Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2016-11-02, n. 201604590

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2016-11-02, n. 201604590
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201604590
Data del deposito : 2 novembre 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/11/2016

N. 04590/2016REG.PROV.COLL.

N. 02407/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2407 del 2014, proposto da A V, rappresentato e difeso dagli avvocati E L C.F. LBRNRC71E20H501I, F L C.F. LBRFPP39L14H501I, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, Via Flaminia, n. 79;

contro

Istituto universitario di Architettura di Venezia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. VENETO - VENEZIA: SEZIONE I n. 01176/2013, resa tra le parti, concernente applicazione trattenuta stipendiale per svolgimento incarichi extraistituzionali senza autorizzazione.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Istituto universitario di Architettura di Venezia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2016 il Cons. Italo Volpe e uditi per le parti gli avvocati F L e Fabio Tortora dell'Avvocatura generale dello Stato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Col ricorso in epigrafe il pure ivi indicato professore associato a tempo pieno presso l’IUAV di Venezia (di seguito “Università”) ha impugnato, per il suo annullamento, la sentenza del Tar Veneto n. 1176/2013 del 15.10.2013.

La sentenza ha respinto il ricorso del professore avverso due coppie di provvedimenti (rispettivamente, determinazione dirigenziale rep. n. 413-2012, prot. n. 12777, del 9.8.2012 e decreto rettorale rep. n. 551/2012, prot. n. 12648, dell’8.8.2012, nonché determinazione dirigenziale rep. n. 461-2012, prot. n. 14811, del 14.9.2012 e decreto rettorale rep. n. 619/2012, prot. n. 14715, del 13.9.2012) che, nell’insieme e nella sostanza, hanno disposto a carico del professore, con decorrenza 1.10.2012 (già 1.9.2012), una trattenuta stipendiale, pari alla metà dello stipendio netto percepito, fino a concorrenza di euro 266.245,80.

La misura di recupero ha fatto seguito ad un procedimento disciplinare a carico del professore avviatosi, sulla base informativa fornita dalla Guardia di Finanza, per il disvelato espletamento di incarichi extraistituzionali non autorizzati dall’Università che avevano procurato al ricorrente compensi di importo pari alla somma sopra riportata.

2. Le censure rivolte alla pronuncia di primo grado sono state così formulate:

a) eccesso di potere per difetto assoluto dei presupposti di fatto e di diritto in tema di compensazione atecnica;

b) violazione dell’art. 53, co. 7, del d.lgs. n. 165/2001 (già art. 58, co. 7, del d.lgs. n. 29/1993) – eccesso di potere per difetto dei presupposti di fatto e di diritto;

c) illegittimità dell'azione dl recupero per intervenuta prescrizione;

d) violazione dell’art. 2 del d.P.R. n. 180/1950;

e) violazione del principi generali in tema di recupero di somme indebitamente corrisposte.

2.1. Di seguito il loro sintetico riepilogo:

a.1) la sentenza avrebbe errato nel condividere l’avviso dell’Università secondo il quale i crediti per prestazione lavorativa del professore e quello per il recupero vantato dall’Ateneo trovassero fonte in un unico rapporto giuridico e che conseguentemente fosse possibile tra loro la c.d. compensazione atecnica, ossia la modalità di recupero concretamente attivata dall’Università nei riguardi del ricorrente.

Nella specie, piuttosto, i due contrapposti crediti non riguardano pretese reciprocamente sinallagmatiche (derivando in particolare da illecito il credito dell’Università), onde detta modalità non sarebbe stata consentita alla luce dell’applicabilità dell’art. 1246 c.c.;

b.1) la sentenza avrebbe errato nel condividere l’avviso dell’Università secondo il quale i compensi di tutti gli incarichi svolti, nel periodo di riferimento, sarebbero stati da recuperare e ciò sia perché alcuni di essi (ad es., lezioni, seminari, collaborazioni scientifiche e culturali, attività pubblicistiche ed editoriali) dovevano ritenersi liberi in assoluto sia perché almeno uno degli incarichi (presso l’ente Fiera di Pordenone) doveva considerarsi assunto quanto vigeva l’art. 58, co. 7, del d.lgs. n. 29/1993 e non l’art. 53, co. 7, del d.lgs. n. 165/2001, col suo diverso regime degli incarichi autorizzati;

c.1) la sentenza avrebbe errato nel ritenere sia che nella specie viga non il termine quinquennale sibbene quello ordinario sia che il più lungo termine prescrizionale non fosse spirato al momento del disposto recupero. Opinando correttamente, anche solo per alcuni incarichi espletati i periodi dei compensi da recuperare si sarebbero allora ridotti;

d.1) avrebbe ancora errato la sentenza nel non ritenere che, al più, il recupero si dovesse limitare al quinto dello stipendio e non alla sua metà;

e.1) infine sarebbe erronea la decisione nel non aver colto che, al più, i compensi si sarebbero dovuti recuperare non al lordo ma al netto d’imposta.

