Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-10-09, n. 201805797

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-10-09, n. 201805797
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201805797
Data del deposito : 9 ottobre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/10/2018

N. 05797/2018REG.PROV.COLL.

N. 02761/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2761 del 2018, proposto dal Comune di Mirabella Imbaccari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato A B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via di San Basilio n. 61;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, via dei Portoghesi 12, è ope legis domiciliato;

nei confronti

Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, via dei Portoghesi 12, è ope legis domiciliato;
Comune di Modica, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 09856/2017, resa tra le parti, con cui è stato respinto il ricorso proposto dall'odierna parte appellante avverso il decreto dell’11 ottobre 2016 recante l’applicazione della sanzione di euro 587.100,00 per il mancato rispetto del patto di stabilità interno relativo all’anno 2015.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e del Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 settembre 2018 il Cons. Umberto Maiello e uditi per le parti l’avvocato A B e l'avvocato dello Stato Maria Vittoria Lumetti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il gravame in epigrafe il Comune appellante agisce per l’annullamento della sentenza del TAR Lazio, sezione di Roma, n. 9856 del 20/6/2017, pubblicata in data 20/9/2017, con cui è stato respinto il ricorso proposto avverso il decreto dell’11 ottobre 2016 recante l’applicazione della sanzione di euro 587.100,00 per il mancato rispetto del patto di stabilità interno relativo all’anno 2015.

Nel proprio mezzo, con il quale chiedeva altresì la condanna della parte intimata, anche ai sensi dell’art. 34, 1° comma, lett. c), del D.Lgs. n. 104/2010, all’immediata erogazione di quanto illegittimamente trattenuto in sede di minori trasferimenti erariali, il Comune di Mirabella Imbaccari rappresentava, peraltro, di essere in dissesto finanziario giusta deliberazione del Commissario Straordinario con i poteri del Consiglio, n. 5 del 29.6.2015 ai sensi degli artt. 244 e ss. del d. lgs. n. 267/2000.

Il giudice di prime cure, con la sentenza qui appellata, respingeva l’azione impugnatoria, rilevando, in sintesi, la compatibilità della disciplina di settore alla normativa costituzionale e l’inconferenza, ai fini della sua corretta applicazione, dello stato di dissesto in cui versava il Comune appellante.

Avverso la mentovata decisione, con l’appello qui in rilievo, il Comune di Mirabella Imbaccari ha articolato i seguenti motivi di gravame:

1) error in iudicando con riferimento al motivo di ricorso con il quale l’appellante lamentava il mancato coordinamento tra l’art. 31, comma 20, della legge n. 183/2011 e l’art. 227 del T.U.E.L. (D.Lgs. n. 267/2000). Ed, invero, il Comune avrebbe inviato al Ministero competente dati meramente provvisori in quanto, all’epoca dell’accertamento della violazione del patto di stabilità, non aveva ancora approvato il bilancio consuntivo e, peraltro, ad oggi, anche il bilancio stabilmente riequilibrato del Comune di Mirabella Imbaccari non risulta ancora approvato. Segnatamente, ai sensi dell’art. 248, comma 1, TUEL: “a seguito della dichiarazione di dissesto, e sino all’emanazione del decreto di cui all’art. 261, dovrebbero essere sospesi i termini per la deliberazione del bilancio. In tal senso, sarebbe di conforto il decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato - n. 18628 del 4.3.2016

2) erronea interpretazione dell’art. 31 comma 20 bis della L. n. 183/2011 anche alla stregua della disciplina in tema di dissesto degli enti locali che consentirebbe un recupero retroattivo dei saldi relativi al patto di stabilità. Ed, invero, il Comune avrebbe recentemente deliberato l’aumento delle aliquote e delle tariffe di base nella misura massima consentita e dovrà adottare l’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato da sottoporre all’approvazione del Ministero dell’Interno nella misura massima consentita;

