Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-12-06, n. 202108063

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-12-06, n. 202108063
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202108063
Data del deposito : 6 dicembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/12/2021

N. 08063/2021REG.PROV.COLL.

N. 09361/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9361 del 2020, proposto dalla ditta Iren Energia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato D A, con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Amendola, n. 46/6;

contro

il Gestore dei Servizi Energetici – GSE s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati S F, A G, A P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
il Ministero dello sviluppo economico, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato – Sezione IV n. 4817 del 29 luglio 2020.


Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del GSE - Gestore dei Servizi Energetici s.p.a. e del Ministero dello sviluppo economico;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatrice nell’udienza pubblica del giorno 14 ottobre 2021 il consigliere E L;

Vista l’istanza congiunta di passaggio in decisione depositata in data 11 ottobre 2021 dagli avvocati D A, S F, A G e dall'avvocato dello Stato Marina Russo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’oggetto del giudizio in esame è costituito dal ricorso per revocazione, ex art. 395 n. 4 c.p.c., della sentenza della IV sezione n. 4817 del 29 luglio 2020, che ha respinto l’appello proposto dalla ditta Iren Energia s.p.a. (di seguito Iren) avverso la sentenza del T.a.r. per il Lazio, sez. III, n. 3867 del 29 marzo 2016 che, a sua volta, aveva respinto l’impugnativa, affidata a quattro autonomi motivi, avverso:

I) il provvedimento del 29 novembre 2013 prot. n. GSE/P20130230689 del Gestore dei Servizi Energetici (di seguito GSE), recante l’accoglimento parziale (limitato a 10 anni) dei benefici economici (Titoli di Efficienza Energetica, c.d. certificati bianchi), relativi ad un impianto di cogenerazione ad alto rendimento denominato “Torino Nord”, richiesti da Iren con istanza ricevuta il 14 marzo 2013 per la produzione dell’anno 2012;

II) l’art. 4, comma 2, lett. b), del decreto del Ministro dello sviluppo economico 5 settembre 2011.

2. La ditta Iren, con il presente ricorso, ha dedotto due vizi che affliggerebbero la sentenza d’appello e che costituirebbero motivi revocatori (da pagina 11 a pagina 18 del ricorso):

a) Violazione e falsa applicazione dell’art. 395 n. 4 c.p.c. e dell’art. 106 c.p.a. per errore di fatto, risultante dagli atti e documenti di causa. Vizio di infrapetizione e omissione di pronuncia.

La sentenza n. 4817 del 2020 avrebbe erroneamente ritenuto che il punto centrale del primo motivo di appello fosse da rinvenire nella erronea valutazione della capacità aggiuntiva del 30% dell’impianto (non avveratasi), laddove invece l’appellante non avrebbe dedotto nel primo motivo l’applicabilità della normativa in tema di rifacimento di un impianto esistente (per cui rileva il limite del 30% dell’investimento nella rete) ma avrebbe sempre e soltanto sostenuto di avere realizzato un nuovo intervento sulla rete abbinato alla realizzazione di una nuova centrale di cogenerazione (Torino Nord) avente le caratteristiche previste dall’art. 2, lett. f, del d.m. 5 settembre 2011.

Vi sarebbe altresì una omissione di pronuncia in ordine agli argomenti illustrati nella memoria difensiva del 3 luglio 2020 e in particolare al precedente ivi citato del T.a.r. per il Lazio n. 3680 del 2019;

b) Violazione e falsa applicazione dell’art. 395, n. 4 c.p.c. e dell’art. 106 c.p.a. per errore di fatto, risultante dagli atti e documenti di causa.

La sentenza revocanda avrebbe erroneamente esaminato la capacità di trasporto dell’impianto sulla base della volumetria di progetto servita nel teleriscaldamento, senza che sia stato preso in considerazione il contenuto della relazione tecnica di parte.

