Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2013-01-29, n. 201300533

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2013-01-29, n. 201300533
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201300533
Data del deposito : 29 gennaio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04591/2011 REG.RIC.

N. 00533/2013REG.PROV.COLL.

N. 04591/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso r.g.n. 4591/2011, proposto dalla Seipa s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall'avv. A M P, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via Crescenzio, 42;

contro

- il Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del ministro in carica, e la Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, in persona del direttore in carica, entrambi rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

- la Regione Lazio, in persona del presidente in carica, n.c.;
- il Comune di Roma, in persona del sindaco in carica, n.c.;
- Montanari Giuliano, n.c.;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. Lazio, Roma, sezione II- quater , n. 33363/2010, resa tra le parti e concernente la dichiarazione di notevole interesse pubblico di un’area sita nel territorio del Comune di Roma, municipio XII, denominata "ambito meridionale dell'agro romano compreso tra le vie Laurentina ed Ardeatina” .


Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati, con tutti gli atti e documenti di causa.

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni statali appellate (Ministero e Direzione generale);

Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2012, il Consigliere di Stato Aldo SCOLA ed uditi, per le parti, l’avv. A M P e l'avvocato dello Stato Tito Varrone.


FATTO

A) La società ricorrente “Seipa” premetteva di esercitare un’attività estrattiva in via di esaurimento in area di sua proprietà in località “Quarto dei Radicelli” con accesso dalla via della Selvotta;

- in località “Tor Tignosa", dal 1976 svolgeva un’attività estrattiva in una cava autorizzata con determinazione dirigenziale del Comune di Roma n. 391/2008, ex art. 35, legge reg. Lazio n. 17/2004;

- in località “Porta Medaglia”, dal 1960 esercitava rispettivamente:

- un'attività estrattiva autorizzata con determinazione dirigenziale del Comune di Roma n. 377 del 23 marzo 2006, ai sensi dell'art. 35, legge reg. Lazio n. 17/2004;

- una discarica dei rifiuti inerti autorizzata con decreto del commissario delegato per l'emergenza ambientale per la Regione Lazio n. 142 del 20 dicembre 2007;

- un impianto di recupero di rifiuti inerti autorizzato con decreto del predetto commissario 19 del 5 maggio 2008;

- un impianto di miscelazione del calcestruzzo risalente al 1992;

- un impianto permanente per la produzione di calcestruzzo, ricostruito nel 2000.

Pertanto, essa impugnava il decreto del Direttore regionale per i Beni Culturali e paesaggistici del Lazio dichiarante, ai sensi dell'art. 141, comma 2, d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, il notevole interesse pubblico dell'area, sita nel comune di Roma, municipio XII, denominata "Ambito meridionale dell'agro romano compreso tra le vie Laurentina ed Ardeatina”, così come individuata dalle norme e dalla relativa cartografia, nella parte in cui, nel rispondere alle osservazioni, con le quali si chiedeva lo stralcio dell’area soggetta ad attività estrattiva, di quella destinata ad ampliamento dell’attività e la considerazione del progetto di discarica, non si pronunciava, tra l’altro, sulla parte relativa all’attività di discarica d’inerti nel perimetro della zona vincolata ed inibiva sia il prosieguo che l’ampliamento dell’attività estrattiva, facendo solo salvo il rinvio ad un successivo riesame di un apposito progetto di cui agli artt. 28 e segg., legge reg. Lazio n. 24/1998.

Il ricorso, premessa una diffusa ricostruzione delle vicende, del quadro normativo generale, e della specifica situazione delle aree interessate, prospettava cinque articolate censure relative alla violazione degli artt. 3, 42 , 97 e 118, comma 3, Cost.;
degli artt. 3 e 14, commi 6- bis e 9, legge n. 241/1990, e s.m.i.;
dell’art. 12, comma 1, legge reg. Lazio n. 17/2004;
degli artt. 136 , 140, comma 2, 146 e 159, codice dei beni culturali e del paesaggio;
dell’art. 17, legge reg. Lazio n. 24/1998;
degli artt. 3 e 28, n.t.a., vincolo;
dell’art. 22, legge 6/12/1991 n. 394;
dell’art. 10, d.lgs. 30 maggio 2008 n.117;
incompetenza;
violazione dei princìpi d’imparzialità, trasparenza, certezza del diritto e legittimo affidamento;
eccesso di potere per sviamento, violazione dei princìpi di buon andamento dell'amministrazione e di leale collaborazione, errore dei presupposti, difetto d’istruttoria e di motivazione, travisamento, carenza di potere e contraddittorietà con precedenti atti della stessa amministrazione e tra le controdeduzioni e l’art. 28, n.t.a..