3. Si è costituita l’Università replicando partitamente ai diversi motivi di ricorso mentre altrettanto partitamente le ha replicato il ricorrente con memoria del 22.9.2016.

4. La causa, chiamata alla pubblica udienza di discussione del 13.10.2016, è stata ivi trattenuta in decisione.

5. Vale affrontare separatamente le diverse questioni oggetto di giudizio, giacchè differenti i risultati cui si perviene in relazione a ciascuna di esse.

5.1. Non risulta persuasiva la censura di parte ricorrente che punta a sostenere la non applicabilità, nel caso di specie, della c.d. compensazione atecnica, della quale invece si è servita l’Amministrazione resistente per il recupero delle somme dallo stesso vantate.

L’assunto della parte muove dal presupposto che il credito dell’Ateneo sia autonomo rispetto al credito del professore dipendente relativo alla sua retribuzione per il lavoro prestato presso l’Università, e questo perché:

- il primo credito deriverebbe da un illecito commesso dal professore, come tale costituente evento altro e distinto rispetto ai contenuti del sinallagma del rapporto lavorativo che genera la retribuzione del docente universitario;

- inoltre il primo credito avrebbe base giuridica direttamente nella legge ( i.e. , refusione dovuta ex lege ) e dunque, nuovamente, deriverebbe da un titolo diverso da quello costituito dal rapporto lavorativo fra Ateneo e suo professore.

I due aspetti del tema, così sintetizzati, non paiono però condivisibili.

Non il primo, perché a ben vedere, nel congegno normativo che lo prevede, il dovere di rispettare la regola per cui – tra gli incarichi non vietati – gli incarichi extraistituzionali consenti al dipendente (rispetto ai quali quest’ultimo è legittimato a trattenere le relative remunerazioni) sono solo quelli o previamente autorizzati dall’Amministrazione datoriale o quelli dalla stessa direttamente conferiti costituisce interpolativamente (giacchè introdotto per legge) null’altro che uno dei diversi doveri del dipendente che rientrano nel fascio dei suoi obblighi dovuti per effetto del rapporto lavorativo dipendente.

Nell’ambito della fondamentale bipolarità fra illeciti contrattuali ed extracontrattuali – ove fosse vera la teorizzazione di parte ricorrente – il mancato rispetto della regola per cui gli incarichi extraistituzionali consentiti sono solo quelli innanzi ricordati rientrerebbe allora nella categoria degli illeciti extracontrattuali.

In verità, postulando – come dovuto – che invece detta regola attiene al regolare e corretto adempimento dell’attività lavorativa dipendente di un professore presso la sua Università di appartenenza, ne discende che l’inadempimento della regola incide negativamente proprio sull’esatto adempimento di detta attività e del rapporto che la implica e la regola.

Il fatto poi che l’Ateneo vanti un diritto alla refusione di una somma di denaro corrispondente ai corrispettivi percepiti da colui che ha esercitato gli incarichi in questione, ove non direttamente conferiti dall’Amministrazione datoriale né, alternativamente, dalla stessa previamente autorizzati, e che tale diritto discenda direttamente dalla legge – giacchè, in pratica, diritto al ristoro per un implicito danno erariale – è un mero effetto legale connesso alla condotta non legittima. Dunque, detta conseguenza e, appunto, un effetto della condotta tenuta, correlato in ultima analisi all’unico titolo che lega il docente all’Università, che poi altro non è che il predetto rapporto lavorativo che lega l’uno all’altra.

Se dunque non si cade in confusione fra causa ed effetto e non si equivoca in ordine ad una pretesa distinzione ed autonomia tra doveri del dipendente e loro mancato rispetto, ci si avvede della non condivisibilità dell’assunto di parte ricorrente, qui in discorso.

Tenuto conto della ricostruzione che precede, allora, non è censurabile la tecnica recuperatoria messa in atto dall’Amministrazione universitaria nel caso di specie, riconducibile allo stilema della c.d. compensazione atecnica.

