Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-02-15, n. 202101403

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-02-15, n. 202101403
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202101403
Data del deposito : 15 febbraio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/02/2021

N. 01403/2021REG.PROV.COLL.

N. 09455/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9455 del 2011, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati A G e D L P, con domicilio eletto presso l’avvocato G C (studio legale Di Gravio) in Roma, via Anapo, n. 29

contro

il Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore , non costituito in giudizio

nei confronti

del signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato G T, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Giovanni Nicotera, n. 29

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima) n. -OMISSIS-


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del signor -OMISSIS- e la sua successiva rinuncia agli atti;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 e l’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con l. 25 giugno 2020, n. 70;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 12 gennaio 2021, in collegamento da remoto in videoconferenza, il Cons. Antonella Manzione.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso al T.A.R. per la Calabria, sede di Catanzaro, n.r.g. -OMISSIS-il signor -OMISSIS- ha impugnato l’ordinanza n. -OMISSIS-con la quale il Comune di -OMISSIS- disponeva la revoca della concessione edilizia in sanatoria n. -OMISSIS-, riferita ad un fabbricato ad uso civile abitazione, sull’assunto che essa fosse « dolosamente infedele, in quanto rilasciata su falsa dichiarazione dell’epoca di realizzazione dell’abuso », ordinandone altresì la demolizione. Con successivi motivi aggiunti ha impugnato altresì la nota prot. n. -OMISSIS-, di reiezione della richiesta di sanatoria ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, mancando il requisito della doppia conformità, nonché di rilascio di concessione postuma. Il Tribunale adito ha respinto sia il ricorso principale che i motivi aggiunti con sentenza n. -OMISSIS-, ritenendo corretta la scelta del Comune in ragione della riscontrata falsità nella indicazione della data di realizzazione del manufatto, emersa a seguito della sentenza di archiviazione da parte del Tribunale di -OMISSIS-del procedimento penale riferito alle scale e a un box in muratura, scaturito dalla denuncia del vicino, odierno controinteressato, signor -OMISSIS-. Quanto al diniego di accertamento di conformità o di concessione postuma, alla data di presentazione dell’istanza il nuovo Piano strutturale comunale (P.S.C.), contenente un regime edificatorio asseritamente favorevole alla realizzazione dell’intervento, non era ancora in vigore in quanto mancava la prevista pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione. La precedente disciplina urbanistica, di cui da ultimo al Piano regolatore generale del 1996, non ammetteva invece interventi di nuova costruzione in zona “-OMISSIS-”, quale quella ove ricade l’intervento in controversia.

2. Avverso tale sentenza ha proposto appello l’originario ricorrente, articolando due distinti motivi di ricorso, riferiti rispettivamente all’ordinanza di revoca del condono e al diniego della successiva sanatoria, ovvero di concessione postuma. Sotto il primo profilo, il T.A.R. avrebbe sbagliato ad avallare la tesi del controinteressato, pretermettendo la disamina di importante documentazione in grado di confutare le suggestioni esasperate da un rapporto di vicinato a dir poco conflittuale. In particolare l’ordinanza di dissequestro del Pretore di -OMISSIS- al pari delle successive note del 15 maggio 1987 e 20 agosto 1988 davano espressamente atto « che l’opera abusiva rientra tra quelle per le quali era ammessa la sanatoria ai sensi della legge 28/7/1985 n. 47 (condono edilizio) ». Nella stessa direzione si muoverebbe la consulenza tecnica d’ufficio disposta nel procedimento penale, che cita quale unica irregolarità la mancanza di nulla osta paesaggistico, le fatture e le bolle datate maggio e giugno 1983 relative al materiale edile utilizzato per l’effettuazione dell’abuso, alcune deposizioni testimoniali, nonché la perizia del professionista incaricato allo scopo, che confuterebbe le risultanze delle immagini scattate nel volo del 19 ottobre 1984, reperite dai carabinieri presso l’Istituto geografico militare italiano (IGMI). In punto di diritto, essendo il Comune intervenuto in autotutela su un titolo già rilasciato (la precedente concessione in sanatoria) avrebbe dovuto motivare l’interesse pubblico sotteso al provvedimento, destinato ad incidere su una posizione del privato ormai consolidata giusta il considerevole lasso di tempo intercorso rispetto alla data di realizzazione dell’opera. Quanto invece alla richiesta di sanatoria ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, il richiamo al principio della necessaria doppia conformità dell’abuso si paleserebbe indebitamente strumentale, stante che l’ iter di approvazione e conseguente efficacia del nuovo P.S.C. si era quasi completamente perfezionato, se si eccettua solo la pubblicazione sul B.U.R. Il mancato inoltro, pertanto, del preavviso di diniego ex art. 10 bis della l. n. 241 del 1990, lungi dal palesarsi neutro rispetto ai contenuti necessitati del provvedimento impugnato, avrebbe al contrario consentito di “agganciare” temporalmente il nuovo regime edificatorio dell’area. Da qui anche la richiesta di titolo edilizio postumo, il cui diniego risponderebbe ad un approccio inutilmente formalistico, tale da imporre la demolizione di quanto il privato avrebbe avuto poi la possibilità di ricostruire, se solo si fosse attesa la “manciata di giorni” necessaria all’entrata in vigore del richiamato P.S.C.

