Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-08-22, n. 201805005
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Testo completo
Pubblicato il 22/08/2018
N. 05005/2018REG.PROV.COLL.
N. 03619/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3619 del 2017, proposto da:
F A, rappresentato e difeso dall'avvocato A M, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Cosseria, n. 2;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Capo della Polizia, Consiglio Provinciale di Disciplina della Polizia di Stato - Sezione di Roma non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA, SEZIONE I TER, n. 1481/2017, resa tra le parti, concernente la domanda di nullità e/o annullamento del decreto n. 333-D/15429 del 7 marzo 2016 del Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell'Interno, a firma del Capo della Polizia, che prevedeva la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio per il Sig. F A;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 maggio 2018 il Cons. Alessandro Verrico e uditi per le parti gli avvocati Mirra, Avv.to dello Stato Fedeli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. L’Assistente Capo della Polizia di Stato A Fabrizio, a decorrere dal 3 maggio 2011, veniva sospeso cautelarmente dal servizio, ai sensi dell’art. 9, comma 1, d.P.R. n. 737/81, in quanto sottoposto a procedimento penale e a custodia cautelare in carcere per il reato di cui agli artt. 110 c.p. e 73 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
1.1. In seguito ad assoluzione dal reato ascritto, con sentenza n. 2155/13 del 31.3.2013 del Tribunale penale di Roma, Sez. V, per “non aver commesso il fatto”, con decreto del Capo della Polizia del 2 ottobre 2013, all’appellante veniva revocata, ai sensi dell’art. 9, comma 3, d.P.R. n. 737/81, la sospensione cautelare a decorrere dal 4 ottobre 2013.
1.2. Con sentenza della Corte di Appello di Roma del 30 maggio 2014, divenuta irrevocabile il 17 ottobre 2014, veniva infine confermata l’assoluzione, così come disposto in primo grado di giudizio.
2. Successivamente, a seguito di valutazione negativa della Commissione Medica Ospedaliera, il Ministero dell’Interno emanava il decreto direttoriale n. 333-D/15429 del 16 ottobre 2013, con il quale veniva disposta la sospensione dal servizio dell’Assistente Capo A, poiché ritenuto “non idoneo” all’impiego nei ruoli della Polizia di Stato.
2.1. Con ricorso innanzi al T.a.r. per il Lazio l’A impugnava il predetto provvedimento unitamente al connesso giudizio di non idoneità adottato dall’Amministrazione, chiedendone l’annullamento.
2.2. Il T.a.r. per il Lazio, con sentenza n. 6818/20144, accoglieva il ricorso e disponeva la riammissione in servizio a decorrere dall'11 agosto 2014.
3. Nei confronti dell’A era stato inoltre instaurato un procedimento penale per agevolazione nell'attività di spaccio di sostanze stupefacenti, poi concluso nel 2010 con l’assoluzione con la formula “perché il fatto non sussiste”, in ordine a reati in materia di droga, e con la formula di “non procedibilità”, quanto al reato di utilizzo arbitrario di autovettura blindata di servizio perché estinto per prescrizione.
4. Con nota del 2 aprile veniva avviato nei confronti dell’Assistente Capo A un procedimento disciplinare ex art. 19, d.P.R. n. 737/81, notificando allo stesso contestazione per i seguenti addebiti:
a) l’aver frequentato, in epoca risalente, persone di dubbia moralità denigrando la Polizia di Stato;
b) l’aver svolto una seconda attività lavorativa in costanza di impiego con la stessa Amministrazione dell’Interno.