Il giudice sarebbe pertanto incorso in un errore di fatto poiché avrebbe travisato l’esatta portata del documenti agli del giudizio da cui si sarebbe desunto che all’intervento di realizzazione della centrale “Torino Nord” consegue un potenziamento della rete esistente in termini di capacità di trasporto aggiuntiva di oltre il 38% della capacità di trasporto nominale rispetto alla situazione antecedente all’intervento.

3. Si sono costituiti per resistere il GSE e il Ministero dello sviluppo economico (quest’ultimo con memoria di stile).

4. La ricorrente e il GSE hanno depositato memorie in vista dell’udienza.

5. Alla pubblica udienza del giorno 14 ottobre 2021 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

6. Con i motivi di ricorso, l’interessata ha dedotto la sussistenza del vizio revocatorio di cui all’art. 395 n. 4, c.p.c., a mente del quale è possibile l’impugnazione della sentenza pronunciata “Se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare” .

5.1. Tale ipotesi costituisce il peculiare rimedio previsto dal legislatore per eliminare l’ostacolo materiale che si frappone tra la realtà del processo e la percezione che di essa ha avuto il giudicante, proprio a causa della svista o dell’ “abbaglio dei sensi” (Cons. Stato, sez. V, 29 ottobre 2014, n. 5347).

5.2. Su questa fattispecie di revocazione, la giurisprudenza ha avuto di puntualizzare nel tempo alcuni fondamentali principi, che meritano di essere ribaditi in questa sede, prima di procedere con la disamina delle censure articolate dal ricorrente.

5.3. A tal proposito, va osservato che:

a) l’errore di fatto, idoneo a costituire un vizio revocatorio ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., è identificabile con l’errore di percezione sull’esistenza o sul contenuto di un atto processuale, che si traduca nell’omessa pronuncia su una censura o su un’eccezione (per lo meno a far tempo da Cons. Stato, Ad. plen., 22 gennaio 1997, n. 3, ribadita da Ad. Plen., 24 gennaio 2014, n. 5;
successivamente cfr. Cons. Stato, sez. IV, 1 settembre 2015, n. 4099;
sez. V, 29 ottobre 2014, n. 5347;
sez. IV 28 ottobre 2013, n. 5187;
6 agosto 2013, n. 4156;
sez. III 29 ottobre 2012, n. 5510;
sez. VI, 2 febbraio 2012, n. 587);

b) conseguentemente, non costituisce motivo di revocazione per errore di fatto la circostanza che il giudice, nell’esaminare la domanda di parte, non si sia espressamente pronunciato su tutte le argomentazioni proposte dalla parte a sostegno delle proprie censure (Cons. Stato, Ad. plen., 27 luglio 2016, n. 21);

c) non può giustificare la revocazione, inoltre, una contestazione sull’attività di valutazione del giudice, perché essa riguarderebbe un profilo diverso dall’erronea percezione del contenuto dell’atto processuale, in cui si sostanzia l’errore di fatto (Cons. Stato, sez. IV, 4 agosto 2015, n. 3852;
sez. V 12 maggio 2015, n. 2346;
sez. III 18 settembre 2012, n. 4934);
di conseguenza, il vizio revocatorio non può mai riguardare il contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti, come esposte negli atti di causa, perché le argomentazioni giuridiche non costituiscono «fatti» ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c. e perché un tale errore si configura necessariamente non come errore percettivo, bensì come errore di giudizio, investendo per sua natura l’attività valutativa ed interpretativa del giudice (Cass. 22 marzo 2005, n. 6198);

d) non può giustificare la revocazione, altresì, una contestazione concernente il mancato esame di un qualsivoglia documento (come, ad es., di un allegato a una relazione istruttoria) o di qualsiasi altra prova offerta dalle parti, dal momento che in casi del genere si potrebbero configurare soltanto errores in iudicando , non contemplati dall’art. 395 c.p.c. quale motivo di ricorso per revocazione (Cons. Stato, Ad. plen., 11 giugno 2001, n. 3);