Si costituiva in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali-Direzione regionale per i beni culturali e paesistici del Lazio, depositando documentazione e resistendo al ricorso con la difesa erariale.

Altrettanto faceva il Comune di Roma, con il suo patrocinio.

B) Si deduceva che, illegittimamente, il Ministero avrebbe esercitato il potere previsto dall’articolo 138, comma 3, d.lgs. n. 42/2004, su un’area già assoggettata a vincolo con il p.t.p.r. (in occasione della cui approvazione avrebbero dovuto procedimentalmente estrinsecarsi le discusse integrazioni e proposte ministeriali), in assenza, dunque, delle finalità di tutela indispensabili per l’esercizio del potere.

Con la sentenza impugnata, il T.a.r. per il Lazio ha respinto il ricorso a spese compensate .

C) La sentenza è stata poi impugnata dall’impresa soccombente per errore di giudizio sotto molteplici profili, trattandosi di area già quasi completamente assoggettata al vincolo dal vigente p.t.p.r.;
vizio di motivazione, essendosi irragionevolmente inserita la discussa area all’interno del paesaggio agrario di rilevante valore ovvero nel paesaggio agrario di continuità;
infine, tutte le doglianze sostanzialmente già dedotte in primo grado.

Le amministrazioni statali appellate si costituivano in giudizio e resistevano al gravame, ribadendo la (parziale inammissibilità del ricorso originario per carenza d’interesse e la) legittimità degli atti gravati: esse hanno richiamato la sentenza del Cons. Stato, sezione VI, n. 7005/2011.

Replicava con due proprie memorie (anche di replica) l’impresa appellante, richiamandosi alle due perizie giurate in atti e ponendo in luce la rarità del materiale estratto nell’area della cava in questione (v. autorizzazione paesistica rilasciata dalla competente Giunta regionale Lazio ed autorizzazione G.r. Lazio n. 656/2000, in atti), con correlativa applicabilità del regime di cui all’art. 17, legge reg. Lazio n. 24/1998, in comb. disp. art. 28, n.t.a. del vincolo, nonché il suo perdurante interesse coltivabile in sede giurisdizionale, nella prospettiva di un’auspicabilmente non interrotta attività aziendale.

All’esito della pubblica udienza di discussione la vertenza passava in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato e va respinto per le ragioni correttamente individuate in primo grado e sintetizzate dal collegio (che le condivide e fa proprie) come segue.

I) La “…tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali…” è affidata in primo luogo alla competenza esclusiva dello Stato, mentre è attribuita alla legislazione concorrente (art. 117, comma 3, Cost.) la “valorizzazione dei beni ambientali”.

L’art. 117, Cost., in realtà, non menziona direttamente tra le materie nominate “il paesaggio”, per cui la predetta disposizione deve essere coordinata con l’art. 9, Cost. che, con una delle disposizioni fondamentali, assegna la “tutela del paesaggio alla Repubblica, e quindi, quando siano in gioco interessi nazionali, allo Stato: il paesaggio non dev’essere limitato al significato di bellezza naturale ma va inteso come complesso dei valori inerenti al territorio” (cfr. Corte cost., sent. 7 novembre 1994, n. 379), mentre il termine “paesaggio” indica essenzialmente l’ambiente complessivamente considerato come bene “primario” ed “assoluto” (arg. ex Corte cost., sentt. 5 maggio 2006 nn. 182 e 183), necessitante di una tutela unitaria e supportata pure da competenze regionali, nell’ambito degli standard stabiliti dallo Stato (arg. ex Corte cost., sent. 22 luglio 2004 n. 259) in quanto, mediante l’imposizione dei vincoli paesistici, si garantisce la tutela del paesaggio ed anche dell’ambiente (cfr. Cons. Stato, sezione VI, sent. 22 marzo 2005 n. 1186).