3) erroneità della decisione di prime cure nella parte in cui ha ritenuto non applicabile alla fattispecie qui in rilievo l’art. 248, comma 2, del D.Lgs. n. 267/2000. Ed, invero, contrariamente a quanto ritenuto, non vi sarebbe differenza tra le procedure esecutive a cui fa riferimento il suddetto art. 248 e le sanzioni come quella de qua ;

4) erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha rilevato che “la decorrenza e le modalità di applicazione” della sanzione impugnata in primo grado avrebbero dovuto essere stabilite sulla base dell’art. 13 del D.Lgs. n. 149/2011, secondo le procedure di cui all’art. 27 della legge n. 42/2009, quali garanzia dell’autonomia speciale. Tanto troverebbe conferma nell’accordo recepito con legge 232/2016. D’altro canto la decisione di prime cure sarebbe contraddittoria nella parte in cui, da un lato, predica la non applicabilità dell’articolo 13 e, dall’altro, ne afferma la disapplicabilità;

5) l’appellante ripropone quindi i vizi di illegittimità costituzionale, già denunciati in primo grado, dell’art. 31 (commi 26, lett. a), 20 e 20 bis) della L. n. 183/2011 che risulterebbe incostituzionale per violazione del parametro di ragionevolezza e del principio di uguaglianza. L’irragionevolezza sarebbe nella eccessiva rigidità della legge n. 183/2011, nel suo “deficit di flessibilità” rispetto a situazioni particolari, come il dissesto finanziario, che impongono di tener conto delle specificità del caso concreto.

L’articolo 31 cit. sarebbe altresì incostituzionale:

- in quanto mortificherebbe la competenza legislativa esclusiva della Regione Siciliana in materia di “regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative” nonché di “circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali”, come sancita dall’art. 14, lett. o), e dall’art. 15, 3° comma, dello Statuto regionale siciliano, approvato con R.D.L. n. 455/1946 e convertito in legge costituzionale n. 2/1948, incidendo in via tanto unilaterale quanto illegittima anche sull’autonomia finanziaria regionale siciliana (art. 36, 37 e 38 dello Statuto speciale siciliano);

- per violazione dell’art. 43 dello Statuto della Regione Siciliana, ai sensi del quale: “una Commissione paritetica di quattro membri nominati dall’Alto Commissario della Sicilia e dal Governo dello Stato, determinerà (...) le norme per l’attuazione del presente Statuto”.

6) l’appellante ripropone le censure di incostituzionalità dell’articolo dell’art. 13 della L. n. 149/2011 ove interpretato nel senso della impossibilità di applicarlo estensivamente ad una disposizione di contenuto identico ad altra già contenuta nel medesimo decreto.

Resiste in giudizio l’Amministrazione appellata che ha concluso per il rigetto dell’appello.

All’udienza del 20.9.2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato e, pertanto, va respinto.

Un primo gruppo di doglianze muove dalla pretesa insussistenza dei presupposti di applicazione della fattispecie sanzionatoria qui in rilievo a cagione del diverso risultato esegetico cui condurrebbe una lettura sistemica dell’articolo 31, comma 20, della legge n. 183/2011 con le disposizioni di cui al testo unico sugli enti locali (e segnatamente artt. 227 e 248 del d. lgs 267/2000);
ciò anche in considerazione dello stato di dissesto in cui il Comune appellante già versava, giusta deliberazione del Commissario Straordinario n. 5 del 29.6.2015, al momento dell’adozione dell’avversato decreto ministeriale, assunto in data 11.10.2016.

Sul punto, vale premettere che la salvaguardia degli equilibri di bilancio ha assunto nel corso degli ultimi anni un rilievo sempre più stringente anche a cagione dei vincoli rinvenienti dal processo di integrazione europea. Da qui l’introduzione a livello di legislazione statale di sempre più stringenti condizionamenti imposti, nei saldi, alle politiche di bilancio degli Enti locali siccome volti a salvaguardare l’equilibrio unitario della finanza pubblica, a sua volta condizionata anche da obblighi comunitari (Patto di stabilità e di crescita europeo).

