Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-06-01, n. 202003422
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Testo completo
Pubblicato il 01/06/2020
N. 03422/2020REG.PROV.COLL.
N. 07478/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7478 del 2019, proposto dalla società AK s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati R F e M F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Roma, viale Regina Margherita, n. 46,
contro
il Ministero dell’Interno – Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso e della Difesa civile e il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Rieti, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,
per la riforma
della sentenza del Tar Lazio, sede di Roma, sez. I-bis, n. 7071 del 3 giugno 2019, non notificata, con la quale è stato respinto il ricorso proposto avverso la Determinazione del Dirigente del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Rieti, con la quale è stato disposto l’annullamento in autotutela del certificato di prevenzione incendi, rilasciato alla società Ak s.r.l. in data 24 luglio 2015.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno – Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso e della Difesa civile, e del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Rieti;
Vista la memoria depositata dal Ministero dell’Interno – Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso e della Difesa civile, e dal Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Rieti in data 25 ottobre 2019;
Vista la memoria depositata dalla Ak s.r.l. in data 15 maggio 2020;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 21 maggio 2020, svoltasi da remoto in videoconferenza ex art. 84, comma 6, d.l. n. 18 del 2020, il Cons. Giulia Ferrari;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La società Ak s.r.l. (d’ora in poi, “Ak”) è titolare dell’impianto sportivo – kartodromo denominato Circuito della Mole, sito in Rieti.
Con determinazione del Dirigente del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Rieti del 10 ottobre 2017 è stato annullato in autotutela il certificato di prevenzione incendi, rilasciato in data 24 luglio 2015 ed in corso di validità fino al 24 giugno 2020.
Tale ritiro in autotutela è stato disposto a seguito di una ravvisata illegittimità, sotto diversi profili, del certificato e, in particolare, avuto riguardo alle problematiche connesse all’interferenza tra l’impianto sportivo in questione e il metanodotto Snam Rete Gas s.p.a..
2. Con ricorso proposto innanzi al Tar Lazio, sede di Roma, sez. I-bis, la Ak ha impugnato, previa richiesta di sospensione dell’efficacia, la suddetta determinazione, censurandola sotto diversi aspetti.
In particolare, la Ak ha contestato la violazione dell’art. 7, l. n. 241 del 1990, per omessa comunicazione di avvio del procedimento;la violazione dell’art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990 per mancato rispetto del termine di 18 mesi per esercitare il potere di autotutela e per omessa valutazione delle contrapposte posizioni di interesse;la violazione dell’art. 21-septies, per elusione della sentenza del Tar Lazio, sede di Roma, sez. II-ter, n. 5872 del 2008, che aveva disposto l’annullamento del parere della Commissione Provinciale di Vigilanza sui locali di pubblico spettacolo – Prefettura di Rieti – del 1° febbraio 2006;la carenza di istruttoria e di motivazione, per non aver tenuto conto del fatto che la società ricorrente avrebbe condotto una serie di interventi di messa in sicurezza del circuito.
3. Con ordinanza cautelare n. 1475 del 12 marzo 2018, il Tar Lazio ha respinto la domanda incidentale di sospensione degli atti impugnati.
4. In sede di appello cautelare, il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 2768 del 15 giugno 2018, rilevato che “non emergono sicuri elementi in ordine alla sussistenza del fumus boni iuris con peculiare riferimento alla dedotta sicurezza dell’impianto antincendio”, ha sollecitato una rapida trattazione del merito.
5. Con sentenza n. 7071 del 3 giugno 2019 il Tar Lazio, ha respinto il ricorso.
In particolare, il primo giudice non ha ritenuto tardivo l’atto avversato, dando seguito all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale il termine di 18 mesi – introdotto dalla l. n. 124 del 2015 – si applicherebbe solo ai provvedimenti di annullamento in autotutela che abbiano ad oggetto provvedimenti che siano, anch’essi, successivi all’entrata in vigore della nuova disposizione, mentre, per quelli anteriori, continuerebbe a trovare applicazione il parametro del “termine ragionevole” ed il termine di 18 mesi integrerebbe solo un indice ermeneutico ai fini della valutazione della “ragionevolezza del termine”.
Il Tar non ha, altresì, riscontrato lacune né sul piano motivazionale – dato che, nel caso di specie, l’onere motivazionale sarebbe attenuato, venendo in rilievo interessi particolarmente qualificati, quali la salvaguardia dell’incolumità degli operatori e delle persone – né su quello istruttorio, dal momento che l’Amministrazione avrebbe adeguatamente valutato tutti gli elementi inficianti il rilascio del certificato di prevenzione incendi.
