Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2015-12-07, n. 201505552

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2015-12-07, n. 201505552
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201505552
Data del deposito : 7 dicembre 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00735/2014 REG.RIC.

N. 05552/2015REG.PROV.COLL.

N. 00735/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 735 del 2014, proposto da:
Utim -Unione per la Tutela delle Persone con Disabilità Intellettiva, rappresentata e difesa dagli avv. M M e L S, con domicilio eletto presso l’avvocato A D Angelis in Roma, Via Portuense, n. 104;

contro

Azienda Sanitaria Locale Cn2, rappresentata e difesa dagli avv. W R e A S, con domicilio eletto presso Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro n. 13;
Comune di Bra, Soc Servizi Sociali Distretto 2 di Bra;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PIEMONTE - TORINO: SEZIONE II n. 00695/2013, resa tra le parti, concernente razionalizzazione inserimenti e compartecipazione al servizio di mensa e trasporto per persone disabili;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Azienda Sanitaria Locale Cn2;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 luglio 2015 il Cons. A P e uditi per le parti gli avvocati Annamaria Torrani Cerenzia su delega di M M, L S e W R;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. - La UTIM-Unione per la Tutela degli Insufficienti Mentali - associazione priva di scopi di lucro, operante nella Regione Piemonte ed avente quale scopo statutario quello di proteggere, promuovere e tutelare, sotto qualsiasi aspetto ed in forma di volontariato, gli interessi ed i diritti degli insufficienti mentali (cfr. art. 2 dello Statuto sociale) – aveva impugnato dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte la determinazione direttoriale n. 984, del 17 agosto 2012, della ASL CN2 Alba-Bra, recante "Servizi per persone disabili ai centri diurni: razionalizzazione degli inserimenti e compartecipazione al servizio di pasto e trasporto". Con tale atto l'ASL CN2 (delegata, fino al 31 dicembre 2014, alla gestione dei servizi sociali del distretto di Bra) ha stabilito, tra le altre cose, di adottare un sistema di " compartecipazione al costo del pasto e del servizio trasporto per i fruitori del servizio semi residenziale di centro diurno ", sulla scorta della considerazione per cui " le tipologie dei servizi di cui trattasi (trasporto e ristorazione) non costituiscono parte di quanto previsto come obbligatorio e gratuito dalle vigenti normative che definiscono i Livelli Essenziali di Assistenza e le stesse non sono ricomprese nelle prestazioni socio sanitarie indicate a livello nazionale [...] nonché a livello regionale ". Conseguentemente è stato, con il medesimo atto, approvato il Regolamento sulla "Compartecipazione dei soggetti disabili al costo delle prestazioni strumentali alla frequenza ai centri semiresidenziali riguardanti la mensa e il trasporto" in seno al quale, al fine di determinare la capacità economica individuale dell'utente (sulla cui base poi stabilire le fasce reddituali per la contribuzione), è stato previsto all’art. 4 che: " Gli assegni di invalidità, le indennità di accompagnamento e le indennità specifiche per ciechi e sordomuti costituiscono sussidi corrisposti dallo Stato, o da altri enti pubblici, a titolo assistenziale. Tali indennità sono esenti da imposta sul reddito delle persone fisiche e, poiché erogate al fine di consentire il soddisfacimento dei bisogni di assistenza e accompagnamento dei soggetti non autosufficienti, sono conteggiate ai fini della definizione delle quote di compartecipazione ai servizi ". Oggetto di impugnazione sono anche la successiva determinazione direttoriale n. 1220, del 4 ottobre 2012 - con la quale la medesima ASL, nel confermare il sistema di compartecipazione appena introdotto, ha provveduto a rivedere al ribasso le quote di compartecipazione per il solo servizio di trasporto - nonché la precedente deliberazione n. 10/2012, del 18 luglio 2012, con la quale il Comitato dei Sindaci dei Comuni del Distretto n. 2 di Bra aveva approvato alcune proposte poi confluite nelle determinazioni della ASL. L’Associazione ricorrente chiedeva l'annullamento degli atti impugnati contestando il previsto sistema di compartecipazione per i seguenti motivi di legittimità:

- "mancata individuazione del minimo vitale": negli atti impugnati "manca ogni accenno al minimo vitale quale criterio imprescindibile per la successiva individuazione dei soggetti chiamati alla contribuzione";