In tale ottica, per l’annualità in argomento, la disciplina di settore ha, anzitutto, previsto le modalità attraverso le quali lo Stato procede alla verifica del rispetto del pareggio di bilancio, facendo carico agli Enti obbligati di trasmettere un’apposita certificazione entro un preciso termine espressamente qualificato come perentorio.

Segnatamente, per l’esercizio qui in rilievo, risulta dettata una disciplina speciale (oggettivo di modifiche per i successivi anni di esercizio) rappresentata, per quanto di più diretto interesse, dall’articolo 31 comma 20 della legge 183/2011 a mente del quale “ ai fini della verifica del rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno, ciascuno degli enti di cui al comma 1 è tenuto a inviare, utilizzando il sistema web appositamente previsto per il patto di stabilità interno nel sito web «http://pattostabilitainterno.tesoro.it» entro il termine perentorio del 31 marzo dell'anno successivo a quello di riferimento, al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, una certificazione del saldo finanziario in termini di competenza mista conseguito, firmata digitalmente..”.

La disposizione in commento prevede, altresì, che “ la mancata trasmissione della certificazione entro il termine perentorio del 31 marzo costituisce inadempimento al patto di stabilità interno ”.

Al rilevato inadempimento, reale o per fictio iuris , conseguono gravi sanzioni, tra qui quella pecuniaria, prevista al comma 26 lettera a) dell’articolo 31 cit., applicata al Comune di Mirabella Imbaccari e oggetto del presente procedimento di gravame.

Tuttavia, il rigore sanzionatorio è temperato dalla previsione di alcuni limitati casi nei quali è possibile attenuare o ridurre le sanzioni laddove la certificazione, sempreche’ positiva (nel senso che attesti il rispetto del patto di stabilità interno), sia trasmessa in ritardo “ Nel caso in cui la certificazione, sebbene in ritardo, sia trasmessa entro sessanta giorni dal termine stabilito per l'approvazione del conto consuntivo e attesti il rispetto del patto di stabilità interno, si applicano le sole disposizioni di cui al comma 26, lettera d), del presente articolo. Con riferimento all'anno 2015, nel caso in cui la certificazione sia trasmessa oltre il termine stabilito del 31 marzo e attesti il rispetto del patto di stabilità interno, la sanzione di cui al comma 26, lettera d), del presente articolo non si applica purché la certificazione sia stata trasmessa entro il 30 aprile 2016 ”.

Di contro, resta evidente che la certificazione tardiva che attesti il mancato rispetto del patto di stabilità interno comporta l’applicazione di tutte le sanzioni previste dal comma 26 dell’articolo 31 della legge n. 183 del 2011.

La norma in commento prevede, poi, l’obbligo di comunicare una rettifica anche oltre il margine temporale suindicato quando però attraverso di essa vengano veicolati dati peggiorativi di quelli già partecipati. Ed, invero, il comma 20-bis espressamente prescrive che “Decorsi sessanta giorni dal termine stabilito per l'approvazione del rendiconto di gestione, l'ente locale è comunque tenuto ad inviare una nuova certificazione, a rettifica della precedente, se rileva, rispetto a quanto già certificato, un peggioramento del proprio posizionamento rispetto all'obiettivo del patto di stabilità interno ”.

Orbene, una lettura sistemica delle richiamate diposizioni induce a ritenere che il soprarichiamato corpo normativo, in ragione della dignità giuridica di disposizioni speciali delle norme che lo compongono, delinei un sistema conchiuso in tema di adempimenti connessi alla salvaguardia del cd. patto di stabilità, accordando ingresso, per quanto qui più direttamente rileva, alle disposizioni compendiate nel d. lgs 267/2000 nei limiti, e solo limitatamente ai profili, in cui sono espressamente richiamate.

