Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-10-06, n. 201704660

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-10-06, n. 201704660
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201704660
Data del deposito : 6 ottobre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/10/2017

N. 04660/2017REG.PROV.COLL.

N. 10763/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA IALIANA

IN NOME DEL POPOLO IALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10763 del 2015, proposto dal signor F V, rappresentato e difeso dall'avvocato M D, con domicilio eletto presso lo studio Gian Marco Grez &
associati s.r.l. in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

contro

Comune di Ferrara, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati E N, M I, B M e G F, con domicilio eletto presso quest’ultimo difensore in Roma, via Tibullo, n.10;
Provincia di Ferrara, in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per l’Emilia-Romagna, sezione I, 30 luglio 2015, n. 707.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Ferrara;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 settembre 2017 il consigliere Giuseppe Castiglia;

Uditi per le parti gli avvocati Dallari e Fiorentino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITO

1. Il signor F V è proprietario di un compendio immobiliare nel Comune di Ferrara, in aree che il P.R.G. classificava come zona industriale D3.1 - insediamenti produttivi esistenti.

2. In data 25 maggio 2006 ha ottenuto il permesso di costruire per ristrutturare un capannone preesistente (insistente sul mappale n. 237 del foglio n. 336 del catasto fabbricati) e adibirlo a magazzino frigorifero e, con atto n. 29617 del 12 dicembre 2006, ha ottenuto l’autorizzazione S.U.A.P.

3. Nell’approvare il nuovo P.S.C. con deliberazione del Consiglio comunale n. 11 del 16 aprile 2009, il Comune ha modificato la precedente urbanistica delle aree, inserendole in “ambito ad alta vocazione agricola” e così compromettendo - in tesi - l’esercizio dell’attività imprenditoriale del privato, dopo averne respinto le osservazioni presentate nel corso di procedimento di formazione del piano.

4. Il signor V ha impugnato gli atti del procedimento di formazione del piano proponendo quattro motivi di ricorso che il T.A.R. per l’Emilia-Romagna, sez. I, ha respinto con sentenza 30 luglio 2015, n. 707. Sulla scorta della relazione di accompagnamento al piano, il Tribunale regionale ha ritenuto che l’Amministrazione comunale avesse esercitato in modo non irragionevole la propria discrezionalità amministrativa, con l’obiettivo di valorizzare i terreni non edificati prossimi al centro per “disegnare una sorta di cintura verde cui viene attribuito il compito di mediare il rapporto tra lo spazio rurale e quello urbano”. Ha poi reputato infondati gli altri motivi del ricorso e compensato fra le parti le spese di giudizio.

5. Il signor V ha interposto appello avverso la sentenza n. 707/2015, riproponendo i motivi del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e replicando agli argomenti adoperati dal T.A.R. per respingerli.

6. Il Comune di Ferrara si è costituito in giudizio per resistere all’appello senza svolgere difese.

7. Con memoria depositata il 13 luglio 2017 l’appellante ha ripetuto e ampliato i motivi dell’appello informando che, proprio per l’allegato contrasto del P.S.C., l’Amministrazione avrebbe negato l’autorizzazione al progetto per l’ampliamento dell’attività con provvedimento n. 48543 del 23 luglio 2010, impugnato di fronte al T.A.R.

8. Con memoria depositata il successivo 25 luglio, il Comune ha osservato che il lotto su cui sorge il magazzino frigorifero non sarebbe interessata alla nuova classificazione, ha replicato ai motivi dell’appello e concluso che il P.S.C. non avrebbe inciso su una presunta attività imprenditoriale preesistente del signor V, ma solo sulla sua aspettativa - ritenuta di mero fatto - a un’espansione dell’insediamento con destinazioni diverse da quelle legate all’agricoltura.

