Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-06-11, n. 201203401

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-06-11, n. 201203401
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201203401
Data del deposito : 11 giugno 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 08665/2005 REG.RIC.

N. 03401/2012REG.PROV.COLL.

N. 08665/2005 REG.RIC.

N. 08666/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8665 del 2005, proposto dal signor A N, rappresentato e difeso dall'avv. G B, con domicilio eletto presso lo studio De Angelis in Roma, via Portuense, 104;

contro

Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza per i beni architettonici e il paesaggio e per il patrimonio storico, artistico e demoetnoantropologico di Napoli, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
il Comune di Pozzuoli, non costituitosi nel secondo grado del giudizio;



sul ricorso numero di registro generale 8666 del 2005, proposto dal signor G N, rappresentato e difeso dall'avvocato G B, con domicilio eletto presso lo studio De Angelis in Roma, via Portuense, 104;

contro

Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza per i beni architettonici e il paesaggio e per il patrimonio storico, artistico e demoetnoantropologico di Napoli, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
il Comune di Pozzuoli, non costituitosi nel secondo grado del giudizio;

per la riforma della sentenza del T.A.R. Campania – Napoli, 22 luglio 2005, n. 10214;


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2012 il Cons. C C e uditi per le parti l’avvocato Basile e l’avvocato dello Stato Venturini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il signor A N (appellante nel ricorso n. 8665/2005) e il signor G N (appellante nel ricorso n. 8666/2005) riferiscono di avere acquistato nel corso del 1993 dai signori Pinzero alcune porzioni di un immobile ubicato nel Comune di Pozzuoli (il cui territorio è stato per intero dichiarato di notevole interesse pubblico con D.M. 12 settembre 1957).

Riferiscono, altresì, che nel corso del 1986 i loro danti causa avevano presentato al Comune di Pozzuoli una istanza di concessione edilizia in sanatoria per l’immobile in questione, ai sensi del capo IV della legge 28 febbraio 1985, n. 47.

Risulta agli atti che in data 10 gennaio 2005 il competente dirigente comunale, conformandosi sul punto a quanto stabilito dalla Commissione edilizia integrata, ebbe a rilasciare il parere/nulla-osta ai fini paesistici, prodromico al rilascio del richiesto titolo edilizio in sanatoria.

Nell’occasione, il Comune di Pozzuoli rilevò che il parere favorevole poteva essere rilasciato, in quanto “ trattasi di piccolo fabbricato bifamiliare di analoghe tipologie e misure dei manufatti circostanti. Il manufatto è limitrofo a zona densamente edificata e pertanto non determina impatto ambientale ”.

L’atto in questione veniva trasmesso alla competente Soprintendenza, la quale con due distinti provvedimenti di analogo contenuto, dispose l’annullamento degli atti di assenso rilasciati dal Comune ai sensi del comma 4 dell’articolo 151 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490..

Nell’occasione, l’organo statale osservò che gli atti comunali fossero viziati per eccesso di potere e difetto di motivazione in ordine alle ragioni che avevano indotto a ritenere assentibile il manufatto, nonostante i rilevanti vincoli esistenti sull’area.

In definitiva, la Soprintendenza osservava che il Comune avesse omesso di tenere in adeguata considerazione: a) l’incomparabile valore estetico e tradizionale che caratterizza l’area;
b) il notevole ingombro planivolumetrico del manufatto (pari a circa 1.200 mc);
c) il fatto che “ la tipologia e le tecniche costruttive adottate (cemento armato) contrastano con il carattere prevalentemente rurale dell’area interessata (Coste di Cuma), caratterizzate dalle coltivazioni tipiche del luogo (…) ”.

Il provvedimento in questione veniva, quindi, impugnato dai signori A e G N dinanzi al T.A.R. della Campania il quale, con due sentenze di analogo contenuto (num. 10214/2005 e 10213/2005) respingeva i ricorsi ritenendoli infondati.

Le sentenze in questione venivano impugnate con distinti atti di appello di analogo contenuto (appello n. 8665/2005 e 8666/05) dai signori A e G N, i quali ne chiedevano la riforma, articolando plurimi motivi di doglianza.