In effetti, sul territorio gravano più interessi pubblici (non contrastanti, proprio per effetto della previsione della pianificazione paesistica, ma destinati a trovare un equo contemperamento), quali quelli concernenti:

- la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura, secondo le recenti modificazioni al codice, è stata di nuovo riservata in via esclusiva allo Stato;

- il governo, l’uso e la valorizzazione dei beni ambientali, intesi essenzialmente come fruizione e sfruttamento del territorio medesimo, affidati alla competenza concorrente dello Stato e delle regioni, fatta salva l’autonoma potestà tuttora riconosciuta a queste ultime d’individuare, con lo specifico procedimento previsto dall’art. 138 comma 1, “beni paesaggistici” ovvero aree aventi le caratteristiche di notevole interesse pubblico (cfr. Corte cost., sent. 30 maggio 2008 n. 180).

Di regola, dunque, la ripartizione delle competenze in materia di paesaggio è stabilita dall’art. 132 del codice (sostituito dall'articolo 2, comma 1, lettera b) del d.lgs. n. 63/2008) in conformità ai princìpi costituzionali e con riguardo all'applicazione della Convenzione europea sul paesaggio: l’oggetto della tutela del paesaggio non è il concetto astratto di "bellezze naturali", ma l'insieme delle cose, beni materiali o loro composizioni che presentano “valore paesistico”;
pertanto, la tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso ed unitario, dev’essere considerata un valore primario ed assoluto, che precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle regioni, in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali.

II) Il codice, all’art. 131, d.lgs. n. 41/2004 e s.m.i., prevede in linea generale che:

1. Per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni.

2. Il presente codice tutela il paesaggio relativamente a quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell'identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali.

3. Salva la potestà esclusiva dello Stato di tutela del paesaggio quale limite all'esercizio delle attribuzioni delle regioni (e delle province autonome di Trento e di Bolzano: cfr. Corte cost., sent. 29 luglio 2009 n. 226) sul territorio, le norme del presente codice definiscono i princìpi e la disciplina di tutela dei beni paesaggistici .”

Si tratta, in sintesi, di una riappropriazione di potere rispetto all’originaria impronta del codice, che lasciava ampio spazio alle regioni sia nell’autonoma individuazione dei “beni paesaggistici” sia nella gestione di quella parte del paesaggio da recuperare o sviluppare attraverso i piani paesistici estesi a tutto il territorio regionale.

Il potere esclusivo d’intervento dello Stato è specificato proprio nell’articolo 138, comma 3 (nel testo introdotto dall'articolo 2, comma 1, lettera h) , d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63), del codice, per cui

È fatto salvo il potere del Ministero, su proposta motivata del soprintendente, previo parere della regione interessata, che deve essere motivatamente espresso entro e non oltre trenta giorni dalla richiesta, di dichiarare il notevole interesse pubblico degli immobili e delle aree di cui all'articolo 136. ”.

Non si tratta né di una potestà concorrente né sussidiaria né suppletiva, ma di uno speciale ed autonomo potere-dovere d’intervento, caratterizzato da un procedimento in parte differenziato da quello previsto nei primi due commi, che l’ordinamento giuridico ha istituito, attivabile nei casi in cui, in base a valutazioni anche di discrezionalità tecnica, possa essere concretamente a rischio l’interesse costituzionalmente affidato allo Stato: il tutto, in aggiunta al potere sostitutivo in materia di pianificazione paesaggistica disciplinato dagli artt. 156, comma 3, e 143, comma 2, così ribadendosi la coesistenza di un duplice e distinto potere attribuito all’amministrazione centrale, uno in via diretta ed in base ai princìpi costituzionali e l’altro funzionale alla valorizzazione del paesaggio in via sostitutiva (norma di “chiusura” del sistema), per porre una garanzia di tutela effettiva del paesaggio come valore costituzionale.

Come ricordato anche dalla relazione allo schema di decreto legislativo, con la novella (previo parere della conferenza unificata Stato-regioni) è stato riconosciuto e disciplinato “… il potere dello Stato di proporre vincoli paesaggistici, indipendentemente dal concomitante esercizio della medesima attività da parte delle regioni, in conformità, peraltro, a quanto già da tempo stabilito in materia dalla Corte costituzionale con la sentenza 14-24 luglio 1998 n.334 …”, per cui il potere è legittimamente esercitato quando la tutela del bene paesistico prevalga, per scelta del costituente, sulla realizzazione di altri interessi economici.

