Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-12-13, n. 202108274

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-12-13, n. 202108274
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202108274
Data del deposito : 13 dicembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/12/2021

N. 08274/2021REG.PROV.COLL.

N. 05255/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5255 del 2015, proposto da
L A, rappresentata e difesa dall'avvocato F D C, con domicilio eletto presso lo studio Pierluigi Panici in Roma, via Germanico,172;

contro

Comune di Latina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato F P C, con domicilio eletto presso lo studio Silvia Scopelliti in Roma, via Salaria 400;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Prima) n. 01033/2014, resa tra le parti, concernente demolizione opere edilizie abusive


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Latina;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2021 il Cons. Thomas Mathà;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. L’appello riguarda i provvedimenti del Comune di Latina che hanno intimato a Cosimo Primerano e L A la demolizione di opere ritenute abusive (ordinanza del 31.5.2006, n. 14467), hanno respinto la relativa istanza di permesso di costruire in sanatoria (13.12.2006, n. 121783) ed infine hanno accertato l’inottemperanza della predetta ordinanza di demolizione (dd. 22.9.2007, prot. 35384). Più in particolare si tratta, come risulta dai provvedimenti impugnati, “ di una sopraelevazione delle dimensioni di 13,55 x 17,25 x 3,45 m, del fabbricato già sanato con concessione edilizia n. 567/C del 19.9.2000, con copertura tetto a due falde spioventi a tegole, completamente tamponata in muratura e tramezzata, il tutto allo stato grezzo, successivamente, malgrado completato (giusto seguito di Informativa di cui sopra), tanto da ricavare due distinte unità immobiliari.

2. Con il ricorso dinanzi al TAR del Lazio, sezione staccata di Latina, e successivi motivi aggiunti, i predetti proprietari impugnavano tali provvedimenti, deducendo: per quanto riguarda il ricorso introduttivo (ordine di demolizione), violazione di legge (art. 36 del D.P.R. 380/2001, art. 3, 7 e 8 della L. 241/1990), eccesso di potere;
per quanto riguarda i primi motivi aggiunti (diniego richiesta di accertamento in sanatoria), illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili;
per quanto riguarda i secondi motivi aggiunti (verbale di inottemperanza), inefficacia dell’ordinanza impugnata ex art. 36 D.P.R. n. 380/2001, violazione dei principi di correttezza e di buon andamento dell’attività e dell’azione amministrativa, violazione degli artt. 27 e 31 del D.P.R. 380/2001, eccesso di potere.

3. Il Comune di Latina si era costituito in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso.

4. Il TAR di Latina, Sezione prima, respingeva il ricorso con sentenza n. 1033/2014, giudicando non fondati i motivi proposti dai ricorrenti e disattesa la richiesta di rinvio dell’udienza per poter proporre ulteriori motivi aggiunti per l’ulteriore ordinanza di demolizione del 8.10.2008 (rinnovata dall’amministrazione comunale in seguito alla presentazione dell’istanza in sanatoria).

5. Contro questa pronuncia L A ha proposto appello, ritualmente notificato e depositato il 17.6.2015.

6. Si è costituita in giudizio l’appellata amministrazione comunale di Latina, chiedendo il rigetto del ricorso.

7. La causa è stata introitata in decisione all’udienza pubblica del 2 dicembre 2021.

DIRITTO

8. Con il primo motivo del gravame in secondo grado l’appellante denuncia la nullità del diniego della richiesta di rinvio del TAR del 6.11.2014, l’inesistenza dei presupposti e l’illogicità della motivazione. La richiesta di rinvio sarebbe stata negata ingiustamente, avendo il TAR errato a qualificare l’atto, riportando nella sentenza “ l’ordinanza di demolizione 8.10.2008, n. 72923/38284, prodotta dal resistente comune in data 14.7.2008 ”. Invece il difensore avrebbe fatto riferimento ad un diverso atto. Inoltre, la decisione di non concedere il rinvio per impugnare un atto (la seconda ordinanza di demolizione del 2008), non notificato ai ricorrenti in primo grado, sarebbe errata, perché la costante giurisprudenza non farebbe dipendere la conoscenza del provvedimento ai fini della decorrenza del termine di impugnazione dal deposito nel giudizio pendente tra le parti.

9. L’eccezione non ha pregio. L’errore eccepito riguarda l’ordinanza di demolizione rinnovata nel 2008, prot. 72923, del 14.7.2008, dove il TAR, per una svista, ha riportato la data del 8.10.2008;
ma dalla sentenza, avendo più volte fatto riferimento al numero di protocollo dell’atto, si evince chiaramente che era questo il provvedimento e non un altro. Non convince neanche la tesi in merito agli effetti del deposito del provvedimento nel corso del giudizio, dovendo invece confermare la statuizione del primo Giudice. Il TAR aveva chiarito che “ Il difensore, secondo la dottrina processualcivilistica, se non può considerarsi un vero e proprio rappresentante, non è neanche un semplice nuncius, cioè una sorta di traduttore in termini giuridici della volontà della parte e ciò in quanto nel campo tecnico – giuridico dispone di un margine di discrezionalità e di autonomia persino più ampio di quello concesso al rappresentante. In questa autonomia di cui il difensore dispone nel compimento e nella ricezione degli atti del processo, risiede, ad avviso del Collegio, la ragione per la quale deve trovare applicazione, anche per la rappresentanza tecnica, la disciplina dettata, in tema di stati soggettivi rilevanti, dall’art. 1391 c.c., con riferimento alla rappresentanza vera e propria (la norma dispone che nei casi in cui rileva lo stato di scienza o di ignoranza di determinate circostanze si ha riguardo alla persona del rappresentante, salvo che si tratti di elementi predeterminati dal rappresentato). Anche in ambito tecnico – giuridico, dunque, si ritiene corretto fare riferimento alla conoscenza del difensore, conoscenza, che, in forza della procura conferita, diviene conoscenza della parte. Il deposito in giudizio di un atto - qualora sia stato effettuato nel termine, ancorché non perentorio, stabilito per la costituzione della parte resistente – è dunque idoneo a determinare la decorrenza del termine decadenziale ancorché di conoscenza si possa parlare, effettivamente, solo in capo al difensore. In forza del conferimento del potere di compiere e ricevere tutti gli atti del processo attribuito al difensore dalla parte, mediante la procura, tale conoscenza è, difatti, da considerarsi conoscenza della parte. Né si ritiene che questo orientamento sia lesivo del principio costituzionale dell’effettività della difesa. Se la parte, difatti, si avvantaggia dell’attività processuale svolta dal proprio avvocato, non può non subire le conseguenze degli stati soggettivi rilevanti che sussistono in capo al difensore e ad essa relativi.

Le osservazioni del TAR sono condivisibili. Il Collegio aderisce al filone giurisprudenziale secondo il quale ai fini della decorrenza del termine di decadenza per l’impugnazione di un provvedimento è sufficiente la conoscenza formale dei suoi elementi essenziali e della sua portata dispositiva (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. IV, 1459/2016), e ravvisa un onere del ricorrente di accertare in segreteria, tramite il proprio difensore, l'eventuale deposito di documentazione, in particolare di nuovi atti, da cui si possa far decorrere il termine per la proposizione di motivi aggiunti.

A questo ragionamento più generale si deve aggiungere come, nella vicenda qui in esame, non consta che parte appellante abbia mai impugnato la demolizione del 2008 neppure in seguito, il che conferma l’inutilità della richiesta di rinvio avanzata nel giudizio di primo grado e il fatto che confronti di tale atto abbia prestato acquiescenza.

10. Con il secondo motivo dell’appello la ricorrente eccepisce la nullità della sentenza per travisamento dei fatti presupposti ed illogicità della motivazione, omessa considerazione che l’abitazione non potrebbe non essere sanata e non potrebbe mai essere demolita in quanto la zona su cui insiste il fabbricato rientrerebbe nella perimetrazione dei nuclei abusivi di cui alla legge regionale del Lazio n. 28/1980 e s.m.i. Inoltre il giudicato non avrebbe contenuto una pronuncia sulla qualificazione delle opere come manutenzione straordinaria, come sostiene invece l’appellante.

11. La doglianza non coglie nel segno. Il primo Giudice ha respinto i primi motivi aggiunti in merito al diniego della sanatoria sulla scorta della seguente motivazione: “ I motivi dedotti non sono peraltro idonei a scalfire la legittimità del visto diniego, tenuto conto della natura dell’intervento eseguito correttamente qualificato come nuova costruzione certamente incompatibile con la disciplina della zona H rurale. Sotto tale profilo il ricorso deve essere dunque respinto in quanto infondato. ” Nulla rileva in tal senso la normativa invocata dall’appellante sulla perimetrazione delle parti del territorio occupate da costruzioni abusive nonché delle aree inedificate da destinare ad edilizia residenziale e a recupero degli standard urbanistici, avvenuta con legge regionale 28/1980, modificata successivamente dalla l.r. 7/2004, che ha disciplinato che “ Nei nuclei perimetrati ai sensi dell’art. 1, secondo comma, gli interventi sulle aree inedificate devono essere finalizzati alla riqualificazione urbanistica e si attuano attraverso comparti o comprensori d’iniziativa pubblica o privata .” Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente in appello, la norma non è idonea a legittimare l’abuso di innalzamento di un intero piano, recuperando in tal modo due nuove abitazioni e quindi cubatura aggiuntiva e carico urbanistico. L’originario titolo edilizio rilasciato (autorizzazione n. 7522/EP del 17.7.2003) è già il risultato di una sanatoria edilizia;
e come rilevato dal Comune di Latina resistente non aveva compreso una ulteriore sopraelevazione del preesistente fabbricato al posto della sola copertura a tetto. L’appellante non può essere seguita neanche dove sostiene che il TAR abbia errato a qualificare le opere come nuova costruzione, che necessita un permesso di costruire ai sensi dell’art. 10 del DPR 380/2001, e che invece dovevano essere classificati come opere di manutenzione straordinaria. Ricadendo le opere contestate in zona “H” (rurale) del P.R.G. di Latina, l’amministrazione comunale aveva motivato il diniego della richiesta di permesso di costruire in sanatoria (ai sensi dell’art. 36 DPR 380/2001) con il fatto che le stesse opere sarebbero in contrasto con al vigente normativa disciplinante la zona e la mancanza del lotto minimo richiesto per gli interventi ricadenti in questa zona. Orbene, l’art. 36 del DPR 380/2010 richiede proprio per gli accertamenti di conformità se l’intervento risulta conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’intervento che al momento della presentazione della domanda. Tale doppia conformità era stata correttamente accertata dal Comune come mancante, non consentendo la disciplina nelle zone rurali tale aumento di cubatura nel caso di specie.