Con il primo motivo, essi lamentano che i provvedimenti di annullamento del nulla-osta paesaggistico siano viziati per avere operato una illegittima sovrapposizione fra le valutazioni di merito dell’organo statale e quelle demandate all’Autorità ordinariamente deputata alla tutela paesaggistica (nella Regione Campania, i Comune sub-delegati ai sensi della legislazione regionale).

In definitiva, il Tribunale avrebbe omesso di rilevare che, sotto le ‘dichiarate spoglie’ di un provvedimento adottato per ragioni di legittimità, la Soprintendenza aveva occultato un (illegittimo) provvedimento volto ad operare una nuova valutazione tecnico-discrezionale in ordine all’incidenza del manufatto sui valori paesaggistici dell’area.

Inoltre, il provvedimento della Soprintendenza risulterebbe viziato:

- per avere omesso di valutare il carattere ormai intensamente urbanizzato dell’area, il quale rendeva implausibile la motivazione fondata sul valore paesistico della stessa;

- per avere erroneamente enfatizzato il contrasto fra le caratteristiche costruttive dell’immobile in questione (realizzato in cemento armato) e le caratteristiche tradizionali dell’edificato esistente nell’area. Al contrario, si tratterebbe di immobile realizzato in conci di tufo, e quindi pienamente compatibile con la tradizione costruttiva della zona interessata;

- per avere omesso di valutare la preesistenza del manufatto alla c.d. ‘legge-ponte’ del 1967 (ciò, sarebbe dimostrato in modo inequivoco da alcune aerofotogrammetrie dell’area);

- per avere valutato in circa 1.200 mc. la consistenza del manufatto (il quale ammonterebbe, al contrario, a 1.000 mc.);

- per avere ritenuto esistente sull’area un vincolo di inedificabilità assoluta, in tal modo omettendo di valutare le previsioni di cui all’articolo 39, comma 20, della l. 724 del 1994.

Inoltre, l’operato della Soprintendenza risulterebbe caratterizzato da contraddittorietà e disparità di trattamento, risultando in atti che, in precedenza, numerosi immobili similari erano stati ammessi alla sanatoria con l’assenso della stessa Soprintendenza.

Con il secondo motivo, i signori N lamentano che il Tribunale abbia mancato di rilevare i numerosi errores in procedendo che viziavano l’operato della Soprintendenza.

In particolare, il provvedimento statale di annullamento sarebbe viziato: a) per omessa comunicazione di avvio dello speciale endoprocedimento volto alla verifica di legittimità e all’eventuale annullamento dell’atto regionale;
b) per violazione dell’articolo 10- bis della legge 241 del 1990, in tema di preavviso di rigetto;
nonché c) per violazione dell’articolo 21- octies della medesima legge, relativo alle c.d. ‘illegittimità non invalidanti’.

Sotto tale aspetto, non potrebbe dirsi che l’Amministrazione abbia fornito in corso di giudizio la prova del fatto che, anche in caso di un maggiore coinvolgimento procedimentale, l’esito della vicenda non avrebbe potuto essere in concreto diverso. Al contrario, laddove l’Amministrazione avesse debitamente valutato la perizia giurata versata in atti, non avrebbe potuto che concludere nel senso del carattere illegittimo dell’annullamento del nulla-osta comunale.

Con il terzo motivo di appello i signori N lamentano che i primi giudici abbiano omesso di rilevare il carattere tardivo del provvedimento statale di annullamento, adottato oltre il termine di sessanta giorni stabilito dal comma 4 dell’articolo 151 del d.lgs. 490 del 1999.

Al riguardo, il T.A.R. avrebbe omesso di considerare che il Comune di Pozzuoli aveva trasmesso la documentazione completa in data 10 gennaio 2005, mentre il provvedimento di annullamento risulta adottato soltanto in data 21 marzo 2005. Al contrario, non sussisterebbe alcuna prova documentale di quanto affermato dalla Soprintendenza, secondo cui il provvedimento di annullamento era tempestivo in quanto la documentazione in questione sarebbe effettivamente pervenuta solo in data 21 gennaio 2005.