9. Le parti si sono scambiate ulteriori memorie.

10. All’udienza pubblica del 28 settembre 2017 l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

11. In via preliminare, il Collegio osserva che la ricostruzione in fatto, sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non è stata contestata dalle parti costituite ed è comunque acclarata dalla documentazione versata in atti. Di conseguenza, vigendo la preclusione posta dall’art. 64, comma 2, c.p.a., devono darsi per assodati i fatti oggetto di giudizio.

12. Con il primo motivo dell’appello il signor V denuncia l’eccesso di potere, l’errore sui presupposti di fatto e il falso supposto di fatto. Sarebbe incongrua la motivazione del rigetto delle osservazioni presentate in data 11 febbraio 2008 (“la trasformazione dell’area in zona produttiva risulterebbe incongruente con le aree residenziali limitrofe ed inoltre non in continuità con le aree produttive esistenti”) in quanto:

I) si tratterebbe di mantenimento e non di trasformazione dell’originaria zona produttiva poiché - come risulterebbe dalla documentazione prodotta - tutta l’area di proprietà, e non solo il mappale 237 su cui insiste il capannone, avrebbe fatto parte del complesso industriale e sarebbe stata destinata ad attività produttiva;

II) le aree limitrofe ospiterebbero edifici industriali e solo tre case isolate di abitazione;

III) vi sarebbe perciò continuità con le aree produttive esistenti. La mancanza in atti dell’autorizzazione all’asfaltatura, rilevata dal T.A.R., non sarebbe decisiva, in quanto risulterebbe dalla tavola di stato di fatto preesistente e comunque la destinazione dell’area di cortile ad attività produttiva sarebbe libera e non richiederebbe alcuna autorizzazione.

12.1. Il motivo è infondato.

12.2. Premesso che, per costante giurisprudenza, il Comune non ha neppure un obbligo di risposta specifica alle osservazioni presentate dai privati nel corso del procedimento di approvazione dello strumento urbanistico generale, perché queste non costituiscono un rimedio giuridico ma un apporto collaborativo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18 giugno 2009, n. 4024;
sez. IV, 16 aprile 2010, n. 2166), l’ente ha puntualmente replicato di aver preso in considerazione non la destinazione urbanistica ma la situazione di fatto delle aree limitrofe a quelle del signor V e di avere accorpato in un unico gruppo le sue osservazioni e altre di contenuto analogo (il che è legittimo: cfr. Cons. Stato sez. IV, 6 giugno 2008, n. 2681), sicché il rilievo della mancata contiguità con le altre aree produttive esistenti non necessariamente riguardava tutte le osservazioni dello stesso gruppo e in specie non si riferiva anche a quella dell’appellante.

12.3. Inoltre il carattere della planimetria e della documentazione fotografica depositata (l’una con indicazione di “corte asfaltata”, generica e non probante;
l’altra non conclusiva nella riproduzione dei luoghi, senza indicazione di data certa e comunque in contrasto con le fotografie allegate alle osservazioni presentate nell’ambito del procedimento di approvazione del P.S.C., che mostrano un terreno incolto e non pavimentato) non giovano a dimostrare che tutta l’area di proprietà dell’appellante - e non solo il mappale n. 237, occupato dal capannone - fosse concretamente ed effettivamente adibita ad attività di impresa.

12.4. D’altronde, le osservazioni ricordate non erano giustificate con l’esigenza di mantenere l’assetto attuale delle aree, ma con quella di realizzare un magazzino frigorifero di maggiori dimensioni rispetto al capannone esistente, dunque con la richiesta di poter espandere l’insediamento produttivo.

12.5. Infine, nulla prova in contrario la sentenza del T.A.R. per l’Emilia-Romagna 16 novembre 2010, prodotta dall’appellante, che riguarda una questione di salute pubblica e non specifica su quali mappali si sarebbe svolta l’attività esercitata, oggetto degli esposti di alcuni cittadini perché considerata fonte di inquinamento acustico.

