Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-06-23, n. 201703093
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Pubblicato il 23/06/2017
N. 03093/2017REG.PROV.COLL.
N. 03811/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3811 del 2015, proposto dai dai signori D M, A M, A M, e G M, rappresentati e difesi dall'avv. F R, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via Tagliamento 76;
contro
Comune di Latina, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. F D L, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato P P in Roma, piazza dell'Orologio 7;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il LAZIO – Sede staccata di Latina - Sezione I, n. 842 del 6 ottobre 2014.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Latina;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 maggio 2016 il Cons. N R e uditi per le parti gli avvocati Raponi e Vergerio (per delega Di Leginio);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso dinanzi al T.A.R. Lazio, sez. Latina, r.g. 61/2012 gli odierni appellanti impugnavano il silenzio serbato dal Comune di Latina sull’istanza presentata dagli stessi avente ad oggetto il rilascio del permesso di costruire relativo alla realizzazione di un fabbricato residenziale ubicato in Latina,via Sirtori, chiedendo al contempo il risarcimento dei danni subiti e subendi a causa dell’inadempimento del Comune .
1.1. Nelle more del giudizio l’Amministrazione adottava il provvedimento di diniego prot. 30933 del 21.3.2012, puntualmente contestato dai ricorrenti, odierni appellanti, con atto contenente motivi aggiunti.
2. Il Tar Lazio sez. Latina, con sentenza n. 842 del 2014 – oggetto del presente giudizio - dichiarava improcedibile il ricorso avverso il silenzio e respingeva i motivi aggiunti avverso il provvedimento di diniego.
3. Avverso detta pronuncia gli odierni appellanti hanno proposto appello, previa tutela cautelare, chiedendone l’integrale annullamento, in quanto erronea ed ingiusta, riproponendo le singole censure (9) avverso i plurimi motivi ostativi elencati nel provvedimento di diniego.
4. Il Comune di Latina, costituitosi in giudizio, ha chiesto la reiezione del gravame proposto ed in via subordinata, di confermare con diversa motivazione la sentenza impugnata.
5. La Sezione con ordinanza n. 2297/2015, accoglieva l’istanza cautelare ai fini della fissazione dell’udienza di merito, sul presupposto che “le complesse questioni sollevate dagli appellanti meritano l’approfondimento proprio della sede di merito ”.
6. Con successiva ordinanza collegiale 5417/2015 questa Sezione ha disposto un’attività di verificazione sulle circostanze di fatto poste a base del provvedimento di diniego, incaricando l’assessore all’Urbanistica della Regione Lazio o suo delegato.
7. Effettuata la verificazione e depositata in giudizio la relativa relazione, le parti hanno insistito nelle rispettive tesi.
8. All’udienza pubblica del 26 maggio 2016 l’appello è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
9. L’appello è infondato e la sentenza impugnata merita conferma, sia pure con diversa motivazione.
Preliminarmente il Collegio osserva che:
a) sono inammissibili - per violazione del divieto dei nova sancito dall’art. 104 c.p.a. e perché in contrasto con la natura puramente illustrativa delle comparse conclusionali - le censure sviluppate dai ricorrenti per la prima volta in sede di appello o peggio di memoria difensiva;sono conseguentemente inaccoglibili le correlate richieste istruttorie (in particolare quella formulata nella memoria difensiva depositata in data 5 maggio 2016);
b) non è stato specificamente gravato il capo della sentenza del T.a.r. che ha respinto il motivo di primo grado incentrato sulla disparità di trattamento in relazione ad altri titoli edilizi rilasciati dal comune in favore di altri proprietari di lotti adiacenti (pagine 16 – 17 dell’atto di motivi aggiunti);
c) è palesemente infondata, in base alla semplice lettura della documentazione versata in atti, la richiesta di annullamento con rinvio formulata dai ricorrenti (pagine 3 – 7 dell’atto di appello), nel presupposto di un asserito vizio di ultra petizione e di omessa pronuncia in cui sarebbe incorsa l’impugnata sentenza, in quanto quest’ultima ha correttamente analizzato il contenuto effettivo del complesso provvedimento di diniego ed ha fatto esatta applicazione dei principi sull’assorbimento dei vizi - motivi per ragioni di economia processuale elaborati dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 2015 (in particolare § 9.3..4.3.).
10. Giova premettere che l’area in oggetto, come dimostrato dalla relazione tecnica del verificatore, ricade nel lotto edificabile ai sensi del PPE R/7, il quale aveva originariamente una destinazione urbanistica di “verde pubblico”, successivamente riclassificata, con D.C.C. n. 235 del 24.07.1989, come zona destinata a Edilizia Bassa Continua “BC”. L’intero lotto di proprietà dei ricorrenti ha una superficie catastale di mq 5037 mentre la parte edificabile misura mq 1157.
La parte appellante contesta la circostanza per cui i giudici di primo grado hanno ritenuto prevalente, tra i vari motivi ostativi dedotti a sostegno del diniego, quello concernente la superficie di ingombro del fabbricato, reputandola maggiore di quella consentita.
11. In sede di verificazione l’arch. Giuseppe Franco, delegato con atto di organizzazione n. G16344 del 18.12.2015, ha confermato che la superficie di ingombro di cui al progetto non risulta essere maggiore di quella consentita, in quanto, come già sostenuto dagli appellanti, i limiti di ingombro del piano plano volumetrico sono da considerarsi prevalentemente indicativi e non vincolanti. Tale circostanza risulta dall’accoglimento in data 18.04.1989 dell’osservazione prot. n. 19641, identificata con il n. 47 presentata in sede di approvazione dello strumento urbanistico attuativo.
