Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-06-25, n. 201904339

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-06-25, n. 201904339
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201904339
Data del deposito : 25 giugno 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 25/06/2019

N. 04339/2019REG.PROV.COLL.

N. 00231/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso per revocazione iscritto al numero di registro generale 231 del 2019, proposto da
System House s.r.l. in proprio e nella sua qualità di capogruppo mandataria di costituendo raggruppamento temporaneo d’imprese con System Data Center s.p.a., Distribuzione Italia s.r.l. e Gruppo Distribuzione s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati D G, M C L e G Mi, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Virginio Orsini, n. 19;

contro

Abramo Customer Care s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato Piergiuseppe Venturella, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via San Sebastianello, n. 9;

nei confronti

Poste Italiane s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato Carlo Malinconico, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 284;
E-Care s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati Innocenzo Calabrese e Marcello Pipola, con domicilio eletto presso lo studio legale dell’avvocato Angelo Caliendo in Roma, via Cagliari, n. 14;

per la revocazione

della sentenza del CONSIGLIO DI STATO - SEZ. V n. 06687/2018, resa tra le parti.


Visti il ricorso per revocazione ed i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Abramo Customer Care s.p.a., di Poste Italiane s.p.a. e di E-Care s.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 maggio 2019 il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti gli avvocati Carlo Malinconico, D G, Piergiuseppe Venturella ed Elisa Moro, in dichiarata delega dell’avvocato Innocenzo Calabrese;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio, la società System House s.p.a., in proprio e quale mandataria del costituendo raggruppamento temporaneo d’imprese con le società System Data Center, Distribuzione Italia e Gruppo Distribuzione (di seguito, System House), rappresentava di aver partecipato alla gara telematica con chiamata da albo indetta da Poste Italiane s.p.a. per l’istituzione di un accordo-quadro avente ad oggetto l’erogazione di “servizi di customer services per il Gruppo Poste Italiane” per la durata di 24 mesi, prorogabili di altri 12, suddivisa in quattro lotti e con possibilità di aggiudicazione di uno solo di essi.

Il raggruppamento System House, classificatosi primo nella graduatoria unica per i lotti 1 e 2, era stato però escluso dalla selezione all’esito della verifica dell’anomalia dell’offerta;
impugnava pertanto sia la determinazione di estromissione (adottata nella seduta del 12 maggio 2016), sia il successivo provvedimento di aggiudicazione del lotto 1 in favore della seconda classificata, società E-Care, comunicatole il 1° giugno 2016.

Con successivo ricorso per motivi aggiunti impugnava inoltre il provvedimento di aggiudicazione del lotto 2 alla terza classificata, società Abramo Customer Care, comunicato il 23 giugno 2016, deducendo analoghe doglianze a quelle già proposte con il ricorso introduttivo.

Con sentenza 3 febbraio 2017, n. 1803, il giudice adito respingeva il ricorso incidentale della società E-Care e dichiarava inammissibile la domanda di annullamento del punto 3.6 della lettera di invito, formulata con il ricorso per motivi aggiunti depositato il 6 settembre 2016;
accoglieva invece le domande caducatorie formulate con il ricorso principale e con il ricorso per motivi aggiunti per illegittimità del giudizio di anomalia, conseguentemente annullando la determinazione di esclusione del raggruppamento temporaneo ricorrente dalla procedura, di cui al verbale n. 20 del 12 maggio 2016 e le conseguenti aggiudicazioni del lotto 1 e del lotto 2.

Dichiarava infine inammissibili le domande di accertamento dell’inefficacia del contratto e di condanna di Poste Italiane al risarcimento in forma specifica mediante aggiudicazione del servizio, così come il ricorso incidentale proposto dalla società Abramo Customer Care.

Avverso tale decisione Abramo Customer Care s.p.a. interponeva appello, deducendo i seguenti motivi di gravame:

1) Illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 88 e ss. d.lgs. n. 163 del 2006, nonché dell’art. 1, commi da 118 a 121, l. n. 190 del 2014, nonché per difetto dei presupposti, travisamento dei fatti .

2) Evidente ammissibilità del ricorso incidentale proposto da Abramo Customer Care s.p.a .