- violazione dell'art. 25 della legge n. 328 del 2000 (" Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali "), nonché degli artt. 2, comma 4, e 3, comma 2-ter, del d.lgs. n. 109 del 1998 (" Definizioni di criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate, a norma dell'articolo 59, comma 51, della L. 27 dicembre 1997, n. 449 "), con riferimento alla prevista inclusione, ai fini della determinazione del reddito per conteggiare le quote di compartecipazione ai servizi, dei sussidi corrisposti a titolo assistenziale dallo Stato o da altri enti pubblici (come gli assegni di invalidità e le indennità di accompagnamento): la tabella n. 1 dell'Allegato n. 1 al d.lgs. n. 109 del 1998, ai fini della valutazione della situazione reddituale, valorizza solo il reddito complessivo ai fini IRPEF, con la conseguenza che i sussidi predetti, essendo esenti da IRPEF ex art. 34, comma 3, del d.P.R. n. 601 del 1973, dovrebbero costituire " entrate non computabili nella determinazione della situazione reddituale del singolo (c.d. I.S.E.) ";
la denunciata illegittimità, peraltro, sarebbe "ancor più evidente" laddove si consideri "la peculiare natura e funzione dell'indennità di accompagnamento e delle altre indennità prese in considerazione", istituite "per compensare le maggiori spese che la persona con handicap in situazione di gravità deve sostenere rispetto alle persone prive di menomazioni";

- violazione della riserva relativa di legge di cui all'art. 23 Cost. (" Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge "), nonché falsa applicazione dell'art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 109 del 1998 (norma che consente agli enti erogatori delle prestazioni sociali agevolate di prevedere, accanto all'indicatore della situazione economica equivalente, " criteri ulteriori di selezione dei beneficiari" ): tali "criteri ulteriori", secondo la ricorrente, dovrebbero "correttamente intendersi come criteri che prescindono dalla valutazione del reddito", trattandosi di elemento già oggetto di previsione da parte dell'art. 2, comma 4, del medesimo d.lgs. n. 109 del 1998, con conseguente illegittimità della previsione che attribuisce rilevanza ad introiti diversi da quelli previsti dalla legge;

- errata interpretazione e falsa applicazione della d.G.R. n. 37-6500, del 23 luglio 2007, della d.G.R. n. 39-11190, del 6 aprile 2009, e della d.G.R. n. 56-13332, del 15 febbraio 2010 (atti normativi, questi, citati negli atti impugnati ed in base ai quali, per le strutture che offrono servizi di residenzialità piena o di lungo-assistenza, si prevede l'inclusione dell'indennità di accompagnamento tra le voci di reddito valutabili): la situazione presa a raffronto non potrebbe essere trasposta al caso in esame, nel quale vengono in discussione servizi di semi-residenzialità, "dove l'utente trascorre una parte marginale del tempo" e dove, quindi, "sul soggetto invalido e sulla sua famiglia ricad[e] la totalità dei costi relativi allo svolgimento della vita quotidiana".

