Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-10-10, n. 202308846
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Pubblicato il 10/10/2023
N. 08846/2023REG.PROV.COLL.
N. 04541/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4541 del 2022, proposto da
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato D R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Vivenda S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato I C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 03248/2022, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Vivenda S.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 settembre 2023 il Cons. M M e uditi per le parti gli avvocati D R e I C;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue;
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza appellata è stato accolto il ricorso proposto da Vivenda s.r.l. per l’annullamento degli atti afferenti il pagamento dal canone unico patrimoniale.
La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze.
La ricorrente Vivenda s.r.l. svolge l’attività di restauro conservativo di immobili privati, ecclesiastici e pubblici e finanzia in parte i lavori mediante le affissioni pubblicitarie su pannelli predisposti sui ponteggi e sulle recinzioni dei cantieri eretti per i lavori.
Vivenda, al fine di ottenere l’autorizzazione ad esporre pannelli pubblicitari sui ponteggi e sulle recinzioni di nuovi cantieri, ha presentato tre diverse istanze al Comune di Roma Capitale.
Nello specifico, in data 18.02.2021, il Comune di Roma Capitale ha dato riscontro all’istanza presentata dalla ricorrente per l’immobile sito in corso Vittorio Emanuele II n. 187, richiedendo il pagamento, per intero, del canone unico patrimoniale per un importo pari ad euro 65.331,00 al fine del rilascio del titolo autorizzativo relativo ad una superficie di affissione di mq 178,50, per il periodo espositivo indicato (1.04.2021-30.11.2021, per 244 giorni). Il canone veniva determinato in applicazione della “tariffa standard giornaliera” di euro 2,00 (art. 1, comma 827, legge. n. 160/2019), alla quale era stata applicata la riduzione del 25 % quale misura di sostegno delle imprese colpite dalla crisi economica generata dall’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19 (riduzione prevista dalla deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 8 del 1° febbraio 2021), salvo conguaglio in virtù di “eventuali deliberazioni”.
La medesima società istante ha comunicato a Roma Capitale (cfr. nota del 26.2.2021) che la richiesta di pagamento era illegittima per diversi motivi. Con un’ulteriore nota (del 31.3.2021) il Comune comunicava alla Società che, al fine del rilascio del titolo, poteva essere versato un acconto pari ad euro 16.322,75 per l’annualità 2021 in attesa della definizione delle tariffe del canone, rimanendo ferma la possibilità del conguaglio a seguito della “variazione/modifiche delle tariffe” in corso.
La ricorrente ha così provveduto a versare, in data 6.4.2021, l’acconto indicato al fine di ottenere il titolo autorizzativo. Quindi Roma Capitale, con provvedimento del 13.4.2021 rilasciava l’autorizzazione per l’affissione pubblicitaria per l’immobile in questione, specificando che, una volta definito il regime tariffario alla luce della nuova disciplina legislativa, la società avrebbe dovuto versare l’importo restante.
Con riferimento all’istanza presentata dalla ricorrente per l’immobile sito in via Denza n. 27 (piazza Euclide), il Comune richiedeva il versamento della somma di euro 46.816,72 a titolo di canone unico patrimoniale per l’anno 2021 in relazione ad un’affissione pubblicitaria di mq 90 per la durata di 244 giorni, calcolato secondo i criteri di cui alla D.A.C. n° 141/2021 (dell’art. 25, commi 2 bis e 3) e applicando la predetta riduzione del 25%, salvo conguaglio.
In data 13.04.2021, Vivenda trasmetteva l’intero importo richiesto da Roma Capitale per il restauro dell’immobile sito in via Denza n. 27, riservandosi espressamente di contestare la legittimità della quantificazione del canone e otteneva il provvedimento del 16.4.2021 di autorizzazione all’affissione, sempre salvo conguaglio del canone.
Con riferimento all’istanza presentata dalla ricorrente per l’immobile sito in via Santa Maria in Cosmedin/angolo via della Greca, il Comune richiedeva il versamento della somma di euro 103.021,74 per l’anno 2021 (applicando la predetta riduzione del 25%), euro 62.775,39 per l’anno 2022, euro 22.047,51 per l’anno 2023, a titolo di canone unico patrimoniale, in relazione ad un’affissione pubblicitaria di mq 93 su suolo privato e di mq 150 su recinzione di cantiere per il periodo dal 1.6.2021 al 31.5.2023 per la durata 214 giorni, calcolato secondo i nuovi criteri di cui alla D.A.C. n. 25/2021, salvo conguaglio.
