Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-02-08, n. 202301372

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-02-08, n. 202301372
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202301372
Data del deposito : 8 febbraio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 08/02/2023

N. 01372/2023REG.PROV.COLL.

N. 03982/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3982 del 2018, proposto da Fallimento C.M.T.Due in Liq. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato F F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Palazzolo Sull'Oglio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato D B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Paolo Rolfo in Roma, via Appia Nuova n. 96;

per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, Sezione I,) n. 1354/2017, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Palazzolo Sull'Oglio;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 2 dicembre 2022 il Cons. S Z e udito l’avvocato D B per la parte appellata;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La sentenza impugnata ha rigettato il ricorso della C.M.T. DUE s.r.l. oggi fallita e rappresentata dalla Curatela fallimentare appellante, avverso il diniego del rilascio del permesso di costruire in sanatoria relativo alla costruzione di una nuova piscina coperta in via Matteotti, comune di Palazzolo.

Avverso la decisione gravata sono dedotti i seguenti motivi di appello: a) VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 36 DEL DPR 380/2001;
b) ILLEGITTIMITA' DEL PROVVEDIMENTO PER VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 10 BIS DELLA L. N. 241/90 c) ILLEGITTIMITA' DEL PROVVEDIMENTO PER VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELL’ART.36 D.P.R. n. 380/01 - Art. 3 L. n. 241/90. Art. 32 DELLE N.T.A. DEL P.R.G. — Art. 3

DELLA CONVENZIONE URBANISTICA SOTTOSCRITTA IL

30.11.07 INERENTE IL PR "MARZOLI") - TRAVISAMENTO DEI FATTI E DIFETTO DEI PRESUPPOSTI — MOTIVAZIONE NON PERTINENTE E/O INSUFFICIENTE E GENERICA — VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ' E RAGIONEVOLEZZA — DIFETTO DI ISTRUTTORIA

In via preliminare va disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello, formulata dal comune appellato ai sensi del comma 1 dell’art.101 c.p.a. È vero infatti che la parte ha integralmente riproposto i motivi già dedotti in primo grado, ma è altrettanto vero che essi sono stati accompagnati da un’adeguata critica e da un tentativo di confutazione e della sentenza e degli esiti cui la stessa è pervenuta. (Così Consiglio di Stato sez. V, 15 dicembre 2020, n.8029)

Venendo al merito della controversia, l’intervento di cui al contezioso è stato realizzato nel territorio del Comune di Palazzolo sull’Oglio, su di un’area in parte interessata dal Piano di recupero denominato “ex Marzoli”. È consistito nel chiudere su tutti e quattro i lati uno spazio di terreno con serramenti in legno e vetro e la posa di una copertura di policarbonato;
la struttura portante era costituita da sei pilastroni metallici. All’interno è stata realizzata una piscina coperta.

È stato dunque costruito un manufatto fuori terra, con propria sagoma e conseguente alterazione dello stato dei luoghi. L’intervento è stato correttamente qualificato, dal giudice di prime cure, quale “nuova costruzione” ex art.3 lett.e 1) del D.P.R. 380 del 2001.

Come detto, il fabbricato è situato, in parte, in un’area, attualmente di proprietà del comune, destinata a standard pubblico, specificamente a verde pubblico. La tavola geologica, allegata al PRG la qualifica 3a “scarpata dei terrazzi e aree a queste adiacenti”, con mantenimento delle destinazioni d’uso e urbanizzazione sconsigliata.

Quel capannone ricade, inoltre, in un ambito classificato come “Orli di terrazzi minori – paleoalvei e forme relitte della morfologia originaria”, per i quali l’articolo 32 delle NTA vigenti vieta qualsiasi attività o esercizio che comporti la trasformazione o l’alterazione dei profili esistenti ricade.

Il primo ed il terzo motivo di appello, contestano, sotto plurime articolazioni, che non ricorrevano i presupposti per negare all’opera realizzata la conformità ex art.36 del Testo Unico Edilizia. Essi possono pertanto essere trattati in sequenza ed unitariamente.

Il primo motivo di appello contesta alla decisione gravata di avere rigettato il ricorso, sul presupposto che le opere di cui sopra non presentavano il requisito della cd. “doppia conformità”.

Al contrario, poiché al momento della sua realizzazione il Piano di recupero non era ancora stato approvato, e dunque l’intervento era a quell’epoca assentibile, in nome del diverso principio della cd. “sanatoria giurisprudenziale”, il TAR, secondo la parte appellante, avrebbe dovuto riconoscere la concedibilità della sanatoria.

