Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-04-11, n. 201802188

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-04-11, n. 201802188
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201802188
Data del deposito : 11 aprile 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/04/2018

N. 02188/2018REG.PROV.COLL.

N. 02321/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2321 del 2015, proposto dalla Societatea de asigurare reasigurare City Insurance S. A., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A M e G C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A M in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5;

contro

l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni – IVASS, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati P R, M B ed E G, domiciliato in Roma, via del Quirinale, n. 21;

per l’annullamento e la riforma

previa adozione di misure cautelari

della sentenza del TAR Lazio, Sede di Roma, sezione II ter 16 dicembre 2014 n.12775, resa fra le parti, che ha respinto il ricorso 5718/2014 R.G. proposto per l’annullamento dei seguenti atti dell’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni – IVASS:

a) del provvedimento 28 febbraio 2014, n. 51 14 000300, con il quale il Presidente, in dichiarata ottemperanza alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI 20 febbraio 2014, n. 840, ha imposto alla Societatea de asigurare – reasigurare City Insurance S.A. il divieto di stipulare nuovi contratti in regime di libera prestazione dei servizi nel territorio della Repubblica italiana, ai sensi dell’art. 193, comma 4, d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, attuativo della direttiva 92/49/CE;

b) della nota 13 marzo 2014, n. 45 14 002010;

c) della nota 25 marzo 2014, n. 45 14 002276;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 marzo 2018 il Cons. F G S e uditi per le parti l’avvocato A M, l’avvocato G C, l’avvocato P R, l’avvocato Scalise in dichiarata delega dell’avvocato M B, nonché l’avvocato E G;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

L’ordinamento dell’Unione europea, e prima di esso quello della Comunità europea, garantisce ai propri cittadini la libertà di stabilimento (prevista all’epoca dei fatti di causa dall’art. 43 del Trattato istitutivo della Comunità europea – TCE ed ora dall’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea – TFUE) e la libertà di prestazione di servizi (prevista all’epoca dei fatti di causa dall’art. 49 TCE e ora dall’art. 56 TFUE).

La libertà di stabilimento “ importa l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società … alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini ”, come afferma l’art. 49 TFUE.

La libertà di prestazione di servizi vieta invece “ le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione ” e in precedenza della Comunità “ nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione ”, come previsto dall’art. 56 TFUE, e presuppone che il prestatore di servizi non sia stabilito nel territorio dello Stato in cui opera, ma in altro Stato membro.

Per rendere effettive queste libertà nel settore che interessa ai fini di causa -ovvero nel settore delle assicurazioni diverse dal ramo vita, dette anche “non-vita”- le Istituzioni europee hanno emanato alcune direttive, delle quali qui rileva la direttiva 92/49/CEE del Consiglio del 18 giugno 1992, in vigore all’epoca dei fatti e oggi sostituita dalla direttiva 2009/138/CE del Parlamento e del Consiglio del 25 novembre 2009, di contenuti analoghi.

La direttiva 92/49 citata ha in sintesi lo scopo, come si ricava dal sesto “ considerando ”, di consentire “ l'accesso all'attività assicurativa e l'esercizio della stessa” in base ad “un'autorizzazione amministrativa unica, rilasciata dalle autorità dello Stato membro in cui l'impresa di assicurazione ha la propria sede sociale ”, autorizzazione in base alla quale “ l'impresa può svolgere le proprie attività ovunque nella Comunità ”.

Di conseguenza, la direttiva 92/49 ha coordinato l’operato delle autorità di vigilanza dei vari Stati ed ha previsto, già dal settimo “ considerando ”, che “ spetta ormai alle autorità competenti dello Stato membro d'origine vigilare sulla situazione finanziaria dell'impresa di assicurazione, in particolare sulla solvibilità e sulla costituzione di riserve tecniche sufficienti, nonché sulla loro rappresentazione mediante congrue attività ”.

La stessa direttiva prevede però che all’autorità di vigilanza di ciascun altro Stato membro - in cui l’impresa opera - spettino poteri di intervento a fronte di infrazioni commesse nel territorio di competenza.