2. - Il TAR Piemonte, dopo aver riaffermato la propria giurisdizione, ha respinto il ricorso con la sentenza n. 695/2013, rilevando che l'oggetto del contendere non riguarda le prestazioni sociali agevolate disciplinate - per quello che più specificamente rileva - dal d.lgs. n. 109 del 1998, ma riguarda solo prestazioni di carattere strumentale (quelle di trasporto degli utenti e di mensa), che hanno natura solo accessoria alle prime. Tali prestazioni, pur indubbiamente inquadrandosi nel generale settore dell'assistenza alle persone con disabilità (in quanto "serventi" alle finalità proprie delle prestazioni tout-court assistenziali - aspetto che, in particolare, sorregge la giurisdizione amministrativa) non possono esse stesse considerarsi come " prestazioni o servizi sociali e assistenziali " ai sensi dell'art. 1 del d.lgs. n. 109 del 1998. Il trasporto delle persone o la fornitura della mensa sono certamente dei servizi di ausilio a quelli propriamente assistenziali, ma non possono confondersi con questi ultimi in punto di regime giuridico applicabile ai fini della valutazione della situazione economica degli utenti. Nella Regione Piemonte, proprio in tema di costi dei servizi e delle prestazioni sociali, vige la regola generale secondo la quale " La compartecipazione degli utenti ai costi si applica ai servizi ed alle prestazioni sociali richieste prevedendo la valutazione della situazione economica del richiedente, con riferimento al suo nucleo familiare, attraverso il calcolo degli indicatori della situazione economica equivalente o attraverso altri strumenti individuati dalla Regione " (così l'art. 40, comma 1, della legge regionale n. 1 del 2004). La sentenza respinge pertanto tutti i motivi di gravame che riconducono i servizi di mensa e trasporto oggetto del giudizio nel novero delle prestazioni assistenziali per i disabili - e, correlativamente, invocano le normative, sia statali che regionali, che hanno dettato regole sulla questione della compartecipazione ai costi da parte dell'utente. Tali motivi non possono trovare accoglimento, proprio perché risulta erroneo il presupposto di partenza, non trattandosi di servizi riconducibili a quelli oggetto delle richiamate normative. Quanto alla censura proposta con riferimento alla mancata previsione di un "minimo vitale", la sentenza la considera in radice inammissibile perché generica, non essendo indicato il parametro di legittimità che avrebbe stabilito l'invocata esenzione. Nel merito, peraltro, la difesa dell'amministrazione ha riferito che l'art. 4 dell'impugnato Regolamento ha comunque fissato la soglia minima di 300 euro, al di sotto della quale non è prevista la compartecipazione sul servizio mensa, ed ha modellato la compartecipazione al servizio trasporto secondo il criterio costituzionale della proporzionalità, avendola ragionevolmente ancorata alla sola capacità economica del beneficiario, come del resto è indicato dall’art. 3 comma 2-ter del d.lgs. n.109/1998.

3. - L’Associazione appellante osserva che la sentenza impugnata ha praticamente ignorato i motivi del ricorso di primo grado, che assumevano la illegittimità dell’art. 4 del regolamento impugnato e che vengono pertanto integralmente riproposti. La sentenza non dice nulla in merito al principale motivo di illegittimità del regolamento impugnato che viola in modo evidente le norme vigenti relative al calcolo da adottarsi per stabilire il reddito individuale del disabile avente diritto ai servizi e, conseguentemente, per definire le soglie nell’ambito delle quali richiedere la contribuzione alle spese. Nel giudizio di primo grado l’odierna appellante ha individuato e contestato, nel comportamento degli enti resistenti, la violazione di legge in relazione all’art. 1 della legge 11.02.1980, n. 18, che prevede la concessione dell’indennità di accompagnamento indipendentemente dalle risorse economiche a mutilati e invalidi totalmente inabili alla deambulazione, ed in connessione la violazione dell’art. 25 della legge 8.11.2000, n. 328, nonché la violazione ed errata interpretazione dell’art. 3 del d.lgs. 31.03.1998, n. 109, così come modificato dal d.lgs 3.05.2000 n. 130., oltre al vizio di eccesso di potere per manifesta ingiustizia. L’UTIM., in particolare, ha rilevato l’illegittimità dell’art. 4 del regolamento, allegato alla Determinazione direttoriale impugnata, recante “ Criteri per la determinazione della contribuzione a carico degli utenti per le prestazioni strumentali mensa e trasporto ”. Tale disposizione, dopo aver ribadito il consolidato principio secondo il quale per la definizione dell’entità della compartecipazione al costo delle prestazioni poste a carico dell’assistito disabile si valuta esclusivamente la situazione economica individuale del solo beneficiario, ha adottato criteri non conformi al dettato normativo ed in particolare all’art. 2, comma 4, del medesimo decreto legislativo n. 109/1998, che prevede che la “situazione economica” è costituita dalla somma dei redditi soggetti a IRPEF e dal reddito delle attività finanziarie. Ne risultano pertanto esclusi gli assegni di invalidità, le indennità di accompagnamento e le indennità specifiche per ciechi e sordomuti, che non sono soggette a IRPEF. Tali indennità sono sussidi corrisposti dallo Stato, o da altri enti pubblici, a titolo di compensazione per le gravi minorità che devono sopportare per i costi cui vanno incontro e, in quanto tali, esenti IRPEF. Su tale punto, tuttavia, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte ha del tutto omesso di pronunciarsi nella sentenza impugnata che risulta dunque viziata da difetto assoluto di motivazione.

