Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-07-17, n. 201403806

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-07-17, n. 201403806
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201403806
Data del deposito : 17 luglio 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00969/2013 REG.RIC.

N. 03806/2014REG.PROV.COLL.

N. 00969/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 969 del 2013, proposto dalla società Impresa Signorile &
Trotti s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato F M, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A B in Roma, via Monte Santo n. 25;

contro

Società Cooperativa Ariete, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati V A e Roberto D'Addabbo, con domicilio eletto presso il primo in Roma, viale Mazzini n. 73, scala B, int. 2;

nei confronti di

Comune di Acquaviva delle Fonti, non costituito;

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato - Sezione V - n. 5595 del 5 novembre 2012, resa tra le parti, concernente affidamento concessione in global service del servizio di gestione del cimitero comunale per il quinquennio 2010-2015.


Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della società cooperativa Ariete;

Viste le memorie difensive e di replica depositate dalla società ricorrente (in data 4 e 11 giugno 2014) e dalla intimata cooperativa (in data 30 maggio 2014);

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 giugno 2014 il consigliere V P e uditi per le parti gli avvocati Notarnicola su delega dell’avvocato Mastroviti e Del Vecchio su delega degli avvocati Augusto e D’Addabo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La società Impresa Signorile &
Trotti s.n.c. – in prosieguo ditta Signorile, aggiudicataria della gara per l’affidamento in concessione a titolo di global service del servizio di gestione del cimitero comunale di Acquaviva delle Fonti per il quinquennio 2010-2015 – ha proposto appello (allibrato al nrg. 9211/2011) avverso la sentenza del T.a.r. per la Puglia – n. 1454 del 4 ottobre 2011 – che, da un lato, ha respinto il ricorso incidentale da essa proposto, dall’altro, ha accolto il ricorso principale articolato dalla cooperativa Ariete (seconda classificata), riconoscendo fondato e assorbente il motivo (sub n. I a) incentrato sulla inidoneità, ai sensi dell’art. 49, d.lgs. n. 163 del 2006, dell’avvalimento prestato dalle ditte ausiliarie S. Nicandro Service e Acito Leonardo in quanto chiamate a sopperire alla carenza di un requisito soggettivo di capacità professionale della ditta Signorile.

Il gravame è stato affidato ai seguenti motivi:

a) con il primo mezzo (pagine 6 – 20 dell’atto di appello), è stata contestata l’erroneità della sentenza del T.a.r. nella ricostruzione della natura, dei presupposti e dell’ambito applicativo dell’istituto dell’avvalimento avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto;

b) con il secondo complesso mezzo (pagine 20 – 28 dell’atto di appello), si sono riproposti i tre motivi posti a sostegno del ricorso incidentale di primo grado;
si è dato atto che i primi due motivi erano stati sollevati, in via gradata e subordinata, al solo fine di contrastare l’eventuale accoglimento del motivo sub n. I d) del ricorso principale di primo grado (imperniato sulla presunta difformità fra le dichiarazioni bancarie presentate dalla aggiudicataria e le dichiarazioni richieste dalla legge di gara) e, sotto tale angolazione, si è ritenuta illegittima sia la legge di gara, per sproporzione, sia la mancata esclusione della cooperativa Ariete per non aver esibito dichiarazioni bancarie attestanti l’idoneità del fatturato globale;
è stato sollecitato l’accoglimento del terzo motivo di ricorso incidentale stante la violazione, da parte della cooperativa Ariete, del divieto di sub appalto enucleabile dal paragrafo 1, punto 2, e dal paragrafo 4 del disciplinare in combinato disposto con gli artt. 29 e 30 del capitolato d’oneri.

1.1. L’impugnata sentenza - Consiglio di Stato, sezione V, n. 5595 del 5 novembre 2012 -:

a) ha ricostruito lo svolgimento del processo in primo e secondo grado dando atto che la causa era incentrata sostanzialmente sulla possibilità di utilizzare, nel caso di specie, l’istituto dell’avvalimento da parte della ditta Signorile (pagine 2 – 4);

b) ha approfondito l’indagine sui presupposti applicativi dell’avvalimento calibrandone gli esiti sul caso di specie (pagine 4 – 9);

c) non ha esaminato il secondo complesso mezzo di gravame;

d) ha respinto l’appello compensando fra le parti le spese di lite.