3. Si è costituito in giudizio il signor -OMISSIS- con atto di stile per chiedere la reiezione dell’appello e la conferma della sentenza impugnata. Non si è invece costituito il Comune di -OMISSIS-. Con atto depositato in data 31 ottobre 2012 il controinteressato ha dichiarato di non avere più alcun interesse alla decisione, avendo siglato una transazione con l’appellante comprensiva anche della rinuncia alle liti pendenti. L’appellante a sua volta ha confermato tale circostanza assentendo alla rinuncia.

4. Alla pubblica udienza del 12 gennaio 2021, svoltasi con modalità da remoto ai sensi dell’art. 25, comma 2, del decreto legge n. 137 del 28 ottobre 2020, la causa è stata trattenuta in decisione

DIRITTO

5. L’appello è infondato.

6. Sostiene l’appellante che il Comune di -OMISSIS- avrebbe indebitamente revocato la concessione edilizia in sanatoria rilasciatagli con provvedimento n. -OMISSIS-sull’assunto, erroneo, che la declaratoria di avere ultimato l’opera entro il mese di luglio del 1983 sarebbe risultata falsa. L’Amministrazione, cioè, e conseguentemente il primo giudice, avrebbe avallato in maniera acritica la tesi del proprio vicino di casa, autore della denuncia datata 15 maggio 2005 avente ad oggetto la costruzione di una scala e di un box in muratura, comunque definita con sentenza di archiviazione del 24 giugno del 2008, su richiesta dello stesso Pubblico ministero. Al contrario, già gli esiti di un precedente procedimento penale, relativo proprio al manufatto originario, confermerebbero la preesistenza del fabbricato e la sua sanabilità.

7. La ricostruzione non può essere condivisa in quanto stralcia singoli segmenti degli atti, anche decisori, riferiti ai due distinti giudizi penali cui è stato sottoposto per l’immobile di cui è causa, enfatizzandone promiscuamente la portata, impropriamente astratta dal contesto di riferimento.

In particolare, l’appellante tenta di dequotare la portata dell’affermazione contenuta nella sentenza di archiviazione del GIP del Tribunale di -OMISSIS-a mero obiter privo di effettivo supporto probatorio. Ora, anche a volere disconoscere natura dirimente all’affermazione « che l’indagato in data 03.04.1986 aveva reso una falsa dichiarazione per ottenere il condono relativamente all’organismo edilizio principale, affermando che l’opera abusiva era stata completata nell'anno 1983, mentre, le indagini dimostravano che la realizzazione era stata successiva », l’autonoma valutazione degli atti di indagine sottesi alla stessa, trasfusa nel provvedimento impugnato, conduce inequivocabilmente alle medesime conclusioni. Come ben evidenziato dal primo giudice, infatti, non solo le testimonianze, univocamente attestanti l’inesistenza del fabbricato nella consistenza da sanare nell’anno 1984 (che, rese nell’ambito di un giudizio penale, con quanto ne consegue in termini di responsabilità in caso di false dichiarazioni, non possono certo essere poste nel nulla da divergenti affermazioni di terzi);
ma soprattutto la copia autentica, acquisita presso l’Istituto geografico militare, della ripresa aereofotografica effettuata il 19 ottobre 1984 sulla contrada -OMISSIS- del Comune di -OMISSIS-, località -OMISSIS-, portano ad escludere che a tale data nella proprietà dell’odierno ricorrente fosse stato realizzato un qualche tipo di manufatto edile, essendo peraltro il terreno circondato dalla pineta e completamente ricoperto dalla vegetazione.