Non può, dunque, essere condiviso l’assunto da cui muove l’appello qui scrutinato secondo cui la tempistica di cui al citato articolo 31 andrebbe, in via ordinaria, raccordata con le disposizioni di cui all’articolo 227 del d. lgs 267/2000 ovvero, nel caso di Enti per i quali è intervenuta la dichiarazione di dissesto, con la previsione di cui all’articolo 248 del medesimo testo normativo.

Appare, invero, di tutta evidenza che costituisca un obiettivo primario della soprarichiamata normativa speciale (id est articolo 31 della legge 183/2001), siccome permeata da prevalenti esigenze di certezza di tenuta degli equilibri finanziari nazionali, quello di introdurre, al comma 20, un autonomo obbligo (di certificazione rispetto all’obiettivo del patto di stabilità interno) che, per contenuti e tempistica, resta svincolato dagli adempimenti (ordinari e straordinari) degli Enti locali in tema di bilancio previsti dal testo unico (d. lgs 267/2000).

Ed è proprio muovendo dal cogente contenuto precettivo delle disposizioni compendiate al comma 20 dell’articolo 31 – quanto all’inderogabilità anche temporale dell’autonomo obbligo ad esse geneticamente collegato - che risulta poi costruito il sistema sanzionatorio di cui al successivo comma 26 del medesimo articolo 31.

Opinando diversamente, e cioè nel senso di ritenere il termine finale di adempimento, comunque, e ordinariamente collegato a quello previsto per l’approvazione del rendiconto, si giungerebbe alla sostanziale vanificazione della disciplina speciale sopra passata in rassegna.

Di contro, solo ai fini di un’attenuazione del rigore delle sanzioni previste – e salvo quanto si dirà in prosieguo quanto al comma 20 bis - il legislatore, nel mitigare la reazione punitiva prevista per i casi di (mero) ritardo nella cura degli adempimenti suddetti, ha fissato un ulteriore termine finale che si aggancia alle ordinarie scansioni previste dal tuel (..entro sessanta giorni dal termine stabilito per l'approvazione del conto consuntivo ).

Corre l’obbligo di precisare che, anche in siffatte evenienze, l’inosservanza del primo termine comunque concreta di per sé una fattispecie di illecito, ammettendosi un’attenuazione (ma non la completa eliminazione, salvo che, per l’anno 2015, e limitatamente all’ipotesi di un ritardo contenuto entro la scadenza del 30 aprile 2016) delle consegue previste e semprechè si attesti in ritardo il rispetto del patto di stabilità interno (si applicano le sole disposizioni di cui al comma 26, lettera d), dell’articolo 31).

E’, dunque, solo nei suddetti limiti che possono venire in rilievo le scadenze di legge previste dal d. lgs 267/2000.

Così ricostruito il quadro normativo di riferimento, i motivi di gravame articolati dall’appellante non hanno pregio atteso che, nel caso in esame, il Comune ha trasmesso la certificazione prescritta nel rispetto della tempistica prevista senza che peraltro risulta qui provata la pretesa valenza provvisoria della documentazione trasmessa.

D’altro canto, nemmeno risulterebbe coerente con la disciplina di settore, oltre che compatibile con i principi di responsabilità e di leale collaborazione sottesi a tali interlocuzioni, la possibilità che vengano veicolati con la certificazione de qua dati approssimativi, non affidabili o, comunque, non corretti.

In ragione di quanto finora evidenziato, e contrariamente a quanto dedotto, non è possibile accordare rilievo se non nei limiti di quanto sopra evidenziato, alle scadenze previste da disposto dell’articolo 227 tuel, in tema di risultati di gestione e di conto consuntivo, da un lato, ed alla previsione dell’articolo 248 comma 1 del d. lgs 267/2000, dall’altro, nella parte in cui prevede che, a seguito della dichiarazione di dissesto, e sino all’emanazione del decreto di approvazione dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato previsto dall’articolo 261 del medesimo decreto legislativo, sono sospesi i termini per la deliberazione del bilancio.