Ove, nell’ambito del distinto procedimento di pianificazione paesistica e nell’esercizio dei poteri che in tali ipotesi ed in tali fasi la legge attribuisce al Ministero (intese, osservazioni), sorga una divergenza di valutazioni sulla conservazione di oggettivi valori ìnsiti in specifiche aree, la preminenza del valore “paesaggio” implica che debba esser “… fatto salvo il potere del Ministero …” (così la norma) di cui all’art. 138, comma 3, codice, d’imporre, previo parere della regione, autonomi vincoli, se necessario, in rapporto al possibile pregiudizio dei valori paesaggistici del territorio;
donde il riconoscimento del notevole interesse pubblico di una porzione dell’ “Agro romano”, con un legittimo esercizio dello speciale potere d’intervento, in aggiunta alle ordinarie competenze di tutela e valorizzazione che la legge riconosce alla regione.

Per questo l'ampia estensione delle aree vincolate appare assolutamente irrilevante, in quanto una volta riconosciuta l’esistenza dei presupposti per sottoporre a tutela una parte significativa della campagna romana, proprio in quanto avente le caratteristiche del richiamo “identitario”, il vincolo sull'“agro romano” non avrebbe potuto che corrispondere alle dimensioni del territorio con consimili caratteristiche, nell’area tra la Laurentina e l’Ardeatina (malgrado la presenza di zone degradate), senza alcuna violazione del principio di leale collaborazione (con richiamo all’accordo del 1999), in quanto il limite di garanzia del bene, ritenuto idoneo e sufficiente dalla regione in sede di pianificazione e soprattutto di modificazione dei p.t.p. vigenti, con la condivisione delle scelte edificatorie del comune, non era stato ritenuto sufficiente a garantire il ragionevole mantenimento dei valori intrinseci del bene dal titolare dell’autonomo e prevalente potere di tutela.

III) Quando la legge prevede una partecipazione procedimentale della regione, nelle forme del "previo parere”, l'acquisizione del predetto avviso pone al riparo il provvedimento dalle denunce di violazione della leale collaborazione, non essendo tale parere vincolante ed essendo tale forma di collaborazione distinta e meno “forte”della previa intesa (cfr. Corte cost., sent. n. 88/2009;
Cons. St., sez. VI, sent. n. 3895/2008, concernente una diversa fattispecie).

Il Ministero aveva versato in giudizio copia della nota del 10 novembre 2003 (protocollo 335/Segreteria) contenente rilievi (es. carenza delle cartografie nell’evidenziare le aree tutelate) ed osservazioni al p.r.g. del 2003 adottato dal Comune di Roma: il potere esercitato con il provvedimento impugnato va tenuto ben distinto per presupposti e finalità da quello attribuito all’amministrazione con la presentazione di osservazioni agli strumenti pianificatori comunali.

Quanto al fatto che il tavolo di lavoro avviato ( ex d.m. 15 luglio 2009) dopo la prima convocazione non si fosse più riunito (con adozione della proposta di vincolo), evidentemente, le posizioni assunte dai rappresentati della regione e del comune avevano immediatamente rivelato la manifesta impossibilità di giungere a soluzioni condivise, giustificando quindi l’esercizio da parte del Ministero degli speciali poteri di tutela del paesaggio.

Quanto alla mancata collaborazione con la Regione Lazio, l’Avvocatura generale aveva versato in atti:

- le sette note con cui, dal 30 maggio 2007 al 20 luglio 2007, la Soprintendenza aveva puntualmente controdedotto alle osservazioni del Comune di Roma, contenenti le proposte di modificazione dei vigenti p.t.p., ai sensi dell’articolo 23, comma 1, legge reg. Lazio n. 204/1998, nell’ambito della procedura di elaborazione del nuovo p.t.p.r.;

- la nota riepilogativa in data 10 agosto 2007, con cui la Soprintendenza aveva riassunto le problematiche e fornito le motivazioni per il mancato raggiungimento dell’accordo in materia paesistica tra il M.i.b.a.c. e la Regione Lazio, a riprova di come vi fosse stato da parte del Ministero, nelle distinte sedi comunali e regionali, un tentativo di avviare la leale collaborazione, di cui si sarebbe poi lamentata la mancanza.

