Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2017-09-14, n. 201704346

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2017-09-14, n. 201704346
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201704346
Data del deposito : 14 settembre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/09/2017

N. 04346/2017REG.PROV.COLL.

N. 05993/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 5993 del 2016, proposto da:
M E s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati F P e F P, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via in Arcione, 71;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato A C, domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, 21;
Commissario straordinario per la provvisoria gestione di Roma Capitale, in persona del commissario pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, 12 è elettivamente domiciliata;

nei confronti di

Martini Marina, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE II n. 04163/2016, resa tra le parti, concernente diniego di accesso agli atti, in relazione ad alloggi di edilizia residenziale pubblica


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e del Commissario straordinario per la provvisoria gestione di Roma Capitale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 6 luglio 2017 il Cons. Valerio Perotti e uditi per le parti gli avvocati F P e Rosalda Rocchi, in sostituzione dell'avvocato Camarda, nonché l’avvocato dello Stato Marco Stigliano Messuti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Risulta dagli atti che gli immobili facenti parte di un ampio compendio sito in Ostia Lido (lotti B-D.F-G-H-N-P), originariamente destinati alla vendita sul libero mercato, erano stati concessi in locazione al Comune di Roma (ora Roma Capitale) dall’allora proprietaria, affinché fossero destinati alla sistemazione abitativa di famiglie aventi diritto ad alloggi di edilizia residenziale pubblica.

L’odierna appellante, divenuta medio tempore proprietaria del suddetto complesso edilizio (e dunque locatrice per successione ex lege al precedente titolare), aveva esercitato il suo diritto di recesso dal contratto di locazione – a decorrere dal 31 dicembre 2012 – con raccomandate del 6 ottobre 2011. Quindi, stante il mancato rilascio degli immobili alla data indicata, adiva il giudice civile per ottenerne la restituzione.

Il Tribunale adito, con ordinanza del 28 giugno 2012, condannava il Comune di Roma al rilascio del compendio, fissando termine sino al 10 maggio 2013 per l’esecuzione del provvedimento.

Dichiarava quindi, sentenza n. 24481 del 2013, l’intervenuta cessazione, con decorrenza dal 31 dicembre 2012, degli effetti del suddetto contratto.

Alla luce delle obiettive difficoltà logistiche per il trasferimento delle numerose famiglie occupanti gli immobili, però, la società M E s.r.l. si dichiarava disponibile alla stipula di un nuovo contratto di locazione, che però non veniva perfezionato a causa della mancanza, nel progetto di bilancio del Comune per gli anni 2013 e 2014, della necessaria copertura finanziaria.

Quest’ultimo continuava quindi ad occupare – sine titulo – il compendio immobiliare, limitandosi a corrispondere annualmente, quale indennità di occupazione, la somma di euro 4.246.842,24.

La società proprietaria, dando per presupposto che gli immobili continuassero ad essere destinati alla sistemazione alloggiativa di nuclei familiari in condizioni di disagio abitativo, chiedeva a tal punto di poter accedere alla documentazione inerente alla gestione del compendio di sua proprietà.

In particolare, l’amministratore unico della M E s.r.l., con nota dell’11 novembre 2015 delegava altro soggetto “ ad effettuare un accesso agli atti rivolto a richiedere e ritirare, presso gli uffici comunali competenti, in forza del contratto di locazione che lega la scrivente al Comune di Roma, copia dei contratti a campione di sublocazione che il Comune di Roma ha stipulato con gli occupanti dei suddetti immobili ”.

Con nota del 30 novembre 2015 Roma Capitale respingeva però l’istanza, non ravvisando la sussistenza del “ requisito di interesse tutelato dalla legge 7.8.1990 n° 241 e successive modificazioni ”.

A tal punto la M E s.r.l. proponeva ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio avverso il suddetto rifiuto.

Evidenziava, in primo luogo, le ragioni dell’istanza, consistenti nell’opportunità di avvantaggiarsi di benefici fiscali: infatti, stante la verosimile destinazione in uso dei predetti beni, la società riteneva che fosse applicabile agli immobili in questione l’esenzione di imposta prevista, per gli alloggi sociali, dall’art. 13, comma 2, lett. b), del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 e dall’art. 13, comma 1, lett. d) del Regolamento in materia di imposta unica comunale approvato con deliberazione n. 47 dell’assemblea capitolina del 29 luglio 2014, ragion per cui sosteneva di aver interesse ad acquisire la documentazione inerente alla gestione del compendio immobiliare di sua proprietà.

Ciò premesso, denunciava l’illegittimità del diniego sia sotto il profilo della violazione di legge che dell’eccesso di potere, rivendicando la propria posizione qualificata legittimante all’accesso.

Il Tribunale amministrativo del Lazio respingeva però il ricorso, con sentenza 6 aprile 2016, n. 4163, sul presupposto che l’istanza non fosse stata adeguatamente motivata, in violazione dell’imprescindibile principio di cui all’art. 25 della legge 7 agosto 1990, n. 241 ( Legge sul procedimento amministrativo ), non essendo stato “ esplicitato il fondamentale requisito dell’interesse che, ai sensi della richiamata norma di legge, non può trarsi implicitamente dalla richiesta, ma deve essere espressamente indicato dal richiedente ”.