4.1. Il procedimento disciplinare si concludeva con l’inflizione della sanzione disciplinare della destituzione dal servizio “per avere, l’inquisito, posto in essere atti che hanno rivelato mancanza del senso dell’onore e della morale, in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento, che hanno evidenziato un grave abuso di autorità e di fiducia, conferitagli dalla qualifica di Assistente Capo della Polizia di Stato e per la dolosa violazione dei propri doveri, così arrecando un grave pregiudizio all’Amministrazione della P.S.. consistititi nell’aver avuto rapporti costanti e collaborativi con più soggetti, coinvolti a vario titolo in un’indagine di polizia giudiziaria, collocandosi, sotto il profilo morale, ai margini esterni del concorso nel reato commesso dagli stessi soggetti, tutti, tra l’altro, gravati da precedenti di polizia e giudiziari, nonché per aver svolto una seconda attività, mentre usufruiva di congedo straordinario per malattia e giungendo finanche alla denigrazione dell’Amministrazione di appartenenza”.
5. Con ricorso dinanzi al T.a.r. del Lazio l’Assistente Capo A impugnava il provvedimento disciplinare, chiedendone l’annullamento.
5.1. Il TAR del Lazio, Roma, Sezione I- ter , dopo aver accolto l’istanza cautelare del ricorrente con ordinanza n. 4412 del 3 agosto 2016, alla quale faceva seguito il decreto n. 333-D/0185762 di riammissione in servizio a decorrere dal 2 agosto 2016, con sentenza n. 1481/2017 respingeva il ricorso, sicché con successivo e consequenziale decreto n. 333-D/0185762 il Ministero dell’Interno confermava la destituzione del ricorrente.
6. Con ricorso in appello il sig. A Fabrizio ha impugnato detta pronuncia, chiedendone l’annullamento sulla base dei seguenti motivi, sinteticamente riportati:
I) error in procedendo e in iudicando . Illegittimità/ingiustizia della sentenza n. 1481/2017, per non aver considerato il primo motivo di ricorso rubricato “illegittimità del provvedimento per violazione di legge e, per gli effetti, dei termini del procedimento disciplinare”;
II) error in iudicando . Illegittimità/ingiustizia della sentenza n. 1481/2017, per non aver considerato il secondo motivo di ricorso rubricato “illegittimità del provvedimento per violazione di legge e, per gli effetti, degli artt. 6 e 7 del d.P.R. n. 737 del 1981 / eccesso di potere nelle forme dell’errore, travisamento dei fatti ed ingiustizia manifesta”;
III) error in iudicando . Illegittimità/ingiustizia della sentenza n. 1481/2017, per non aver considerato il secondo motivo di ricorso rubricato “illegittimità del provvedimento per violazione di legge e, per gli effetti, degli artt. 9 d.P.R. n. 737/1981 e 97 d.P.R. n. 3/1957 / eccesso di potere nelle forme dell’errore e del travisamento dei fatti / difetto di motivazione istruttoria;
IV) error in iudicando . Illegittimità/ingiustizia della sentenza n. 1481/2017, per non aver considerato il secondo motivo di ricorso rubricato “illegittimità del provvedimento per violazione di legge e, per gli effetti, dell’art. 6 del d.P.R. n. 737 del 1981 / eccesso di potere nella figura sintomatica della irragionevolezza, illogicità manifesta e contraddittorietà in ordine alla sanzione disciplinare irrogata / violazione del principio di proporzionalità e difetto di motivazione ed istruttoria.
6.1. Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno, opponendosi all’appello e chiedendone il rigetto.
7. All’udienza del 1° marzo 2018, il Collegio ha adottato ordinanza istruttoria, depositata in data 7 marzo 2018, al fine di acquisire:
“1) copia integrale delle intercettazioni telefoniche citate dalla Commissione Provinciale di Disciplina di Roma della Polizia di Stato nella deliberazione n. 8/2015 del 17 dicembre 2015, ivi inclusa la parte in premessa;
2) copia integrale del fascicolo disciplinare relativo al caso in esame”.
7.1. Con nota del 26 marzo 2018 veniva data ottemperanza alla richiesta istruttoria.
8. All’udienza del 3 maggio 2018 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
9. Con un primo motivo l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza nel non aver considerato l’illegittimità del provvedimento poiché emesso in violazione del termine di cui all’art. 9 della legge 737/1981, nonché del termine di cui all’art. 9 della legge n. 19/1990, ovvero di n. 270 giorni, deducendo, in particolare, che, nel caso di specie, il procedimento disciplinare ha avuto inizio il 7 aprile 2015 con l’iniziale notifica della contestazione dell’addebito e termine il 6 aprile 2016 con la notifica del decreto di destituzione (per un totale n. 364 gg).