Il TAR Piemonte non ha tenuto neppure in considerazione le uniche indicazioni regionali in materia, che escludono che la indennità di accompagnamento possa essere utilizzata ai fini della contribuzione degli utenti disabili al costo dei servizi per la frequenza ai centri diurni (nota dell’Assessore della Regione Piemonte, prot. n. 11752/539 del 23.12.1994 e del 24.03.1999). Non sono invece applicabili al caso di specie le delibere regionali DGR 37-6500 del 23.07.2007, DGR 39-11190 del 6.04.2009 e DGR 56-13332 del 15.02.2010, che non riguardano le prestazione semiresidenziali, ma si riferiscono invece agli anziani ricoverati in strutture residenziali ovvero al contributo economico a sostegno della domiciliarità per la lungo assistenza di anziani non autosufficienti e persone con disabilità con età inferiore ai 65 anni.

Nel caso del centro diurno, invece, l'indennità di accompagnamento non può essere calcolata fra le risorse del soggetto con handicap grave in quanto l'importo di detta indennità non copre gli oneri relativi alle spese aggiuntive che detto soggetto deve sostenere per il tempo di permanenza presso il suo domicilio, visto che l’assistenza semiresidenziale copre solo 2000 su oltre 8700 ore annue. La DGR 37-6500 del 23.07.2007, a cui le altre due successive delibere fanno riferimento precisa, nell’allegato A, al punto 3, che le indennità concesse a titolo di minorazione dall’INPS non possono esser calcolate ai fini della valutazione del reddito.

L’appellante ritiene poi che risulti del tutto fuorviante ed inconferente la questione, sulla quale il TAR Piemontesi diffonde nella propria sentenza, circa la natura delle prestazioni sociali (mensa e trasporto) oggetto del regolamento impugnato, che non è mai stata sollevata in primo grado. L'UTIM contesta unicamente i criteri adottati per quantificare gli importi richiesti per i suddetti servizi, poiché in violazione delle norme di legge vigenti, non mettendo in discussione la compartecipazione ai costi dei servizi in oggetto, a condizione, tuttavia, che siano correttamente individuati i criteri sulla base dei quali richiedere tale contributo ai disabili interessati. Per quanto concerne, infine, la questione del c.d. minimo vitale, la sentenza è, secondo l’appellante ancora una volta, viziata da difetto di motivazione ove asserisce che non è stato indicato il parametro normativo di riferimento. Risulta invece che tra la normativa invocata a sostegno della domanda promossa con il ricorso impugnato, l'odierna appellante ha comunque richiamato anche la DGR n. 39-11190/2009, la quale, nell'allegato C, sin dal 2009, ha individuato un criterio di calcolo per determinare la soglia di povertà (o minimo vitale) al di sotto del quale un cittadino non è in grado di vivere quotidianamente in modo dignitoso per un essere umano. La disposizione in oggetto aveva fissato tale soglia per il 2008 in Euro 591,81 mensili, prevedendo che tale importo dovesse essere aggiornato annualmente assumendo come parametro di riferimento la maggiorazione sociale delle pensioni a favore di soggetti disagiati. Utilizzando tale criterio si arriverebbe a individuare la soglia di povertà per l'anno 2013 in un importo superiore ad Euro 600,00, ovvero più del doppio di quanto individuato come soglia minima per il disabile dal TAR (300 euro).

4. - L’Azienda Sanitaria Locale CN 2 Alba-Bra si è costituita in appello, depositando memoria di difesa in qualità di appellata. L’Amministrazione appellata interviene a sostegno della motivazione della sentenza impugnata con particolare riferimento ai punti 6 e 7 sulla non riconducibilità delle prestazioni di mensa e trasporto alla prestazioni socio sanitari rientranti nei LEA. Non ha alcun rilievo che la questione relativa alla natura delle prestazioni non fosse stata sollevata nel ricorso: il ricorrente non aveva infatti alcun interesse a farlo, dal momento che proprio la natura delle prestazioni esclude ictu oculi la asserita illegittimità del regolamento impugnato. Quanto alle censure relative alla asserita illegittimità dell’art. 4 del regolamento impugnato, si fa presente che l’art. 4 non fa altro che applicare quanto stabilito dalla legge regionale Piemonte n. 1 del 2004, all’art. 40, comma 1. Non hanno pertanto alcun rilievo le note assessorili richiamate dall’appellante che risalgono agli anni 1994 e 1999, prima della entrata in vigore di una specifica disposizione legislativa. Sono invece rilevanti le delibere regionali 37.6500 del 23.07.2007 n. 39-11190 06.04.2009 e n.56-13332 del 12.02.2010 che, in applicazione del suddetto art. 40 della legge n. 1 del 2004, prevedono la possibilità di considerare la indennità di accompagnamento ai fini della compartecipazione alle spese per l’assistenza residenziale o domiciliare. Lo stesso principio deve evidentemente applicarsi alla assistenza semiresidenziale, che non copre un arco di tempo marginale come sostenuto dall’Associazione appellante, ma un arco molto significativo della giornata attiva. La contribuzione si riferisce solo ai servizi di mensa e trasporto e riguarda solo una percentuale del costo di tali servizi, che è stata ulteriormente ridotta con ulteriori provvedimenti adottati nel novembre del 2013.