Nella presente causa, rileva in particolare il disposto dell’art. 40, paragrafo 6, della direttiva 92/49, per cui “ I paragrafi 3, 4 e 5 ”, relativi ai poteri di intervento con il coinvolgimento dell’autorità competente dello Stato membro di origine, “ lasciano impregiudicato il potere degli Stati membri interessati di prendere, in caso di urgenza, misure appropriate per prevenire le infrazioni commesse sul loro territorio. Ciò implica la possibilità di impedire ad un'impresa di assicurazione la stipulazione di nuovi contratti di assicurazione nel loro territorio.

Attuativo della norma citata della direttiva 92/49 in Italia è l’art. 193 del d. lgs. 209/2005, Codice delle assicurazioni private – CAP, che al comma 4 prima parte per quanto qui rileva dispone che, “ quando manchino o risultino inadeguati i provvedimenti dell'autorità dello Stato di origine, quando le irregolarità commesse possano pregiudicare interessi generali, ovvero nei casi di urgenza per la tutela degli interessi degli assicurati e degli altri aventi diritto a prestazioni assicurative ”, l’autorità nazionale di vigilanza, ovvero l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni – IVASS “ può adottare nei confronti dell'impresa di assicurazione, dopo averne informato l'autorità di vigilanza dello Stato membro di origine, le misure necessarie, compreso il divieto di stipulare nuovi contratti in regime di stabilimento o di libertà di prestazione di servizi con gli effetti di cui all’art. 167 ”, ovvero a pena di nullità dei contratti stipulati in violazione del divieto.

Tutto ciò premesso, l’appellante è una società di assicurazione e riassicurazione della Repubblica di Romania, la quale opera nel nostro Paese in regime di libera prestazione di servizi nel ramo danni, quanto ad una serie di settori specificamente indicati, in conformità alle comunicazioni del 2 ottobre 2007 e del 22 maggio 2008 dell’autorità di vigilanza del paese di origine.

Riguardo a tale società, l’IVASS ha a suo tempo avviato un’attività ispettiva, e all’esito, ravvisando a carico di essa una gestione aziendale non sana e prudente, le ha imposto ai sensi dell’art. 193, comma 4, del codice delle assicurazioni private il divieto di stipulare nuovi contratti sul territorio nazionale, con un primo provvedimento 2 luglio 2012, n. 2988.

La società ha impugnato tale primo provvedimento davanti al Giudice amministrativo, dando luogo al giudizio definito con la sentenza di questa Sezione 20 febbraio 2014, n. 840, passata in giudicato, la quale ha accolto in parte il ricorso di primo grado ed ha annullato il provvedimento in questione “secondo quanto anche specificato in motivazione e salvo ogni ulteriore provvedimento” dell’autorità di vigilanza stessa (cfr. il dispositivo).

La sentenza in questione, ai §§ 11.2 , 12 e 13, afferma in particolare che “nella specie è stato legittimamente esercitato, con adeguata motivazione, il potere di intervento di urgenza, mentre il provvedimento è viziato per lo specifico profilo del difetto della necessaria motivazione quanto alla giustificazione della scelta sul tipo di misura ritenuta da adottare fra quelle possibili”.

Ciò posto, la sentenza accoglie l’appello limitatamente a tale profilo, lo respinge nella parte restante, relativa in sintesi al merito dei rilievi e alla ritenuta urgenza del provvedere, e fa salva “l’adozione di ogni ulteriore provvedimento… sul presupposto dell’urgenza del provvedere che nella specie il Collegio ha asseverato” (§§ 12 e 13).

In dichiarata “ottemperanza” a tale sentenza, l’IVASS ha allora adottato il provvedimento 28 febbraio 2014 indicato in epigrafe, nel quale dichiara di voler integrare la motivazione del provvedimento precedente “esclusivamente sotto il profilo della precisazione delle ragioni poste a fondamento della scelta della misura adottata, ciò anche tenuto conto che in entrambi i gradi di giudizio è stata riconosciuta la fondatezza dei presupposti e dell’urgenza dell’intervento di vigilanza”;
all’esito, ribadisce il divieto di assunzione di nuovi affari in Italia (doc. 6 ricorrente appellante, provvedimento citato, a p. 2 secondo paragrafo la citazione).

Con la sentenza indicata in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso proposto dalla società interessata contro tale ultimo provvedimento.