Avverso la suddetta decisione la M E s.r.l. interponeva appello, deducendo un unico, articolato motivo di gravame del seguente tenore: “ Error in procedendo e in iudicando. Manifesta ingiustizia per difetto di motivazione. Omessa pronuncia. Violazione del principio di effettività della tutela e obbligo di motivazione della sentenza, violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato: artt. 10, 11, 24, 111 e 117, comma 1, ost., 47 Carta di Nizza, 6 e 13 Cedu, 1, 2, 3, 88 e 116 c.p.a., 112 c.p.c. Eccesso di potere giurisdizionale.

Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24, 97, 113 e 117 Cost.;
degli artt. 3, 5, 23, 26e 30 del d.lgs. n. 33/2013;
dell’art. 41 della Carta di Nizza. Violazione e/o falsa applicazione dei principi di pubblicità, trasparenza, legalità, buon andamento dell’azione amministrativa, giusto procedimento nonché di certezza dei rapporti giuridici. Difetto e/o carenza di motivazione. Eccesso di potere. Travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, difetto d’istruttoria, sviamento di potere
”.

Roma Capitale si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto del gravame. Lo stesso faceva il Commissario straordinario per la provvisoria gestione di Roma Capitale.

All’udienza del 6 luglio 2017, dopo la rituale discussione, la causa passava in decisione.

DIRITTO

Ad un complessivo esame degli atti di causa, l’appello non appare fondato.

Invero, come da consolidata giurisprudenza, l'accesso deve essere motivato ( ex art. 25 l. n. 241 del 1990) con una richiesta rivolta all'ente che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente, indicando i presupposti di fatto e l'interesse specifico, concreto ed attuale che lega il documento alla situazione giuridicamente rilevante ( ex multis , Cons. Stato, V, 4 agosto 2010, n. 5226;
V, 25 maggio 2010, n. 3309;
IV, 3 agosto 2010, n. 5173).

Il diritto all’accesso documentale di cui trattasi (cfr. Cons. Stato, IV, 15 settembre 2010, n. 6899), infatti, pur essendo finalizzato ad assicurare la trasparenza dell'azione amministrativa ed a favorirne lo svolgimento imparziale, non si configura come un'azione popolare, esercitabile da chiunque, indipendentemente da una posizione differenziata giuridicamente.

Ne consegue che l'accesso è consentito soltanto a coloro ai quali gli atti si riferiscono direttamente o indirettamente, e comunque solo laddove questi se ne possano avvalere per tutelare una posizione giuridicamente rilevante.

L’onere, per il richiedente, di fornire adeguata motivazione dell’istanza – dalla quale devono emergere senza ambiguità ed incertezze i presupposti di cui si è detto – si giustifica quindi con la necessità di consentire all’amministrazione di verificare l’effettiva sussistenza delle condizioni legge per l’ostensione: non può quindi pretendere, il richiedente, che sia l’amministrazione richiesta a doversi fare parte diligente per individuare, con apposita istruttoria, le eventuali ragioni fondanti l’istanza medesima.

Alla luce di tali premesse, correttamente il primo giudice ha rilevato che “ l’istanza di accesso della ricorrente in data 11 novembre 2015, non è stata motivata e che, quindi, il ricorso deve essere respinto in quanto non è stato esplicitato il fondamentale requisito dell’interesse che, ai sensi della richiamata norma di legge, non può trarsi implicitamente dalla richiesta, ma deve essere espressamente indicato dal richiedente ”.

In effetti, dalla lettura del suddetto documento non emerge in alcun modo (neppure implicitamente) l’interesse sotteso all’ostensione degli atti richiesti, men che mai la specifica ratio di carattere tributario di cui si è detto, che la società appellante risulta aver esplicitato solo nell’introduttivo ricorso.

Né l’istanza suddetta (in realtà una delega al ritiro degli atti, dal tenore estremamente succinto) fa alcun esplicito riferimento alla “ fitta corrispondenza intercorsa tra le parti ” di cui l’appellante fa generico richiamo nei proprio atto di gravame, corrispondenza dalla quale l’amministrazione capitolina avrebbe dovuto implicitamente dedurre quale fosse lo specifico interesse perseguito dal richiedente ed i suoi rapporti con i documenti richiesti.

Il predetto documento, infatti, contiene semplicemente la delega ad un terzo “ ad effettuare un accesso agli atti rivolto a richiedere e ritirare, presso gli uffici comunali competenti, in forza del contratto di locazione che lega la scrivente al Comune di Roma, copia dei contratti a campione di sublocazione che il Comune di Roma ha stipulato con gli occupanti dei suddetti immobili ”.

Ora, anche a prescindere che quanto sopra possa effettivamente integrare gli estremi di un’istanza al Comune di Roma ai fini dell’accesso di cui trattasi, è di palmare evidenza che nulla dice circa le ragioni che giustificherebbero tale specifica richiesta.

La questione, in quanto relativa agli stessi presupposti legali di presentazione dell’istanza, è assorbente di ogni altra questione di merito dedotta dall’appellante.

L’appello va quindi respinto. La peculiarità della fattispecie fa ritenere peraltro congrua l’integrale compensazione delle spese di lite del presente grado di giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi