Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-11-26, n. 201908071
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Testo completo
Pubblicato il 26/11/2019
N. 08071/2019REG.PROV.COLL.
N. 02676/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2676 del 2015, proposto dal Comune di Casole D'Elsa, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato G V, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato A T in Roma, largo dei Lombardi, n. 4;
contro
Curatela del Fallimento Immobiliare Le Vigne S.r.l., in persona del Curatore
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato C B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Toscana, sez. III, n. 60 del 16 gennaio 2014, resa tra le parti, concernente pagamento di oneri di urbanizzazione
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Curatela del Fallimento Immobiliare Le Vigne S.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 maggio 2019 il Cons. Luca Monteferrante e uditi per le parti gli avvocati Ilaria Smedile, su delega dell’avvocato G V e Giuseppe Pecorilla su delega dell’avvocato C B;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La Immobiliare Le Vigne s.r.l., proprietaria in Casole d’Elsa di un terreno in area soggetta a vincolo paesaggistico e idrogeologico, conseguiva, previa autorizzazione sul vincolo idrogeologico del 17 ottobre 2006 della Comunità Montana Val di Merse, il permesso di costruire n. 117 del 20 ottobre 2006, avente ad oggetto la ristrutturazione e costruzione di unità immobiliari turistico-ricettive e la realizzazione di un biolago balneare.
In data 19 giugno 2007 il GIP presso il Tribunale di Siena, su richiesta del PM del 13 giugno 2007, emetteva un decreto di sequestro preventivo dell’area di cantiere, per l’errata rappresentazione nel progetto dello stato dei luoghi, per la mancata acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, intervenendo l’intervento su area boscata e per la realizzazione di opere comunque in difformità dal permesso di costruire rilasciato.
Il 19 settembre 2007 l’Amministrazione comunica l’avvio del procedimento di annullamento del suddetto permesso di costruire per l’errata rappresentazione dello stato dei luoghi negli elaborati di progetto e per la mancata previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica.
Il 13 novembre 2007 seguiva la comunicazione di avvio del procedimento di annullamento dell’autorizzazione ai fini del vincolo idrogeologico da parte della Comunità Montana, poi disposto il 18 febbraio 2008.
La Società pertanto, dopo aver pagato le prime tre rate dell’importo dovuto a titolo di oneri concessori, chiedeva al Comune, con lettera del 12 marzo 2008, di poter sospendere il pagamento della quarta rata di €49,160,70, considerato l’avvio del procedimento penale per abuso edilizio nonché del procedimento amministrativo per l’annullamento del permesso di costruire n. 117 del 2006.
Con nota del 7 aprile 2008 il Comune respingeva la suindicata richiesta, sul presupposto che il procedimento amministrativo fosse ancora in corso, così come quello penale.
La Società impugnava il diniego con ricorso dinanzi al T.a.r. per la Toscana, censurandolo per violazione dell’art. 16 del D.P.R. n.380 del 2001, del principio di buon andamento e imparzialità nonché per eccesso di potere sotto il profilo della carenza di motivazione e della contraddittorietà dell’azione;veniva inoltre richiesto l’accertamento del diritto alla restituzione di quanto già versato a titolo di oneri concessori, per le prime tre rate richieste dal Comune, con l’aggiunta degli interessi al saggio legale e la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno conseguente.
La ricorrente in particolare faceva presente che:
- vi era un procedimento penale in corso per abuso edilizio;
- era stato avviato un procedimento amministrativo per l’annullamento del permesso di costruire, non essendo stato considerato il vincolo paesaggistico insistente sull’area boscata interessata dall’intervento, con preclusione di ogni possibilità di sanatoria;
- erano venuti meno i presupposti per il pagamento degli oneri concessori, essendo ormai certo che il permesso di costruire in argomento sarebbe stato annullato, risultando incerto solo il momento di emissione del predetto atto;
- oltre alla sospensione del pagamento della quarta rata, andavano restituite anche le tre rate per oneri concessori già versate, trattandosi di fattispecie di indebito oggettivo;
- risultava palese la contraddittorietà dell’azione pubblica che da un lato procedeva per l’annullamento del titolo edilizio e dall’altro richiedeva, in ultimo con nota del 14 maggio 2008, anche alla banca garante, il pagamento degli oneri relativi al suddetto titolo.