Con il quarto motivo (riproduttivo di analogo motivo già articolato in primo grado) si lamenta l’illegittimità derivata che vizierebbe gli atti con cui il Comune di Pozzuoli ha trasmesso il provvedimento della Soprintendenza.

Con il quinto motivo, gli appellanti lamentano l’insussistenza nel caso di specie dei presupposti e delle condizioni di legge per rendere una decisione in forma semplificata.

Laddove, infatti, i primi giudici avessero compiutamente apprezzato tutte le circostanze rilevanti, essi avrebbero necessariamente dovuto concludere nel senso dell’incompletezza dell’istruttoria, che avrebbe richiesto una adeguata attività di integrazione.

Si costituiva nei giudizi il Ministero per i beni e le attività culturali, il quale concludeva nel senso della reiezione di entrambi gli appelli.

Con due distinte ordinanze rese all’esito della Camera di consiglio del 29 novembre 2005, questo Consiglio respingeva l’istanza di sospensione cautelare delle sentenze in epigrafe. Nell’occasione la Sezione osservava che “il nulla-osta paesaggistico annullato con il decreto ministeriale impugnato in prime cure non è sorretto da adeguata motivazione in relazione alla compatibilità dell’intervento edilizio con i valori tutelati in sede di vincolo”.

All’udienza pubblica del 21 febbraio 2012 gli appelli in epigrafe sono stati trattenuti in decisione.

DIRITTO

1. Giungono alla decisione del Collegio due ricorsi in appello (di analogo contenuto) proposti dai proprietari di un immobile sito nel Comune di Pozzuoli avverso le sentenze T.A.R. della Campania con cui sono stati respinti i ricorsi avverso il provvedimento con cui la Soprintendenza di Napoli ha annullato l’autorizzazione paesistica rilasciata dal Comune di Pozzuoli in relazione a un immobile abusivo realizzato in area di notevole interesse pubblico (articolo 151 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490).

2. In primo luogo il Collegio ritiene di disporre la riunione dei ricorsi in epigrafe, sussistendo evidenti ragioni di carattere oggettivo e in parte soggettivo (art. 70, c.p.a.).

3. Gli appelli sono infondati.

4. In primo luogo, si rileva che è infondato il motivo con cui si lamenta che i provvedimenti di annullamento del nulla-osta paesaggistico siano viziati per avere operato una indebita sovrapposizione fra le valutazioni di merito dell’organo statale e quelle demandate all’Autorità comunale, deputata alla tutela paesaggistica in base alla legislazione regionale.

Al riguardo, l’esame degli atti di causa consente di affermare che le ragioni poste a fondamento del decreto di annullamento adottato dalla Soprintendenza fossero contenute entro l’ambito dei motivi di legittimità, con particolare riguardo al difetto di motivazione relativo al rilasciato nulla-osta e all’eccesso di potere per carenza dei presupposti in fatto e in diritto per il rilascio del nulla-osta paesistico.

Sotto tale aspetto deve trovare nel caso in esame conferma l’orientamento giurisprudenziale (rilevante ratione temporis, circa la normativa applicabile prima dell’entrata in vigore dell’art. 146 del Codice n. 42 del 2004), secondo cui, fermo il principio in virtù del quale la Soprintendenza dei beni culturali non può annullare l'autorizzazione paesaggistica rilasciata dall’Ente preposto sulla base di un’autonoma valutazione tecnico-discrezionale riguardo alla compatibilità dell'intervento con il vincolo gravante sul terreno, nondimeno è legittimo l'atto di annullamento del nulla-osta ad opera della Soprintendenza per carenza di motivazione e per violazione delle prescrizioni del Piano territoriale paesistico (in tal senso – ex plurimis : Cons. Stato, VI, 23 febbraio 2010, n. 1070).