Il Giudice di primo grado, nella motivazione, ha qualificato l’impugnazione non come ricorso per ottemperanza al giudicato formatosi sulla sentenza 840/2014 di questo Giudice, ma come ricorso per annullamento contro il nuovo provvedimento.

Ciò posto, il TAR ha ritenuto che l’Autorità, a seguito dell’annullamento operato dalla stessa sentenza 840/2014, potesse riesercitare i propri poteri a partire dal segmento procedimentale in cui l’illegittimità era stata accertata, e quindi potesse tener ferme le fasi e i segmenti procedimentali precedenti;
ha ritenuto che l’Autorità stessa avesse correttamente applicato il divieto, limitandosi a motivare sulla scelta di tal tipo di misura e tenendo per fermi gli esiti procedimentali precedenti sui presupposti e sull’urgenza del proprio intervento.

Contro tale sentenza, la società ha proposto impugnazione, con appello che contiene sette censure, riconducibili in ordine logico ai seguenti cinque motivi.

Con il primo di essi, corrispondente alle censure prima e terza, ovvero ai §§ 1.1 e 1.3 della parte in diritto dell’atto di appello, alle pp. 7 e 16, deduce in sintesi contraddittorietà della sentenza.

In proposito, l’appellante premette in fatto che, a suo dire, l’Amministrazione, nell’emettere il provvedimento impugnato, avrebbe ritenuto di agire in ottemperanza alla sentenza 840/2014 della Sezione;
di conseguenza, avrebbe inteso ripristinare gli effetti del provvedimento annullato con un provvedimento nuovo di conferma del precedente, che ne integrasse ora per allora la motivazione sotto il profilo, ritenuto carente, della scelta della sanzione, e che operasse retroattivamente, ovvero dalla data del primo provvedimento.

A fronte di ciò, il Giudice di primo grado ha respinto l’eccezione di propria incompetenza funzionale, ritenendo che si controvertesse non di ottemperanza alla predetta sentenza 840/2014 - il che avrebbe comportato, appunto, la competenza funzionale del Giudice che la aveva emessa - ma di impugnazione di un nuovo provvedimento ed ha ritenuto che l’amministrazione avesse semplicemente la facoltà, e non l’obbligo, di provvedere nuovamente, e che lo avesse fatto appunto con il provvedimento qui impugnato;
ha però ritenuto che, nel momento in cui aveva deciso di far ciò, fosse vincolata dalla motivazione della sentenza n. 840/2014.

Ad avviso della appellante, ciò sarebbe contraddittorio, perché il Giudice di primo grado, nel momento in cui ha accertato che non si trattava, contrariamente a quanto ritenuto dall’amministrazione, di un provvedimento in ottemperanza, avrebbe dovuto annullarlo senz’altro in quanto viziato, e non correggerlo attraverso una asserita “interpretazione creativa” (appello, p. 17 quarto rigo dal basso).

Con il secondo motivo, corrispondente alle censure seconda e quarta, ovvero ai §§ 1.2 e 2 della parte in diritto dell’atto di appello, alle pp. 9 e 18, deduce comunque l’erronea interpretazione dell’effetto conformativo della sentenza 840/2014.

In proposito, la società sostiene che, anche ammessa l’esistenza di un vincolo imposto dalla sentenza 840/2014 quanto all’accertamento dei presupposti del provvedere e all’urgenza di farlo, si sarebbe trattato di un vincolo riferito alla data dei fatti, ovvero sulla situazione del 2011, posta a base del primo provvedimento del 2 luglio 2012. Trattandosi di provvedere in un momento successivo, l’amministrazione avrebbe dovuto, pur partendo da quanto in precedenza accertato, tener conto delle sopravvenienze, sulla base di una nuova istruttoria e di un nuovo procedimento.

Ciò premesso, la società deduce altresì che il nuovo procedimento, che sarebbe andato a svolgersi ad alcuni anni di distanza dal primo, avrebbe dovuto tener conto anche del principio generale, per cui gli operatori del settore considerato sono soggetti alla vigilanza della autorità del Paese di origine, e solo in via di eccezione e in caso di urgenza all’autorità del paese in cui operano, cd principio dello home country control ;
in tali termini, a distanza di tempo, il requisito dell’urgenza a suo dire non vi sarebbe stato.