Vivenda trasmetteva la prima di tre rate previste per il canone dovuto per il 2021 e otteneva il provvedimento del 1.6.2021 di autorizzazione all’affissione, sempre salvo corresponsione delle altre rate ed annualità e conguaglio del canone.
Con il ricorso Vivenda ha impugnato le comunicazioni di Roma Capitale mediante le quali viene richiesto il pagamento del canone unico patrimoniale per gli immobili anzidetti, nonché le deliberazioni D.A.C. n. 141 del 15 dicembre 2020, D.C.G. n. 330 del 21-22 dicembre 2020, D.A.C. n. 8 del 1 febbraio 2021, D.C.G. n. 52 del 16 marzo 2021, D.A.C. n. 25 del 7 aprile 2021, nelle parti di interesse, formulando cinque motivi di ricorso.
Con il primo motivo, Vivenda lamenta la violazione dell’articolo 1 comma 817 della legge n. 160/2019 (c.d. Legge di Bilancio 2020) in quanto Roma Capitale, con l’attuale disciplina del canone unico patrimoniale delineata con le deliberazioni impugnate, non avrebbe rispettato il principio di tendenziale invarianza del gettito delineato dalla disposizione citata secondo cui il canone unico patrimoniale “è disciplinato dagli enti in modo da assicurare un gettito pari a quello conseguito dai canoni e dai tributi che sono sostituiti dal canone ...”.
Con il secondo motivo di ricorso viene dedotta la violazione dell’articolo 1, comma 825, della legge n. 160/2019, secondo cui “per la diffusione di messaggi pubblicitari di cui al comma 819, lettera b), il canone è determinato in base alla superficie complessiva del mezzo pubblicitario, calcolata in metri quadrati, indipendentemente dal tipo e dal numero dei messaggi …”. Ne deriva, ad avviso della ricorrente, che Roma Capitale, nelle determinazioni gravate, avrebbe errato nel parametrare il canone alla tipologia di impianto pubblicitario e a quella dell’ubicazione dell’impianto, laddove avrebbe dovuto utilizzare unicamente il parametro della superficie del mezzo pubblicitario.
Con il terzo motivo di ricorso Vivenda lamenta la violazione dell’articolo 1, comma 820, della legge n. 160/2019, secondo cui “l'applicazione del canone dovuto per la diffusione dei messaggi pubblicitari di cui alla lettera b) del comma 819 esclude l'applicazione del canone dovuto per le occupazioni di cui alla lettera a) del medesimo comma”.
Roma Capitale, nel determinare la somma dovuta a titolo di canone unico patrimoniale, avrebbe quindi violato il principio dell’unicità del canone, in quanto tale canone è stato chiesto in aggiunta a quello relativo al rilascio delle concessioni per l’occupazione di suolo pubblico già chiesto e ottenuto dall’amministrazione prima di rilasciare i vari titoli autorizzatori per gli impianti pubblicitari.
Con il quarto motivo di ricorso Vivenda evidenzia la manifesta irragionevolezza della c.d. tariffa giornaliera e della c.d. tariffa standard per determinare il canone in quanto secondo l’attuale disciplina si dovrebbe corrispondere, a titolo di canone unico patrimoniale, una cifra maggiore per un tempo di affissione minore.
Infine, con l’ultimo e quinto motivo di ricorso Vivenda lamenta la violazione dell’articolo 3 e 97 della Costituzione in quanto la disciplina prevista dall’art. 30, punto 3, della D.A.C. n. 141/2020, per il rilascio delle autorizzazioni non prevede la possibilità di rateizzare il pagamento del canone unico patrimoniale in caso di autorizzazioni che non superino il tempo di affissione pubblicitaria di un anno solare.
Con motivi aggiunti la ricorrente ha quindi impugnato, in via derivata e per quanto di interesse, la determinazione di autorizzazione per l’affissione pubblicitaria per l’immobile sito in S. Maria in Cosmedin n. 5.
Il Tar premette quindi che la disciplina che regolamenta il canone unico patrimoniale è contenuta nell’articolo 1, commi 816-847, della legge n. 160/2019 (recante “Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022”).