Si è condivisibilmente osservato al riguardo che il potere di annullamento dell'autorizzazione paesaggistica da parte della Soprintendenza Statale non comporta un riesame complessivo delle valutazioni compiute dalla Regione (o da un ente sub-delegato), tale da consentire la sovrapposizione o sostituzione di una nuova valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio dell'autorizzazione, ma si estrinseca in un vaglio di legittimità che si estende però a tutte le ipotesi riconducibili all'eccesso di potere, ad esempio per difetto di istruttoria e di motivazione, anche sotto il profilo di inadeguata valutazione delle circostanze.

Laddove, poi, l'autorità statale ravvisi una carenza motivazionale o istruttoria, costituente vizio di legittimità, nell'atto oggetto del suo scrutinio in quella sede di cogestione del vincolo, la stessa è chiamata ad evidenziare tali vizi con una motivazione che deve, necessariamente, impingere, per risultare a sua volta immune di vizi di legittimità, la valutazione della compatibilità o meno dell'intervento edilizio programmato rispetto ai valori paesaggistici compendiati nel vincolo (in tal senso: Cons. Stato, VI, 21 settembre 2011, n. 5292).

Per quanto concerne, poi, la questione relativa al se l’esame da parte della Soprintendenza in ordine alla carenza di motivazione del nulla-osta determini a propria volta un indebito sconfinamento nelle valutazioni di merito demandate all’amministrazione, si osserva che anche tale questione è stata esaminata e risolta dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. la ricostruzione desumibile dalla decisione dell’Adunanza Plenaria n. 9 del 2001).

In particolare, si è osservato al riguardo che il decreto del Soprintendente con il quale si annulla il nulla-osta paesaggistico rilasciato dal Comune – anche in sede di esame della istanza di sanatoria di opere abusive - è legittimo laddove fondato sul difetto di motivazione della decisione comunale. Infatti l’Autorità statale, quale presidio posto ad estrema tutela del vincolo, può valutare se l'ente locale abbia considerato tutti gli aspetti della concreta fattispecie in esame e può finanche procedere ad un rinnovo e ad un ampliamento dell'istruttoria senza che tale attività comporti una indebita sovrapposizione di competenze (in tal senso: Cons. Stato, V, 3 dicembre 2010, n. 8411).

Questo essendo il prevalente – e qui condiviso – quadro giurisprudenziale entro il quale operare l’esame della vicenda di causa, ne consegue il carattere non illegittimo della determinazione di annullamento impugnata in primo grado, ove si consideri che:

- il Comune, in sede di rilascio del nulla-osta, si era limitato a fornire una motivazione del tutto sintetica e che nulla indicava circa le ragioni per cui l’intervento era da considerarsi compatibile con il vincolo insistente sull’area (il parere risultava favorevole ma apodittico, in quanto “ trattasi di piccolo fabbricato bifamiliare di analoghe tipologie e misure dei manufatti circostanti. Il manufatto è limitrofo a zona densamente edificata e pertanto non determina impatto ambientale ”);

- del tutto correttamente, al fine di far rilevare i lamentati vizi di carenza istruttoria e di motivazione, l’organo statale ha richiamato le ragioni che non consentivano di ritenere adeguato l’operato del Comune, parametrando necessariamente tale richiamo alla valutazione della compatibilità o meno dell'intervento edilizio programmato rispetto ai valori paesaggistici compendiati nel vincolo.

Né può trovare accoglimento il motivo con cui si lamenta che la Soprintendenza abbia omesso di valutare il carattere ormai intensamente urbanizzato dell’area, il quale rendeva implausibile la motivazione fondata sul valore paesistico della stessa.

Sotto tale aspetto deve richiamarsi il consolidato (e qui condiviso) orientamento secondo cui l’avvenuta edificazione di un'area o le sue condizioni di degrado non costituiscono ragione sufficiente per recedere dall'intento di proteggere i valori estetici o paesaggistici ad essa legati, poiché l'imposizione del vincolo costituisce il presupposto per l'imposizione al proprietario delle cautele e delle opere necessarie alla conservazione del bene e per la cessazione degli usi incompatibili con la conservazione dell'integrità dello stesso (in tal senso – ex plurimis -: Cons. Stato, VI, 12 luglio 2011, n. 4196; id ., VI, 15 giugno 2011, n. 3644; id , VI, 20 gennaio 2003, n. 203).