9.1. Premessa l’inammissibilità ex art. 104 c.p.a. della censura relativa alla violazione dell’art 103 del d.P.R. 3/57, riguardante la tempestività nell’avvio del procedimento disciplinare, in quanto proposta per la prima volta in sede di appello, il Collegio rileva che:
a) a norma dell’art. 9, comma 2, della legge 7 febbraio 1990, n. 19, il procedimento disciplinare “deve essere proseguito o promosso entro centottanta giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna e concluso nei successivi novanta giorni”;
b) tale termine, da quanto emerge dalla lettera della legge, risulta pertanto chiaramente applicabile al solo caso della destituzione conseguente a condanna penale;
c) nel caso di specie, come, del resto, riferito dallo stesso appellante, non si è alla presenza di una sentenza penale di condanna, essendosi il giudizio penale a carico dell’A concluso con una pronuncia di assoluzione;
d) occorre pertanto escludere l’applicabilità alla fattispecie della normativa citata, non potendo essa trovare applicazione, a differenza di quanto sostenuto dall’appellante, neppure in via analogica in quanto tale ultima soluzione:
d.1) appare in contrasto con la regola di stretta interpretazione della normativa, avendo questa carattere speciale, come peraltro desumibile dal tenore delle pronunce giurisprudenziali sul tema (cfr. Cons. Stato, sez. III, 12 maggio 2016, n. 1893;sez. III, 3 agosto 2015, n. 3812;sez. V, 23 gennaio 2004, n. 187);
d.2) esorbita dalla ratio della legge, che impone un termine “breve” per la conclusione del procedimento disciplinare perché nel caso di sentenza penale di condanna, a differenza degli altri casi ipotizzabili, l’istruttoria risulta certamente semplificata per l’Amministrazione, alla luce della completezza degli elementi di prova assunti nel corso del procedimento penale ordinario.
9.2. Peraltro, come correttamente rilevato dal primo giudice, nella fattispecie risulta applicabile, nonché pienamente rispettato, il differente termine previsto dall’art. 120 del d.P.R. n. 3 del 1957, che dispone l’estinzione del procedimento disciplinare laddove tra un atto ed il seguente decorrano più di novanta giorni. Invero, alla luce della scansione temporale degli atti della procedura chiaramente ricordata da parte appellata, si osserva che la distanza temporale maggiore veniva raggiunta tra l’adozione della delibera n. 8/2015 del Consiglio Provinciale di Disciplina, in data 17 dicembre 2015, e la seguente emissione del decreto di destituzione, in data 7 marzo 2016, che risulta ad ogni modo essere contenuta nei termini di legge, contandosi 81 giorni di distacco.
9.3. Non si rinviene infine una censura specifica in ordine alla eventuale violazione dell’art. 9, c. 6, d.P.R. 737/1981, disposizione relativa al termine entro il quale il procedimento disciplinare deve avere inizio.
10. Con i motivi di appello secondo e quarto, i quali essendo intimamente connessi tra loro richiedono una trattazione congiunta, il ricorrente eccepisce il travisamento dei fatti e la non proporzionalità della sanzione.
Al riguardo, deduce, in primo luogo:
a) che non è mai emerso, in nessuna sede processuale, che lo stesso intrattenesse “rapporti costanti e collaborativi” con pregiudicati;
b) che alla data della prima contestazione dei fatti all’appellante (14.12.2009), nessuno dei citati soggetti era già pregiudicato;
c) che l’appellante non ha mai svolto un secondo lavoro, bensì si prodigava solo ad accompagnare nei suoi impegni professionali il figlio più giovane, Mirko A.