Né in senso opposto può valere la richiamata consulenza di parte, basata dichiaratamente su una “fotointerpretazione di immagini orto fotografiche in bianco e nero”, ovvero, sostanzialmente, una sorta di interpretazione riduttiva del dato visivo, come tale obiettivamente inconfutabile, oltre che confermato finanche da un “filmino” versato agli atti del giudizio penale, ed egualmente menzionato in sede di deposizioni testimoniali.

Vero è che gli esiti del primo procedimento penale, conclusosi con sentenza del Pretore di -OMISSIS- in data 28 novembre 1988 di non doversi procedere per estinzione dei reati, in quanto riferiti all’avvenuta presentazione della domanda di sanatoria e al decorso del termine per la sua definizione con silenzio assenso si prestano a letture strumentali, nel senso dell’implicito riconoscimento della correttezza del rilascio del condono e, indirettamente, dell’avallo dell’avvenuta ultimazione del fabbricato in tempo utile per poterne fruire. A ben guardare, tuttavia, sia l’ordinanza di dissequestro dell’8 luglio 1986 che la richiamata sentenza, nonché le note con le quali il giudice ha chiesto alla parte di documentare lo stato di avanzamento del procedimento di condono, non entrano nel merito della vicenda, attestandosi per così dire in limine della stessa, ovvero al solo dato formale della astratta fruibilità della sanatoria e dei conseguenti effetti della stessa sulle fattispecie di reato costituenti i relativi capi di imputazione. Il dissequestro, in particolare, rilevato, appunto, che potevano ottenere la concessione in sanatoria le costruzioni ultimate entro la data del 1 ottobre 1983, ha riguardo espressamente solo alla parte di fabbricato per la quale a tale data era stato eseguito il rustico ed ultimata la copertura. La sentenza, a sua volta (per la verità senza tenere conto del contrastante contenuto della notitia criminis ), acquisita l’attestazione dell’avvenuto pagamento integrale dell’oblazione, dava atto dell’estinzione dei reati « vista la domanda di sanatoria edilizia presentata nei termini, considerato che sono trascorsi 24 mesi dalla presentazione della domanda ». E tuttavia proprio il “verbale di contravvenzione” redatto dai carabinieri in data 12 aprile 1985, facente fede fino a querela di falso, documentava in maniera incontestabile che il manufatto rilevato era a quel momento « composto da n. -OMISSIS-». Circostanza successivamente riportata nell’ordinanza n. 7 del 25 febbraio 1986 di sospensione lavori emessa dal Sindaco del Comune di -OMISSIS-. Correttamente, dunque, il primo giudice ha argomentato al riguardo che « se al momento del sopralluogo, effettuato nel 1985, era stata realizzata unicamente una struttura di 12 pilastri con solaio, non si sarebbe potuto ritenere ultimato, ai fini del condono, l’edificio in questione ».

Il Collegio ricorda infatti come la nozione di opera ultimata ai fini della fruibilità del condono presupponga, per costante giurisprudenza dai cui principi non è ragione di discostarsi, lo stato di “rustico” della stessa, termine con il quale si intende che essa è completa di tutte le strutture essenziali, necessariamente comprensiva della copertura e delle tamponature esterne, che realizzano in concreto i volumi, rendendoli individuabili e esattamente calcolabili (si tratta del c.d. criterio “strutturale”, applicabile nei casi di nuova costruzione, in contrapposizione a quello “funzionale”, che opera, invece, nei casi di opere interne di edifici già esistenti oppure di manufatti con destinazione diversa da quella residenziale), ancorché mancante delle finiture (infissi, pavimentazione, tramezzature interne).

8. Rileva peraltro il Collegio che, quand’anche la parte si fosse “accontentata” del titolo implicito evocato dal giudice penale ai fini della declaratoria di estinzione del reato (non assecondando le ulteriori richieste istruttorie da parte del Comune, sfociate nella sanatoria esplicita del 2002), la successiva emersione di obiettivi profili di non veridicità della declaratoria resa ai fini di far rientrare la realizzazione dell’opera nella tempistica di legge, ne avrebbe comportato comunque l’annullamento.