Infine, il primo giudice ha evidenziato che gli atti avverso i quali è stato proposto il ricorso definito con la sentenza del Tar Lazio n. 5872 del 2008 sarebbero differenti rispetto al provvedimento sottoposto all’esame, il quale sarebbe stato adottato a seguito di riesame istruttorio, con una differente motivazione e sulla base di una diversa e sopravvenuta normativa di sicurezza.
6. La citata sentenza n. 7071 del 3 giugno 2019 è stata impugnata con appello notificato 29 luglio 2019 e depositato il successivo 11 settembre 2019, riproducendo sostanzialmente le censure non accolte in primo grado e ponendole in chiave critica rispetto alla sentenza avversata.
In particolare, il Tar avrebbe erroneamente:
a) ritenuto che il documento recante la relazione del Comando dei Vigili del Fuoco (depositata in giudizio il 24 aprile 2018) non contenesse una motivazione postuma ove, per contro, alcuni profili motivazionali della relazione sarebbero del tutto assenti nell’atto avversato;
b) esclusa la violazione dell’art. 7, l. n. 241 del 1990.
Al contrario, all’appellante sarebbe stato impedito di far valere le proprie ragioni e i propri diritti in sede procedimentale;
c) giudicato tempestivo l’impugnato annullamento in autotutela.
Al contrario, nel caso in cui il provvedimento oggetto di annullamento sia stato adottato anteriormente alla data di entrata in vigore della l. n. 124 del 2015 (28 agosto 2015), mentre il provvedimento di annullamento d’ufficio sia posteriore a detta data, il termine di 18 mesi dovrebbe cominciare a decorrere dal 28 agosto 2015. Applicando tale principio al caso di specie, il termine di 18 mesi per esercitare il potere di autotutela sarebbe scaduto in data 28 febbraio 2017, mentre l’annullamento d’ufficio del certificato di prevenzione incendi sarebbe intervenuto solo il successivo 10 ottobre 2017;
d) ritenuto che l’onere motivazionale gravante sull’Amministrazione sarebbe attenuato.
Al contrario, l’Amministrazione non avrebbe addotto alcuna motivazione in merito agli interessi vantati dall’appellante per cui non dovrebbe parlarsi di motivazione attenuata quanto, piuttosto, di motivazione insussistente;
e) omesso la pronuncia sull’erroneità dei presupposti su cui si sarebbe fondato l’annullamento in autotutela, il quale avrebbe fatto leva sulla necessità di valutazione del parere 1° febbraio 2006 della Commissione Vigilanza Locali Pubblico Spettacolo.
Al contrario, tale parere sarebbe stato annullato dal Tar Lazio n. 5872 del 2008 e, per effetto dell’annullamento giurisdizionale, avrebbero riacquistato efficacia i precedenti pareri favorevoli della stessa Commissione Vigilanza Locali Pubblico Spettacolo del 7 gennaio 2000 e dell’11 luglio 2001;
f) ritenuto che l’atto impugnato fosse sorretto da un’adeguata istruttoria e motivazione.
Al contrario, il provvedimento di annullamento non avrebbe tenuto conto del fatto che la società appellante avrebbe condotto una serie di interventi di messa in sicurezza del circuito, avvenuti in esecuzione delle specifiche prescrizioni dettate dal Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco e precisati in apposita relazione tecnica.
7. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Interno – Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso e della Difesa civile e il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Rieti, affermando l’infondatezza dell’appello.
8. Con ordinanza cautelare n. 5195 dell’11 ottobre 2019 la Sezione ha preso atto della rinuncia alla domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza del Tar Lazio, sede di Roma, sez. I-bis, n. 7071 del 3 giugno 2019.