Infine, in merito alla violazione del canone della proporzionalità, l’appellante sostiene che l’aver intrattenuto rapporti con pregiudicati, ove mai fosse dimostrato, legittimerebbe la sola sospensione dal servizio, come previsto dall’art. 6, punto 7, d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, secondo cui “La sospensione dal servizio (...) può essere inflitta nei seguenti casi: (...)
7) assidua frequenza, senza necessità di servizio ed in maniera da suscitare pubblico scandalo, di persone dedite ad attività immorale o contro il buon costume ovvero di pregiudicati”.
10.1. Le censura sono infondate.
10.2. Al riguardo, con specifico riferimento al primo illecito contestato, il Collegio, alla luce delle risultanze dell’istruttoria espletata nel presente grado di giudizio, rileva in primo luogo che:
a) nel procedimento disciplinare si riassume la condotta dell’A nella frequentazione, sotto forma di incontri e/o contatti telefonici, con persone gravate da precedenti penali e/o di polizia, la cui dimostrazione trova fondamento in una serie di rapporti (incontri di A con Finamore presso il solarium della Negro in via Cimarra;telefonate ed incontro tra A e F; SMS inviato il 14.12.2009 da Gangemi al F, in cui il primo chiede al secondo di farlo chiamare da “Fabrizio”;telefonata del 16.12.2009 da F ad A;contatti telefonici in data 9.2.2010 tra A e Negro Melissa e in data 13.3.2010 con F), culminati nell’episodio del 14 dicembre 2009, quando l’A accompagnava il F con la autovettura di quest’ultimo e dallo stesso guidata, così agevolandolo garantendo per lui in caso di eventuali controlli di P.G., al garage del Gangemi, dove giungeva quando ormai quest’ultimo era stato arrestato perché trovato con un quantitativo rilevante di sostanza stupefacente (cocaina);
b) benché nella sentenza di primo grado il Tribunale penale di Roma (Sez. V, s. n. 2155/2013 del 31 marzo 2013) concludeva per l’assoluzione dell’A per non aver commesso il fatto, attesa l’assenza di prove del suo concorso nei reati imputati, affermando che lo stesso “non risulta mai aver svolto, nell’interesse dell’associazione, alcuna attività che, in qualche modo legata alla sua qualifica professionale, fosse volta a fornire informazioni o notizie sulle indagini in corso. Né risulta che egli abbia mai fornito quella copertura ”;
c) la Corte d’Appello di Roma, Sez. III penale, con sentenza n. 4500/2014 – passata in giudicato, seppur confermando l’assoluzione dell’appellante, nella parte motiva ha definitivamente statuito in questi termini:
I) “ non può seriamente porsi in dubbio che l’agente di PS A, amico di F, violando i doveri del suo stato, accompagnò il F (“per coprirlo”) presso il garage di Gangemi... F fremeva e, per andare in loco, si fece accompagnare, per sua sicurezza, dallo A ”;
II) col SMS in cui si parlava di “Fabrizio” si faceva riferimento a A;
III) “ contariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, alle ore 21.22 si incontrano F ed A, ed è F, che ha un interesse a incontrare A ”;
IV) “ F, intuendo una possibile disavventura poliziesca di Finamore, si incontrò immediatamente con A, caricandoselo in auto, per giovarsi dell’appartenenza di questi alla Polizia di Stato nel caso di controlli di pg in itinere, e quindi per muoversi con più sicurezza nell’avvicinarsi al luogo ”;
V) “ non può seriamente dubitarsi, al di là dei ventilati e non dimostrati sospetti di un’opera di aggiustamento successivo delle relazioni di servizio di CC, del fatto che A, espressamente richiesto dal F, lo accompagnò al garage dove era la cocaina ”;
VI) “ poiché anche per l’A non vi sono le condizioni per poter affermare una responsabilità quale associato per delinquere con il F ... l’unica condotta contestabile ... si colloca effettivamente ai margini esterni del concorso nel reato commesso da F e Gangemi, sotto il profilo morale;indubbiamente la funzione dell’A era quella di agevolare il F, in caso di un controllo di polizia, durante il viaggio verso il garage ... si tratta di una sostanziale opera di copertura/favoreggiamento, che come tale in termini penali non è ipotizzabile nella specie ... ed allora ... resterebbe solo il concorso morale;che non potrebbe essere nella forma dell’istigazione ... potrebbe esserlo nella forma del rafforzamento della volontà di F, ma a bene vedere questo rafforzamento si sarebbe esplicato solo verso la decisione di F di recarsi al garage ... un “rafforzamento” quindi di incerto inquadramento come forma di concorso morale nel delitto di detenzione del F. Non pare quindi in definitiva censurabile il pensiero del Tribunale e quello del PG di udienza che dubitano della presenza degli effettivi estremi di una condotta sussumibile nel paradigma dell’art. 110 ”.