Con il terzo motivo, corrispondente alla censura quinta, ovvero al § 3 della parte in diritto dell’atto di appello, alla p. 22, l’appellante deduce la violazione dell’art. 40, § 5, della direttiva 92/49 e dell’art. 193, comma 4, del codice delle assicurazioni private e sostiene che, per le ragioni appena esposte, l’amministrazione, essendo venuta meno l’urgenza di provvedere, avrebbe dovuto prima di adottare il nuovo provvedimento informare l’autorità di vigilanza del paese di origine.

Con il quarto motivo, corrispondente alla censura sesta, ovvero al § 4 della parte in diritto dell’atto di appello, alla p. 23, la società deduce propriamente eccesso di potere per irragionevolezza, sostenendo che nemmeno la scelta della misura sanzionatoria adottata sarebbe stata congruamente motivata.

Con il quinto motivo, corrispondente alla censura sesta, ovvero al § 5 della parte in diritto dell’atto di appello, alla p. 27, l’appellante deduce infine l’incompetenza del Presidente dell’IVASS ad adottare il nuovo provvedimento, incompetenza che non verrebbe meno, contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di primo grado, per esser stato il provvedimento ratificato dal Direttorio (fatto non contestato). Ciò infatti si giustificherebbe solo a fronte di un’urgenza nel provvedere che più non vi sarebbe stata nella specie.

L’IVASS ha resistito, con atto 8 aprile e memoria 30 aprile 2015, ed ha chiesto che l’appello sia respinto, evidenziando come, dall’epoca del primo provvedimento ad oggi, sarebbero emerse numerose ulteriori irregolarità nell’operato della appellante in Italia.

Con l’ordinanza 6 maggio 2015, n. 1947, la Sezione ha respinto la domanda cautelare.

Con memoria 13 febbraio 2018, l’appellante ha ribadito le proprie tesi e in particolare quella per cui il principio dello home country control osterebbe a che, come sarebbe accaduto nel caso di specie, le autorità del Paese in cui l’impresa opera adottino misure di efficacia indeterminata nel tempo e tendenzialmente perpetua;
a sostegno, l’appellante ha citato la sentenza della Corte di giustizia UE 27 aprile 2017, C-559/15, Onyx , a suo dire pronunciata in un caso con profili di analogia, secondo il quale lo Stato della prestazione di servizi può adottare, appunto, solo misure conservative, in attesa di una decisione delle autorità competenti.

L’appellante ha comunque osservato che le circostanze sopravvenute andrebbero verificate non in questo processo, ove non rileverebbero, ma in un congruo procedimento amministrativo, che l’Autorità disponesse di avviare, con le garanzie del caso

Con memoria in pari data, l’amministrazione appellata ha insistito sulle irregolarità della gestione, che l’appellante starebbe continuando a porre in essere a tutt’oggi.

Con replica 16 febbraio 2018, l’appellante ha ribadito che le sopravvenienze non sono argomento di questo giudizio;
ha ancora sottolineato che, in sintesi, il divieto di stipulare contratti non rientrerebbe fra le misure che il paese della prestazione di servizi potrebbe adottare in via di urgenza, ed ha sollecitato la rimessione alla Corte di giustizia della questione di compatibilità con il diritto europeo delle norme nazionali che ciò consentono.

Con replica in pari data, l’amministrazione intimata appellata ha invece affermato che la sentenza della Corte UE citata riguarderebbe una fattispecie diversa, ed ha insistito sulle proprie precedenti argomentazioni.

All’udienza del giorno 1° marzo 2018, la Sezione ha infine trattenuto il ricorso in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è parzialmente fondato e va accolto, per le ragioni di seguito precisate.

2. E’ necessaria una premessa di carattere generale.

Questo giudizio si svolge nell’ambito della giurisdizione amministrativa generale di legittimità, ai sensi dell’art. 7, comma 1, del c.p.a.;
di conseguenza, oggetto di esso è esclusivamente il provvedimento impugnato.

Rispetto a tale oggetto, come affermato dalla costante giurisprudenza, vale quindi il principio tempus regit actum , per cui la legittimità di un provvedimento amministrativo va verificata sulla base degli elementi di fatto e diritto sussistenti al momento della sua adozione, senza che siano, in linea di principio, rilevanti sopravvenienze in diritto ovvero, per quanto qui interessa, in fatto (in tal senso, per tutte, C.d.S., sez. III, 30 maggio 2017, n. 2576, e sez. IV, 12 marzo 2009, n. 1458).

