Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-05-11, n. 201802843

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-05-11, n. 201802843
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201802843
Data del deposito : 11 maggio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/05/2018

N. 02843/2018REG.PROV.COLL.

N. 06690/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6690 del 2014, proposto da:
INVICTA IMMOBILIARE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati F T e P C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato F T in Roma, largo Messico, n. 7;

contro

ROMA CAPITALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato R M, domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;

nei confronti

CLAUDIO PETRICCA, ELEONORA VISTOLA, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – Roma – Sez. I-quater n. 1101 del 2014;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 aprile 2018 il Cons. D S e uditi per le parti l’avvocato P C;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.‒ La società appellante è stata costituita in data 7 marzo 2011, per atto di scissione parziale dalla Monterotondo Beni Immobiliari s.r.l., mediante il quale sono stati trasferiti alla stessa i beni facenti parte di un complesso immobiliare sito nel Comune di Roma, alla Via Grotta di Gregna n. 186.

1.1.‒ Con atto di compravendita del 28 dicembre 2009, la società Monterotondo Beni Immobiliari s.r.l., prima della scissione che vede coinvolta la Invicta Immobiliare s.r.l., vendeva ai signori Claudio Petricca e Eleonora Vistola un appartamento compreso del predetto immobile.

1.2.‒ Con determinazione dirigenziale n. 1159 in data 11 luglio 2012, Roma Capitale ingiungeva alla società Invicta Immobiliare s.r.l., in solido con gli attuali proprietari, di demolire alcuni interventi di ristrutturazione realizzati nella citata unità immobiliare, perché effettuati in assenza di titolo abilitativo. La società appellante veniva imputata di essere la responsabile dell’abuso così descritto nel verbale della polizia locale: « veniva presentata la DIA prot. n. 73491 in data 2.12.2010 senza la preventiva autorizzazione della Sovrintendenza comunale dei beni archeologici e della Sovrintendenza del Ministero per i beni e le attività culturali per le esecuzione delle seguenti opere: cambio d’uso da ufficio ad abitazione;
posa in opera di un camino con relativa canna fumaria e diversa distribuzione dei velux nel solaio di copertura per una migliore illuminazione + area soppalcata in legno delle dimensioni di mq 33 circa avente un’altezza da mt. 2,20 a mt. 1,90 con distacco dal piano di calpestio di mt. 2,70 circa raggiungibile tramite scala fissa. L’immobile si presenta al piano terra composto da angolo cottura, zona giorno e wc;
l’area soppalcata è stata partizionata in n. 2 camere da letto, vano wc ed è dotata di n. 3 velux. Tale opera non appare graficizzata negli elaborati grafici allegati alla DIA
».

1.2.‒ L’ordine di demolizione veniva impugnato dalla società Invicta Immobiliare s.r.l. innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale, censurando: la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 29 e 31 del d.P.R. n. 380 del 2001;
l’eccesso di potere per travisamento di circostanze di fatto e di diritto, difetto di presupposti e ingiustizia manifesta;
la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990.

2.‒ Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, con sentenza n. 1101 del 2014, ha respinto il ricorso, rilevando ‒ sulla scorta di una verificazione disposta dallo stesso T.a.r. ma in un altro giudizio tra parti diverse (n.r.g. n. 10629 del 2011) ‒ che, essendo il soppalco incastrato nelle murature perimetrali portanti e le travi del solaio coeve con la procedura di ristrutturazione, la responsabilità di tale abuso deve necessariamente ascriversi alla ricorrente.

3.‒ Avverso la sentenza del T.a.r. ha proposto appello la Invicta Immobiliare s.r.l. muovendo i seguenti rilievi.

L’ingiunzione non doveva essere notificata alla Invicta Immobiliare s.r.l., essendo la stessa del tutto estranea all’abuso, e non sussistendo alcuna prova di una sua responsabilità. Le opere contestate (realizzazione angolo cottura e costruzione di un’area soppalcata) ed il cambio di destinazione uso (da ufficio a residenziale), contrasterebbero infatti con lo stato dei luoghi riportato nell’atto notarile e nella planimetria catastale al momento della vendita stipulata in favore della signora Candido.