E’ pur vero che, nei casi dell'articolo 248, comma 1 del decreto legislativo n. 267 del 2000, i sessanta giorni dal termine stabilito per l'approvazione del rendiconto di gestione, previsti dall'articolo 31 comma 20, della legge n. 183 del 2011, decorrano dall'eventuale nuovo termine per l'approvazione del rendiconto della gestione fissato dal decreto del Ministro dell'interno di approvazione dell'ipotesi di bilancio di previsione stabilmente riequilibrato, ma siffatta evenienza potrebbe aver rilievo nei soli casi di mancata trasmissione nei termini prescritti dal comma 20 dell’articolo 31 della certificazione richiesta e semprechè risulti comunque poi certificato il conseguimento dell’obiettivo fissato.

Di contro, giova qui ribadirlo, il Comune appellante ha trasmesso la prescritta certificazione e sulle sue risultanze – ad oggi nemmeno smentite nell’ an e nel quantum – coerentemente riposa la sanzione irrogata.

Ne consegue che il primo gruppo di censure non merita accoglimento risultando l’impugnato provvedimento adottato in conformità alle disposizioni speciali che disciplinano la materia, sulla base dei dati trasmessi dallo stesso Comune ed all’esito di una puntuale istruttoria.

Né, peraltro, è dato riscontrare i profili di presunta irragionevolezza che hanno spinto l’appellante a dubitare della legittimità costituzionale della disciplina sopra esaminata, che, viceversa, si pone a diretto presidio di principi costituzionali (tra cui anzitutto quello di cui all’articolo 97 della Cost) dei quali concorre a garantire piena effettività. E ciò è vieppiù a dirsi anche in relazione alla mancata previsione di un trattamento differenziato a vantaggio degli Enti in stato di dissesto.

In siffatte evenienze, in cui resta comunque ferma la prevalenza esigenza di certezza di verificare entro la tempistica definita dalla disciplina speciale la tenuta degli equilibri finanziari, la previsione di una deroga avrebbe semmai rappresentato un’immotivata discriminazione rispetto agli altri Enti la cui politica finanziaria, per quanto carente, è comunque risultata non fallimentare.

Rispetto alle evenienze qui in rilievo non è, dunque, possibile, alla stregua della richiamata disciplina, dare ingresso a successive – ed allo stato del tutto eventuali ed ipotetiche - rettifiche “migliorative”.

Tanto a differenza di eventuali “peggioramenti” dei conti e ciò, del tutto ragionevolmente, per ovvie e prevalenti esigenze di recuperare il prima possibile, mediante tempestive ed adeguate contromisure, l’obiettivo di salvaguardia degli equilibri finanziari.

Come anticipato, il comma 20-bis prevede che decorsi sessanta giorni dal termine stabilito per l'approvazione del rendiconto di gestione, l'ente locale è comunque tenuto ad inviare una nuova certificazione, a rettifica della precedente, se rileva, rispetto a quanto già certificato, un peggioramento del proprio posizionamento rispetto all'obiettivo del patto di stabilità interno.

Al riguardo, si è evidenziato (circolare 5 del 2016 del MEF, Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato) che con la dizione "peggioramento" del proprio posizionamento rispetto all'obiettivo del patto di stabilità interno il legislatore intende disciplinare le seguenti fattispecie:

a. la nuova certificazione attesti una maggiore differenza fra saldo finanziario conseguito e obiettivo programmatico, in caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno già accertato con la precedente certificazione;

b. la nuova certificazione, contrariamente alla precedente, attesti il mancato rispetto del patto di stabilità interno;

c. la nuova certificazione, pur attestando, come la precedente, il rispetto del patto di stabilità interno, evidenzia una minore differenza tra saldo finanziario conseguito e obiettivo assegnato.