e) affinché possa dirsi sussistente il vizio revocatorio contemplato dalla norma è inoltre necessario che l’errore di fatto si sia dimostrato determinante, secondo un nesso di causalità necessaria, nel senso che l’errore deve aver costituito il motivo essenziale e determinante della decisione impugnata per revocazione. È stato puntualizzato che il nesso causale non inerisce alla realtà storica, ma costituisce un nesso logico-giuridico, nel senso che la diversa soluzione della lite deve imporsi come inevitabile sul piano, appunto, della logica e del diritto, e non degli accadimenti concreti (Cons. Stato, sez. VI, 18 febbraio 2015, n. 826);
la falsa percezione della realtà processuale deve dunque riguardare un punto decisivo, anche se non espressamente controverso della causa (Cons. Stato, sez. IV, 1 settembre 2015, n. 4099);

f) l’errore deve poi essere caduto su un punto non espressamente controverso della causa e in nessun modo deve coinvolgere l’attività valutativa svolta dal giudice circa situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività (Cons. Stato, Ad. plen., 24 gennaio 2014, n. 5).

6. Operata la ricognizione dei principi suesposti, può procedersi all’esame delle doglianze proposte, seguendo l’ordine di prospettazione articolato da parte ricorrente.

7. Il primo motivo di revocazione è inammissibile.

7.1. Si osserva in via preliminare che il primo motivo, al pari del secondo, cade su un punto espressamente controverso.

L’impugnata sentenza ha ricostruito esattamente l’oggetto del giudizio e i motivi di impugnazione (in primo come in secondo grado) scegliendo di trattare congiuntamente il primo e secondo motivo (di ricorso di primo grado e appello) e ha motivato tale scelta affermando che: “il primo e il secondo motivo sono evidentemente connessi, perché riguardano entrambi la presunta irrazionalità della disciplina che esclude dall’incentivo l’intervento realizzato dalla ricorrente appellante;
come tali vengono esaminati congiuntamente…”.

Alla luce delle compiute argomentazioni contenute nei §§ 14.2 e 14.3, risulta pertanto irrilevante, dal punto di vista decisorio, l’affermazione contenuta nel § 14.4. della impugnata sentenza, relativamente alla mancata prova dell’aumento della capacità di trasporto aggiuntiva del calore nella rete di oltre il 30% (riferito all’intera città di Torino);
su tale refuso materiale si basa, inammissibilmente, la domanda revocatoria.

Le motivazioni espresse nei §§ 14.2 e 14.3 rendono infatti irrilevante, sul piano dell’esito complessivo del giudizio, e, dunque, “non determinante” il preteso errore revocatorio, sicché non può ritenersi ammissibile l’impugnazione proposta perché l’errore di fatto risultante dagli atti di causa non è il fondamento della decisione o, comunque, non ne costituisce l’unico fondamento, a mente del richiamato art. 395, n. 4, c.p.c. (cfr. sul punto Cons. Stato, sez. IV n. 1251 del 19 febbraio 2020, §§ 2 e 3).

7.2. Il secondo motivo sollecita il giudice della revocazione a rivalutare il materiale probatorio acquisito al giudizio di cognizione (relazione tecnica di parte) e a riconsiderare il percorso argomentativo posto a base dell’impugnata sentenza.

Anche tale motivo è inammissibile in considerazione dell’orientamento costante della giurisprudenza ( retro §, 5, lett. d), circa la individuazione dei presupposti per l’ammissibilità dei vizi revocatori (da ultimo, sez. IV, n. 1251 del 2020 cit.).

8. In conclusione, il ricorso per revocazione deve essere dichiarato inammissibile.

9. Le spese seguono, come di regola, il criterio della soccombenza e si liquidano come da dispositivo anche ai sensi dell’art. 26 comma 1 c.p.a.

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