Sotto altro profilo, la verificazione su cui si è fondata la sentenza di primo grado sarebbe stata trasfusa nell’odierno procedimento in violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa delle parti, con conseguente nullità.

4.‒ Si è costituita in giudizio Roma Capitale, insistendo per il rigetto del gravame.

5.‒ All’udienza del 12 aprile 2018, la causa è stata discussa e trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1.‒ L’appello è fondato.

2.‒ L’atto impugnato è affetto da una evidente carenza di motivazione.

2.1.‒ Va rimarcato che il carattere «reale» della misura ripristinatoria della demolizione e la sua doverosità in vista del ripristino dei valori tutelati dalle discipline che regolano l’uso e la trasformazione del territorio non esime la pubblica amministrazione dal motivare scrupolosamente gli elementi raccolti per individuare l’autore dell’abuso, ove si tratti di persona diversa dall’attuale proprietario.

Occorre altresì premettere che, nel processo amministrativo l’integrazione in sede giudiziale della motivazione dell’atto amministrativo è ammissibile soltanto se effettuata mediante gli atti del procedimento ‒ nella misura in cui i documenti dell’istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni della determinazione assunta ‒ oppure attraverso l’emanazione di un autonomo provvedimento di convalida (art. 21- nonies , secondo comma, della legge n. 241 del 1990). È invece inammissibile un’integrazione postuma effettuata in sede di giudizio, mediante atti processuali, o comunque scritti difensivi. La motivazione costituisce infatti il contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21- octies , comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti ( ex plurimis , Consiglio di Stato, sezione terza, 7 aprile 2014, n. 1629;
Corte Costituzionale, ordinanza n. 92 del 2015).

2.2.‒ Nel caso di specie, è dunque inammissibile, da parte della p.a., la formulazione in giudizio di argomentazioni difensive a giustificazione del provvedimento impugnato da cui invece non si evincono affatto gli elementi probatori (anche presuntivi) che consentono di ascrivere all’odierna appellante la responsabilità dell’abuso (la realizzazione dell’angolo cottura e la costruzione di un’area soppalcata con aumento della superficie calpestabile e cambio di destinazione uso da ufficio a residenziale).

3.‒ L’istruttoria processuale svolta in primo grado ha inoltre violato il principio del contraddittorio.

3.1.‒ In forza dei principi generali, la prova formata in un processo diverso acquisisce il rango di prova c.d. atipica, idonea a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico con le altre risultanze del processo. La sua ammissibilità, tuttavia, è dipesa dalle regole sul contraddittorio dettate per il processo in cui la si vuole introdurre, nel rispetto dei diritti che in quel medesimo processo hanno le parti di produrle e di contrastarne le risultanze.

Ebbene nel caso di specie, la verificazione posta dal giudice di primo grado a fondamento della statuizione di rigetto è stata disposta in altro giudizio (n.r.g. 10629 del 2011) ‒ con la finalità di stabilire «se la demolizione del soppalco contestato sia tecnicamente possibile senza pregiudizio per la struttura dell’immobile» ‒ e tra parti diverse. In quanto non disposta nel contraddittorio con il soggetto interessato (destinatario dell’atto impugnato), tale fonte di prova atipica ‒ la quale peraltro neppure figura tra gli atti del fascicolo ‒ non poteva certo surrogare le imprescindibili forme che governano l’assunzione degli accertamenti tecnici (consulenza o verificazione).

4.‒ Per le ragioni che precedono, l’appello risulta fondato e va accolto.

Resta salva la possibilità per l’amministrazione resistente di determinarsi nuovamente, senza incorrere nel vizio di motivazione sopra accertato.

4.1.‒ Le spese del doppio grado di lite possono compensarsi, attesa la particolarità della vicenda e il carattere risalente della controversia.

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