Si tratta di un obbligo, posto a carico dei soli Comuni che verifichino uno sforamento più grave di quanto precedentemente comunicato, e che trova la sua ragione d’essere nella considerazione che l’eventuale peggioramento della situazione finanziaria degli enti locali configuri una condizione delicatissima, suscettibile di produrre conseguenze significative sulla finanza pubblica, di talchè l’erario deve esserne immediatamente informato in qualunque momento al fine di poter predisporre idonee contromisure (cfr. CdS, Sez. Prima 1028 del 10.7.2018).

Tanto rende prive di pregio le doglianze dell’appellante sulla pretesa irragionevolezza della richiamata disposizione, senza contare che, non essendo obiettivamente riscontrabile nemmeno in termini di verosimiglianza una sensibile correzione del saldo finanziario negativo, l’ipotizzata disparità di trattamento costituirebbe una mera ipotesi astratta e del tutto eventuale.

Sotto distinto profilo, la decisione di prime cure merita conferma anche rispetto alla statuizione con cui ha affermato la non riconducibilità della fattispecie sanzionatoria in argomento all’area operativa delle previsioni di cui all’articolo 248 del d. lgs 267/2000 nella parte in cui prevede che non possano essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti dell'ente per i debiti che rientrano nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione.

Sul punto si è di recente evidenziato che la dichiarazione di dissesto di un ente locale preclude le azioni esecutive e assoggetta a procedura liquidatoria tutte le obbligazioni derivanti da fatti o atti intervenuti prima della dichiarazione di dissesto, anche se tali obbligazioni siano state liquidate in via definitiva solo successivamente (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 09-04-2018, n. 2141).

La decisione impugnata, a tal riguardo, evidenzia, del tutto condivisibilmente, come la locuzione utilizzata, sulla scorta del suo intrinseco valore semantico, evochi crediti già definitivamente accertati e compendiati in un titolo esecutivo. In siffatta categoria non può, viceversa, essere sussunta la fattispecie qui in rilievo che si concreta in una sanzione i cui presupposti operativi si realizzano prima ed al di fuori dell’avvio di azioni esecutive attraverso la modulazione (per riduzione) di una posta attiva, consistente nel trasferimento di fondi da parte dello Stato

Ha poi efficacemente evidenziato il primo giudice che l’articolo 248 fa riferimento a posizioni debitorie pregresse dell’ente, nei confronti di creditori di natura privata o di altri enti pubblici, ed è volta ad assicurare tutela al principio della par condicio, mentre nel caso della qui avversata riduzione dei fondi, la misura si pone a presidio, mediante i meccanismi correttivi suddetti, della salvaguardia del sistema della finanza statale e del rispetto degli obiettivi di bilancio della politica nazionale.

Infine, deve soggiungersi che anche da un punto di vista temporale la misura in questione si colloca cronologicamente dopo la dichiarazione di dissesto.

La diversità strutturale e funzionale delle situazioni poste a raffronto così come le già evidenziate rilevanti esigenze a presidio delle quali si pone il costrutto legislativo sotteso all’articolo 31 sopra citato inducono ad escludere anche in questo caso i paventati vizi di incostituzonalità.

Contrariamente a quanto dedotto va, inoltre, condivisa l’esegesi offerta dal giudice di prime cure in ordine alla non diretta applicabilità, quanto alle modalità e decorrenza delle sanzioni qui in rilievo, dell’articolo 13 del D.Lgs. 06/09/2011, n. 149 a mente del quale La decorrenza e le modalità di applicazione delle disposizioni di cui al presente decreto legislativo nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, nonché nei confronti degli enti locali ubicati nelle medesime Regioni a statuto speciale e Province autonome, sono stabilite, in conformità con i relativi statuti, con le procedure previste dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni .

Sul punto, lo stesso tenore letterale della disposizione in commento perimetra l’area operativa del suddetto vincolo alle sole disposizioni dello stesso d.lgs. n. 149/2011, di talchè non è, perciò, possibile predicarne la sua estensione includendovi anche la disciplina contenuta nell’articolo 31 della distinta legge 183/2011.