9. Alla udienza del 21 maggio 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Come esposto in narrativa la società Ak s.r.l. (d’ora in poi, “Ak”) - titolare dell’impianto sportivo all’aperto (kartodromo), per 660 spettatori, denominato Circuito della Mole, sito in Rieti - ha impugnato dinanzi al Tar Lazio la determinazione del Dirigente del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Rieti del 10 ottobre 2017, che aveva annullato in autotutela il certificato di prevenzione incendi, rilasciato in data 24 luglio 2015 ed in corso di validità fino al 24 giugno 2020. Il provvedimento in autotutela era stato adottato per difetto di istruttoria, essendo stato il certificato rilasciato senza considerare che, con parere della Commissione Vigilanza Locali Pubblico Spettacolo del 1° febbraio 2006, erano stati annullati i precedenti pareri della stessa Commissione del 7 gennaio 2000 (parere favorevole di agibilità per 860 spettatori con riguardo all’utilizzazione dell’impianto per uso kartodromo) e dell’11 luglio 2001 (parere favorevole di agibilità per 860 spettatori con riguardo alla tribuna). Il procedimento in autotutela è stato avviato a seguito di segnalazione (note del 2 maggio 2017 e del 6 giugno 2017) della società Snam Rete Gas in ordine ad una interferenza tra l’impianto sportivo della Ak e il metanodotto “Rieti-Roma DN 250 (10’’) 64 bar”.
Giova premettere, per inquadrare la vicenda contenziosa, che con sentenza n. 5872 del 16 giugno 2008, passata in giudicato perché non impugnata, la sez. II ter del Tar Lazio ha annullato il diniego di rilascio del certificato di agibilità del Kartodromo e gli atti presupposti, diniego che era stato opposto per la presenza nel sottosuolo dell’impianto sportivo di un metanodotto, regolarmente provvisto di certificato di prevenzioni incendi. Nella decisione è stato affermato che l’impianto, privo di “spazi destinati ad altre attività diverse da quella sportiva”, non può essere definito “complesso sportivo multifunzionale”. Il Ministero dell’interno, invece, muovendo dalla qualificazione (giudicata erronea dal Tar) dell’impianto sportivo gestito dalla società come “complesso sportivo multifunzionale”, era pervenuto alla conclusione che la coesistenza del kartodromo con il metanodotto non sarebbe permessa dalla disciplina del d.m. 18 marzo 1996, non facendosi menzione dei metanodotti tra le attività, tassativamente elencate dall’art. 4, comma 9, di cui è ammessa la coesistenza. Ne consegue la possibile contestuale presenza, sulla stessa area, di un impianto sportivo e di un metanodotto.
Corollario obbligato di tale premessa è stato l’annullamento del diniego di rilascio del certificato di agibilità e degli atti allo stesso presupposti, tra i quali il parere della Commissione Vigilanza Locali Pubblico Spettacolo del 1° febbraio 2006.
2. Tale dato giuridico/fattuale è stato dedotto (quarto e quinto motivo di appello) dalla Ak come vizio di legittimità della determinazione del Dirigente del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Rieti del 10 ottobre 2017, che aveva annullato il certificato di prevenzione incendi, sul rilievo che la stessa avrebbe assunto a proprio presupposto un parere (del 1° febbraio 2006) che era già stato annullato dal giudice amministrativo con sentenza (16 giugno 2008, n. 5872) passata in giudicato. Ne sarebbe conseguito la carenza di una legittima motivazione a supporto del provvedimento in autotutela.
Il motivo non è suscettibile di positiva valutazione, essendo solo in parte corretto l’assunto attoreo.
Ed invero, a differenza di quanto sembra assumere l’appellante, la determinazione del 10 ottobre 2017 ha come presupposto dell’esercizio del potere in autotutela una pluralità di motivazioni, e quindi non solo il parere della Commissione Vigilanza Locali Pubblico Spettacolo del 1° febbraio 2006 ma – come ben evidenziato dal giudice di primo grado – anche i rilievi che: a) il certificato di prevenzione incendi è stato rilasciato “solo a seguito di esame progetto, non esattamente pertinente allo stato dei luoghi, e non mediante il previsto procedimento in deroga (art. 7, d.P.R. n. 151 del 2011), che nel caso di specie si rappresentava necessaria, visto lo stato dei luoghi manifestante caratteristiche tali da non consentire l’integrale osservanza delle regole tecniche di prevenzione incendi vigenti”;b) il certificato di prevenzione incendi è stato rilasciato “dall’amministrazione procedente ignorando quanto previsto all’art. 4, comma 5, d.P.R. n. 151 del 2011, invero il sopralluogo doveva essere effettuato dal Comando nel corso di un procedimento di autorizzazione che prevede un atto deliberativo propedeutico emesso da organi collegiali (CVLPS), dei quali è chiamato a far parte il Comando stesso, in linea col procedimento in deroga di cui all’art. 7, d.P.R. n. 151 del 2011, e disattendendo le indicazioni fornite con nota DCPST prot. n. 11776 del 25 settembre 2012 che testualmente recita: «(…) codesto Comando (…) effettuerà la valutazione tecnica di competenza tenendo conto della presenza del sottostante metanodotto (…) e verificando la necessità di indicare specifiche misure di sicurezza ai fini della compatibilità. In tal senso, le disposizioni del d.m. 17 aprile 2008, recante ‘Regola tecnica per la progettazione, costruzione, collaudo, esercizio e sorveglianza delle opere e degli impianti di trasporto di gas naturale con densità non superiore a 0.8’ potranno costituire un utile riferimento. Si ritiene, altresì, che tale valutazione, da rappresentare anche nell’ambito di organi collegiali nei quali è chiamato a far parte il comando stesso (cfr. d.P.R. n. 151 del 2011, art. 4, comma 5), non possa prescindere dalle motivazioni e dagli effetti della sopra richiamata sentenza, che ha considerato l’attività in argomento ‘impianto sportivo all’aperto’»”.