3) Eccesso di potere sotto il profilo del difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, difetto dei presupposti, violazione, violazione e falsa applicazione dell’art. 87 d.lgs. n. 163 del 2006 nonché del CCNL del settore Telecomunicazioni .

4) Ulteriore eccesso di potere sotto il profilo del difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, difetto dei presupposti, violazione, violazione e falsa applicazione dell’art. 87 d.lgs. n. 163 del 2006 nonché del CCNL del settore Telecomunicazioni .

Si costituiva in giudizio la società System House s.r.l. chiedendo la reiezione dell’appello e riproponendo, ex art. 101, comma 2, Cod. proc. amm., i motivi e le eccezioni non esaminati in primo grado.

Con sentenza 26 novembre 2018, n. 6687, la V Sezione del Consiglio di Stato accoglieva l’appello, per l’effetto respingendo il ricorso introduttivo di primo grado proposto da System House s.p.a.

A tal punto quest’ultima proponeva ricorso per revocazione della sentenza d’appello, deducendo una serie di profili di erroneità e precisamente:

In via rescindente:

1) Errore di fatto revocatorio in relazione al contenuto del giudizio di inattendibilità delle giustificazioni reso da Poste nell’ambito della gara .

2) Errore di fatto revocatorio in relazione all’omessa pronuncia sui motivi assorbiti in primo grado, ritualmente riproposti in appello .

In via rescissoria:

3) Sulla erroneità della sentenza impugnata con riferimento al riferito sotto-inquadramento di 49 dipendenti. Error in iudicando per violazione e falsa applicazione della disciplina in tema di verifica dell’anomalia dell’offerta. Violazione degli artt. 86 e ss del D.lgs. n. 163/06. Riproposizione del quarto motivo non esaminato in grado di appello .

4) Violazione degli art. 87 e 88 del D. Lgs. n. 163 del 2006;
eccesso di potere per violazione delle risultanze procedimentali ed errore nei presupposti di fatto e di calcolo, in relazione al giudizio di complessiva inaffidabilità espresso dalla commissione;
motivazione falsa, apparente e/o inesistente sul punto
.

5) Riproposizione del quinto e sesto motivo di ricorso e dei motivi aggiunti notificati in data 24 agosto 2016 .

Costituitasi in giudizio, Poste Italiane s.p.a. concludeva per l’inammissibilità del ricorso e, in ogni caso, per la sua infondatezza, chiedendone il rigetto.

Analogamente faceva Abramo Customer Care s.p.a., che riproponeva in via incidentale i motivi di appello assorbiti nel giudizio di revocazione;
con successiva memoria, peraltro, la stessa società deduceva altresì il difetto di interesse di System House s.r.l. ad ulteriormente coltivare il ricorso, atteso che nelle more del giudizio la stessa aveva comunque eseguito integralmente l’affidamento, che aveva la durata contrattualmente pattuita di due anni, ormai giunta a scadenza.

Si costituiva infine E-Care s.p.a., chiedendo il rigetto del ricorso in particolare nella parte in cui (a pag 30- p.to 3 - “ riproposizione motivi aggiunti del 24 agosto 2016 ”) si cita di “ vizio dell’iter procedimentale ” tale da riflettersi, come illegittimità derivata, sul contratto di cui al lotto 2, in fase di esecuzione da parte di E-Care medesima, “ in quanto non supportate da precisa e dettagliata rappresentazione del fondamento logico-giuridico ”.

Alla luce delle risultanze di causa, il Collegio disponeva, in via istruttoria, una verificazione per accertare se, alla stregua delle discipline tecniche coinvolte, in base ai criteri tecnici applicati o applicabili, nonché secondo il procedimento tecnico applicabile o applicato nella specie, il complessivo giudizio di non anomalia dell’offerta operato dalla Commissione giudicatrice dovesse ritenersi affetto, sotto il profilo tecnico, da irragionevolezza.