9. D’altro canto, l’onere di provare l’avvenuta ultimazione dei lavori in tempo utile, grava esclusivamente sul richiedente. Ciò in quanto solo l’interessato può fornire inconfutabili documenti che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione dell’abuso. La giurisprudenza ha peraltro anche affermato che tale prova deve essere rigorosa, non risultando a tal fine sufficienti dichiarazioni sostitutive di atto notorio, ma « richiedendosi invece una documentazione certa ed univoca, sull’evidente presupposto che nessuno meglio di chi richiede la sanatoria e ha realizzato l’opera può fornire elementi oggettivi sulla data di realizzazione dell’abuso » (cfr. ex multis , Cons. Stato, sez. VI, 1 ottobre 2019, n. 6578). In difetto della stessa, l’Amministrazione ha il dovere di negare la sanatoria ovvero, come accaduto nel caso di specie, di revocarla - recte , annullarla- ove emergano dati obiettivi inerenti un’epoca di costruzione incompatibile con il suo rilascio.

10. Afferma l’appellante che il lungo lasso di tempo trascorso avrebbe imposto una motivazione rinforzata con riferimento all’interesse pubblico sotteso al ritiro dell’atto, calcolando lo stesso, peraltro, non dal provvedimento oggetto dell’autotutela, che è datato 12 dicembre 2002, ma dalla asserita epoca di realizzazione del manufatto, ovvero il 1983. La ragionevolezza del termine per l’esercizio dell’autotutela, comunque richiesta ancor prima che il legislatore ne codificasse la durata, non va tuttavia confusa con l’esercizio dei poteri di vigilanza edilizia, che non incontrano alcun limite stante la natura permanente dei relativi illeciti e l’impossibilità di fondare su di essi qualsivoglia legittima aspettativa al relativo mantenimento in ragione della risalenza nel tempo della loro realizzazione. Il rapporto tra le due tipologie di interventi (di secondo grado, su un provvedimento preesistente, ovvero nell’ambito del procedimento sanzionatorio) è stato chiarito da ultimo anche dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, A.P., 17 ottobre 2017, n. 8). Nel caso di specie, tuttavia, si è al di fuori della ricerca del doveroso punto di equilibrio tra contrapposti interessi in gioco, ovvero quello del privato alla conservazione del provvedimento e quello dell’amministrazione al ripristino della legalità lesa. Il primo, infatti, viene considerato meritevole di tutela solo in presenza di un comportamento conforme alla regola di buona fede in senso oggettivo e alla legge, con la conseguente precisazione che nessuno può vantare un legittimo affidamento diretto al mantenimento di una situazione illegittima o a un vantaggio acquisito in mala fede. Per costante giurisprudenza, quindi, allorquando una concessione edilizia in sanatoria sia stata ottenuta dall’interessato in base ad una falsa o comunque erronea rappresentazione della realtà materiale, è consentito all’Amministrazione di esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l’atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa (cfr., ex multis , Cons. Stato, sez. IV,8 gennaio 2013, n. 39; id ., 6 maggio 2014, n. 4300;
14 dicembre 2016, n. 5262).

A ciò consegue la reiezione del primo motivo di appello.

11. Quanto alla asserita illegittimità del rigetto della istanza di sanatoria ordinaria ovvero di concessione “postuma”, la prospettazione della parte è egualmente infondata.

Il Collegio ritiene innanzi tutto opportuno evidenziare la peculiarità -a tacere della intrinseca contraddittorietà- della richiesta avanzata dall’appellante al Comune di Villanova nelle more della definizione del giudizio di primo grado: a fronte, infatti, dell’avvenuta revoca del condono, seppure ancora sub iudice , si cerca di recuperare gli effetti del titolo edilizio ritirato “commutandolo” in altra tipologia di sanatoria, ovvero, addirittura, in una non meglio qualificata concessione postuma (che proprio in quanto tale, peraltro, non può che costituire essa stessa una sanatoria). In sintesi, da un lato si rivendica la legittimità del titolo edilizio originario;
dall’altro si motiva la richiesta di quello alternativo con l’avvenuto annullamento dello stesso, proponendone una sorta di “variante”, quasi a mo’ di impropria convalida.