2. Con ricorso ritualmente notificato (in data 4 febbraio 2013), e depositato (il successivo giorno 12 febbraio), la ditta Signorile ha proposto domanda di revocazione della su menzionata sentenza n. 5595 del 2012, affidata a tre autonomi motivi.

2.1. Con il primo motivo revocatorio (pagine 6 – 15 del ricorso per revocazione), ha sostenuto che il Consiglio di Stato, per un abbaglio dei sensi, avrebbe ignorato la reale portata del primo motivo di appello omettendo di pronunciare sulle censure con cui si affermava, fra l’altro, la possibilità di interpretare ed applicare l’avvalimento conformemente all’ordinamento europeo ed alla peculiare situazione caratterizzante il caso di specie.

2.2. Con il secondo motivo revocatorio (pagine 15 – 19 del ricorso per revocazione), la ricorrente ha stigmatizzato l’omessa pronuncia del Consiglio di Stato sul secondo motivo di appello a mezzo del quale erano stati riproposti il primo ed il secondo motivo dell’originario ricorso incidentale di primo grado.

2.3. Con il terzo motivo revocatorio (pagine 19 – 22 del ricorso per revocazione), la ditta Signorile ha lamentato l’omesso esame da parte del Consiglio di Stato, sempre nell’ambito del secondo complesso motivo di appello, anche della parte in cui reiterava il terzo motivo dell’originario ricorso incidentale, criticando le conclusioni cui era pervenuta sul punto la sentenza di primo grado.

3. Si è costituita la cooperativa Ariete eccependo, sotto plurimi profili, l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso per revocazione (cfr. atto di costituzione depositato in data 11 marzo 2014 e memoria difensiva in data 30 maggio 2014).

4. Le parti hanno meglio illustrato le proprie difese con le memorie indicate in epigrafe.

5. La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 24 giugno 2014.

6. Ritiene la Sezione che il ricorso per revocazione è in parte inammissibile ed in parte infondato nei termini meglio precisati in prosieguo.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato e quella della Corte di Cassazione (cfr. ex plurimis e da ultimo Cons. St., ad. plen., 24 gennaio 2014, n. 5;
ad. plen., 10 gennaio 2013, n. 1, ad. plen., 17 maggio 2010, n. 2;
ad. plen., 11 giugno 2001, n. 3;
Cass. Civ., sez. I, 24 luglio 2012, n. 12962 cui si rinvia ai sensi del combinato disposto degli art. 74, co. 1, 88, co. 1, lett. d), e 99, co. 3, c.p.a.), hanno individuato, in modo univoco e rigoroso, le caratteristiche dell’errore di fatto revocatorio, che, ai sensi rispettivamente dell’art. 106 c.p.a. (in precedenza art. 81 n. 4, r.d. 17 agosto 1907, n. 642), e dell’art. 395, comma 4, c.p.c., può consentire di rimettere in discussione il contenuto di una sentenza;
ciò per evitare che il distorto utilizzo di tale rimedio straordinario dia luogo ad un inammissibile ulteriore grado di giudizio di merito, non previsto e non ammesso dall’ordinamento.

Integra dunque un errore di fatto revocatorio l’abbaglio dei sensi che si realizza allorquando esso:

I) cade su una serie di circostanze che non hanno costituito punti controversi fra le parti, in relazione alle quali il giudice si sia espressamente pronunciato;

II) consiste in una errata percezione del fatto oggettivamente ed immediatamente rilevabile che non si esaurisce in un vizio di assunzione del fatto, né in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo ovvero in una erronea valutazione delle risultanze probatorie;

III) deriva da una pura e semplice errata (o mancata) percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato;

IV) verte su un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa;

V) appare con immediatezza ed è di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche.