Il Tar ha evidenziato che il gettito derivante dal CUP comprende il gettito derivante dalle complessive entrate tributarie e corrispettive che il canone è andato a sostituire ed esso non può essere variato in aumento rispetto al precedente gettito così individuato (comma 817).
Secondo il Tar il legislatore ha infatti delimitato il potere dei Comuni nel senso di ritenere l'invarianza in aumento del gettito quale limite alle determinazioni comunali, sicché l'ente ha il potere di disciplinare le tariffe del CUP senza tuttavia poter superare la soglia predefinita del gettito.
Diversamente opinando, infatti, la disciplina verrebbe ad essere sospettata di incostituzionalità, per violazione degli artt. 23 e 119 Cost., non avendo il legislatore statale indicato parametri e limiti specifici ulteriori per delimitare il potere di determinazione in aumento del canone da parte dei Comuni.
Secondo il Tar il Comune di Roma Capitale ha impiegato in maniera illegittima la discrezionalità amministrativa conferitale dal comma 817 della legge n. 160/2019, in quanto ha determinato il CUP senza in alcun modo determinare, come evidenziato dalla ricorrente e come emerge dagli atti gravati, la soglia del gettito conseguito nel 2020 dalle entrate che sono state sostituite dal canone unico patrimoniale.
Il Tar ha ritenuto fondato anche il secondo motivo di ricorso.
Dal combinato disposto dei commi 819 e 825 della legge 160/2019 si evince infatti che il legislatore ha volutamente e consapevolmente escluso, dagli elementi da prendere in considerazione per il computo della tariffa collegata al presupposto del canone costituito dalla diffusione di messaggi pubblicitari, la collocazione e la tipologia dell’impianto pubblicitario, nonché il numero dei messaggi pubblicitari (“… indipendentemente dal tipo e dal numero dei messaggi …”). Ne consegue che per le affissioni pubblicitarie installate su aree quali i ponteggi di cantiere posti sugli immobili, pubblici o privati, il canone unico patrimoniale va determinato in base alla sola superficie complessiva del mezzo pubblicitario o dell’impianto. Ciò al contrario di quanto avviene per il diverso presupposto del CUP collegato all’occupazione delle aree pubbliche dove, per l’appunto, si prevede che il canone è determinato “in base alla durata, alla superficie, espressa in metri quadrati, alla tipologia e alle finalità, alla zona occupata del territorio comunale o provinciale o della città metropolitana in cui è effettuata l'occupazione” (comma 824).
Nel caso di specie, il Comune di Roma Capitale, nella Deliberazione di Assemblea Capitolina n. 141/2020, così come modificata dalla successiva Deliberazione della Giunta Capitolina n. 52/2021 (cfr. Allegato A pag. 85 ss.), ha introdotto tariffe che variano in relazione alla tipologia dell’impianto pubblicitario e all’ubicazione dell’impianto, comportando così un considerevole aumento del quantum del canone. L’amministrazione ha quindi individuato una serie di coefficienti o correttivi che hanno determinato un'illegittima maggiorazione del canone per gli impianti pubblicitari in violazione della previsione del comma 819 lettera b).
Il Tar ha parimenti ritenuto fondato anche il terzo motivo di ricorso.
Secondo il Tar le richieste di pagamento hanno violato il principio di unicità del CUP, sancito dal comma 820, collegato al presupposto della diffusione dei messaggi pubblicitari.
Il principio di unicità del canone implica che il CUP dovuto per la diffusione dei messaggi pubblicitari [di cui alla lettera b) del comma 819] esclude di per sé, dal suo computo, il canone dovuto per le occupazioni del suolo pubblico di cui alla lettera a) del medesimo comma 819.
Ed invece dalla documentazione versata in giudizio vi è chiara evidenza che la ricorrente ha dapprima dovuto versare il canone per l’occupazione del suolo pubblico e in seguito, una volta acquisito prova del pagamento del canone, ha ottenuto l’autorizzazione amministrazione previa determinazione e corresponsabile del CUP nel calcolo del quale, peraltro, non si prende in considerazione la precedente corresponsione del canone per l’occupazione del suolo pubblico.
Il Tar ha invece ritenuto infondato il quinto motivo di ricorso, attinente alla rateizzazione.