Le avvenute modifiche dello stato dei luoghi non consentono dunque – anche in sede di esame di istanze di sanatoria - di ritenere compatibile col vincolo paesistico qualsiasi costruzione, dovendo l’amministrazione preposta alla tutela del vincolo valutare se la presenza dell’immobile in questione sia compatibile con i valori tutelati e, anzi, se essa precluda la riqualificazione dell’area (che costituisce una finalità primaria perseguita dalle leggi, in coerenza con il valore primario dei valori tutelati dall’art. 9 della Costituzione).

Si è osservato al riguardo che la qualificazione di rilevanza paesaggistico-ambientale di un sito non è determinata dal suo grado di inquinamento o alterazione - perché, allora, in tutti i casi di degrado ambientale sarebbe preclusa ogni ulteriore protezione del paesaggio riconosciuto meritevole di tutela -, con la conseguenza per cui l’esistenza del relativo vincolo serve piuttosto anche a prevenire l’aggravamento della situazione ed a perseguirne il possibile recupero (Cons. Stato, VI, 27 aprile 2010, n. 2377).

Ed ancora, non può giungersi a conclusioni diverse da quelle sin qui evidenziate in relazione all’asserito errore che sarebbe stato commesso dalla Soprintendenza fra le caratteristiche costruttive dell’immobile in questione (realizzato in cemento armato) e le caratteristiche tradizionali dell’edificato esistente nell’area.

Sotto tale aspetto, si deve osservare che l’affermazione in questione rappresenta una soltanto delle ragioni – e, invero, non quella determinante - che hanno indotto l’organo statale a ravvisare l’illegittimità del rilasciato nulla-osta.

Ebbene, sotto tale aspetto deve farsi applicazione del consolidato – e qui condiviso – orientamento secondo cui a fronte di un atto amministrativo negativo il quale fondi la decisione reiettiva su una pluralità di ragioni ostative, ciascuna delle quali risulterebbe di per sé idonea a supportarla, l'impugnativa svolta in sede giurisdizionale avverso tale decisione non può trovare accoglimento se anche uno solo dei motivi di doglianza resista alle censure mosse (in tal senso: Cons. Stato, VI, 7 giugno 2011, n. 3416; id , VI, 26 luglio 2010, n. 4864).

Peraltro, anche sotto il profilo sostanziale risulta una valutazione di merito quella secondo la quale il manufatto – in quanto posto nell’ambito della Costa di Cuma e in una zona caratterizzata da coltivazioni tipiche del luogo – di per sé contrasta con il carattere rurale dei luoghi.

Ancora, non può essere condiviso l’argomento secondo cui la Soprintendenza – e in seguito il T.A.R. – avrebbero omesso di valutare la preesistenza del manufatto alla c.d. ‘legge-ponte’ del 1967 (circostanza che sarebbe dimostrata da alcune aerofotogrammetrie dell’area).

Al riguardo si osserva in primo luogo che la vicenda di causa nasce da una richiesta di concessione edilizia che lo stesso richiedente aveva qualificato come richiesta in sanatoria a fronte della realizzazione di un immobile abusivo ai sensi della l. 47 del 1985.

Non è dunque possibile che in sede processuale vi sia una deduzione contra factum proprium.

In secondo luogo si osserva che, anche a voler ammettere che l’intervento edilizio risalisse ad epoca anteriore al 1967, ciò non consentirebbe di accogliere le tesi degli appellanti, in quanto il vincolo sull’area è stato apposto con decreto ministeriale in data 12 settembre 1957.

In terzo luogo, si osserva che dall’esame della documentazione in atti (e, in particolare, dall’esame delle aerofotogrammetrie) non appare invero provato che l’immobile in questione, con i sue due livelli, esistesse in situ già nel 1950.