Ora, seppure astrattamente, non essendo ancora spirati i termini del procedimento sanzionatorio, mai portato ad esecuzione, la parte ben poteva aspirare ad una “sanatoria ordinaria”, è evidente la mancanza dei presupposti normativi per potere accedere alla stessa. L’accertamento di conformità, infatti, a differenza del condono, dal quale si diversifica per presupposti e procedura, richiede il requisito della c.d. “doppia conformità”, ovvero la rispondenza dell’opera alle regole urbanistiche vigenti sia al momento di realizzazione dell’intervento che a quello di presentazione della relativa istanza. Essa costituisce condicio sine qua non della sanatoria, ed investe entrambi i ricordati segmenti temporali.

Le invocate esigenze di economia procedimentale, tali da imporre una valutazione di tipo sostanzialistico di -futura, ma imminente- conformità urbanistica dell’opera, sono già state escluse con riferimento all’istituto, affine sotto il profilo finalistico, della c.d. “sanatoria giurisprudenziale”. Secondo l’ormai consolidato orientamento di questo Consiglio Stato, infatti (cfr., ex multis , Cons. Stato, Sez. VI, 24 aprile 2018, n. 2496, e 20 febbraio 2018, n. 1087), essa non trova fondamento alcuno nell’ordinamento positivo, contrassegnato invece dai principi di legalità dell’azione amministrativa e di tipicità e nominatività dei poteri esercitati dalla pubblica amministrazione, con la conseguenza che detti poteri, in assenza di espressa previsione legislativa, non possono essere creati in via giurisprudenziale, pena la violazione di quello di separazione dei poteri e l’invasione di sfere proprie di attribuzioni riservate alla pubblica amministrazione. Anche la Corte Costituzionale, peraltro, ha più volte ribadito al riguardo la natura di principio, tra l’altro vincolante per la legislazione regionale, della previsione della “doppia conformità” (Corte Cost., 31 marzo 1998, n. 370;
13 maggio 1993, n. 231;
27 febbraio 2013, n. 101) seppur con precipuo riferimento inizialmente ai soli profili penalistici. Il giudice delle leggi ha dunque affermato che il rigore insito in tale principio trova la propria ratio ispiratrice nella “natura preventiva e deterrente” della sanatoria, finalizzata a frenare l’abusivismo edilizio, in modo da escludere letture “sostanzialiste” della norma che consentano la possibilità di regolarizzare opere in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione ovvero con essa conformi solo al momento della presentazione dell’istanza per l’accertamento di conformità (cfr. Cons. Stato, sez. II, 18 febbraio 2020, n. 1240).

La “doppia conformità”, peraltro, si riferisce, per quanto sopra chiarito, all’epoca di realizzazione dell’abuso e a quella di inoltro della domanda, nel caso di specie risalente all’aprile del 1986, non a quella di rilascio del titolo: del tutto irrilevante, pertanto, si paleserebbe l’eventuale conformità dell’intervento al nuovo P.S.C., quand’anche fosse entrato in vigore e ammesso e non concesso che esso contempli davvero le possibilità edificatorie rivendicate dalla parte.

D’altro canto, la sopravvenienza di un regime giuridico più favorevole (laddove, pure, prospettabile nel caso in esame) non consente certo di farne retroagire gli effetti ad illeciti preesistenti: diversamente opinando essa si risolverebbe a sua volta in una sorta di atipico condono normativo, del tutto estraneo alla cornice e alla finalità dell’istituto.

E’ evidente pertanto che l’avvenuto inoltro del preavviso di diniego, quand’anche avesse determinato l’allungamento dei tempi fino all’entrata in vigore del nuovo Piano urbanistico, non avrebbe comunque comportato il superamento delle ragioni giuridiche ostative al rilascio della sanatoria, quale che ne fosse il modello invocato. La natura necessitata dello stesso rendeva effettivamente inutile qualsivoglia contributo partecipativo del privato, non potendo comportarne in alcun modo un mutamento contenutistico.

12. In conclusione, deve essere respinto anche il secondo motivo d’appello.

13. Sussistono giuste ragioni, anche alla luce della condivisa rinuncia agli atti da parte del solo controinteressato costituito, per compensare le spese del grado di giudizio.

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