Ne consegue pertanto che ai fini del decidere ci si deve riferire esclusivamente a tali elementi, mentre sono irrilevanti le vicende successive al provvedimento impugnato e in particolare le irregolarità della gestione, che – come rilevato dall’Autorità appellata (memoria 13 febbraio 2018, p. 7 e ss.) – l’appellante continuerebbe a porre in essere a tutt’oggi.

3. Ciò posto, il primo motivo di ricorso, incentrato su una dedotta contraddittorietà della sentenza di primo grado, è infondato e va respinto.

3.1. Ai sensi dell’art. 112 del c.p.a., “ L'azione di ottemperanza ” nell’ambito del relativo giudizio “ può essere proposta per conseguire l'attuazione ” dei provvedimenti del giudice amministrativo, e in particolare delle sentenze passate in giudicato.

Quanto alle sentenze che hanno annullato l’atto impugnato con effetti ex tunc , a tutela di un interesse oppositivo, si possono intendere di per sé satisfattive quanto al ripristino della situazione giuridica preesistente (cfr. C.d.S., sez. IV, 12 marzo 2016, n. 1908, e 24 marzo 1997, n. 299), fermo restando che si può esperire il giudizio di ottemperanza quando occorra adeguare la situazione di fatto a quella di diritto.

3.2. Sotto un altro profilo, la sentenza di annullamento può produrre un effetto conformativo, ovvero una esplicitazione di regole da seguire nel successivo agire amministrativo, effetto al quale corrisponde l’obbligo per l’Amministrazione di porre in essere una attività successiva conforme alle medesime regole (C.d.S., sez. IV, 12 novembre 2015, n. 5154, e 17 settembre 2013, n. 4623).

3.3. A monte di tutto ciò sta poi il principio generale, reso esplicito dall’art. 32, comma 2, c.p.a., per cui “ Il giudice qualifica l'azione proposta in base ai suoi elementi sostanziali ”, ovvero a lui appartiene il potere di qualificazione giuridica dei fatti dedotti dalle parti, senza che siano vincolanti le qualificazioni che le stesse possano avere impresso ai loro atti (cfr. Ad. Plen., n. 1 del 2013).

4. Quanto alla sentenza n. 840/2012, questa Sezione ha annullato il primo provvedimento sanzionatorio emesso nei confronti dell’appellante.

Poiché l’annullamento è stato disposto con salvezza degli ulteriori provvedimenti, l’atto emesso in data 28 febbraio 2014 - e in questa sede impugnato - è stato impreciso, nella parte in cui h rilevato che esso ha datosi ‘ottemperanza’ alla sentenza stessa: in realtà, il provvedimento ulteriore è stato emesso in sede di esecuzione, con l’ulteriore esercizio del potere discrezionale e sanzionatorio.

Tale imprecisione non ha comportato peraltro alcuna illegittimità.

Infatti, il giudice dell’impugnazione dell’atto ulteriore può qualificare la fattispecie, valutando la sostanza dell’atto.

In termini sostanziali, è allora indubbio che il provvedimento impugnato in primo grado è stato emesso in sede di esercizio dei poteri spettanti nel caso di annullamento di un atto sanzionatorio, lesivo di un interesse oppositivo.

Occorre invece verificare se il medesimo provvedimento abbia correttamente tenuto conto dell’effetto conformativo della sentenza 840/2012 più volte citata.

5. Il secondo motivo di appello, incentrato appunto sulla portata dell’effetto conformativo della sentenza 840/2012, è invece fondato.

Tale sentenza, ai §§ 11.2, 12 e 13 della motivazione, ha affermato che “nella specie è stato legittimamente esercitato, con adeguata motivazione, il potere di intervento di urgenza” ed ha invece ritenuto che il provvedimento impugnato fosse viziato per altri e diversi profili.

Così come ritenuto dal Giudice di primo grado, questo passo della motivazione vale all’evidenza a produrre un effetto conformativo sugli ulteriori provvedimenti dell’Autorità: la medesima sentenza ha rilevato sia sussistevano le infrazioni contestate, e quindi la mala gestione, sia l’urgenza di provvedere.