2.1. Il Comune di Roma Capitale ha appellato la sentenza sopra citata, esponendo quanto segue.
Con il terzo motivo di ricorso controparte ha lamentato la presunta violazione del principio dell’unicità del canone unico per non avere l’Amministrazione tenuto conto che in precedenza la società ricorrente aveva già corrisposto il canone di occupazione di suolo pubblico, effettuando in tal modo una duplicazione del tributo che proprio il canone unico intendeva sostituire.
L’Amministrazione in sede di memoria depositata per la fase cautelare aveva evidenziato come non vi fosse affatto la pretesa duplicazione degli esborsi da parte della società ricorrente, atteso che il canone di occupazione di suolo pubblico pagato in un primo tempo dalla ricorrente riguardava il ponteggio sul quale avrebbe dovuto essere istallato l’impianto pubblicitario.
Il Tar Lazio avrebbe confuso il pagamento del canone effettuato dalla società per l’installazione del ponteggio necessario per la ristrutturazione edilizia ed accessorio ai lavori da eseguirsi sul palazzo da ristrutturare, con il pagamento del canone dovuto alla diffusione del messaggio pubblicitario, con ciò determinando un indebito vantaggio economico alla società.
2.2. L’appellante fa poi riferimento al secondo motivo di ricorso con cui Vivenda aveva lamentato la presunta violazione dei commi sopra rubricati, avendo l’Amministrazione negli atti regolamentari impugnati previsto “che il canone venga parametrato, oltre che alla superficie espositiva (mq), alla tipologia di impianto o mezzo pubblicitario (in forma luminosa o illuminata;LED;su ponteggi;l’ubicazione dell’impianto o mezzo pubblicitario (Zona A, B1, B2, B3)”.
Sotto tale profilo il Tar ha disposto l’annullamento degli atti impugnati, avendo ritenuto che l’Amministrazione comunale avesse “introdotto tariffe che variano in relazione alla tipologia dell’impianto pubblicitario e all’ubicazione dell’impianto, comportando così un considerevole aumento del quantum del canone. L’amministrazione ha quindi individuato una serie di coefficienti correttivi che hanno determinato un’illegittima maggiorazione del canone per gli impianti pubblicitari in violazione della previsione del comma 819 b”.
L’appellante fa riferimento al comma 825 della legge 160/2019, secondo cui “per la diffusione di messaggi pubblicitari di cui al comma 819, lettera b), il canone è determinato in base alla superficie complessiva del mezzo pubblicitario, calcolata in metri quadrati, indipendentemente dal tipo e dal numero dei messaggi”.
Secondo l’appellante la norma di legge quando vieta differenze del canone in base al tipo e numero si riferisce esclusivamente al messaggio pubblicitario, non al tipo di impianto pubblicitario.
Sarebbe quindi legittima la previsione di una differenziazione del canone unico pubblicitario in relazione al tipo di impianto utilizzato, soprattutto per le maxi affissioni, come nel caso di specie, essendo evidentemente differente l’utilizzo di un semplice impianto pittorico rispetto ad uno illuminato o a LED che garantisce una visibilità sicuramente maggiore.
L’appellante ritiene poi errato il sillogismo applicato dal Tar, secondo cui se il canone CUP deve essere commisurato alla sola superficie complessiva del mezzo pubblicitario o dell’impianto, allora non è possibile commisurarlo alla zona dove l’impianto è istallato.
Osserva che in una grande città come Roma una cosa in termini di efficacia e di visibilità è installare un impianto pubblicitario in una zona centrale della città, magari molto trafficata (ad esempio Piazza Venezia), altra cosa è installare un impianto pubblicitario di analoghe dimensioni in una zona periferica della città.
Inoltre la differenziazione in base alle zone in cui è divisa la città di Roma deriva direttamente dalla necessità di adeguare il Regolamento per il pagamento del CUP alle previsioni contenute nel Piano Regolatore per gli Impianti Pubblicitari (cfr. comma 821 L. 160/2019) che, appunto, prevede la divisione del territorio cittadino in diverse zone (appunto A, B1, B2, B3).
2.3. Parte appellante fa poi riferimento al primo motivo di ricorso, sulla cui base il Comune di Roma Capitale ha impiegato in maniera illegittima la discrezionalità amministrativa conferitale dal comma 817 della legge n. 160/2019, in quanto ha determinato il CUP senza in alcun modo determinare, come evidenziato dalla ricorrente e come emerge dagli atti gravati, la soglia del gettito conseguito nel 2020 dalle entrate che sono state sostituite dal Canone Unico Patrimoniale”.