Ed ancora, non può ritenersi rilevante ai fini del decidere la circostanza per cui l’effettiva volumetria del fabbricato ammonterebbe a circa 1.200 mc e non a 1.000, come invece affermato dalla Soprintendenza.

Al riguardo si osserva che, anche ad ammettere che la cubatura dell’edificio sia pari a circa 1000 mc. e a prescindere dai criteri applicati per il suo computo, ciò non priverebbe di fondatezza il giudizio relativo al “ notevole ingombro plano-volumetrico del fabbricato ”, contenuto nel provvedimento impugnato in primo grado.

Neppure può trovare accoglimento il motivo di appello con cui si lamenta che la Soprintendenza abbia ritenuto esistente sull’area un vincolo di inedificabilità assoluta, in tal modo omettendo di valutare le previsioni di cui all’articolo 39, comma 20 della l. 724 del 1994.

Al riguardo, la tesi dell’appellante muove dal presupposto secondo cui la Soprintendenza (e in seguito il T.A.R.) avrebbero ritenuto che la tipologia di vincolo insistente sull’area comportasse una radicale inedificabilità, in tal modo rendendo applicabile la previsione di cui all’articolo 33 della l. 47 del 1985.

Tuttavia, l’argomento in questione non può essere condiviso, in quanto l’intera procedura all’origine dei fatti di causa è stata svolta sulla base della previsione di cui all’articolo 32 della medesima legge (la quale presuppone l’esistenza di vincoli diversi da quelli comportanti l’assoluta inedificabilità dell’area) e, in particolare, sulla base dei commi 1 e 4 del medesimo articolo.

Come è noto, la procedura di cui all’articolo 32, pur non muovendo dal presupposto della radicale inedificabilità dell’area, mira a stabilire (attraverso l’acquisizione del parere da parte dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo) se l’immobile realizzato possa comunque essere ritenuto compatibile con i limiti e le caratteristiche del vincolo insistente sull’area.

La Soprintendenza ha univocamente rilevato come l’atto comunale fosse illegittimo, per la assenza di valutazione sugli interessi pubblici lesi in concreto.

E ancora, non può trovare accoglimento il motivo di appello con cui si è lamentato che l’operato della Soprintendenza risulterebbe caratterizzato da contraddittorietà e disparità di trattamento, risultando in atti che, in precedenza, numerosi immobili similari erano stati ammessi alla sanatoria con l’assenso della stessa Soprintendenza.

Al riguardo si ritiene che la questione debba essere risolta facendo applicazione del consolidato – e qui condiviso – orientamento secondo cui la censura di eccesso di potere per disparità di trattamento a fronte di scelte discrezionali dell'Amministrazione è riscontrabile soltanto in caso di assoluta identità di situazioni di fatto e di conseguente assoluta irragionevole diversità del trattamento riservato, situazioni la cui prova rigorosa deve essere fornita dall'interessato, con la precisazione che la legittimità dell'operato della p.a. non può comunque essere inficiata dall'eventuale illegittimità compiuta in altra situazione (in tal senso – ex plurimis -: Cons. Stato, VI, 30 giugno 2011, n. 3894; id , VI, 11 gennaio 2011, n. 79; id , VI, 3 dicembre 2010, n. 8411).

Peraltro, la deduzione degli appellanti va respinta anche per un distinto ordine di considerazioni.

Quando si tratta di provvedimenti di condono, l’avvenuta sanatoria di un manufatto o di più manufatti – in una zona – non incide sul potere-dovere delle pubbliche autorità di valutare se i vincoli non urbanistici siano tali da precludere in concreto l’accoglimento dell’istanza dell’interessato.

Proprio l’ottica della salvaguardia e del recupero dei luoghi alterati o degradati deve indurre l’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo a verificare se l’immobile oggetto di esame sia davvero meritevole di essere sanato, ovvero se - per la sua ubicazione, consistenza, visibilità, caratteristiche costruttive e per ogni altro aspetto valutabile in sede amministrativa – esso non risulti compatibile con i valori tutelati dalle legge o dal provvedimento impositivo del vincolo.