Successivamente le parti ulteriormente illustravano, con apposite memorie, le rispettive tesi difensive ed all’udienza del 21 maggio 2019, dopo la rituale discussione, la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Preliminarmente ad ogni altra considerazione sul merito delle censure formulare dalla ricorrente, ritiene il Collegio di dover esaminare prioritariamente l’eccezione di inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, dedotta in via incidentale da Abramo Customer Care s.p.a., per essere ormai stati integralmente eseguiti i primi due anni di durata contrattuale ad opera di System House s.r.l. medesima.

L’eccezione è fondata.

Sul punto, la ricorrente sostiene che permarrebbe l’interesse alla decisione sul ricorso per revocazione in ragione del fatto che – pur essendo effettivamente stati integralmente eseguiti i primi due anni di durata contrattuale – Poste Italiane s.p.a. si sarebbe comunque riservata, all’atto d’indizione della gara ( ex art. 5 Capitolato), una proroga di un ulteriore anno.

L’interesse alla definizione del giudizio risiederebbe dunque nella possibilità, in tal modo, di continuare ad eseguire le prestazioni affidate a System House ancora per dodici mesi.

L’argomento non ha pregio, ove si consideri che quella di System House s.r.l. è, in realtà, una mera aspettativa di fatto non tutelabile giudizialmente, rimessa alla piena discrezionalità della stazione appaltante;
del resto, va ricordato, la stessa possibilità di disporre una “proroga tecnica” del contratto d’appalto – istituto volto ad assicurare che, nelle more dello svolgimento di una gara per il nuovo affidamento di un servizio, l’erogazione dello stesso non subisca soluzioni di continuità – rappresenta un’ipotesi del tutto eccezionale, utilizzabile solo qualora non sia possibile attivare i necessari meccanismi concorrenziali ( ex multis , Cons. Stato, V, 29 maggio 2019, n. 3588;
V, 17 gennaio 2018, n. 274;
III, 3 aprile 2017, n. 1521).

Del resto, nell’ipotesi in cui l’amministrazione si determini alla proroga del rapporto tale determinazione dovrà essere analiticamente motivata. Non è infatti sufficiente che la stazione appaltante si sia espressamente riservata una tale possibilità nelle previsioni della lex specialis di gara, dovendo in ogni caso la stessa chiarire in modo puntuale le ragioni per le quali ritiene di discostarsi dal principio generale dell’indizione di una nuova procedura (Cons. Stato, VI, 24 novembre 2011, n. 6194).

Premesso quanto sopra, avente carattere assorbente di ogni questione inerente il merito della vertenza, solo per completezza il Collegio ritiene di esaminare comunque i singoli profili di censura dedotti dalla ricorrente.

Con il primo motivo di ricorso, concernente l’asserita erroneità del giudizio di inattendibilità delle giustificazioni reso da Poste Italiane s.p.a. nell’ambito della gara, si sostiene che il giudice d’appello, nell’accordare credito alle difese dell’appellante, sarebbe stato tratto in errore dal contenuto della relazione di verificazione a suo tempo disposta, in ordine alla ragionevolezza della valutazione della Commissione di gara sull’inquadramento contrattuale e sui conseguenti aspetti di legittima fruizione dell’esonero contributivo.

In estrema sintesi, il giudice d’appello avrebbe ritenuto “ragionevole” l’originaria valutazione di Poste Italiane s.p.a. (e, prima ancora, della Commissione giudicatrice), ma con argomentazioni riconducibili alla perdita dei benefici de-contributivi in conseguenza del sotto-inquadramento di 49 addetti, invece che alle conseguenze (sanabili) del sotto-inquadramento.

Ad avviso della ricorrente, la verità di quanto assunto dal giudice d’appello sarebbe pacificamente esclusa dagli atti di causa, ciò integrando un errore di fatto rilevabile con immediatezza dalla semplice lettura della documentazione in atti e non riguarderebbe un punto controverso del giudizio.

Le argomentazioni prospettate non possono trovare accoglimento.

Il rimedio della revocazione ha natura straordinaria e per consolidata giurisprudenza ( ex multis , Cons. Stato, V, 5 maggio 2016, n. 1824) l’errore di fatto idoneo a fondare la domanda di revocazione, ai sensi del combinato disposto degli articoli 106 Cod. proc. amm. e 395, n. 4 Cod. proc. civ., deve rispondere a tre requisiti:

a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentale escluso, ovvero inesistente un fatto documentale provato;

b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;

c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa (cfr. Cons. Stato, IV, 14 maggio 2015, n. 2431).