Con successivo atto del 14 novembre 2011 veniva quindi annullato in autotutela il permesso di costruire n. 117 del 2006;inoltre con sentenza del 4 novembre 2011 il GUP presso il Tribunale di Siena ordinava, tra l’altro, la demolizione delle opere;l’Amministrazione altresì emetteva ordinanza n. 37 del 4 marzo 2013 di demolizione degli abusi, ex art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 e art.132 della L.R. n. 1 del 2005.
Il T.a.r. per la Toscana con sentenza n. 60 del 16 gennaio 2014 accoglieva il ricorso, annullando l’atto impugnato e riconoscendo il diritto alla restituzione degli oneri di urbanizzazione già versati.
In particolare il T.a.r. evidenziava che “ una volta venuto meno il permesso di costruire n. 117 del 2006, per effetto del suo annullamento disposto con successivo provvedimento comunale del 14 novembre 2011 (per opere per di più oggetto di ordinanze di demolizione penale e amministrativa), è venuto a mancare anche il presupposto per il pagamento del relativo contributo di costruzione, ex art. 16 del D.P.R. n.380 del 2001 e dunque il correlato obbligo (cfr., in fattispecie analoghe, di decadenza del permesso, TAR Toscana, III, n.254 e n.1403 del 2013).
Ne discende inoltre il diritto della ricorrente al rimborso delle tre rate già versate a titolo di oneri concessori, con l’aggiunta degli interessi computati al saggio legale, a decorrere dal momento di annullamento del permesso di costruire - con costituzione in mora dell’Amministrazione già avvenuta mediante la notifica del presente ricorso -, avendo il privato concorso all’illegittimità del titolo edilizio (cfr. decreto di sequestro preventivo, all. 8 al ricorso e sentenza del Tribunale di Siena, prodotta il 3 dicembre 2012) ed il correlato obbligo di pagamento dell’Amministrazione” .
Con atto di appello notificato in data 2 marzo 2015 il Comune di Casole D’Elsa impugnava la sentenza del T.a.r. per la Toscana n. 60/2014, chiedendone la riforma sul presupposto che gli oneri di urbanizzazione fossero dovuti in quanto correlati ad una attività di trasformazione del territorio comunque avvenuta, sebbene abusivamente.
In pendenza del giudizio d’appello, la società Immobiliare Le Vigne veniva dichiarata fallita con sentenza n. 13/2018 resa dal Tribunale di Firenze il 24 gennaio 2018.
Il Curatore in data 16 febbraio 2018, inviava al Comune di Casole D’Elsa una nota con la quale comunicava l’intervenuto fallimento della società Immobiliare Le Vigne. In ragione di ciò, il Comune chiedeva l’interruzione del giudizio, poi disposta con ordinanza collegiale n. 4052 del 3 luglio 2018.
Il Comune di Casole D’Elsa riassumeva la causa con atto notificato alla curatela a mezzo pec il 18 settembre 2018.
La Curatela si costituiva in giudizio in data 29 aprile 2019, contestando nel merito la fondatezza dell’appello ed eccependone preliminarmente la irricevibilità per tardività.
Alla udienza pubblica del 30 maggio 2019 la causa è stata trattenuta in decisione, previo deposito di memorie conclusive e di replica con le quali le parti hanno nuovamente illustrato le rispettive tesi difensive, anche con particolare riferimento alla eccepita tardività del gravame.
Tanto premesso in fatto, può ora passarsi all’esame dell’appello che va dichiarato irricevibile per tardività, in accoglimento della eccezione sollevata sul punto dalla curatela fallimentare.
La sentenza del T.a.r. per la Toscana, sez. III, n. 60 del 2014 oggetto del presente appello, è stata depositata in segreteria il 16 gennaio 2014 e, non risultando notificata ai fini della decorrenza del termine per l’appello, rileva a questo fine il termine lungo di impugnazione.