Parte appellante osserva che il limite dell’invarianza finanziaria deve essere rapportato all’intero cumulo dei canoni e/o tributi sostituiti dal CUP. E ciò, ovviamente deve essere rapportato anche all’intero gettito rappresentato da tutte le esposizioni pubblicitarie effettuate nel comune, sia su suolo pubblico, che su suolo privato, con mezzi di proprietà dell’amministrazione ovvero con mezzi pubblicitari di proprietà delle singole società, dei semplici cartelloni stradali di pochi centimetri quadrati, alle maxi affissioni oggetto, ad esempio, del presente ricorso.
Il Tar Lazio, al contrario, ha rapportato il principio dell’invarianza finanziaria unicamente a quanto dovuto dalla società odierna ricorrente in relazione alle maxi affissioni oggetto del presente giudizio ed ha ritenuto che, poiché la tariffa determinata dall’Amministrazione era superiore a quella pagata in precedenza per lo stesso tipo di impianto, allora si era verificata la violazione del cosiddetto principio dell’invarianza finanziaria di cui al comma 817 della legge 160/2019.
L’appellante lamenta poi che non è stato nemmeno spiegato perché l’Amministrazione avesse commesso tale violazione, stante la generica ed insufficiente motivazione adottata dal Giudice per accogliere il primo motivo di ricorso.
Vivenda s.r.l. si è costituita in giudizio per resistere all’appello.
3.1. Preliminarmente deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità proposta da parte appellata con riferimento a quei motivi d’appello che non sarebbero stati controdedotti dal Comune di Roma Capitale nel corso del giudizio di primo grado.
Infatti, come da giurisprudenza pacifica, il divieto di domande o eccezioni nuove in appello ex art. 104, comma 1, c.p.a. si applica solo all'originario ricorrente, poiché solo a quest'ultimo, una volta delimitato il thema decidendum con i motivi di impugnazione articolati in primo grado, è precluso un ampliamento dello stesso nel giudizio d'appello" (così Cons. di Stato, Sez. IV, 29 dicembre 2020, n.8475) mentre è consentita agli appellanti, soccombenti in primo grado, "far valere qualunque motivo ritengano utile a criticare le conclusioni loro sfavorevoli cui sia giunta la sentenza di primo grado (per tutte C.d.S. sez. VI 13 luglio 2022 n° 5908).
3.2. E’ fondato il primo motivo d’appello.
Il collegio ritiene opportuno ripotare preliminarmente il terzo motivo del ricorso di primo grado che costituisce l’oggetto del primo motivo d’appello:
“Violazione dell’art. 1, co. 819 lett. a) e b) e co. 820 della Legge n. 160/2019: Violazione del principio della unicità del canone;l’applicazione del canone dovuto per la diffusione dei messaggi pubblicitari (lett. b) esclude l’applicazione del canone dovuto per le occupazioni di suolo pubblico (lett. b).
Le richieste a titolo di canone unico patrimoniale trasmesse a Vivenda S.r.l sono altresì illegittime – e pertanto devono essere annullate – poiché violano il principio della unicità del canone disposto dall’art. 1, co. 820, L. n. 160/2019.
La Legge istitutiva del canone unico patrimoniale statuisce, infatti, all’art. 1, co. 820, che “l'applicazione del canone dovuto per la diffusione dei messaggi pubblicitari di cui alla lettera b) del comma 819 esclude l'applicazione del canone dovuto per le occupazioni di cui alla lettera a) del medesimo comma”.
Ne deriva che, in considerazione del rilascio delle concessioni per l’occupazione di suolo pubblico, per le quali sono stati già corrisposti i relativi canoni (come attestato dal doc. 18 e doc. 21, nonché dagli stessi titoli autorizzativi per l’affissione pubblicitaria), gli importi richiesti da Roma Capitale a titolo di canone unico patrimoniale al ricorrere di presupposti impositivi già oggetto di prelievo (ai sensi dell’art. 1, co. 819, lett. a), L. n. 160/2019) sono palesemente illegittimi e pertanto devono essere restituiti.”
Il collegio osserva che il canone di occupazione di suolo pubblico pagato dalla ricorrente riguardava il ponteggio sul quale avrebbe dovuto essere istallato l’impianto pubblicitario.
