaggio motivazionale:
“Né, in senso contrario, può ritenersi che la Cooperativa appellante sia una mera occupante di fatto di terreni gravati da uso civico;invero, la stessa Cooperativa, in primo grado, aveva espressamente dedotto di detenere il fondo in forza di un contratto di affitto, tanto che ne aveva sostenuto la proroga in forza delle leggi succedutesi nel tempo in materia, e segnatamente aveva fondato la propria difesa sulle proroghe previste dalla legge 203/1982.
Difesa che, se pur volta a sostenere una tesi non accoglibile, attesa la natura di ente pubblico del Comune concedente, era assolutamente coerente con l’oggetto della controversia, ossia la intervenuta scadenza del rapporto di affitto agrario, e quindi sulla natura del rapporto tra le parti e delle ragioni per le quali era stata proposta dal Comune di Arzana la domanda di rilascio”.
Tuttavia, a prescindere dal fatto che la surriportata affermazione è fatta ai soli fini dell’esame dell’eccezione di giurisdizione formulata dalla odierna appellante, deve osservarsi che, coerentemente con l’esito confermativo (della sentenza impugnata) del giudizio di appello e nel quadro del complessivo ordito motivazionale, è lo stesso giudice di secondo grado ad affermare che la tesi della appellante (nel senso della titolarità di un contratto di affitto tuttora efficace) è “non accoglibile, attesa la natura di ente pubblico del Comune concedente”.
Come si evince dalle sentenze citate, quindi, non solo il giudice civile è pervenuto ad una conclusione opposta, quanto alla situazione di occupazione sine titulo della cooperativa appellante, a quella posta a fondamento del provvedimento impugnato, ma le stesse smentiscono proprio le circostanze richiamate dall’Amministrazione e desunte prevalentemente dagli scritti difensivi della parte appellante (come quelle intese a giustificare la reiterata proroga del contratto di affitto asseritamente in essere con il Comune di Arzana).
L’appello, in conclusione, deve essere accolto e conseguentemente annullato, in riforma della sentenza appellata ed in accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio, il provvedimento di diniego con esso impugnato, salve le ulteriori determinazioni dell’Amministrazione.
L’originalità dell’oggetto della controversia giustifica nondimeno la compensazione delle spese dei due gradi di giudizio.