Inoltre l’errore revocatorio deve emergere con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche (Cons. Stato, IV, 13 dicembre 2013, n. 6006). Esso è configurabile nell’attività preliminare del giudice, relativa alla lettura ed alla percezione degli atti acquisiti al processo quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, ma non coinvolge la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del convincimento.

Insomma, l’errore di fatto, eccezionalmente idoneo a fondare una domanda di revocazione, è configurabile solo riguardo all’attività ricognitiva di lettura e di percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza e al loro significato letterale, per modo che del fatto vi siano due divergenti rappresentazioni, quella emergente dalla sentenza e quella emergente dagli atti e dai documenti processuali;
ma non coinvolge la successiva attività di ragionamento e apprezzamento, cioè di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento del giudice (Cons. Stato, V, 7 aprile 2017, n. 1640).

Così, si versa nell’errore di fatto di cui all’art. 395, n. 4 Cod. proc. civ. allorché il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronunzia o abbia esteso la decisione a domande o ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo (Cons. Stato, III, 24 maggio 2012, n. 3053);
ma se ne esula allorché si contesti l’erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o di un esame critico della documentazione acquisita.

In tutti questi casi non è possibile censurare la decisione tramite il rimedio – di per sé eccezionale – della revocazione, che altrimenti verrebbe a dar vita ad un ulteriore grado del giudizio, non previsto dall’ordinamento ( ex multis , Cons. Stato, IV, 8 marzo 2017, n. 1088;
V, 11 dicembre 2015, n. 5657;
IV, 26 agosto 2015, n. 3993;
III, 8 ottobre 2012, n. 5212;
IV, 28 ottobre 2013, n. 5187).

Peraltro, affinché possa ritenersi sussistente l’errore di fatto revocatorio nell’attività preliminare del giudice relativa alla lettura ed alla percezione degli atti, è necessario che “ nella pronuncia impugnata si affermi espressamente che una certa domanda o eccezione o vizio – motivo non sia stato proposto o al contrario sia stato proposto ” (Cons. Stato, V, 4 gennaio 2017, n. 8);
inoltre, ricorre l’errore revocatorio in ipotesi di mancata pronuncia su di una censura sollevata dal ricorrente “ purché risulti evidente dalla lettura della sentenza che in nessun modo il giudice ha preso in esame la censura medesima;
si deve trattare, in altri termini, di una totale mancanza di esame o di valutazione del motivo e non di un difetto di motivazione della decisione, non censurabile in sede di revocazione
” (Cons. Stato, VI, 22 agosto 2017, n. 4055).

Sempre in termini, Cons. Stato, V, 12 maggio 2017, n. 2229, secondo cui “ L’errore revocatorio è […] configurabile in ipotesi di omessa pronuncia su una censura sollevata dal ricorrente purché risulti evidente dalla lettura della sentenza che in nessun modo il giudice ha preso in esame la censura medesima;
si deve trattare, in altri termini, di una totale mancanza di esame e/o valutazione del motivo e non di un difetto di motivazione della decisione (cfr., Cons. Stato, Sez. V, 5/4/2016, n. 1331;
22/1/2015, n. 264;
Sez. IV, 1/9/2015, n. 4099)
”.

Va aggiunto che non sussiste errore revocatorio per il mero “fatto” che alcuni documenti o atti siano stati non esplicitamente esaminati o valorizzati in sentenza, giacché non sussiste alcun obbligo di motivare sulla corretta lettura di ciascun documento di causa, essendo sufficiente rispondere al motivo proposto, dando atto naturalmente di averlo rettamente inteso nella sua reale portata giuridica in ragione dei fatti a cui esso fa riferimento (Cons. Stato, V, 4 gennaio 2017, n. 8).