Il Tar ha confuso il pagamento del canone effettuato dalla società per l’installazione del ponteggio necessario per la ristrutturazione edilizia ed accessorio ai lavori da eseguirsi sul palazzo da ristrutturare, con il canone dovuto per la diffusione del messaggio pubblicitario.
In realtà l’occupazione di suolo pubblico dovuta per il ponteggio, fa riferimento ad un presupposto diverso dalla diffusione del messaggio pubblicitario.
Il canone dovuto per la diffusione dei messaggi pubblicitari esclude il canone per l’occupazione di spazi pubblici non perché il pagamento dell’uno esclude il pagamento dell’altro, ma, al contrario, perché devono essere pagati entrambi, in quanto riconducibili a presupposti diversi.
Il Tar ha invece ritenuto erroneamente che l’occupazione di suolo pubblico corrisposta dalla società ricorrente per l’occupazione di suolo pubblico effettuata con il ponteggio per la ristrutturazione edilizia escludesse la corresponsione del canone dovuto in relazione alla diffusione dei messaggi pubblicitari.
Sotto tale profilo la ricorrente in primo grado non ha dimostrato che i pagamenti richiesti dal Comune di Roma abbiano violato il principio della unicità del canone di cui all’art. 1 comma 820 della legge n° 160 del 2019, secondo cui l'applicazione del canone dovuto per la diffusione dei messaggi pubblicitari di cui alla lettera b) del comma 819 esclude l'applicazione del canone dovuto per le occupazioni di cui alla lettera a) del medesimo comma.
Parte appellante non ha infatti specificamente dimostrato col ricorso proposto in primo grado (come da motivo di ricorso sopra riportato) sia stato fatto specifico riferimento ad un indebito duplice pagamento nel senso che sia stato pagato in relazione al presupposto della diffusione dei messaggi pubblicitari un importo corrispondente invece all’occupazione di suolo pubblico o che in relazione al presupposto dell’occupazione di suolo pubblico sia stato invece pagato un importo corrispondente invece alla diffusione dei messaggi pubblicitari.
3.3. E’ parimenti fondato il secondo motivo d’appello, che ha ad oggetto le affermazioni del Tar di seguito riportate:
“dal combinato disposto dei commi 819 e 825 della legge 160/2019 si evince che il legislatore ha volutamente e consapevolmente escluso, dagli elementi da prendere in considerazione per il computo della tariffa collegata al presupposto del canone costituito dalla diffusione di messaggi pubblicitari, la collocazione e la tipologia dell’impianto pubblicitario, nonché il numero dei messaggi pubblicitari (“… indipendentemente dal tipo e dal numero dei messaggi …”). Ne consegue che per le affissioni pubblicitarie installate su aree quali i ponteggi di cantiere posti sugli immobili, pubblici o privati, il canone unico patrimoniale va determinato in base alla sola superficie complessiva del mezzo pubblicitario o dell’impianto.
Nel caso di specie, il Comune di Roma Capitale, nella deliberazione di Assemblea Capitolina n. 141/2020, così come modificata dalla successiva deliberazione della Giunta Capitolina n. 52/2021 (cfr. Allegato A pag. 85 ss.), ha introdotto tariffe che variano in relazione alla tipologia dell’impianto pubblicitario e all’ubicazione dell’impianto, comportando così un considerevole aumento del quantum del canone. L’amministrazione ha quindi individuato una serie di coefficienti o correttivi che hanno determinato un'illegittima maggiorazione del canone per gli impianti pubblicitari in violazione della previsione del comma 819 lettera b).”
Giova altresì riportare il primo periodo del comma 825 dell’art. 1 della legge n° 160 del 2019: “Per la diffusione di messaggi pubblicitari di cui al comma 819, lettera b), il canone è determinato in base alla superficie complessiva del mezzo pubblicitario, calcolata in metri quadrati, indipendentemente dal tipo e dal numero dei messaggi.”
Il collegio osserva che il riferimento alla superficie del mezzo pubblicitario non vieta una differenziazione sulla base della tipologia di impianto o della zona.
Ossia la tariffa può, pur nel necessario riferimento alla superficie del mezzo pubblicitario, essere differenziata in relazione alla tipologia di impianto ed alla zona.