13. Con il secondo motivo dell’appello il privato denuncia un ulteriore errore sui presupposti, la manifesta irragionevolezza e incongruità e l’insufficienza di motivazione. L’Amministrazione avrebbe radicalmente innovato la preesistente destinazione urbanistiche delle aree dell’appellante senza motivare sulle ragioni di pubblico interesse, così contravvenendo a un onere di motivazione che avrebbe dovuto essere puntualmente osservato per trattarsi di aree su cui erano esercitate attività imprenditoriali consolidate. Il T.A.R. non avrebbe considerato che le aree in questione non sarebbero prossime al nucleo urbano e non comporterebbero ulteriore consumo di suolo rispetto alla precedente destinazione produttiva.

13.1. Neppure questo motivo è fondato in quanto, come appena detto, non è dimostrata l’effettiva e attuale destinazione industriale delle aree (e non solo del mappale n. 237), cosicché non è conferente la giurisprudenza citata dall’appellante a sostegno della propria tesi (pagg. 5 e 6 della memoria depositata il 13 luglio 2017).

13.2. In mancanza di qualcuna delle particolari circostanze enucleate dalla giurisprudenza a fondamento di un onere di motivazione rafforzata, che nella specie non ricorrono, vale il principio comunemente accolto secondo cui le scelte urbanistiche compiute con gli atti di pianificazione generale non richiedono una motivazione puntuale e, purché non manifestamente illogiche o contraddittorie o ingiustificate, sono sufficientemente motivate con riguardo ai principi e ai criteri di fondo del piano, quali emergono dagli atti del procedimento e particolarmente dalla relazione di accompagnamento (cfr. per tutte, da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 3 luglio 2017, n. 3237). In particolare, si è ritenuto che, come nella vicenda in questione, il soggetto titolare del potere possa legittimamente imporre la destinazione agricola a determinati suoli per finalità di conservazione ambientale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18 agosto 2017, n. 4037). Né, infine, ha avuto risposta la difesa del Comune, là dove ha affermato che i lotti dell’appellante non si trovano in campagna, ma ai margini del centro urbano, con un evidente rischio - ove fosse stata mantenuta la destinazione produttiva - di un ulteriore consumo di suolo.

14. La terza censura dell’appello lamenta la violazione dei principi generali in tema di pianificazione urbanistica e il vizio di motivazione, perché sarebbe stato lesa l’aspettativa qualificata dell’appellante scaturente dal rilascio dell’autorizzazione all’utilizzo industriale-artigianale dell’intero compendio immobiliare. La circostanza che l’appellante esercitasse da tempo sull’area un’attività produttiva di conservazione, commercio e distribuzione di prodotti agricoli, in conformità alle previsioni del precedente P.R.G., avrebbe richiesto una adeguata comparazione degli interessi coinvolti e una puntuale motivazione.

14.1 Il Collegio ritiene che tale doglianza sia in sostanza una diversa formulazione di quella appena illustrata e che pertanto, come quella, non abbia pregio e debba essere rigettata.

15. Con il quarto motivo, l’appellante sostiene la violazione del principio di imparzialità e l’eccesso di potere per disparità di trattamento rispetto alle proprietà confinanti e attigue, che avrebbero mantenuto la precedente destinazione industriale-artigianale. La tesi del primo giudice quanto alla mancata prova del vizio dedotto sarebbe smentita dal confronto fra P.R.G. e P.S.C.

15.1. Anche questo motivo va respinto in quanto la documentazione prodotta non appare chiara nel senso indicato dall’appellante e neppure in questo caso ha avuto risposta la replica del Comune, a detta del quale il P.S.C. non avrebbe limitato ai terreni di proprietà del signor V il mutamento di destinazione in oggetto, applicandolo invece a tutte le particelle catastali non edificate. In definitiva, la contestazione si mostra generica e non provata.

16. Dalle considerazioni che precedono discende che, come detto, l’appello è infondato e va perciò respinto, con conferma della sentenza impugnata.

17. Le spese del presente grado di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55.

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