L’errore di fatto revocatorio si sostanzia, dunque, in una svista o ‘abbaglio dei sensi’ che ha provocato l’errata percezione del contenuto degli atti del giudizio (ritualmente acquisiti agli atti di causa), determinando un contrasto tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto, l’una emergente dalla sentenza e l’altra risultante dagli atti e documenti di causa: esso pertanto non può (e non deve) confondersi con quello che coinvolge l’attività valutativa del giudice, costituendo il peculiare mezzo previsto dal legislatore per eliminare l’ostacolo materiale che si frappone tra la realtà del processo e la percezione che di essa ha avuto il giudicante, proprio a causa della svista o dell’’abbaglio dei sensi’.

Pertanto, mentre l'errore di fatto revocatorio è configurabile nell'attività preliminare del giudice di lettura e di percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al significato letterale [senza coinvolgere la successiva attività d'interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni ai fini della formazione del convincimento, così che rientrano nella nozione dell'errore di fatto di cui all'art. 395, n. 4), c.p.c., i casi in cui il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronunzia o abbia esteso la decisione a domande o ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo], esso non ricorre nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno luogo se mai ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione (che altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado di giudizio, non previsto dall’ordinamento).

6.1. Tanto premesso in diritto, scendendo all’esame del primo motivo revocatorio, il Collegio rileva che nella fattispecie (meglio specificata retro, sub nn. 1 e 2), non si rinvengono gli estremi dell’errore di fatto, secondo le caratteristiche delineate dal ricordato indirizzo giurisprudenziale.

6.1.1. I paventati travisamenti di fatto, costitutivi dell’abbaglio dei sensi, sono frutto di una congettura esegetica elaborata dalla ditta Signorile, cadono su una serie di circostanze che hanno costituito punti controversi su cui la Sezione si è espressamente pronunciata, e si traducono, in realtà, in una diversa valutazione del thema decidendum (rispetto a quella effettuata dal giudice asseritamente in modo erroneo), relativamente alla natura ed alla portata applicativa dell’istituto dell’avvalimento.

In particolare l’impugnata sentenza contiene una ricostruzione in fatto ed una motivazione da cui si evince con chiarezza che ha colto la sostanza del motivo di appello a suo tempo proposto dalla ditta Signorile, affrontando funditus l’istituto dell’avvalimento (come definito nel diritto europeo e declinato nell’ordinamento nazionale), senza alcun travisamento circa l’esatta portata delle correlate censure sollevate dalla ditta ricorrente.

In buona sostanza quest’ultima mira inammissibilmente a far valere i principi in materia di avvalimento elaborati, successivamente alla revocanda sentenza di questa Sezione n. 5595 del 2012, dalla Corte di giustizia UE, 10 ottobre 2013, C-94712 (richiamata a pagina 6 della memoria difensiva depositata il 4 giugno 2014).

Sul punto il Collegio rileva che solo con (l’inammissibile) ricorso per revocazione (v. pagina 14) la ditta Signorile ha, per la prima volta, invocato la rimessione della causa alla Corte di giustizia;
tale richiesta, però, è irrilevante perché presuppone il favorevole superamento della fase rescindente che per le ragioni dianzi esposte è giuridicamente impossibile.

6.2. Parimenti inammissibile si rivela il secondo motivo revocatorio.

6.2.1. Correttamente la decisione n. 5595 del 2012 non si è pronunciata sui mezzi di gravame che reiteravano il primo e secondo motivo dell’originario ricorso incidentale (pagine 20 – 24 dell’atto di appello), in quanto le relative doglianze erano state sollevate in via subordinata ed in funzione oppositiva rispetto all’eventuale accoglimento del motivo sub 1 d) del ricorso principale di primo grado che, viceversa, era stato assorbito dal T.a.r. il quale aveva accolto il medesimo ricorso principale della cooperativa Ariete sotto un altro dirimente profilo, ovvero l’inidoneità dell’avvalimento invocato dalla ditta Signorile (v. pagine 10 – 11 della sentenza del T.a.r.).

In sede di appello la ditta Signorile non poteva alterare il thema decidendum , in spregio al divieto dei nova, sostenendo per la prima volta che aveva un interesse principale e diretto all’esame di tali censure, ancorché su di esse si fosse pronunciato il T.a.r., in modo superfluo, nel merito.

In ogni caso e per completezza, la Sezione rileva che tali censure sono infondate poiché la clausola III.

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