5. – Questa Sezione del Consiglio di Stato ha respinto con la ordinanza 18 febbraio 2014 n. 722 la istanza per la sospensione degli effetti della sentenza impugnata proposta dall’Associazione appellante.

6. – Con successiva memoria, depositata in data 8 giugno 2015, l’Associazione appellante UTIM fa presente che è nel frattempo sopravvenuta la sentenza n. 02458/2015 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, a seguito del già richiamato ricorso da essa stessa presentato per l’annullamento del D.P.C.M. 5.12.2013, n. 159, concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 24.01.2014, n. 19, con particolare riferimento proprio alla violazione, errata interpretazione e falsa applicazione dell’art. 5 del decreto legge n. 201/2011 convertito con la legge n. 214/2011[ posto alla base - da altra successiva sentenza dello stesso TAR - della motivazione di rigetto di un ricorso analogo a quello che ha attivato il presente giudizio in primo grado (Cfr. sentenza del TAR Piemonte n. 195/2014)]. Il TAR del Lazio, con la sentenza n. 02458/2015 sopra richiamata, ha accolto il motivo di ricorso che riguardava la illegittimità dell’art. 4, comma 2, lett. f), del citato D.P.C.M. n. 159, che include nel computo dell’ISEE i trattamenti assistenziali, previdenziali ed indennitari, inclusa anche l’indennità di accompagnamento di cui al citato art. 1 della legge n. 18/1980, posta a carico di persone che hanno subito gravi patologie invalidanti e che si rende necessaria per le continue attività di assistenza di cui i predetti soggetti hanno bisogno, non certamente per incrementare il loro reddito personale. Il TAR del Lazio ribadisce quindi, nel solco di una diffusa giurisprudenza del Giudice amministrativo, l’impossibilità di ricomprendere nella nozione di reddito una serie di prestazioni economiche elargite dalla Comunità ai soggetti più svantaggiati. Lo stesso TAR del Lazio conclude quindi affermando che: “…un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 5 d.l. cit. [d.l. n. 201/2011] rispetto agli artt. 3, 32 e 38 Cost.,” impedisce di includere nella definizione di reddito disponibile, tra le somme, esenti da imposizione fiscale, “ gli emolumenti riconosciuti a titolo meramente compensativo e/o risarcitorio a favore di situazioni di ‘disabilità’, quali le indennità di accompagnamento, le pensioni INPS alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico, gli indennizzi da danno biologico invalidante, di carattere risarcitorio, gli assegni mensili da indennizzo ex leggi nn. 210/92 e 229/05. Tali somme, e tutte le altre che possono identificarsi a tale titolo, non possono costituire ‘reddito’ in senso lato, né possono essere comprensive della nozione di ‘reddito disponibile’ di cui all’art. 5 del decreto legge d.l. citato, che proprio ai fini di revisione dell’ISEE e della tutela della ‘disabilità’, è stato adottato… ”.

7. – La causa è stata discussa ed è passata in decisione alla udienza pubblica del 9 luglio 2015.

8. – L’appello non è fondato.

8.1. – Per impostare correttamente la decisione, il Collegio deve preliminarmente, da un lato, delimitare le questioni oggetto della presente controversia rispetto a questioni ulteriori sollevate in appello dall’appellante, anche in relazione alla più ampia motivazione della sentenza del TAR;
dall’altro, definire esattamente l’oggetto dell’appello in rapporto alla domanda proposta dal ricorso di primo grado, che, secondo l’Associazione appellante, non è stata esattamente interpretata dallo stesso TAR.