É dunque evidente come l’annullamento sia stato determinato anche alla luce della normativa del 2011, successiva rispetto alla pronuncia del Tar Lazio del 2008, che costituisce dunque ragione autonoma dell’esercizio del potere di autotutela.
In considerazione della pluralità di motivi che supportano il provvedimento, trova applicazione il principio, granitico nella giurisprudenza del giudice amministrativo, secondo cui ai fini della verifica della legittimità del provvedimento amministrativo fondato su una pluralità di motivi autonomi, è sufficiente che almeno uno di essi risulti in grado di sorreggere per intero l'atto stesso (Cons. St., sez. VI, 7 gennaio 2014, n. 12;18 maggio 2012, n. 2894 e 27 aprile 2015, n. 2123;Cons. St., sez. V, 25 febbraio 2015, n. 927;Tar Napoli, sez. III, 22 settembre 2015, n. 4583), il che si verifica quando anche uno soltanto di essi non forma oggetto di specifica censura.
3. In effetti la società, con il sesto motivo censura anche tali ultime due motivi affermando che nella specie non era necessario il procedimento in deroga ex art. 7, d.P.R. n. 151 del 2011 e che il procedimento di rilascio del certificato di prevenzione incendi – a differenza del procedimento conclusosi con il provvedimento in autotutela – era stato caratterizzato da una ampia istruttoria, con contraddittorio tra la società e il comando provinciale dei Vigili del fuoco.
Deve preliminarmente rilevarsi che la giurisprudenza consolidata del giudice di appello (Cons. St., sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5711;id. 17 ottobre 2017, n. 4796) – che la Sezione condivide e fa propria – ha affermato che l'omessa pronuncia, da parte del giudice di primo grado, su censure e motivi di impugnazione costituisce tipico errore di diritto per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, deducibile in sede di appello sotto il profilo della violazione del disposto di cui all'art. 112 c.p.c., che è applicabile al processo amministrativo (Cons. St., sez. IV, 16 gennaio 2006, n. 98) con il correttivo a più riprese affermato, secondo il quale l’omessa pronuncia su un vizio del provvedimento impugnato deve essere accertata con riferimento alla motivazione della sentenza nel suo complesso, senza privilegiare gli aspetti formali, cosicché essa può ritenersi sussistente soltanto nell'ipotesi in cui risulti non essere stato esaminato il punto controverso e non quando, al contrario, la decisione sul motivo d'impugnazione risulti implicitamente da un'affermazione decisoria di segno contrario ed incompatibile (Cons. St., sez. VI, 6 maggio 2008, n. 2009).
Peraltro, l'omessa pronuncia su una o più censure proposte con il ricorso giurisdizionale non configura un error in procedendo, tale da comportare l'annullamento della decisione, con contestuale rinvio della controversia al giudice di primo grado ex art. 105, comma 1, c.p.a., ma solo un vizio dell'impugnata sentenza che il giudice di appello è legittimato ad eliminare, integrando la motivazione carente o, comunque, decidendo sul merito della causa (Cons. St., sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5711;id. 17 ottobre 2017, n. 4796).
Non rientrando l’omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado su un motivo del ricorso, nei casi tassativi di annullamento con rinvio, ne consegue che, in forza del principio devolutivo (art. 101, comma 2, c.p.a.), il Consiglio di Stato decide, nei limiti della domanda riproposta, anche sui motivi di ricorso non affrontati dal giudice di prime cure (Cons. St., sez. V, 29 dicembre 2017, n. 6158).