5. Il secondo motivo, con cui si è lamentato che il provvedimento di annullamento adottato dalla Soprintendenza non fosse stato preceduto dalla prescritta comunicazione di avvio, è infondato.

Al riguardo il Collegio premette che, nel sistema successivo all’entrata in vigore del d.lgs. 42 del 2004, cit., la comunicazione di avvio del procedimento finalizzato all’annullamento del nulla osta paesaggistico da parte del competente organo statale non richieda più la previa comunicazione ex art. 7, l. 241 del 1990.

Tanto, in base al disposto di cui al comma 1 dell’art. 159, d.lgs. 42, cit. il quale (innovando in parte quÄ� rispetto al previgente disposto di cui all’art. 151 del d.lgs. 490 del 1999) stabilisce in modo espresso che la comunicazione relativa all’avvenuto rilascio del nulla osta da parte dell’Ente a ciò competente “ costituisce avviso di inizio di procedimento, ai sensi e per gli effetti della legge 7 agosto 1990, n. 241 ”.

In realtà, il superamento dell’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento in caso di annullamento del nulla osta paesistico risale ad un periodo ancora anteriore rispetto all’entrata in vigore del testo unico del 2004.

Ed infatti, l’art. 2 del D.M. 19 giugno 2002, n. 165, modificando la previsione di cui all’art. 4 del D.M. 13 giugno 1994 (‘ Regolamento concernente disposizioni di attuazione degli articoli 2 e 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241, riguardanti i termini e i responsabili dei procedimenti ’) ha espressamente chiarito che la comunicazione in questione non sia dovuta ( inter alia ) a fronte del complessivo procedimento – ad istanza di parte – volto al rilascio del nulla osta paesaggistico.

L’approccio in questione è stato confermato da un condiviso orientamento di questo Consiglio, il quale – così ribadendo un orientamento di questo Consiglio che risultava pacifico sino al 1999 con riferimento al quadro normativo precedente, come introdotto dalla legge n. 431 del 1985 - ha appunto avuto modo di chiarire che, a seguito dell'entrata in vigore del regolamento approvato col d.m. 19 giugno 2002 n. 165 (il quale ha aggiunto il comma 1- bis dell'art. 4 del regolamento approvato con D.M. 13 giugno 1994 n. 495), il provvedimento ministeriale che annulla il nulla osta paesaggistico per la realizzazione di una costruzione edilizia in zona protetta non deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento (Cons. Stato, VI, 27 agosto 2010, n. 5980; id , VI, 29 novembre 2005, n. 6756).

Del resto, la struttura e la natura del procedimento, riguardante il rilascio della autorizzazione paesaggistica (nonché del corrispondente atto che precede quello che esamina l’istanza di condono), sono state oggetto di una specifica ricostruzione della Adunanza Plenaria di questo Consiglio, che con la citata decisione n. 9 del 2001 ha rilevato come si tratti di un procedimento unitario, attivato dall’interessato, composto ex lege anche dalla fase del riesame da parte dello Stato, se l’autorità preposta alla tutela del vincolo si è pronunciata in senso favorevole sull’istanza.

Pertanto, si applica il principio generale desumibile dall’art. 7 della legge n. 241 del 1990, per cui non occorre l’avviso di avvio del procedimento, ovvero di una sua fase, quando l’impulso provenga dall’interessato.

Allo stesso modo, non possono essere considerati fondati gli argomenti con cui si è lamentata la violazione nel caso di specie delle previsioni di cui all’articolo 10- bis della l. 241 del 1990, in tema di c.d. ‘ preavviso di rigetto ’.