Sotto il primo aspetto, il Collegio ritiene di prescindere dalle questioni sollevate nell’ultima memoria depositata dalla Associazione appellante con riferimento alla richiamata sentenza del TAR Lazio n. 2458/2015, per la quale è in corso l’appello proposto dall’Amministrazione presso il Consiglio di Stato. E’ vero che tali questioni, oltre ad essere state chiamate in causa dalla sentenza impugnata, riguardano lo stesso oggetto, ma lo considerano in rapporto ad un parametro normativo da considerare estraneo alla presente vicenda, quale la nuova disciplina generale dell’ISEE introdotta dal DPCM n. 159/2013, attuativo dell’art. 5 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito nella legge n. 214 del 2011.

Sotto il secondo aspetto, questo Collegio condivide le considerazioni svolte nella sentenza del TAR in questa sede impugnata in ordine alla rilevanza della distinzione tra le prestazioni di carattere strumentale (quelle del trasporto degli utenti e di mensa), che hanno natura solo accessoria rispetto alle prestazioni sociali agevolate di cui al d.lgs. n. 109 del 1998 e non costituiscono livelli essenziali di assistenza, di cui al d.P.C.M. 29 novembre 2001, Allegato 1. Ma al tempo stesso si deve certamente tener conto in appello della precisazione della Associazione appellante, che ha affermato nell’atto di appello di non aver sollevato in primo grado la questione della legittimità del principio di compartecipazione ai costi dei servizi di trasporto e mensa, ma di aver contestato unicamente i criteri adottati per quantificare gli importi richiesti per la suddetta compartecipazione. Tale affermazione è confermata dagli atti di primo grado, nei quali fondamentalmente si contesta la violazione delle norme di legge vigenti con riferimento alla mancata esclusione dei redditi esenti da IRPEF. Su questa base l’appellante richiede in appello l’esame dei motivi del ricorso di primo grado, a cui sostiene che il TAR non ha dato risposta.

8.2. – Così delimitata la materia del contendere nel giudizio di appello, questo Collegio intende attenersi all’indirizzo giurisprudenziale da tempo delineato dal Consiglio di Stato sulle specifiche questioni oggetto del presente giudizio, richiamando, ai sensi dell’art. 88, comma 2, lettera d), c.p.a., le sentenze: Consiglio di Stato - Sezione V - 16/03/2011, n. 1607;
Consiglio di Stato - Sezione III - 28/09/2012, n.5154;
21/12/2012, n. 6647;
21/03/2013, n.1631;
14 gennaio 2014, n. 99.

8.3. – Tale giurisprudenza si basa sulla normativa legislativa di rango nazionale a cui le stesse norme impugnate fanno riferimento in modo implicito e indiretto attraverso l’esplicito riferimento dell’art. 4 del regolamento impugnato alle delibere regionali in materia (n. 37 del 23 luglio 2007, -6500, n. 39 del 6 aprile 2009 -11190 e 15 febbraio 2010 n. 56 – 13332), che a loro volta citano la suddetta normativa legislativa;
la stessa normativa legislativa che, d’altro canto, l’appellante considera tra le disposizioni di cui lamenta la violazione o la errata interpretazione e falsa applicazione.

A tal fine, vanno esaminate in primo luogo le norme dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 109/1998, come modificato dall’art. 3 del d.lgs. n. 130/2000, che consente agli enti erogatori di “ prevedere, ai sensi dell'articolo 59, comma 52, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, accanto all'indicatore della situazione economica equivalente, come calcolato ai sensi dell'articolo 2 del presente decreto, criteri ulteriori di selezione dei beneficiari ”. L’art. 3 resta in vigore fino al 24 gennaio 2014, data di entrata in vigore del DPCM che approva il nuovo modello di dichiarazione sostitutiva ai fini della determinazione dell’ISEE. Anche dopo tale data, la normativa in oggetto non viene affatto meno: essa è infatti integralmente confermata dal successivo regolamento che disciplina la stessa materia di cui al d.lgs. n. 109/1998, adottato con DPCM n. 159/2013 (in parti che non sono oggetto dell’appello presso il Consiglio di Stato ricordato al precedente punto 8.1.). Infatti l’art. 2, comma 1, terzo periodo, del DPCM n. 159/2013, appena citato, prevede: “ In relazione a tipologie di prestazioni che per la loro natura lo rendano necessario e ove non diversamente disciplinato in sede di definizione dei livelli essenziali relativi alle medesime tipologie di prestazioni, gli enti erogatori possono prevedere, accanto all'ISEE, criteri ulteriori di selezione volti ad identificare specifiche platee di beneficiari, tenuto conto delle disposizioni regionali in materia e delle attribuzioni regionali specificamente dettate in tema di servizi sociali e socio-sanitari .”