4. Nel merito, il motivo non è suscettibile di positiva valutazione.
Ed invero, l’applicazione della procedura in deroga, introdotta dall’art. 7, d.P.R. n. 151 del 2011, si rendeva necessaria in considerazione delle caratteristiche dei luoghi tali da non consentire l’integrale osservanza delle regole tecniche di prevenzione incendi vigenti e, in particolare, della contiguità del metanodotto con l’impianto sportivo all’aperto della società.
La vicinanza del metanodotto ha rappresentato infatti un elemento di criticità: è di 300 mm. di diametro, interrato a profondità non inferiore a 1.50 metri e distanziato di almeno 15.50 metri dall’aria destinata allo stanziamento del pubblico presso l’impianto sportivo. Invece, nell’area interdetta al pubblico ed a servizio del kartodromo il tracciato, installato all’interno di un manufatto di protezione costituito da un cunicolo avente anche funzione drenante, è distante meno dei sei metri prescritti dal d.m. 14 aprile 2008 rispetto a costruzioni adibite a “locali di servizio”, “zona pesa”, “box rimessaggio kart”, “box con ponte levatore”, “locale quadri elettrici”, “ripostigli”.
Il citato art. 7 prevede proprio il “procedimento in deroga” nel caso in cui l’attività soggetta al controllo di prevenzione incendi presenti caratteristiche tali da non consentire l'integrale osservanza delle generali regole tecniche di prevenzione incendi vigenti.
5. La pluralità di valide e legittime ragioni addotte a supporto dell’annullamento in autotutela portano alla reiezione anche del primo motivo di appello atteso che il Comando dei vigili del fuoco, con la relazione trasmessa all’Avvocatura generale dello Stato e depositata agli atti del giudizio di primo grado, nel richiamare le tre argomentazioni poste a base dell’annullamento d’ufficio del certificato prevenzione incendi e, quindi, gli adempimenti introdotti dagli artt. 4 e 7, d.P.R. n. 151 del 2011, ha riprodotto le motivazioni contenute nel provvedimento impugnato mentre per la restante parte, come correttamente affermato dal giudice di primo grado, ha controdedotto ai motivi di gravame nei confini propri di una relazione difensionale.
6. Con il secondo motivo di appello è dedotta la violazione del termine di diciotto mesi introdotto dall’art. 21 nonies, l. n. 241 del 1990.
Secondo la più recente giurisprudenza di questo Consiglio, all’art. 21 nonies, l. n. 241 del 1990, introdotto dall’art. 6, comma 1, lett. d), l. 7 agosto 2015, n. 124 (c.d. Riforma Madia), non può attribuirsi una funzione, per così dire “sanante”, dei provvedimenti illegittimi adottati precedentemente ai 18 mesi antecedenti all'entrata in vigore della norma (28 agosto 2015).
Pertanto, siffatto termine – fatta salva l’operatività del “termine ragionevole” già previsto dall'originaria versione dell'art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990 - non può che cominciare a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione (Cons. St., sez. IV, 18 ottobre 2019, n. 7080;id., sez. V, 22 giugno 2018, n. 3874) e non può, dunque, applicarsi in via retroattiva, computando anche il tempo decorso anteriormente all'entrata in vigore della l. n. 124 del 2015, atteso che tale esegesi, oltre a porsi in contrasto con il generale principio di irretroattività della legge (art. 11 preleggi), finirebbe per limitare in maniera eccessiva ed irragionevole l'esercizio del potere di autotutela amministrativa.
Questo Collegio non aderisce, dunque, all’orientamento minoritario, fatto proprio, invece, dal giudice di primo grado secondo cui ai fini dell'applicazione della regola del tempus regit actum (art. 11 delle preleggi), l'atto di autotutela dovrebbe considerarsi non un provvedimento autonomo bensì un atto rientrante nel procedimento aperto dall'atto di primo grado, con conseguente insensibilità del procedimento amministrativo alle norme giuridiche nel frattempo sopravvenute. Secondo tale orientamento il novellato art. 21-nonies - che introduce un regime temporale rigido di annullabilità dell'atto amministrativo - non può che riferirsi ai provvedimenti in autotutela di provvedimenti di primo grado adottati successivamente alla vigenza della legge.