12. Tuttavia, come pure riconosciuto dagli appellanti, nella specie il provvedimento di diniego impugnato in prime cure si fondava su “plurimi motivi ostativi”, per cui, anche come richiesto dalle parti, occorre esaminare gli altri motivi su cui si fonda tale provvedimento negativo.
Il Comune di Latina ha addotto, infatti, a sostegno del provvedimento di diniego, la violazione da parte del progetto, oggetto del presente giudizio, delle prescrizioni relative ai distacchi laterali. Il Comune sostiene, infatti, che il fabbricato dovrebbe essere realizzato ad una distanza pari a m. 0,00 lungo il confine verso la zona destinata a “Servizi Generali” e dall’altra parte ad un distacco inferiore a quello previsto dall’art. 3 delle norme tecniche di attuazione del PPE e dall’annessa tabella dei vincoli di edificazione che stabilisce le distanze per la edificazione “Bassa Continua”.
In relazione alle distanze relative al limite destinato a “Servizi Generali”, alla stregua delle risultanze della verificazione, queste devono ritenersi rispettate (sempre a cagione dell’accoglimento dell’osservazione n. 31 al p.p.e. del comprensorio).
13. Per quanto concerne le distanze relative all’altro verso del confine del lotto di proprietà, la circostanza principale che induce a confermare il provvedimento di diniego del permesso di costruire riguarda l’esistenza di costruzioni a confine con il lotto che presentano aperture finestrate
Ciò risulta, invero, confermato da quanto rilevato in sede di verificazione: il lotto confina ad est con aree in parte libere ed in parte edificate, in particolare n. 4 edifici che presentano aperture finestrate.
Da tale circostanza di fatto consegue che il fabbricato per cui è stato richiesto il permesso di costruire non rispetta i distacchi laterali in quanto posto ad una distanza inferiore a quella prevista dalle prescrizioni di Piano, art 3 NTA e dall’art 9 del DM n 1444/68 sulle distanze minime tra fabbricati, con conseguente impossibilità di eseguire opere di edificazione.
La condizione indispensabile per potersi applicare il regime garantistico della distanza minima dei dieci metri tra edifici di cui all’art. 9 del D.M. n.1444 del 1968 volta alla salvaguardia delle imprescindibili esigenze igienico-sanitarie, è data dal fatto che esistano due pareti che si contrappongono di cui almeno una è finestrata, indipendentemente dalla circostanza che una sola delle pareti fronteggiatesi sia finestrata e che tale parete sia quella del nuovo edificio o dell’edificio preesistente.
Come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questo Consiglio la disposizione contenuta nell’art. 9 del D.M., che prescrive la distanza di dieci metri che deve sussistere tra edifici antistanti,ha carattere inderogabile.
Si tratta, infatti, di norma imperativa, la quale predetermina in via generale ed astratta le distanze tra le costruzioni, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza, di modo che al giudice non è lasciato alcun margine di discrezionalità nell'applicazione della disciplina in materia di equo contemperamento degli opposti interessi (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 novembre 2010 n. 7731;sez. IV, 5 dicembre 2005, n. 6909).
Infine, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti (e ferma restando la novità della censura articolata per la prima volta in appello), le distanze minime previste dal più volte menzionato art. 9 non sono state espressamente derogate dalla tabella allegata all’art. 20, comma 2, delle n.t.a. (pagine 3 – 7 della memoria di replica depositata in data 5 maggio 2016).
14. Parimenti insuperabile è la mancanza del nulla osta idrogeologico: sul punto non può trovare ingresso la generica doglianza dei ricorrenti basata sulla mancata convocazione della conferenza di servizi da parte dell’amministrazione comunale;in ogni caso non risulta che questi ultimi si siano fatti parte diligente nel richiederne la convocazione o nell’inoltrare apposita richiesta all’Autorità competente prima dell’emanazione del diniego di permesso.
15. Quanto fin qui detto, a ben vedere, esime il Collegio dalla valutazione delle rimanenti censure, in ossequio ai principi sull’assorbimento dei vizi – motivi dianzi richiamati.
In conclusione l’appello deve essere respinto e la sentenza impugnata deve essere confermata, sia pure con diversa motivazione.
16. Stante la particolarità della vicenda, sussistono giusti motivi per disporre la compensazione fra le parti delle spese del presente grado di giudizio.
17. Le spese della verificazione, invece, sono poste a carico delle parti appellanti e liquidate come in dispositivo.
Il Collegio – preso atto dell'assenza di contestazioni in ordine alla nota spese prodotta dal verificatore (in data 25 febbraio 2016) nonché dell’allegazione delle eventuali tariffe approvate dall’Amministrazione di appartenenza ai sensi dell’art. 66, co. 4, c.p.a. - procede direttamente, con la presente pronuncia, alla liquidazione del compenso.
Militano a supporto di tale scelta le seguenti considerazioni (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1225 del 24 marzo 2016):
I) evidenti ragioni di economia processuale;
II) il provvedimento collegiale assunto con la forma della sentenza assicura maggior garanzia rispetto al decreto presidenziale monocratico ed offre una più incisiva tutela dell'interesse dei verificatori e delle parti che possono fruire, da subito, della piena cognizione collegiale sul punto.
Tali competenze possono essere quindi quantificate - tenuto conto della complessità dell’operato, della molteplicità di elementi da esaminare, della durata dell’attività, della nota spese sopra indicata, nonché dei parametri di cui al regolamento n. 140 del 2012, ma senza la maggiorazione dovuta per le prestazioni di eccezionale difficoltà - in complessivi euro duemila (€2.000//00), oltre oneri accessori se dovuti.
18. Il contributo unificato, infine, relativamente ad entrambi i gradi di giudizio, rimane a carico dei ricorrenti soccombenti.