10.3. In conclusione, sebbene nella fattispecie – come statuito in sede penale – non siano ravvisabili profili di rilevanza penale, risulta incontroverso che sussistano plurimi elementi per confermare la contestazione disciplinare posta a carico dell’appellante.
Risulta pertanto destituita di fondamento la censura relativa al dedotto travisamento dei fatti, in quanto la pronuncia penale passata in giudicato fornisce ampia dimostrazione dei rapporti costanti e collaborativi, rilevati dal Consiglio Provinciale di Disciplina, che il dipendente ha intrattenuto con più soggetti, coinvolti a vario titolo in un’indagine di polizia giudiziaria per gravi reati, collocandosi, sotto il profilo morale, “ ai margini esterni del concorso nel reato ” dagli stessi commesso.
10.4. Le medesime conclusioni devono essere tratte in merito al secondo illecito oggetto di contestazione, trovando lo stesso fondamento anche nelle intercettazioni telefoniche a carico dell’A, il cui contenuto – in ragione delle espressioni utilizzate e del contesto – è stato ragionevolmente inteso dall’Amministrazione quale dimostrazione dello svolgimento da parte dell’Assistente Capo di una seconda attività lavorativa. Non appare peraltro sostenibile – né viene adeguatamente provata - la tesi, avanzata dall’appellante, secondo cui tali condotte sarebbero da ricondurre all’aiuto nel lavoro che il medesimo avrebbe fornito al figlio.
La circostanza, peraltro, assume profili di particolare gravità, in ragione del fatto che l’episodio avveniva nel momento in cui il ricorrente usufruiva di congedo straordinario per malattia e che, dal tenore delle conversazioni intercettate, emerge l’intento di denigrazione dell’Amministrazione di appartenenza.
10.5. Ciò considerato in ordine alla sussistenza dei fatti posti a base del provvedimento disciplinare, il Collegio, quanto all’esame del profilo della proporzionalità della sanzione adottata, non può non richiamare i principi della consolidata giurisprudenza amministrativa, secondo cui: “ La valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all'applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l'evidente sproporzionalità e il travisamento. In particolare, le norme relative al procedimento disciplinare sono necessariamente comprensive di diverse ipotesi e, pertanto, spetta all'Amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l'infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità ” (Cons. Stato, sez. VI, 20 aprile 2017, n. 1858;conf. id ., sez. III, 5 giugno 2015, n. 2791;sez. VI 16 aprile 2015 n. 1968;sez. III 20 marzo 2015 n. 1537).
10.6. Ebbene, attesa la gravità dei fatti contestati, che ben si prestano ad essere valutati come in netto contrasto con la rettitudine nello svolgimento del servizio e con la morale richiesti al dipendente, così arrecando un grave pregiudizio all’Amministrazione della P.S., non è ravvisabile nella fattispecie quel carattere di abnormità o manifesta illogicità, irragionevolezza e sproporzionalità, tale da concretare il dedotto eccesso di potere.
10.7. Risultano pertanto giustificate, anche ai sensi dell’art. 13 d.P.R. n. 737/1981, le conclusioni con cui l’Amministrazione è giunta a qualificare il comportamento del ricorrente “ del tutto incompatibile e antitetico ai compiti e doveri di un tutore dell’ordine e della sicurezza pubblica ”, “ riprovevole ed inconciliabile con le funzioni proprie di un operatore di polizia ”, arrecando un “ grave pregiudizio e nocumento...all’immagine dell’Amministrazione ”.