La Soprintendenza, ex citato art. 138, comma 3, codice, aveva ritualmente acquisito il parere della Regione Lazio, motivando il proprio dissenso dai rilievi in esso contenuti;
il parere del Comitato regionale di coordinamento, il parere del Comitato tecnico-scientifico del Ministero, ritualmente inoltrando la proposta di vincolo al Comune di Roma ed alla Provincia di Roma in data, nell’ambito di una dialettica e di una contrapposizione istituzionale estremamente articolata, nel cui ambito la Soprintendenza aveva agito con il fine di assicurare la conservazione dei valori “identitari” di una vasta area di campagna romana, altrimenti soggetta, con effetto immediato, a causa del metodo seguito per localizzare vasti interventi edificatori, ad una trasformazione urbanistico-edilizia snaturante, se colta nel suo complesso, mentre il comune e la regione apparivano determinati a collocare nuovi e consistenti interventi edilizi sulle aree dell’agro romano con il nuovo p.r.g. e con le modificazioni dei p.t.p. vigenti, anticipando la conclusione del procedimento di approvazione del nuovo p.t.p.r..

Il provvedimento del Ministero risulta, dunque, legittimamente motivato con la richiamata necessità della conservazione degli elementi costitutivi delle morfologie dei beni paesaggistici, in relazione alle tipologie architettoniche, alle tecniche ed ai materiali costruttivi, oltre che di ripristino dei valori paesistici,

Il vincolo si pone in una linea di perfetta continuità con le osservazioni al progetto di p.t.p.r. della Soprintendenza, come provato le numerose fotografie allegate alle medesime, che restituiscono, in maniera plastica, la bellezza, la storicità e la particolarità di un territorio unico sotto il profilo estetico, storico, culturale e paesistico, la cui distruzione costituirebbe una perdita per l'intera collettività nazionale.

IV) E’ infondata la tesi dedotta dall’appellante, secondo cui vi sarebbe stata un'indebita pianificazione territoriale, in quanto la presenza di norme di attuazione del vincolo avrebbe costituito un preciso dovere di legge: tali norme “sostituiscono” le previsioni del piano non perché il Ministero abbia inteso pianificare in sostituzione della regione, ma perché l’individuazione dei beni paesaggistici meritevoli di tutela s’impone e prevale sul potere pianificatorio regionale, a prescindere dal tempo in cui tale esigenza si sia manifestata, poiché, pur dopo l’adozione del piano paesistico ed anche dopo la sua approvazione, laddove si manifestino nuove esigenze di tutela del paesaggio, sia la regione sia l’amministrazione centrale possono continuare ad agire, in presenza dei necessari presupposti, ed i relativi provvedimenti “sostituiscono” integralmente le previsioni pianificatorie semplicemente per effetto della supremazia, sancita dalla Costituzione e dal codice, del relativo potere di conservazione e tutela su quello di pianificazione ad ogni livello esercitato (l’art. 140, comma 2, applicabile anche al procedimento di cui all’art. 138, comma 3, per effetto dell’art. 141, per il quale " la dichiarazione di notevole interesse pubblico detta la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerata ", senza “limiti spaziali”, volendo il codice assicurare tale conservazione del territorio nella massima misura compatibile con l'esigenza del mantenimento degli elementi costituenti l’essenza stessa del richiamo “identitario”.

In effetti, il piano paesistico regionale e la pianificazione urbanistica comunale, sotto il profilo temporale e procedimentale, attengono dunque ad una fase successiva e recessiva rispetto a quella d’imposizione del vincolo, mentre la tutela paesaggistica, lungi dall’essere subordinata alla pianificazione urbanistica comunale, deve precedere ed orientare le scelte urbanistico-edilizie locali, prevalendo, comunque, l’impronta unitaria della pianificazione paesistica (cfr. Corte cost., sent. n. 180/2008 cit.).

Il carattere di autonomia e specialità del potere di cui all’art. 138, comma 3, lo rende dunque esercitabile senza che il Ministero sia vincolato dalla pianificazione locale, in quanto la norma, se prevede il parere della regione, non impone assolutamente di procedere “previa intesa” con la stessa, secondo un principio rintracciabile anche nell’art. 145, d.lgs. n. 42/2004, e s.m.i. (non modificato in modo significativo dal d.lgs. 26 marzo 2008 n. 63, per quanto interessante la questione.