Ancora “ si può affermare che, laddove una sentenza menzioni nella parte descrittiva in fatto un motivo di doglianza, pur se ometta di pronunciarsi espressamente su di esso nella parte motiva, ciò non configura un vizio di omessa pronuncia, dovendosi considerare la pronuncia sul punto implicita nella statuizione complessiva della sentenza ” (Cons. Stato, V, 19 ottobre 2017, n. 4842).

Va poi ribadita la distinzione tra motivo di ricorso ed argomentazione a ciascuno dei motivi sostegno del medesimo, così come delineata – proprio per delimitare l’ambito della revocazione – dalla sentenza dell’Adunanza plenaria 27 luglio 2016, n. 21. Il motivo di ricorso delimita ed identifica la domanda spiegata nei confronti del giudice e in relazione ad esso si pone l’obbligo della corrispondenza, in positivo o in negativo, tra chiesto e pronunciato, nel senso che il giudice deve pronunciarsi su ciascuno dei motivi e non soltanto su alcuni di essi;
a sostegno del motivo – che identifica la domanda prospettata di fronte al giudice – la parte può addurre, poi, un complesso di argomentazioni, volta a illustrare le diverse censure, ma che non sono idonee, di per se stesse, ad ampliare o restringere la censura, e con essa la domanda.

Rispetto a tali argomentazioni non sussiste un obbligo di specifica pronunzia da parte del giudice, il quale è tenuto a motivare la decisione assunta esclusivamente con riferimento ai motivi di ricorso come sopra identificati (Cons. Stato, V, 27 luglio 2017, n. 3701).

Alla stregua del delineato quadro giurisprudenziale, non si rinvengono nella fattispecie in esame i presupposti del vizio revocatorio.

Il procedimento di appello era stato infatti istruito a mezzo di una verificazione disposta dal Collegio in relazione ai motivi introdotti da Abramo Customer Care s.p.a. con il ricorso incidentale di primo grado e poi riproposti in appello.

La sentenza, sul punto controverso, fa espresso riferimento alla verificazione, della quale condivide le conclusioni, pur evidenziando la necessità di chiarire l’oggetto di detto incombente istruttorio: “ Questa V Sezione, con ordinanza 15 gennaio 2018, n. 172 ha disposto una verificazione per accertare se, alla stregua delle discipline tecniche coinvolte, in base ai criteri tecnici applicati o applicabili, nonché secondo il procedimento tecnico applicabile o applicato nella specie, il complessivo giudizio di non anomalia dell’offerta sia da ritenersi affetto, sotto il profilo tecnico, da irragionevolezza.

La successiva ordinanza 3 aprile 2018, n. 2068 ha precisato che nel procedimento di gara oggetto del giudizio, Poste ha escluso l’attendibilità delle giustificazioni di System House e che è questo giudizio, ritenuto illegittimo dal primo giudice (quindi ritenuto non anomalo dalla sentenza) che deve essere oggetto di verificazione, per stabilire se è irragionevole, sulla base delle norme e dei procedimenti tecnici di tale tipologia di valutazione […].

Per la verificazione è perciò erroneo l’accogliere le doglianze di System House sia sull’erroneo inquadramento del personale applicato alla commessa e stabilizzato (da inquadrarsi nel III e non nel II livello), sia sulle inerenti conseguenze come l’impossibilità di fruire della decontribuzione;
sia sulla dichiarazione di inammissibilità delle doglianze di Abramo (per il quale non erano stati considerati gli ulteriori profili di insostenibilità dell’offerta System House) […]

La condivisione, sotto il profilo tecnico, dell’originaria valutazione di Poste italiane, dunque, evidenzia la sua originaria non irragionevolezza. Ne consegue che andava dichiarata l’anomalia dell’offerta della System House ”.

Il giudice d’appello aveva dunque ritenuto che la valutazione dell’anomalia dovesse riguardare complessivamente l’offerta del raggruppamento facente capo a System House s.r.l., sia pure con riferimento agli aspetti presi in considerazione dalla stazione appaltante tramite il giudizio della commissione giudicatrice.

In conseguenza di tale premessa, accoglieva i rilievi del verificatore.