5.2. Persuade piuttosto la censura secondo la quale non tutte le retribuzioni percepite da parte ricorrente devono ricadere nel credito recuperatorio dell’Ateneo, tenuto conto del fatto che non tutti uguali sono stati gli incarichi extraistituzionali svolti – nel periodo preso in considerazione dall’Università – dal suo professore.

Nella misura in cui alcuni di tali incarichi – per come sinteticamente rilevabili dagli di causa – sono riconducibili a categoria libera per il dipendente, ossia non rientranti in particolare fra quelli doverosamente autorizzabili in via preventiva, il corrispettivo per essi percepito dal loro autore non ricade nel coacervo delle somme per le quali l’Ateneo vanta legittimamente un diritto alla refusione.

Per quanto possa essere accaduto che il dipendente non abbia comunque preventivamente informato l’Ateneo dell’espletamento di un suo incarico libero e, con ciò, possa non avere ottemperato pienamente, dal punto di vista formale, ad un onere disvelativo previo comunque dovuto, resta il fatto che, tipologicamente, l’incarico espletato fosse sostanzialmente libero, onde la relativa remunerazione dell’autore dell’incarico non può ricadere fra quelle recuperabili.

L’Amministrazione ben avrebbe potuto, prima di avviare le attività di recupero e prima della presente controversia, verificare – se del caso nel contradditorio amministrativo appropriato – se, quali e quanti incarichi di detto genere parte ricorrente avesse in realtà svolto.

Pur se in ritardo, ben può nondimeno provvedere ora l’Amministrazione in esecuzione della presente sentenza, riducendo perciò corrispondentemente l’importo del suo credito da recuperare.

Valga peraltro puntualizzare che, diversamente da quanto sostenuto da parte ricorrente, il suo incarico espletato presso l’ente Fiera di Pordenone non può plausibilmente farsi rientrare nella categoria degli incarichi liberi ovvero e comunque di incarichi per cui, ora, non vi sarebbe diritto alla refusione da parte dell’Ateneo.

Non vale, al riguardo, invocare l’applicabilità ratione temporis dell’art. 58, co. 7, del corpo normativo poi divenuto il d.lgs. n. 165/2001, il cui art. 53 recita diversamente da quello innanzi detto.

Se, invero, i due articoli effettivamente non collimano dal punto di vista recitativo, in ogni caso già all’epoca dell’art. 58 citato vigeva la fondamentale distinzione tra incarichi conferiti ed autorizzati, e, a cospetto di ciò, quello specifico indicato ora da parte ricorrente non rientra comunque fra quelli liberi.

Del resto, il co. 2 dell’art. 58 cit. disponeva che “ Le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati. ”.

Dunque, a prescindere dalla circostanza che l’incarico svolto da parte ricorrente per conto di detto ente sia stato previsto o disciplinato da legge o altre fonti normative, resta pur sempre – circostanza questa che non risulta controversa in questo giudizio – che lo stesso de facto né fu conferito dall’Ateneo né dallo stesso previamente autorizzato.

5.3. Non persuade, nuovamente, l’argomento di parte ricorrente secondo il quale nella fattispecie opererebbe la prescrizione quinquennale in luogo di quella decennale.

L’argomento, nella prospettazione difensiva del ricorrente, si áncora al fatto che la prescrizione breve opera relativamente ai casi di danno erariale.

Tuttavia, nel caso in esame, il credito restitutorio dell’Ateneo non consegue ad un procedimento per danno erariale cui sia stato sottoposto il ricorrente ma, come detto, costituisce effetto legale conseguente ad una condotta omissiva acclarata nei suoi riguardi.

Il fatto che la giustificazione alla base della previsione legale del recupero da parte dell’Amministrazione datoriale dei corrispettivi conseguiti per gli incarichi non correttamente svolti, giacchè né conferiti né previamente autorizzati, stia in un sostanziale pregiudizio erariale non significa automaticamente che il potere di recupero si esaurisca al compimento del quinquennio, giacchè tale termine decadenziale del potere recuperatorio può pienamente operare se ed in quanto la fattispecie in considerazione abbia formato oggetto di una contestazione erariale e, soprattutto, di un relativo procedimento per l’omonimo danno.

Al di fuori di questa eventualità, il diritto di credito in argomento non può che soggiacere all’ordinario, e più lungo, termine prescrizionale.

Resta in ogni caso il fatto che è persuasiva l’eccezione comunque sollevata da parte ricorrente secondo la quale il termine in discorso deve essere fatto decorrere dal momento della commissione dell’evento e non già da quello nella quale l’Amministrazione datoriale ne ha avuto contezza (peraltro, come nella fattispecie, per rapporto informativo ad opera della Guardia di Finanza).