12. Nell’ultima doglianza viene criticata la sentenza per l’omessa pronuncia sulla violazione della partecipazione ai sensi degli artt. 7, 8, 10 e 10-bis della legge 241/1990, violazione di legge, omessa istruttoria, difetto di motivazione, eccepito in primo grado. Gli appellanti sostengono che anche nei casi di accertamenti che precedono provvedimenti vincolati (con l’appello si lamenta il mancante avvio di procedimento per la richiesta di permesso di costruire in sanatoria) sarebbe necessaria la partecipazione dei privati ai procedimenti amministrativi previsti dal Capo III della L. 241/1990. In più, l’istruttoria sarebbe viziata in quanto il dirigente del Comune avrebbe ignorato che nel caso di specie si tratterebbe di opere accessorie e pertinenziali che non si troverebbero neanche in un’area vincolata.

13. Anche questa censura non convince il Collegio, ed è smentita dai fatti. Risulta dalla documentazione prodotta in primo grado che in ordine all'istanza, tesa ad ottenere il permesso di costruire in sanatoria prot. n. 121783 del 13.12.2006, presentata dai ricorrenti, il Comune ha provveduto a partecipare ai sigg. Primerano-Apicerni l'avvio del procedimento, con nota prot. n. 122967 del 15.12.2006, regolarmente notificata ai destinatari in data 20.12.2006 a mezzo del servizio postale. La difesa comunale ha eccepito che in esito a tale comunicazione, i soggetti interessati non avevano esercitato alcuna facoltà difensiva per l'eventuale diversa definizione del procedimento. Quindi l’amministrazione ha agito correttamente essendo stati regolarmente informati dall'Amministrazione Comunale del procedimento, nonché invitati ad intervenire nella fase istruttoria per produrre eventuale documentazione utile a dimostrare la liceità delle opere in corso. Inoltre, qualunque contributo fosse stato apportato dai ricorrenti, non avrebbe modificato l'esito del procedimento, siccome l'atto provvedimentale finale non avrebbe potuto implicare diverse valutazioni dell'Ente, dal momento che lo stesso è frutto di un mero accertamento volto a verificare la corrispondenza dello stato di fatto alla previsione normativa, esulante da qualsiasi apprezzamento discrezionale dell'Amministrazione.

14. Del tutto infondato è la critica sul difetto d’istruttoria in quanto i lavori eseguiti sarebbero “accessorie” o “pertinenziali”. Al di là del fatto che l’appellante non han specificato nulla in merito a tale definizione, i lavori realizzati, diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente, non possono configurarsi quali “opere pertinenziali” in quanto le due unità abitative sono contraddistinti di un’autonoma destinazione delle stesse, hanno aggiunto volumetria residenziale all'edificio preesistente, mentre la pertinenza rappresenta una cosa destinata in modo durevole al servizio o all’ornamento di un’altra cosa (art. 10, comma 2 DPR 380/2001). La nozione civilistica di pertinenza differisce da quella a fini urbanistico/edilizi. Un manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma è anche sfornito di un autonomo valore di mercato e non incide sul carico urbanistico mediante la creazione di nuova cubatura. In sede edilizia la nozione di pertinenza va definita sia in relazione alla necessità ed oggettività del rapporto pertinenziale sia alla consistenza dell’opera, che non deve essere tale da alterare in modo significativo l’assetto. Nel caso in esame è certo, come correttamente messo in rilievo dal primo giudice, che la rilevante dimensione degli interventi edilizi effettuati ha inciso sul carico urbanistico, il che è sufficiente per escludere la configurabilità di una pertinenza edilizia (sulle opere pertinenziali Cons. Stato, sez. VI, n. 6438/2021).

15. Il Collegio può constatare infine, alla luce dello scrutinio di tutti i motivi proposti ed esaminati, che l’appello non è fondato. La liquidazione delle spese processuali deve seguire la soccombenza.

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