La ricorrente sostiene, al riguardo, che “ la Sezione è incorsa in un abbaglio dei sensi nella parte in cui ha ritenuto, con effetti determinanti, che la Commissione di gara avesse espresso il giudizio di incongruità dell’offerta in ragione della possibile perdita degli sgravi decontributivi (non solo in ragione della irregolarità dei contratti di assunzione ma) anche a causa dell’erroneo inquadramento contrattuale dei dipendenti che avrebbero avuto diritto al passaggio al III livello retributivo;
e ciò, nonostante tale possibilità fosse stata rilevata in astratto, ma nient'affatto calcolata e considerata da Poste nell'ambito del complessivo giudizio di inaffidabilità dell'offerta
”.

Tale errore deriverebbe da una scorretta lettura delle risultanze della verificazione, “ nella parte in cui il Consulente aveva ivi affermato di “condividere le valutazioni di Poste Italiane S.p.a. nella parte in cui ha ritenuto che il mancato rispetto del CCNL di riferimento, sotto il profilo degli inquadramenti contrattuali, da parte del RTI System House avrebbe potuto compromettere il riconoscimento dell’esonero contributivo di cui alla legge n. 190 del 2014”, non rilevando che il sovracosto stimato non atteneva alla perdita dei benefici decontributivi ma al costo dell'assenteismo a ad una riconsiderazione della produttività per minuto, che il Collegio ha giudicato inconferente in quanto non rientrante nel giudizio di inaffidabilità espresso da Poste ”.

Sul punto, precisa sempre parte ricorrente (nella propria memoria difensiva del 2 maggio 2019), “ la relazione di verificazione, dopo aver rideterminato il numero minimo di operatori (pari a 229 unità) ed aver arbitrariamente “imposto” nel calcolo una marginalità minima di commessa pari al 5%, ha quantificato il costo minimo (per minuto) congruo nella misura di € 0,319 (in caso di inquadramento in II° livello) ovvero di € 0,340 (in caso di inquadramento di III° livello), indicando chiaramente che il costo con la contribuzione sarebbe stato invece pari, rispettivamente, a € 0,395 e 0,423.

L’aggravio di costo era invece dovuto all’applicazione (non degli oneri contributivi ma) ai cd. “minuti di conversazione oraria stimati” e al c.d. “tasso di assenteismo” dovuto a ferie, malattie, etc. (v. par. 3 della relazione), mai contestati dalla commissione di Poste né, invero, dal Collegio, tant'è vero che la Abramo ha ritenuto di dover inammissibilmente riproporre in questa sede i relativi motivi ”.

Il vizio prospettato dalla società ricorrente, dunque, va più correttamente ricondotto alla categoria dell’errore di giudizio, ossia ad un errore in diritto insuscettibile di integrare un vizio revocatorio.

Né sotto questo profilo rileva la considerazione (anch’essa dedotta dalla ricorrente) per cui la valutazione di “sanabilità” dell’erroneo inquadramento contrattuale e la conseguente possibilità di fruire dei benefici sarebbero rimaste incontestate in tutti i gradi di giudizio, con la conseguenza che non si tratterebbe di un errore di giudizio, bensì di un errore (di fatto) nella lettura delle risultanze istruttorie (ovvero degli scritti difensivi): invero, al di là dell’artificio nominalistico utilizzato, è del tutto evidente che la sanabilità o meno dell’erroneo inquadramento è questione eminentemente giuridica ed indisponibile per le parti in causa, per tale insuscettibile di assumere carattere “pacifico” ed incontestabile per effetto del contegno processuale delle stesse.

Non sembra, quindi, riscontrarsi alcun errore “di fatto” del giudice d’appello, non potendosi ricondurre a tale categoria il presunto travisamento, da parte del giudice, di dati giuridico-fattuali acquisiti attraverso la mediazione delle parti (ovvero di un organo ausiliario del Collegio, quale è il verificatore) e l’interpretazione dei contenuti espositivi degli atti del giudizio, dunque mediante attività valutativa, insuscettibile in quanto tale – quand'anche in ipotesi dovesse risultare errata – di revocazione.

Con ulteriore e distinto motivo di impugnazione ( sub par. A.2), la ricorrente individua un vizio revocatorio nel non essersi il giudice d’appello pronunciato sui motivi considerati assorbiti dalla pronuncia di primo grado.