La commissione dell’evento, inoltre, deve essere fatta coincidere con il momento di conclusione dell’incarico censurato e non con quello di assunzione dello stesso da parte del dipendente ovvero con il momento addirittura anteriore nel quale l’incarico è stato offerto ovvero conferito dal soggetto per il quale esso, poi, è stato svolto.

Anche questa attività di indagine ricostruttiva l’Università avrà modo di effettuare in sede di esecuzione della presente sentenza, se del caso – ove le manchino elementi valutativi appropriati – nel confronto dialogico con la parte qui ricorrente. All’esito, il credito recuperatorio andrà corrispondentemente ed eventualmente ridotto.

5.4. Non persuasiva inoltre la censura di parte ricorrente secondo la quale il recupero dell’Ateneo dovesse limitarsi al quinto dello stipendio. All’opposto convincente e condivisibile è la motivazione della sentenza impugnata.

5.5. Da ultimo, neppure è persuasiva la tesi di parte ricorrente secondo la quale il recupero disposto dall’Ateneo doveva essere calcolato al netto – non già al lordo – delle imposte già assolte dal percipiente la retribuzione prevista e conseguita per gli incarichi svolti.

Dirimente, al riguardo, risulta la considerazione del fatto che né la legge testualmente tanto dispone né dai principi in materia si ricava il risultato interpretativo sposato dal ricorrente.

Posto che, indubbiamente, altro è il rapporto di debito che intercorre fra l’Amministrazione tenuta al recupero nei riguardi del percipiente la retribuzione goduta per l’incarico svolto ed altro è il rapporto tributario che quest’ultimo può avere avuto col Fisco a tempo debito, in relazione ai momenti di effettiva percezione del ricavo corrispettivo dell’incarico svolto, resta la circostanza basica per cui, ove mai fosse condivisa la tesi qui non accolta, a parità di ogni altra circostanza (natura e tipologia dell’incarico, importo della retribuzione conseguita per l’espletamento dell’incarico), il credito recuperatorio non potrebbe mai essere identico fra casi omologhi per il semplice fatto che mai perfettamente identico può essere il carico tributario cui è tenuto ogni singola persona soggetta a procedura di recupero. E queste differenze di importo da recuperare nè possono essere addossate all’Amministrazione tenuta al recupero né possono ricadere a vantaggio o svantaggio (a seconda dei casi) di coloro che sono soggetti alla procedura di recupero.

Né si inferisca che, in tal modo, l’Amministrazione potrebbe locupletare in danno delle persone soggette al recupero, riscuotendo da esse più di quanto dalle stesse effettivamente trattenuto una volta assolte le imposte.

Se, infatti, si tiene in debita considerazione la ontologica differenza dei rapporti di cui s’è detto sopra, è agevole riscontrare che, sul fronte del rapporto tributario, ossia vis a vis il Fisco, il soggetto che patisce il recupero del credito al lordo di imposta ben può, attivandosi adeguatamente, recuperare a propria volta le imposte assolte, facendo valere il fatto che esse – ove non restituite – risulterebbero versate su ricavi non conseguiti (o, meglio, su ricavi conseguiti ma, poi, integralmente riversati all’Amministrazione che ha attivato il procedimento per il loro recupero).

In tal modo, dunque, la persona soggetta a recupero riesce a neutralizzare – anche se con un certo lag temporale – il danno patrimoniale che, altrimenti, la stessa patirebbe per l’intervenuto adempimento tributario su somme-ricavi non definitivamente trattenute.

Gli oneri cui, per questo, la persona in questione deve oggettivamente sottostare costituiscono indubbiamente degli incommoda , ma essi sicuramente non sono addebitabili all’Amministrazione che effettua il recupero, costituendo piuttosto degli effetti riflessi e secondari della condotta originaria da cui tutto l’insieme di eventi scaturisce e, rispetto alla quale, non può che valere il principio dell’ imputet sibi .

6. In conclusione, il ricorso è da accogliere, in parte, con conseguente coerente annullamento della sentenza impugnata, nonché, in accoglimento del ricorso di primo grado, con annullamento delle corrispondenti parti dei provvedimenti originariamente censurati, e da respingere nel resto.

Resta ferma la successiva, doverosa attività dell’Amministrazione universitaria occorrente, in ottemperanza della presente sentenza, a dare piena attuazione a quanto qui deciso.

Tenuto conto dell’esito della controversia, ricorrono giustificati motivi per compensare integralmente fra le parti le spese del doppio grado del giudizio.

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