Poiché alla data di deposito della sentenza di primo grado era già entrato in vigore, sin dal 16 settembre 2010, il codice del processo amministrativo, nel presente caso trova applicazione il termine lungo semestrale previsto dall’art. 92, comma 3, del d. lgs. n. 104 del 2010 a mente del quale “ In difetto della notificazione della sentenza, l'appello, la revocazione di cui ai numeri 4 e 5 dell'articolo 395 del codice di procedura civile e il ricorso per cassazione devono essere notificati entro sei mesi dalla pubblicazione della sentenza ”.
Ed infatti ai sensi dell’art. 2 dell’Allegato 3 al codice del processo amministrativo solo “ Per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del codice continuano a trovare applicazione le norme previgenti ” – tra cui il termine lungo annuale di impugnazione - e poiché nel caso di specie alla data di entrata in vigore del codice i termini per appellare non erano pendenti, non essendo ancora stata depositata la sentenza del T.a.r., trovano applicazione i nuovi termini previsti dal richiamato art. 92, comma 3 c.p.a. che, per l’appunto, in mancanza di notifica della sentenza, prevede che l’appello debba essere notificato entro sei mesi dalla pubblicazione della sentenza, e quindi entro il 16 luglio 2014, essendo il deposito intervenuto il 16 gennaio 2014 (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 20 dicembre 2013, n. 6154).
L’appello del Comune di Casole d’Elsa è stato invece spedito per la notifica solo in data 2 marzo 2015, ben oltre la scadenza del predetto termine semestrale e pertanto andrebbe dichiarato irricevibile per tardività.
Senonchè il Comune, pur non contestando il superamento del termine semestrale di impugnazione, prospetta con la memoria di replica la necessità di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2, Allegato 3, del c.p.a., il quale, diversamente, sarebbe sospetto di illegittimità costituzionale per eccesso di delega, in violazione degli artt. 76 e 77 Cost..
Infatti l’art. 2 Allegato 3, a differenza dell’art. 58 della legge n. 69 del 2009, ha fatto applicazione del principio del tempus regit actum anziché di quello del tempus regit processum rendendo applicabile il termine abbreviato anche ai giudizi per i quali il termine per appellare sia iniziato a decorrere dopo il 16 settembre 2010, data di entrata in vigore del c.p.a. (come nel caso di specie, essendo stata la sentenza depositata il 16 gennaio 2014), mentre per il rito civile si guarda al termine di proposizione del giudizio di primo grado che, se incardinato prima della novella della legge n. 69/2009 (come nel caso di specie, essendo il ricorso del 2008), resta soggetto, quanto alla impugnazione, al previgente termine lungo annuale.
Secondo il Comune il regime transitorio del c.p.a. si porrebbe in contrasto con il criterio direttivo della delega che ha prescritto di adeguare le norme vigenti del processo amministrativo anche al fine di “ coordinarle con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di principi generali e di assicurare la concentrazione delle tutele ”.
Premette al riguardo che il termine lungo per impugnare la sentenza di primo grado, già previsto in un anno, è stato ridotto a sei mesi per effetto della legge n. 69/2009. La disciplina transitoria contenuta nell’art. 58 della predetta legge afferma che “le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore”.
In particolare, per tutti i giudizi instaurati precedentemente alla data di entrata in vigore della legge n. 69/2009 continua a trovare applicazione il termine di un anno (oltre al periodo di sospensione feriale) per la proposizione dell’impugnazione, con la precisazione che per «giudizio» deve intendersi la instaurazione del processo di primo grado (Cass, civ., sez. VI, 23 febbraio 2016, n. 3549).
Con l’art. 44 della L. n. 69/2009, il legislatore ha delegato il Governo al riassetto della disciplina del processo amministrativo, prevedendo che: “ Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per il riassetto del processo avanti ai tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato, al fine di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, di coordinarle con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di princìpi generali e di assicurare la concentrazione delle tutele ”.
Secondo il Comune appellante con l’adozione del c.p.a. e delle sue norme transitorie, in adempimento della delega, il processo amministrativo non potrebbe che essere sottoposto al medesimo regime impugnatorio già previsto per il processo civile, anche in relazione all’applicazione temporale delle modifiche intervenute sul punto, al fine di creare un sistema unitario e coordinato delle impugnazioni sia nel processo civile che in quello amministrativo.