10.7. D’altro canto, la censura si palesa infondata anche perché:
a) l’art. 6, punto 7, d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 sebbene preveda la sospensione dal servizio come sanzione applicabile nei casi di “assidua frequenza, senza necessità di servizio ed in maniera da suscitare pubblico scandalo, di persone dedite ad attività immorale o contro il buon costume ovvero di pregiudicati”, riconosce all’Amministrazione una facoltà in tal senso, non limitandone le possibilità sanzionatorie unicamente a tale tipologia;
b) nel caso di specie, la contestazione è duplice, riguardando non solo la frequentazione con soggetti gravati da precedenti di polizia e giudiziari ma anche lo svolgimento del secondo lavoro in costanza di servizio, e conseguentemente la sanzione deve essere rapportata al comportamento complessivo tenuto dal dipendente.
10.8. Alla luce di quanto considerato, il provvedimento di destituzione risulta essere fondato su fatti esistenti e di una gravità tale da ritenere proporzionata la sanzione adottata.
11. Con un terzo motivo l’appellante contesta la retrodatazione della decorrenza della destituzione dal servizio alla data del 3 maggio 2011, nella quale è stata disposta la sospensione cautelare dal servizio, censurando la violazione degli artt. 9 e 13, d.P.R. n. 737/1981 e dell’art. 97, d.P.R. n. 3/1957. Al riguardo, eccepisce l’erroneità della decisione di primo grado, laddove la stessa valorizza, ai fini dell’affermazione della legittimità del provvedimento, la circostanza che la revoca della sospensione cautelare dal servizio veniva disposta, con decreto del 2 ottobre 2013, con efficacia ex nunc , e che, come previsto dal provvedimento impugnato, " il servizio di fatto prestato dall’interessato nei periodi dal 4.10.2013 (data di riammissione in servizio) fino al 20.10.2013 (data antecedente la cessazione dal servizio per inidoneità attitudinale) e dall’11.8.2014 fino alla data di notifica del...provvedimento " stesso " è dichiarato utile ai fini della corresponsione del trattamento economico in attività di servizio e valido sia ai fini giuridici che a quelli economici del trattamento di quiescenza, assistenza e previdenza ".
11.1. Il Collegio rileva l’infondatezza della censura.
Evidenzia al riguardo che la sanzione della sospensione cautelare dal servizio, con decorrenza 3 maggio 2011, disposta ai sensi dell’art. 9, comma 1, d.P.R. n. 737/81, successivamente all’emissione della sentenza di assoluzione dal reato ascritto (artt. 110 c.p. e 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309) n. 2155/13 del 31.3.2013 del Tribunale penale di Roma, Sez. V, veniva revocata con decreto del Capo della Polizia del 2 ottobre 2013, ai sensi dell’art. 9, comma 3, d.P.R. n. 737/81, a decorrere dal 4 ottobre 2013.
Tale ultimo provvedimento restava tuttavia non impugnato dal dipendente, con la conseguenza che, essendosi cristallizzati gli effetti, risultano inammissibili le censure spiegate avverso di esso in questa sede.
11.2. Alla luce di ciò deve pertanto trovare conferma la statuizione del primo giudice, che si rivela condivisibile anche laddove puntualizza che non può non essere tenuto in considerazione che il provvedimento impugnato, se da un lato fa decorrere la destituzione dalla data del 3 maggio 2011, dall’altro fa salvi, ai fini della corresponsione del trattamento economico ed ai fini giuridici ed economici del trattamento di quiescenza, assistenza e previdenza, i periodi in cui il ricorrente ha effettivamente svolto attività lavorativa (dal 4.10.2013 al 20.10.2013;dal 11.8.2014 fino alla data di notifica del provvedimento).
12. In ragione delle sopra esposte considerazioni, l’appello deve pertanto essere respinto.
13. La spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.