D’altra parte, a loro volta, le previsioni allegate alla dichiarazione di notevole interesse pubblico (ovvero la specifica disciplina di cui all’art. 140, cit.) costituiscono “parte integrante del piano paesaggistico”, non “suscettibile di rimozioni o modifiche nel corso del procedimento di redazione o revisione del piano medesimo”.

Né può condividersi l'affermazione per cui il compendio individuato non avrebbe costituito né un circoscritto, ed individuato, “complesso di beni” e nemmeno un “quadro panoramico”, ma sarebbe stata una vasta porzione di territorio non dissimile da qualsiasi altro terreno agricolo del Lazio.

Il testuale dettato dell'art. 136 (come modificato di recente), infatti, non pone limiti alle possibilità di vincolo in riferimento a: “ c) i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici;
d) le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze
”.

L'espressione “ complesso di cose immobili ” richiede la relativa contiguità o, per lo meno, la vicinanza delle aree interessate che, seppur differenziate al loro interno, e sebbene non omogenee, costituiscono nel loro insieme inscindibile un unico complesso paesaggistico;
pertanto, in base alla nuova normativa, l'imposizione del vincolo non può più essere subordinata all'esistenza di punti di vista dai quali si possa godere di una visione estetico-panoramica (punti di vista peraltro individuati specificamente nel contesto del provvedimento), perché la legge tutela il paesaggio di per sé come valore autonomo, sintesi e somma del rilievo naturalistico, ambientale, archeologico, culturale ed umano, del territorio (v. le osservazioni dei cittadini singoli ed associati, con la richiesta alla stessa Soprintendenza di estendere, e non diminuire, l’area vincolata).

Anche sotto il profilo della correttezza e della sussistenza dei presupposti di fatto gli obiettivi di tutela individuati appaiono corrispondenti alla situazione concreta, trattandosi di un ampio territorio che mantiene ancora l'alta qualità paesaggistica della campagna romana, sia sotto il profilo paesistico che per la presenza di antichi casali, rustici e vetuste fortificazioni, proprio in ragione della vastità della porzione di territorio individuata.

V) La finalità del provvedimento di tutela - l'arresto o la guidata trasformazione e riqualificazione mirante a scongiurare l’indiscriminato consumo del territorio - appare del tutto legittima sul piano degli interessi pubblici generali, in quanto l’ulteriore espansione edilizia in periferia consumerebbe enormi quantità di terreno agricolo di notevole pregio, e di grande valore secolare, mentre il riconoscimento del valore intrinseco del bene che giustifica il vincolo garantisce la conservazione di un ambito finora non compromesso da scelte pianificatorie o di sviluppo urbanistico, dato che la pressione edilizia sulle aree avrebbe in sostanza sottratto il 13% di una porzione di grande pregio paesaggistico (urbanizzando un’estensione di più di 70 ettari di campagna).

Le motivazioni tecnico scientifiche e le considerazioni dell'interesse pubblico perseguito, poste a base del provvedimento, appaiono del tutto sufficienti sul piano della logica e della razionalità, soprattutto per la puntualità e coerenza delle analisi concernenti i singoli ambiti interessati al provvedimento (anche in rapporto alla problematica specificamente sollevata quanto alle cave, per cui deve solo interpretarsi correttamente la relativa regolamentazione).

In sostanza, la scelta assolutamente necessitata in rapporto all'esigenza di tutela dell'agro romano appare congruamente motivata e razionalmente coerente con l'esigenza di tutelare gli ultimi spazi rimasti di un territorio che senza il provvedimento sarebbe stato irrimediabilmente compromesso, quanto meno, nell’ottica di una tutela seria e ragionevole, non senza considerazione degli interessi dei privati ai quali, anziché precludere ogni intervento, nei casi di situazioni consolidate di aspettativa qualificata, si è solo richiesto di procedere ad un ridimensionamento condiviso degli interventi in via di assentimento, in sede di rinnovata valutazione dell’edificazione ritenuta compatibile con il vincolo, ove i diretti interessati potranno far valere eventuali incongruenze o l’illegittimità di scelte eccessivamente penalizzanti o incoerenti con l’ambito d’incidenza.