Né assume rilievo il fatto che il mentovato d. lgs. n. 149/2011 recasse una previsione (id est articolo 7) analoga a quella qui applicata (articolo 31 comma 26 della legge 183/2001) e dichiarata incostituzionale per eccesso di delega, poi affidata dal legislatore ad autonomo, separato testo normativo (id est legge 381/2001) – di pari rango - che non ha replicato i vincoli di procedura previsti dal d. lgs 149/2011.

Infine, si rivelano immuni dai corrispondenti motivi di gravame i capi della decisione con cui il TAR affronta le (residue) censure di incostituzionalità sollevate dall’odierno appellante.

Va, invero, ribadito come la sanzione applicata si ponga a presidio dei più generali equilibri di finanza pubblica e ciò è fatto palese dalla stessa piana lettura dell’articolo 31 della legge 183/2011 che, al primo comma, esordisce giustappunto evidenziando come le misure qui in rilievo si ascrivano in una logica di stretta e diretta strumentalità nel perseguimento delle suddette finalità all’uopo prevedendo che “ Ai fini della tutela dell’unità economica della Repubblica, le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti e, a decorrere dall'anno 2013, i comuni con popolazione compresa tra 1.001 e 5.000 abitanti, concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica nel rispetto delle disposizioni di cui al presente articolo, che costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione .”

E’ poi di tutta evidenza che anche le autonomie speciali devono comunque assicurare il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, al fine di garantire la sostenibilità del sistema nel quale esse stesse sono incluse.