Si deve però concordare con quanto ha evidenziato la difesa della appellante, sulla portata del principio tempus regit actum di cui si è detto, in base al quale – trattandosi di una vicenda dinamica e non della sanzione irrogata unicamente per singoli episodi temporalmente delimitati e singolarmente considerati – l’Amministrazione, nel provvedere nuovamente circa un anno e mezzo dopo (il 28 febbraio 2014, rispetto all’originario atto del 2 luglio 2012), avrebbe dovuto esporre le ragioni che l’hanno indotta essa stessa ad emanare ulteriormente la sanzione.

In sede di rinnovazione dell’esercizio del potere sanzionatorio, infatti, l’Autorità avrebbe dovuto rilevare l’effettiva portata conformativa della sentenza n. 840/2012.

Nella complessiva vicenda posta all’esame della Autorità, da un lato vi sono i fatti di mala gestione che hanno fondato il provvedimento sanzionatorio: si tratta di accadimenti, la cui sussistenza è stata legittimamente accertati e rispetto ai quali il decorso del tempo di per sé non influisce.

Dall’altro lato, in sede di emanazione dell’originario provvedimento sanzionatorio, si è constatata l’urgenza del provvedere, il che ha rappresentato propriamente non un fatto, ma l’esito di una valutazione, con la quale l’Amministrazione ha ritenuto che a fronte dei fatti rilevati vi era la necessità di provvedere subito, escludendo che fosse preferibile la determinazione di interessare l’Autorità di vigilanza dello Stato di stabilimento, e di attendere che provvedesse quest’ultima.

Discende allora da ragioni di comune logica, prima che giuridiche, la conclusione per cui tale valutazione, poiché il procedimento sanzionatorio si è concluso (dopo l’esito del precedente giudizio amministrativo) a distanza di circa un anno e mezzo, si sarebbe dovuta rinnovare, con adozione di un ulteriore provvedimento sanzionatorio nel solo caso in cui l’urgenza di provvedere fosse stata ritenuta essa stessa persistente, in base ad una nuova istruttoria (con la conseguente rinnovazione della valutazione se fosse il caso o meno di interessare, questa volta, l’Autorità di vigilanza dello Stato di stabilimento).

Poiché ciò nella specie non è stato fatto, il provvedimento impugnato risulta viziato sotto tale profilo.

7. L’accoglimento del secondo motivo ha altresì effetto assorbente sui motivi residui: i profili con essi dedotti, che riguardano l’effettiva urgenza del provvedere, la scelta della sanzione e l’organo competente ad emanare il relativo provvedimento, rappresentano questioni più particolari rispetto a quella più generale oggetto del secondo motivo, attinente come si è detto la possibilità in radice di concludere il procedimento con l’atto sanzionatorio.

In sede di emanazione degli atti ulteriori, ove ne ricorrano i presupposti l’Amministrazione potrà tener conto anche delle sopravvenienze di cui si è detto in premesse.

A fronte del nuovo provvedimento che venisse adottato, l’interessata potrà poi, all’evidenza, tutelarsi in modo pieno nella competente sede giurisdizionale, nella quale potrà far valere anche le argomentazioni proposte in questa sede sugli effettivi limiti del potere sanzionatorio dell’autorità nazionale, profili ai quali è attinente la sentenza Onyx citata in premesse, che pertanto qui non è rilevante ai fini del decidere.

8. In conclusione, l’appello va parzialmente accolto e, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado, con annullamento del provvedimento impugnato emesso in data 28 febbraio 2014.

9. Le ragioni del decidere come fin qui esposte rendono non rilevante la questione di conformità delle norme nazionali alla normativa europea prospettata in narrativa, che la ricorrente appellante ha chiesto sia rimessa alla Corte di giustizia in sede di rinvio pregiudiziale.

La ricorrente appellante dubita infatti della compatibilità con il diritto europeo delle norme nazionali che consentono all’autorità dello Stato di prestazione dei servizi di adottare in via d’urgenza la misura del divieto di stipulare contratti;
si tratta però di norme le quali, in concreto, non hanno applicazione in questo giudizio, definito a prescindere dalla questione relativa al tipo di sanzione adottabile.

10. La novità e complessità delle questioni affrontate giustifica la compensazione delle spese per entrambi i gradi di giudizio.

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