8.4. – L’Associazione appellante nei motivi del ricorso in primo grado riproposti in appello contesta il significato attribuito dall’Amministrazione resistente in primo grado e attuale appellata all’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 109/1998, sostenendo l’argomento testuale, secondo il quale i criteri ulteriori di selezione previsti dall’art. 3, comma 1, non possono riferirsi al reddito, dal momento che il reddito è disciplinato dall’ISEE e dunque si riferiscono ad altri parametri di identificazione dei destinatari di prestazioni sociali. A parte che l’argomento contraddice l’altra tesi, del pari sostenuta dall’Associazione appellante, secondo la quale in nessun caso le somme percepite a titolo di indennità assistenziale costituiscono reddito, è decisiva in senso contrario la considerazione che la norma dell’art. 3, comma 1, citato prevede criteri aggiuntivi rispetto all’ISEE, che devono quindi essere connessi ed omogenei alla stessa materia a cui l’ISEE si riferisce e quindi alla situazione economica.

Inoltre l’Associazione appellante contesta all’Amministrazione di non aver attribuito il giusto peso alle disposizioni dell’art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 109/1998. In senso contrario si osserva che questa norma collega la compartecipazione alla spesa per le prestazioni assistenziali alla situazione economica dell’assistito, ma non fa alcun richiamo alle modalità di computo previste per l’ISEE dalle disposizioni dell’art. 2, comma 4, come avrebbe dovuto certamente fare se avesse inteso adottare gli stessi criteri per valutare la situazione economica dell’assistito stesso. La situazione economica dell’assistito è infatti un concetto connesso, ma distinto rispetto a quello dell’ISEE, che si riferisce al nucleo familiare. Invece il senso della norma di cui al comma 2-ter è proprio quello di distinguere la situazione economica dell’assistito da quella del nucleo familiare a cui appartiene. Pertanto le modalità per determinare la situazione economica dell’assistito non sono precisate dall’art. 3, comma 2-ter, e sono da esso rinviate al DPCM ivi previsto e in mancanza alle norme regionali e in loro mancanza anche a quelle emanate dagli enti erogatori, come ha puntualmente chiarito la sentenza della Corte costituzionale n. 296/2012 e la giurisprudenza del Consiglio di Stato richiamata al punto 8.2. e al punto 8.6., che evidentemente supera anche le sentenze del TAR Lombardia ricordate dall’appellante..

8.5. - Dall’attento esame delle norme dell’art. 3 del d.lgs. n. 109/1998, a cui l’Amministrazione fa espresso riferimento (mentre la appellante ne lamenta la errata interpretazione e falsa applicazione) e della giurisprudenza del Consiglio di Stato che le ha interpretate, può quindi escludersi che in esse possano rinvenirsi espliciti o impliciti impedimenti a considerare le indennità di accompagnamento e le altre indennità assistenziali tra le voci computabili al fine di determinare la quota di compartecipazione per interventi assistenziali aventi analoghe finalità. Non può tuttavia affermarsi che tali norme prevedano direttamente un principio normativo in questo senso. Entrambe le norme esaminate concorrono a fornire una chiara base normativa ad una autonoma capacità regolativa degli enti erogatori in questa materia nel rispetto della normativa regionale e dei principi fissati in ambito statale (v. successivi punti 8.6., 8.7., 8.8. e 8.9). Ne deriva la legittimità per i profili fin qui esaminati della fonte della disciplina normativa in questa sede impugnata, che è appunto un regolamento adottato dall’ente erogatore.