Ciò chiarito, nella specie il provvedimento in autotutela (adottato il 10 ottobre 2017) del certificato antincendi (rilasciato il 24 luglio 2015) è intervenuto circa due anni dopo il provvedimento annullato. Anche facendo riferimento, quale dies a quo del termine di 18 mesi, alla data di entrata in vigore della norma (28 agosto 2015) l’annullamento in autotutela è comunque intervenuto dopo 24 mesi, quindi ben oltre il termine di 18 mesi.
La giurisprudenza alla quale ha aderito il Collegio ha trovato un temperamento rispetto all’inoperatività retroattiva del termine di 18 mesi nel principio del "termine ragionevole", già previsto dall'originaria versione dell'art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990, anteriore alla novella del 2015. La decifrazione della nozione indeterminata di termine ragionevole, ai fini dello scrutinio della sua corretta interpretazione da parte dell'amministrazione, deve essere, quindi, compiuta con particolare rigore quando il potere di autotutela viene esercitato – come nella specie – su atti attribuitivi di utilità giuridiche od economiche (Cons. St., sez. VI, 14 ottobre 2019, n. 6975;id., sez. III, 18 settembre 2019, n. 6214;id., sez. VI, 8 maggio 2019, n. 2974;id., sez. V, 22 giugno 2018, n. 3874;id. 28 agosto 2017, n. 4077).
Nel caso di specie tale termine non appare al Collegio ragionevole non essendo supportato da una motivazione tale da giustificare perché, a fronte di un quadro fattuale e normativo non mutato dal 2015, solo nell’ottobre del 2017 si sia disposto l’annullamento di un certificato che esplicava gli effetti già da due anni consentendo alla società l’esercizio dell’impianto sportivo. E ciò in particolare in una fattispecie, come quella in esame, in cui il Dipartimento Vigili del Fuoco ha sostenuto, e difeso in giudizio, che l’annullamento fosse dovuto alla pericolosa vicinanza ad un gasdotto, sicché la inerzia biennale mantenuta contraddice in pieno le serie motivazioni sostanziali legate al pericolo per la pubblica incolumità.
Rileva peraltro ancora il Collegio che la “ragionevolezza” del termine non è richiesta dal comma 2-bis dell’art. 21-nonies, introdotto dalla medesima novella del 2015, nel caso di provvedimenti amministrativi emanati sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato.
Il Consiglio di Stato (sentenza sez. V, n. 3940 del 27 giugno 2018) – principiando dalla ratio sottesa alla riforma introdotta dalla l. n. 124 del 2015 che è quella di assicurare una astratta e generale prevalutazione ex lege degli interessi in conflitto – ha chiarito che il superamento del rigido termine di 18 mesi è consentito: a) nel caso in cui la falsa attestazione, inerenti i presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo, abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all’uopo rese dichiarazioni sostitutive): nel qual caso sarà necessario l’accertamento definitivo in sede penale;b) nel caso in cui l’(acclarata) erroneità dei ridetti presupposti risulti comunque non imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all’Amministrazione ma esclusivamente al dolo (equiparabile, per solito, alla colpa grave e corrispondente, nella specie, alla mala fede oggettiva) della parte: nel qual caso – non essendo parimenti ragionevole pretendere dalla incolpevole Amministrazione il rispetto di una stringente tempistica nella gestione della iniziativa rimotiva – si dovrà esclusivamente far capo al canone di ragionevolezza per apprezzare e gestire la confliggente correlazione tra gli opposti interessi in gioco.
La fattispecie all’esame del Collegio non è sussumibile nei casi previsti dal comma 2-bis dell’art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990, non avendo neanche l’Amministrazione mosso all’appellante addebiti così gravi. Ne consegue la tardività dell’esercizio del potere di autotutela da parte del Dirigente del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Rieti e, dunque, la fondatezza del secondo motivo di appello.
7. L’appello è dunque fondato, con conseguente riforma della sentenza del Tar Lazio, sede di Roma, sez. I-bis, n. 7071 del 3 giugno 2019 ed accoglimento del ricorso di primo grado.
L’accoglimento del gravame non toglie, in considerazione delle ragioni che erano sottese all’annullamento del certificato di prevenzione incendi rilasciato alla società Ak s.r.l. in data 24 luglio 2015, che si faccia una nuova verifica della conformità della struttura assegnando alla società appellante, ove non in regola con la normativa vigente, un termine per l’adeguamento.
8. In considerazione della complessità della vicenda contenziosa le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate tra le parti in causa.