Accedendo a tale ricostruzione, l’appello sarebbe tempestivo dovendosi applicare il termine annuale di impugnazione ai sensi dell’art. 58 della legge n. 69 del 2009 per essere stato il giudizio di primo grado pacificamente proposto prima della entrata in vigore della novella.
Il Comune pertanto sollecita una interpretazione costituzionalmente conforme dell’art. 2 dell’Allegato 3 al codice del processo amministrativo e, in subordine, chiede che venga sollevata questione di legittimità costituzionale della norma.
La tesi non è condivisa del Collegio che reputa la questione di costituzionalità manifestamente infondata.
Il mancato recepimento dell’art. 58 della legge n. 69 del 2009 non si pone infatti in contrasto con il criterio direttivo della legge delega che prescrive di coordinare le norme sul processo amministrativo con le norme del codice di procedura civile «in quanto espressione di principi generali» e di assicurare la concentrazione delle tutele (art. 44 della legge n. 69/2009).
Il coordinamento tra le due discipline è stato assicurato uniformando, a regime, la disciplina del termine lungo di impugnazione, fissato in un semestre, in luogo del previgente termine annuale.
Poiché quando il c.p.a. è entrato in vigore, la modifica dell’art. 327 c.p.c. era già a regime, la direttiva legislativa di coordinamento con il c.p.c. ha indotto il legislatore delegato a recepire solo la norma sul termine lungo semestrale, senza richiamare la disciplina transitoria prevista per i giudizi ordinari, non essendo necessaria una disciplina transitoria per estendere al processo amministrativo una norma del c.p.c. già divenuta, a quella data, di portata generale.
Ed infatti la disciplina transitoria del c.p.a. ha, in realtà, solo precisato la regola generale del tempus regit actum nel senso che il nuovo termine si applica solo a tutte le sentenze pubblicate dopo il 16 settembre 2010, escluse pertanto quelle per le quali il termine per appellare fosse in corso alla medesima data, per le quali si applicano le disposizioni previgenti sul termine annuale di impugnazione.
Il legislatore delegato pertanto non si è discostato dalla previsione dell’art. 58 della legge n. 69 del 2009 bensì ha ritenuto di non doverla applicare non avendo il legislatore delegante prescritto il coordinamento anche delle norme transitorie.
Dovendo operare solo un coordinamento con le norme del codice di procedura civile «espressione di principi generali», ha richiamato direttamente la regola del termine semestrale, rendendola immediatamente applicabile e chiarendo solo la portata del principio generale del tempus regit actum nel senso che la norma si applica solo alle sentenze depositate dopo il 16 settembre 2010 (come nel caso di specie) e non anche a quelle già depositate, per le quali il termine di impugnazione era ancora in corso a quella data, che restano conseguentemente attratte sotto il regime previgente.
Sotto un diverso profilo può poi osservarsi che la disciplina transitoria prevista per il rito civile, a differenza di quella prevista dall’art. 2, All. 3 c.p.a., non può come tale ritenersi espressione di principi generali in quanto disapplica il principio generale di diritto processuale per cui tempus regit actum .
Infine, applicare una previsione analoga a quella di cui all’art. 58 della legge n. 69 del 2009 anche al codice del processo amministrativo, avrebbe comportato la ultrattività del termine annuale di impugnazione per tutti i giudizi pendenti in primo grado alla data del 15 settembre 2010, con possibile violazione del criterio direttivo posto dalla legge delega (art. 44, comma 2, lett. a) della legge n. 69 del 2009) che prescrive la finalità “ di garantire la ragionevole durata del processo ” di certo maggiormente assicurata da una più ampia ed immediata applicabilità del più breve termine di impugnazione semestrale, in luogo del previgente termine annuale che dilata il termine di durata complessiva del giudizio.
Deve pertanto concludersi nel senso della manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 dell’Allegato 3 del c.p.a. che prescrive la immediata applicabilità del termine semestrale di impugnazione nel caso di specie, trattandosi di sentenza depositata dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, con conseguente irricevibilità dell’appello per tardività in quanto spedito per la notifica ben oltre il predetto termine semestrale.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.