8.6. – La interpretazione fin qui esposta non è smentita, ma semmai ulteriormente valorizzata dalla più recente sentenza della Corte Costituzionale 19 dicembre 2012, n. 296, che è intervenuta proprio sulle disposizioni di cui al soprarichiamato art. 3, comma 2-ter, del citato d.lgs. n. 109, solo per chiarire che esso non costituisce un livello essenziale (come invece ritenuto da alcune precedenti sentenze del Consiglio di Stato a partire dalla sentenza 16/03/2011 n. 1607, già richiamata al punto 8.2. ad altri fini;
ma al riguardo si vedano anche le sentenze Consiglio di Stato - III Sezione - 3 luglio 2013, n. 3574;
8 novembre 2013, n.5355;
14 gennaio 2014, n. 99;
che hanno adeguato per questo limitato aspetto la giurisprudenza del Consiglio di Stato alla giurisprudenza sopravvenuta della Corte costituzionale, per il resto confermativa di indirizzi già assunti). La Corte costituzionale ha quindi confermato la esistenza di una competenza legislativa regionale in materia, che risulta esercitata nel caso di specie con la legge regionale n. 1 del 2004 ed in particolare con l’art. 40, comma 1: " La compartecipazione degli utenti ai costi si applica ai servizi ed alle prestazioni sociali richieste prevedendo la valutazione della situazione economica del richiedente, con riferimento al suo nucleo familiare, attraverso il calcolo degli indicatori della situazione economica equivalente o attraverso altri strumenti individuati dalla Regione ". Tale norma risulta applicata – precisando i previsti strumenti aggiuntivi rispetto all’utilizzo dell’ISEE - dalle delibere regionali DGR 37-6500 del 23.07.2007, DGR 39-11190 del 6.04.2009 e alla DGR 41-13332 del 14.10.2010, come dimostrato dalla Amministrazione appellata, nonché dalle regolazioni degli enti locali nel rispetto della medesima normativa regionale (v. punto 8.8.).

8.7. - La sentenza della Corte Costituzionale n. 296/2012 esclude anche la natura fiscale o patrimoniale della imposizione di cui si discute. Pertanto, contrariamente a quanto ritenuto da parte appellante, non si tratta della imposizione di una prestazione patrimoniale che richiederebbe una norma legislativa ai sensi dell'art. 23 Cost., ma della distribuzione di un costo per servizi erogati, che rientra nella competenza regolatoria dell'ente erogatore.

8.8. – Non risulta violata neppure la normativa regionale di cui all’art. 40, comma 1, della legge regionale Piemonte n. 1 del 2004, specificata dalle delibere regionali di cui alla DGR 37-6500 del 23.07.2007, DGR 39-11190 del 6.04.2009 e alla DGR 41-13332 del 14.10.2010, come dimostrato dalla Amministrazione appellata. La DGR 37-6500 del 23.07.2007 enuncia il principio generale per tutte le prestazioni sociali, pur applicandola direttamente in modo espresso solo ai ricoveri in strutture residenziali. Le delibere DGR 39-11190 del 6.04.2009 e alla DGR 41-13332 del 14.10.2010 ribadiscono il principio della estensione alle indennità con finalità assistenziali della compartecipazione alle spese (componente sociale), precisandolo con riferimento agli anziani ricoverati in strutture residenziali e al contributo economico a sostegno della domiciliarità per la lungo-assistenza di anziani non autosufficienti e persone con disabilità con età inferiore ai 65 anni. E’ evidente che, applicandosi sia alle prestazioni residenziali che a quelle domiciliari in lungo assistenza, la regola assume il valore di un indirizzo generale adottato dalla Regione, che si applica proporzionalmente anche alle prestazioni in strutture semiresidenziali (non avendo evidentemente senso a tali fini la esclusione di una prestazione intermedia ).

8.9. - Come già ricordato al punto 8.2., l’Associazione appellante nell’atto di appello ha precisato di non aver mai contestato il principio di compartecipazione alle spese per i servizi di mensa e trasporto, ma esclusivamente i criteri adottati per quantificare tale compartecipazione, con particolare riferimento alla considerazione a tali fini delle indennità di accompagnamento e di invalidità. In ogni caso deve essere per completezza precisato che nelle norme del regolamento del Consorzio intercomunale impugnate nel presente giudizio non sono rinvenibili violazioni della normativa nazionale che regola il principio di compartecipazione alla spesa alle prestazioni socio-sanitarie quale parte del livello essenziale in materia. È improntato al principio della necessaria compartecipazione alla spesa il sistema di finanziamento delle prestazioni socio-assistenziali, che comprende quelle a rilevanza sanitaria «… che hanno l'obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilita o di emarginazione condizionanti lo stato di salute …», secondo l’art.

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