Ciò risulta confermato dal testo letterale dell’art. 1 comma 825 della legge n° 160 del 2019, secondo cui non incidono sulla determinazione del canone il tipo ed il numero dei messaggi, con la conseguenza che possono essere invece utilizzati i diversi parametri della tipologia d’impianto e della zona nella determinazione della tariffa in base alla superficie.
Tale differenziazione è del resto coerente alle esigenze del mercato che apprezzano diversamente un impianto illuminato da uno che non lo è come una zona frequentata da turisti da una zona che ne è priva.
3.4. E’ parimenti fondato il terzo motivo d’appello che ha ad oggetto l’affermazione del Tar, secondo cui il Comune di Roma Capitale ha impiegato in maniera illegittima la discrezionalità amministrativa conferitale dal comma 817 della legge n. 160/2019, in quanto ha determinato il CUP senza in alcun modo determinare, come evidenziato dalla ricorrente e come emerge dagli atti gravati, la soglia del gettito conseguito nel 2020 dalle entrate che sono state sostituite dal Canone Unico Patrimoniale.
Il collegio evidenzia che Il Tar Lazio, accogliendo il ricorso, ha rapportato il principio dell’invarianza finanziaria unicamente a quanto dovuto dalla società odierna ricorrente in relazione alle maxi affissioni oggetto del presente giudizio ed ha ritenuto che, poiché la tariffa determinata dall’Amministrazione era superiore a quella pagata in precedenza per lo stesso tipo di impianto, allora si era verificata la violazione del cosiddetto principio dell’invarianza finanziaria di cui al comma 817 dell’art. 1 della legge 160/2019.
Invece il limite dell’invariante finanziaria deve essere rapportato all’intero cumulo dei canoni e/o tributi sostituiti dal CUP e deve essere rapportato anche all’intero gettito rappresentato da tutte le esposizioni pubblicitarie effettuate nel comune.
Col ricorso di primo grado non è stato dimostrato il superamento di tale soglia complessiva.
Inoltre il citato comma 817 dell’art. 1 della legge 160/2019 stabilisce che il principio di invarianza del gettito costituisce una clausola di salvaguardia per le entrate del Comune, che può modificare in aumento le tariffe, così come prevede lo stesso comma 817 dell’art. 1 della legge 160/2019.
Il principio di invarianza del gettito non costituisce invece clausola di salvaguardia a favore del privato obbligato a pagare il canone.
Infatti la normativa in esame impone ai comuni, alle province e alle città metropolitane di disciplinare il canone in parola in modo da assicurare un gettito pari a quello conseguito dai canoni e dai tributi che sono sostituiti dal canone stesso, fatta salva, in ogni caso, la possibilità di variare il gettito attraverso la modifica del valore della tariffa-base indicata dal Legislatore statale all'interno del comma 826 dell'art. 1 della L. n. 160 del 2019.
In altri termini, il legislatore statale ha attribuito agli Enti territoriali il potere di disciplinare il canone unico patrimoniale in modo da garantire l'invarianza di gettito anche eventualmente attraverso la modifica delle tariffe, così operando un bilanciamento tra la necessità di predeterminazione statuale della tariffa base, al fine di garantire il rispetto della riserva di legge di cui all'art. 23 della Costituzione e l'esigenza di tutelare l'autonomia finanziaria dei singoli Enti territoriali riconosciuta dagli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione.
In tale prospettiva la parte appellata, ricorrente in primo grado, non ha dimostrato che gli atti di determinazione delle tariffe non abbiano rispettato il principio di invarianza del gettito né che siano affetti da vizi ulteriori rispetto al presunto mancato rispetto del principio dell’invarianza finanziaria.
3.5. Il collegio osserva che il Tar ha assorbito il quarto motivo del ricorso di primo grado “poiché le contestazioni ivi evidenziate sono destinate ad essere superate dall’integrale riesercizio del potere amministrativo in senso conformativo alla presente decisione.”
Il collegio non può esaminare tale motivo del ricorso di primo grado ritenuto assorbito dal Tar perché parte appellata non ha espressamente riproposto tale motivo di ricorso con memoria depositata a pena di decadenza entro il termine per la costituzione in giudizio, ai sensi del secondo comma dell’art. 101 del cod. del proc. amm..
In conclusione l’appello deve essere accolto.
In riforma della sentenza appellata deve essere respinto il ricorso proposto in primo grado.
La condanna alle spese del doppio grado di giudizio segue la soccombenza con liquidazione nella misura di Euro 6.000.