Sotto tale aspetto, va osservato che la disposizione in questione non trova applicazione amministrativa quando vi sono specifiche regole procedimentali, sulla durata massima di una fase ‘di riesame’ di un precedente atto favorevole: l’annullamento dell'autorizzazione paesistica – pur se disposto ai sensi dell’art. 159 del d.lgs. 42 del 2004 - non è soggetto all'obbligo di comunicazione preventiva del ‘preavviso di rigetto’ di cui all’art. 10- bis della legge 241 del 1990, in quanto costituisce esercizio, entro un termine decadenziale, di un potere che intercorre tra autorità pubbliche e integra piuttosto una fase ulteriore, di secondo grado, la quale determina la caducazione del precedente atto abilitativo (in tal senso: Cons. Stato, V, 29 maggio 2006, n. 3220).

Inoltre, siccome nel caso di specie non è ravvisabile alcuna violazione degli articoli 7 e 10- bis della l. 241 del 1990, ne consegue che non risulta pertinente neppure il richiamo alle ipotesi di c.d. ‘illegittimità non invalidanti’ di cui all’articolo 21- octies della stessa legge.

Ed infatti, in carenza di vizi di carattere formale, non è neppure dato domandarsi se al mancato annullamento possa pervenirsi in applicazione del richiamato art. 21- octies .

6. Neppure può trovare accoglimento il terzo motivo di appello, con cui si è lamentata la tardività nell’esercizio del potere statale di annullamento, sussistendo il dubbio – ad avviso degli interessati - che la Soprintendenza avesse ricevuto la documentazione completa in epoca anteriore al 21 gennaio 2005 (ossia, in un momento anteriore rispetto a quello indicato nel provvedimento di annullamento).

Al riguardo si osserva che l’appellante non ha fornito neppure un principio di prova in relazione al fatto che la Soprintendenza abbia indicato una tempistica diversa da quella in concreto verificatasi, affidando – in ultima analisi – il proprio motivo di doglianza a una affermazione del tutto apodittica e inidonea a revocare in dubbio la legittimità dell’operato dell’organo statale.

7. L’infondatezza dei primi tre motivi di ricorso comporta che non possa trovare accoglimento neppure il quarto motivo, con il quale si è lamentata l’illegittimità derivata che inficerebbe le note di trasmissione dei provvedimenti impugnati.

8. In definitiva, tutte le ragioni sostanziali di doglianza ampiamente articolate dai signori N nella presente fase di appello risultano infondate.

Col quarto motivo di appello, gli appellanti hanno lamentato la carenza dei presupposti per l’adozione da parte dei primi giudici di una sentenza in forma semplificata ai sensi degli articoli 4 e 9 della l. 205 del 2000.

Ritiene la Sezione che tale censura di carattere processuale risulta inammissibile.

Invero, essendo state proposte (ed essendo risultate infondate) le censure sostanziali propose con i primi motivi d’appello, vi è l’inconciliabilità sotto il profilo logico della censura processuale che mira a far regredire il giudizio in primo grado.

Peraltro, la medesima censura va altresì respinta, perché infondata.

Ed infatti, contrariamente a quanto dedotto dagli appellanti, sussisteva nel caso di specie il presupposto costituito dalla manifesta infondatezza della domanda di giustizia (presupposto – questo – espressamente richiamato dalla normativa in tema di sentenze in forma semplificata).

D’altra parte è evidente che il ricorrente - il quale sostenga tesi infondate in fatto e in diritto - non potrà porsi al riparo dall’adozione di una sentenza in forma semplificata semplicemente affidando la propria difesa alla lunga e ripetitiva declinazione di riferimenti normativi e orientamenti giurisprudenziali, non suffraganti la fondatezza del ricorso.

Anche la mancata condivisione della parte alla segnalazione del presidente del collegio – sulla possibilità che la causa sia decisa all’esito della camera di consiglio – non impedisce la pubblicazione della sentenza, ove non vi sia stata una espressa e formale dichiarazione di una parte che dichiari che intende proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale o regolamento di competenza.

In mancanza di tale dichiarazione, al giudice non è preclusa l’adozione di una decisione in forma semplificata, non avendo invece rilievo comportamenti processuali di carattere dilatorio.

9. Per la regioni sin qui esposte gli appelli in epigrafe, previa loro riunione, devono essere respinti.

Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

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