Le conseguenze sfavorevoli, nei confronti dei titolari di diritti edificatori riconosciuti “in compensazione” della cessione delle aree interessate, e l’eventuale lesione dell’affidamento di questi sulla potenzialità edificatoria dell’area, a seguito del recepimento dei relativi programmi urbanistici nel nuovo p.r.g., pur potendo configurare una situazione degna di considerazione al fine del riconoscimento da parte del comune, che abbia acquisito aree private proprio sulla base del principio di compensazione, non costituiscono tuttavia circostanze ostative all’esercizio del potere di competenza della Soprintendenza, precludendo alla stessa la possibilità di attivarsi, sia pure non tempestivamente, per salvaguardare i beni sottoposti alla sua tutela.

In altri termini, gli effetti prodotti sulle situazioni consolidate sono gli stessi che si realizzano ogni volta che si adottino su date aree provvedimenti di dichiarazione di notevole interesse pubblico.

Il limite alla valutazione della dedotta disparità di trattamento è rappresentato dalle modalità di esercizio del potere e dall’estensione della relativa sindacabilità, in presenza di una discrezionalità travalicante nel merito.

Tali essendo i parametri, allo stato degli atti, le apparenti discriminazioni non raggiungono un’evidenza ed un’oggettività tali da risultare censurabili, poiché le varie posizioni non sono mai identiche, o per il diverso stato dei procedimenti cui si ricollegano posizioni di diritto soggettivo o di aspettativa qualificata, o per la differente qualificazione e tipicizzazione delle singole porzioni di agro, sia nei precedenti strumenti sia nel nuovo provvedimento, che ha chiaramente individuato le aree suscettibili di trasformazione “ guidata”, estrapolandole da quelle ancora intatte.

VI) Il provvedimento impugnato è stato emanato ai sensi dell’art. 141, comma 2, del codice, sulla base dei relativi articoli 136, 138, 139 e 140, e perciò nell’esercizio del potere del Ministero di dichiarare il notevole interesse pubblico di beni paesaggistici ad esso attribuito dall’art. 138, comma 3, potere autonomo rispetto a quello attribuito alle regioni per corrispondenti esigenze di tutela, considerato che:

a) nell’ambito della disciplina dell’iter di formazione della dichiarazione di notevole interesse pubblico, la medesima disposizione prevede che comunque è “ fatto salvo il potere del Ministero ” su proposta motivata del soprintendente, previo parere della regione interessata, “ di dichiarare il notevole interesse pubblico degli immobili e delle aree di cui all'articolo 136 ”;

b) ai sensi dell’art. 140, comma 2, del codice (richiamato dall’art. 141, concernente i provvedimenti ministeriali), la dichiarazione espressa dal Ministero diviene “ parte integrante del piano paesaggistico ” di cui all’art. 135 “ e non è suscettibile di rimozioni o modifiche nel corso del procedimento di redazione o revisione del piano medesimo ”.

In considerazione della titolarità, in capo allo Stato, dei poteri sussistenti in materia (sulla base soprattutto dell’art. 9, Cost.), la normativa del codice ha, dunque, stabilito espressamente l’autonomia del potere ministeriale di disporre il vincolo paesaggistico (rispetto al corrispondente potere attribuito alla regione sulla base della legislazione poi trasfusa nel codice del 2004), mediante determinazioni che hanno ipso iure l’effetto della conseguente e corrispondente integrazione del piano regionale, qualora già emanato.

In questo quadro si rileva che, storicamente, la previsione della inserzione dei vincoli paesaggistici nel piano paesaggistico risale alla stessa legge n. 1497 del 1939, che all’art. 5 dava facoltà alla p.a. di redigere il piano (“piano territoriale paesistico”) con riguardo alle località definite come “vaste”, di cui ai punti n. 3 e n. 4 dell’art. 1;
con la legge n. 431 del 1985 il rapporto tra il piano e i vincoli non era stato più considerato eventuale, venendo prevista la redazione obbligatoria, da parte delle regioni, dei piani paesistici (ovvero di piani urbanistico-territoriali), con particolare riguardo ai beni ed alle aree vincolate, ai sensi di legge, al fine della pianificazione della relativa tutela (art.

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