Il motivo non è fondato. Per unanime giurisprudenza di questo plesso giurisdizionale, infatti, (cfr. per tutte Consiglio di Stato sez. VI, 2 maggio 2022, n.3437 “il procedimento per la verifica di conformità ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001 sfocia in un provvedimento di carattere assolutamente vincolato, il quale non necessita di altra motivazione oltre a quella relativa alla corrispondenza (o meno) dell'opera abusiva alle prescrizioni urbanistico - edilizie (e a quelle recate da normative speciali in ambito sanitario e/o paesaggistico) sia all'epoca di realizzazione dell'abuso sia a quella di presentazione dell'istanza ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001. Ciò determina che in sede di accertamento di conformità è interamente a carico della parte l'onere di dimostrare la c.d. doppia conformità necessaria per l'ottenimento della sanatoria edilizia ordinaria ai sensi dell'art. 36 d.P.R. n. 380/2001 (già, art. 13 l. n. 47/1985), attesa la finalità dell'istituto in parola, secondo il quale presupposto indefettibile per il rilascio del permesso in sanatoria è la c.d. doppia conformità, vale a dire la non contrarietà del manufatto abusivo alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione sia al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria.”

Quanto alla circostanza del non perfezionamento del Piano di recupero, lo stesso venne adottato con delibera consiliare del 15 giugno del 2007, ossia lo stesso giorno in cui è stata chiesta la sanatoria;
questo significa che, quanto meno il vincolo, e conseguentemente la sua efficacia impeditiva quale misura di salvaguardia, era già attuale, diversamente da quanto dedotto dall’appellante. Dunque sin da allora rappresentava un ostacolo alla assentibilità dell’opera, quanto meno nel senso, cautelare, di cui all’art.12 comma 3 del D.P.R. 380 del 2001.

L’intervento, in fatto, non era dunque assentibile né ai sensi della normativa vigente all’epoca della sua realizzazione, né a quello della valutazione ad opera della competente autorità.

Oltre quanto sopra osservato in ordine al contrasto con la destinazione a verde pubblico dell’area, al contrasto con i vincoli geologici, la creazione di quella nuova volumetria non era prevista dal detto Piano di recupero e risultava perciò in contrasto con l’articolo 32 delle NTA che vietava qualsiasi alterazione dell’area, escludendo la creazione di nuove fabbriche.

Quanto edificato non sarebbe stato comunque assentibile perché, a norma dei commi 2 e 5 dell’art. 3 della Convenzione per l’attuazione del Piano di recupero del 30 novembre del 2007, i necessari interventi di bonifica avrebbero dovuto precedere le opere previste dal Piano, comprese quelle di urbanizzazione;
non sarebbe stato, dunque, possibile realizzarli ex post

Col terzo motivo di appello, in particolare la parte contesta che il manufatto fosse collocato all’interno dell’area vincolata. Anche questa deduzione è infondata. L’istruttoria procedimentale ha infatti dimostrato, con l’effettuazione di un apposito sopralluogo del 20 maggio 2008, avente ad oggetto una ricognizione della sua posizione planimetrica, anche con riferimento alla distanza dal canale Seriola Vecchia di Chiari, che l’area di sedime del fabbricato, almeno in parte, ricadeva nell’area vincolata, con conseguente dequotazione della censura in analisi.

Tanto meno può dirsi fondata l’ulteriore deduzione, secondo la quale la deroga alle distanze minime previste tra l’ opus e la Seriola vecchia di Chiari era stata comunque autorizzata dalla Convenzione intercorsa tra la fallita C.M.T. Due S.r.l. e il Consorzio Seriola. Invero, come evincibile dal suo stesso titolo, la detta convenzione non si è mai perfezionata, rappresentando il documento esibito, una mera minuta o puntuazione. Dunque non si trattava di atto impegnativo.

Con il secondo motivo di appello la parte deduce la violazione dell’art.10 bis della legge n.241 del 1990, non avendo l’autorità procedente emesso un nuovo preavviso di diniego, pur avendo aggiunto, all’esito del supplemento istruttorio disposto, ulteriori motivi a fondamento del diniego.

Il motivo è infondato per plurime ragioni. Innanzitutto perché la principale ragione che ostava all’accoglimento dell’istanza di sanatoria, anche dopo l’approfondimento istruttorio era sempre la medesima, ossia l’insistenza dell’edificio su di un’area sottoposta a vincolo, circostanza di cui l’interessato aveva già avuto piena contezza.

In secondo luogo il motivo non è fondato perché la parte aveva puntualmente partecipato allo svolgersi dell’ulteriore istruttoria, che anzi aveva essa stessa sollecitato, dunque ebbe modo di seguirne in tempo reale la dinamica, ivi compresa l’emersione di ulteriori elementi ostativi all’accoglimento della pratica. Pertanto gli effetti di cui al citato art.10 bis si realizzarono per equivalente.

Infine il motivo non è accoglibile perché – vertendosi in materia di silenzio-assenso – era in ogni caso dubbio che avesse diritto al preavviso di diniego.

Conclusivamente questi motivi inducono al rigetto del gravame. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

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