In particolare, System House s.r.l. lamenta la mancata valutazione del motivo di impugnazione, formulato in primo grado e riproposto in appello, secondo cui Poste Italiane s.p.a. avrebbe errato nel valutare l’anomalia dell’offerta solo con riferimento al lotto n.1 poiché, in ogni caso, tale anomalia non sarebbe stata riscontrabile con riferimento al lotto n. 2, stante la diversità delle quantità del servizio di quest’ultimo lotto. Ritiene conseguentemente di avere un interesse qualificato alla verifica di tale anomalia e, conseguentemente, all’aggiudicazione del lotto n. 2, quanto meno con riferimento alla proroga annuale sopra richiamata, decorrente dall’8 agosto 2019.

La censura della ricorrente si fonda sul presupposto che rientrano nella nozione di errore di “fatto revocatorio”, ai sensi dell’art. 395, n. 4, Cod. proc. civ., anche i casi in cui il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omessa pronunzia, purché risulti evidente dalla lettura della sentenza che in nessun modo il giudice ha preso in esame la censura medesima o l’eccezione.

Si deve trattare, in altri termini, di una totale mancanza di esame e/o valutazione del motivo o dell’eccezione e non di un difetto di motivazione della decisione.

Nel caso di specie, deduce la ricorrente, non potrebbe affermarsi che i motivi di censura assorbiti e riproposti in appello siano stati in qualche misura, sia pure implicitamente, esaminati e ritenuti irrilevanti o ininfluenti.

Neppure questo motivo può trovare accoglimento.

Premesso quanto già evidenziato sulla non configurabilità di un oggettivo interesse al ricorso, in ordine all’aspettativa (di mero fatto) della proroga annuale dell’affidamento, va dato atto di come la sentenza impugnata espressamente richiami, nelle premesse “in fatto”, proprio i motivi di gravame che System House sostiene siano stati invece del tutto dimenticati.

Nella sentenza d’appello si legge infatti che “ Si costituiva l’attuale parte appellata System House s.r.l. chiedendo la reiezione dell’appello e riproponendo, ex art. 101, comma 2, c.p.a., i motivi e le eccezioni non esaminati in primo grado ”, con ciò dandosi atto che il giudice aveva ben presente la riproposizione, da parte dell’odierna ricorrente, dei motivi di ricorso considerati assorbiti dal Tribunale amministrativo del Lazio, motivi che, verosimilmente, dovevano ritenersi implicitamente superati dall’accoglimento dell’appello.

Tale esplicito richiamo attesta la consapevolezza, in capo al giudice di appello, della ri-proposizione dei suddetti motivi di gravame e del loro contenuto, con ciò venendo a cadere il presupposto invocato da System House s.r.l., ossia la “prova evidente” che in alcun modo dette censure erano state tenute in conto.

Al riguardo, va dunque confermato il principio – dal quale non vi è ragione evidente di discostarsi, nel caso di specie – secondo cui “ laddove una sentenza menzioni nella parte descrittiva in fatto un motivo di doglianza, pur se ometta di pronunciarsi espressamente su di esso nella parte motiva, ciò non configura un vizio di omessa pronuncia, dovendosi considerare la pronuncia sul punto implicita nella statuizione complessiva della sentenza ” (Cons. Stato, V, 19 ottobre 2017, n. 4842).

Né a diverse conclusioni potrebbe giungersi, a voler in ipotesi censurare la sentenza d’appello sotto il profilo processuale della mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in quanto ciò pur sempre integrerebbe un errore di diritto, (per tale) non revocatorio.

Stante la pregiudizialità necessaria e vincolata tra le due fasi processuali, la reiezione dei primi due motivi di ricorso, attenendo la fase rescindente del giudizio, esonera il Collegio dall’esame dei motivi dedotti ( sub parr. B.1 e B.2) per l’eventualità dello svolgimento di quella rescissoria.

Alla luce dei rilievi che precedono, il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

La particolarità delle questioni affrontate giustifica peraltro, ad avviso del Collegio, l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite del grado di giudizio.

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