Con specifico riferimento a tale problematico profilo il giudice di prime cure ha dato ampio e corretto risalto ai più recenti arresti della Corte Costituzionale in subiecta materia nei quali si è posto in evidenza, da un lato, l’obbligo delle autonomie speciali a concorrere agli equilibri di bilancio e, dall’altro, la possibilità che la misura della compartecipazione venga definita in via unilaterale dal legislatore statale. Segnatamente, nella sentenza n. 82 del 2015 la Consulta ha evidenziato che “… di regola i principi fondamentali fissati dalla legislazione dello Stato nell’esercizio della competenza di coordinamento della finanza pubblica si applicano anche ai soggetti ad autonomia speciale (ex plurimis, sentenze n. 46 del 2015, n. 54 del 2014, n. 30 del 2012, n. 229 del 2011, n. 120 del 2008, n. 169 e n. 82 del 2007, n. 417 del 2005, n. 353 e n. 36 del 2004), in quanto essi sono funzionali a prevenire disavanzi di bilancio, a preservare l’equilibrio economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche e anche a garantire l’unità economica della Repubblica, come richiesto dai principi costituzionali e dai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea. Tali principi e vincoli sono oggi ancor più pregnanti nel quadro delineato dall’art. 2, comma 1, della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale) che, nel comma premesso all’art. 97 Cost., obbliga il complesso delle pubbliche amministrazioni ad assicurare «l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico» (sentenze n. 175 e n. 39 del 2014;
n. 60 del 2013). Gli obiettivi programmatici del patto di stabilità e crescita non possono che essere perseguiti dal legislatore nazionale attraverso norme capaci d’imporsi all’intero sistema delle autonomie (sentenza n. 284 del 2009). In tale prospettiva, questa Corte si è pronunciata recentemente con la sentenza n. 19 del 2015, specificamente in merito a disposizioni (art. 32, comma 10, della legge n. 183 del 2011) che, come quelle impugnate nel presente giudizio, determinavano i contributi alla finanza pubblica posti a carico di ciascuna autonomia speciale. Esaminando le censure rivolte a queste disposizioni, in quanto il contributo ivi previsto era stato determinato in via unilaterale dallo Stato, la Corte ha attribuito un preciso rilievo alla tempestività degli adempimenti nazionali rispetto alle cadenze temporali tipiche del sistema europeo di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri;
tempestività che non può essere messa in pericolo dalla necessità, per lo Stato, di attendere di avere completato l’iter di negoziazione con ciascun ente territoriale. È vero che anche nella pronuncia da ultimo citata questa Corte non ha mancato di sottolineare che in riferimento alle Regioni a statuto speciale merita sempre di essere intrapresa la via dell’accordo, espressione di un principio generale che governa i rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali;
è altresì vero, tuttavia, che tale principio non è stato recepito dagli statuti di autonomia che vengono in rilievo nel presente giudizio – o dalle norme di attuazione degli stessi –, cosicché esso può essere derogato dal legislatore statale (sentenze n. 46 del 2015;
n. 23 del 2014 e n. 193 del 2012), tanto più in casi come quello in esame in cui la norma impugnata si colloca in un più ampio contesto normativo nel quale il principio pattizio è già largamente adottato per volontà dello stesso legislatore ordinario. È sulla base di questo presupposto che il richiamato art. 27 della legge n. 42 del 2009 prevede che le autonomie speciali concorrono al patto di stabilità interno sulla base del principio dell’accordo «secondo criteri e modalità stabiliti dalle norme di attuazione dei rispettivi statuti»: una tale previsione non sarebbe necessaria se le fonti dell’autonomia speciale avessero già provveduto a disciplinare la materia, recependo il principio dell’accordo in forme opponibili al legislatore ordinario. Con specifico riguardo all’art. 27 della legge n. 42 del 2009 – rispetto al quale la disciplina oggetto del presente giudizio esplicitamente e transitoriamente si discosta, in attesa della sua attuazione – questa Corte ha già osservato (sentenza n. 23 del 2014) che esso pone bensì una riserva di competenza a favore delle norme di attuazione degli statuti speciali per la modifica della disciplina finanziaria degli enti ad autonomia differenziata (sentenza n. 71 del 2012), così da configurarsi quale presidio procedurale della specialità finanziaria di tali enti (sentenza n. 241 del 2012). Nondimeno esso ha rango di legge ordinaria, derogabile da atti successivi aventi pari forza normativa;
sicché, specie in un contesto di grave crisi economica, il legislatore può discostarsi dal modello consensualistico nella determinazione delle modalità del concorso delle autonomie speciali alle manovre di finanza pubblica (sentenza n. 193 del 2012), fermo restando il necessario rispetto della sovraordinata fonte statutaria (sentenza n. 198 del 2012). Del resto, già in passato e in più occasioni, pur riguardanti fattispecie non perfettamente sovrapponibili a quella oggetto del presente giudizio, la competenza in materia di coordinamento della finanza pubblica ha consentito allo Stato di imporre all’autonomia finanziaria delle Regioni speciali e delle Province autonome limiti analoghi a quelli che valgono per le Regioni a statuto ordinario, nelle more delle trattative finalizzate al raggiungimento dei necessari accordi (sentenze n. 120 del 2008, n. 169 e n. 82 del 2007, n. 353 del 2004)”.

Né può, infine, ritenersi predicabile una diretta violazione dello statuto regionale, atteso che come correttamente rilevato dal giudice di prime cure:

- la Regione Sicilia vanta una riserva di competenza legislativa esclusiva in materia di regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative, involgenti, dunque, l’ordinamento e l’organizzazione di tali soggetti, che, per definizione, non interferiscono con le disposizioni in commento, venendo qui in rilievo misure correlate alla finalità della “realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica” - dell’intero Stato italiano -, rispetto al cui coordinamento la competenza appartiene allo Stato;

- allo stesso modo alcuna interferenza è ravvisabile rispetto al disposto di cui all’art 43 dello Statuto regionale siciliano, ai sensi del quale, “una Commissione paritetica di quattro membri nominati dall’Alto Commissario della Sicilia e dal Governo dello Stato, determinerà (..) le norme per l’attuazione del presente Statuto”, evenienza questa predicabile esclusivamente rispetto agli ambiti di competenza fissati dallo Statuto.

Sussistono nondimeno, in ragione della novità e della complessità delle questioni scrutinate, giusti motivi per compensare le spese di giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi