TAR Napoli, sez. IV, sentenza 2013-03-19, n. 201301538

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. IV, sentenza 2013-03-19, n. 201301538
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201301538
Data del deposito : 19 marzo 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06610/2011 REG.RIC.

N. 01538/2013 REG.PROV.COLL.

N. 06610/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6610 del 2011, proposto da:
R S e G R, rappresentati e difesi dagli avv. B M e A V, nonché gli avv. B M e A V, rappresentati e difesi in proprio, con domicilio eletto presso l’avv. B Rlli, in Napoli, piazza G. Bovio, n. 8;

contro

Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato Napoli, domiciliata in Napoli, via Diaz, n. 11;

per l'ottemperanza del decreto decisorio della Corte di Appello di Napoli III sezione civile n.5139/2010


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;

Viste le memorie difensive;

Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 27 febbraio 2013 il dott. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Santagata Rosa e Roviello Alfonso hanno ottenuto dalla Corte di Appello di Napoli il decreto decisorio cron. 5139\2010, depositato il 29.7.2010, concernente l’equa riparazione, che ha condannato il Ministero della Giustizia a pagare in favore dei predetti la somma di euro 11.949,54 ciascuno, oltre interessi, nonchè le spese legali in favore dei procuratori antistatari dagli avv. B M e A V;

Il suddetto decreto è divenuto definitivo per non essere stata proposta impugnazione;

L’Amministrazione non ha effettuato i pagamenti del dovuti.

Con atto notificato il 15.12.2011, Santagata Rosa e Roviello Giovanni, in qualità di unico erede di Roviello Alfonso, nonché gli avv. B M e A V, hanno proposto ricorso per ottemperanza richiedendo al presente T.A.R. di disporre l’esecuzione del decreto in epigrafe, nominando a tal fine un commissario ad acta che provveda al pagamento, a cura e spese dell’Amministrazione intimata.

Hanno richiesto altresì la condanna al pagamento delle somme maturate a titolo di rivalutazione dopo il passaggio in giudicato e la fissazione di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione a mezzo dell’Avvocatura dello Stato eccependo la carenza di legittimazione passiva del Ministero della Giustizia.

In occasione dell’adunanza camerale del 27.2.2013 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1) Il ricorso è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.

2) In primo luogo il Collegio rileva la sussistenza della legittimazione passiva dell’intimato Ministero della Giustizia nei giudizi per l'esecuzione del giudicato che condanna l’Amministrazione, come nel caso di specie, a corrispondere l’equa riparazione ai sensi della legge n. 89 del 2001 per le decisioni del giudice ordinario (v. in tal senso, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 16 marzo 2012 n. 1484;
Cons. Stato, Sez. IV, 23 agosto 2010, n. 5897;
Cons. Stato, Sez. IV, 23 dicembre 2010, n. 9342).

In particolare, a norma dell’art. 3, della legge n. 89 del 2001 (sia nel testo vigente al momento della proposizione del ricoso a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 1, co. 1224, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sia nel testo attualmente vigente a seguito dell’art. 55, comma 1, lettera c, del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 7 agosto 2012, n. 134), la domanda di equa riparazione va presentata con ricorso da indirizzarsi nei confronti del Ministro della giustizia quando si tratta di procedimenti del giudice ordinario, del Ministro della difesa quando si tratta di procedimenti del giudice militare e, negli altri casi, nei confronti del Ministro dell'economia e delle finanze.

Ora, come indicato dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, 16 marzo 2012 n. 1484, l’azione di ottemperanza, in conformità ai principi, deve essere esperita nei confronti del soggetto debitore inadempiente. Pertanto nel giudizio per l'esecuzione del giudicato che condanna l’Amministrazione a corrispondere l’equa riparazione ai sensi della legge n. 89 del 2001 persiste la legittimazione passiva del Ministero della giustizia (v. in tal senso, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 23 agosto 2010, n. 5897;
Id., 23 dicembre 2010, n. 9342).

In buona sostanza, nel giudizio di ottemperanza le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano in quello terminato con la pronuncia di condanna, non potendosi pervenire, per quanto riguarda in particolare la fattispecie all'esame, ad una diversa identificazione della parte passiva solo perché l'art. 1, comma 1225, secondo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, ha previsto che, "al fine di razionalizzare le procedure di spesa ed evitare maggiori oneri finanziari conseguenti alla violazione di obblighi internazionali, al pagamento degli indennizzi procede, comunque, il Ministero dell'economia e delle finanze".

La menzionata disposizione non muta le regole sulla legittimazione passiva nel giudizio di ottemperanza, nel quale la parte pubblica deve ritenersi soggettivamente intesa, secondo l'ordinaria disciplina di rappresentanza in giudizio delle Amministrazioni statali, come parte necessariamente presente nel giudizio di cognizione a quo. Del resto il richiamo alla sola fase del "pagamento", contenuto nella indicata norma, non comporta effetti espansivi sulla legittimazione passiva nei relativi giudizi di ottemperanza, spettante all'Amministrazione condannata nel giudizio stesso, quanto, piuttosto, un mero riparto di competenze fra Amministrazioni statali nell'ambito del procedimento contabile di liquidazione delle somme a tal titolo dovute.

Incombe sull’Amministrazione condannata (quando, come avviene nei giudizi di cui si tratta, il legislatore abbia individuato un'Amministrazione diversa tenuta al pagamento) l'onere di porre in essere, ai fini dell'adempimento al giudicato (la cui puntuale verifica è appunto l'oggetto del giudizio di ottemperanza), tutti gli atti necessari al compimento, da parte della seconda, della fase di pagamento, del cui esatto e tempestivo esito rimane comunque responsabile, nei confronti del creditore, il soggetto nei cui confronti sia stata pronunciata la sentenza passata in giudicato, al fine ultimo di far conseguire concretamente all'interessato l'utilità o il bene della vita già riconosciutogli in sede di cognizione (Cons. Stato, Sez. V, 3 ottobre 1997, n. 1108;
Sez. IV, 15 aprile 1999, n. 626;
Sez. IV, 17 ottobre 2000, n. 5512;
Sez. IV, 14 maggio 2007, n. 2447;
Sez. IV, 23 agosto 2010, n. 5897).

A conclusioni non diverse porta l’esame dell'art. 14, co. 1, del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito nella legge 28 febbraio 1997, il quale - con previsione applicabile anche nei giudizi di ottemperanza (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 12 maggio 2008, n. 2158;
Id., 23 agosto 2010, n. 5897) - stabilisce che "le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici non economici completano le procedure per l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l'obbligo di pagamento di somme di danaro entro il termine di centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo. Prima di tale termine il creditore non può procedere ad esecuzione forzata né alla notifica di atto di precetto".

Come quella dell’art. 1, co. 1225, della legge 296 del 2006, la disposizione può essere coerente a una esigenza sistematica di razionalizzazione delle procedure di spesa. Da un lato essa ha l’obiettivo di consentire all'Amministrazione, la quale va direttamente compulsata, di attivare e concludere il procedimento di pagamento nell'arco temporale di ad essa assegnato;
e ciò prima che sia introdotta la procedura giudiziale di esecuzione, che può comportare anche un ulteriore aggravio di spese processuali. La notifica del titolo esecutivo con siffatte modalità tende dunque a far sì che presso la Pubblica Amministrazione si avvii il procedimento contabile atto a realizzare l'adempimento spontaneo (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 12 maggio 2008, n. 2158).

Ma dall’altro, nel porre uno specifico termine per l’adempimento da parte dell’Amministrazione, la disposizione ha un intento sollecitatorio e riveste dunque anche una funzione garantista nei confronti del creditore. Sarebbe dunque paradossale farne discendere un onere di notifica del titolo, a pena di inammissibilità, non solo nei riguardi dell’Amministrazione materialmente obbligata sul piano dei rapporti intersoggettivi, ma anche e ogni caso nei confronti di quella che - secondo i riparti interni tra organi dello Stato - è competente per le procedure di spesa.

3) Nel merito della pretesa, osserva il Collegio come nel caso in esame ricorrano tutti i presupposti necessari per l’accoglimento, essendo il decreto in questione divenuto definitivo in seguito alla mancata proposizione di impugnazione in Cassazione, come da certificato della competente cancelleria.

Il comma 6, dell’art.3, della legge 24/03/2001 n. 89, prevede che il decreto che decide in ordine alla concessione dell’indennizzo sia immediatamente esecutivo ed impugnabile per cassazione e, sotto tale profilo, dalla mancata proposizione della suddetta forma di impugnazione deriva la definitività del decreto che, secondo il Collegio, può essere equiparato al giudicato, con conseguente suscettibilità di ottemperanza di fronte al Giudice Amministrativo.

In tal senso l’art. 112, comma 2, c.p.a., ha codificato un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il decreto di condanna emesso ai sensi dell’art. 3 della legge n. 89 del 2001 ha natura decisoria in materia di diritti soggettivi ed è, sotto tale profilo, equiparato al giudicato, con conseguente idoneità a fungere da titolo per l’azione di ottemperanza (Cons. Stato, Sez. IV, 16.3.2012, n. 1484;
Cons. Stato, Sez. IV, 16.3.2012, n. 1484);

Deve, pertanto, essere dichiarato l’obbligo dell’Amministrazione di dare esecuzione al decreto in epigrafe, mediante il pagamento delle somme indicate nel titolo, oltre agli interessi successivi.

4) Non è, invece, dovuta la richiesta rivalutazione monetaria successiva alla definitività del decreto trattandosi di debito di valuta.

5) Non è possibile fissare una “somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del giudicato” ai sensi dell’art. 114 co. 4, lett. e), del c.p.a..

Riprendendo la motivazione di recente giurisprudenza di questa sezione (sentenza n. 4887 del 3/12/2012), la suddetta norma ha comportato una rilevante innovazione, con la quale è stato introdotto anche nel processo amministrativo l’istituto della cd. astreinte, di solito misura suasiva in presenza di obblighi di facere infungibili;
nel processo civile il predetto istituto è regolato dall’art. 614 bis c.p.c., introdotto dall’art. 49 co. 1 l. 69/09.

Nel caso di specie, la parte ricorrente ha chiesto tanto la nomina del commissario ad acta che l’applicazione dell’astreinte;
si tratta di mezzi di tutela diversi perché l’astreinte è un mezzo di coercizione indiretta (la dottrina ha parlato, al riguardo, di modello “compulsorio”), mentre la nomina del commissario ad acta - che provvede in luogo dell’Amministrazione - comporta una misura attuativa del giudicato ispirata ad una logica differente (quella di nominare un diverso soggetto, tenuto a provvedere al posto della p.a.: la dottrina ha parlato, al riguardo, di modello di “esecuzione surrogatoria”).

È da ritenersi che l’opzione per l’uno o per l’altro modello rientri nella disponibilità della parte;
deve inoltre ritenersi ammissibile la richiesta, al giudice amministrativo, tanto della nomina del commissario ad acta quanto dell’applicazione dell’astreinte, atteso che – secondo l’orientamento preferibile e prevalente – l’Amministrazione non perde il potere di provvedere dopo la nomina del commissario ad acta, sicché la coazione indiretta costituita dall’astreinte continuerebbe ad aver un senso anche dopo la nomina del commissario .

Tuttavia, la domanda relativa deve essere, nel caso di specie, respinta.

Il Collegio non ritiene ammissibile la misura dell’astreinte qualora l’esecuzione del giudicato consista nel pagamento di una somma di denaro. Infatti, l’astreinte costituisce un mezzo di coazione indiretta sul debitore, configurabile quando si è in presenza di obblighi di facere infungibili: pertanto, non sembra possibile né equo condannare l’Amministrazione al pagamento di ulteriori somme di denaro, quando l’obbligo di cui si chiede l’adempimento consiste, esso stesso, nell’adempimento di un’obbligazione pecuniaria. Occorre considerare che, in tal caso, per il ritardo nell’adempimento sono già previsti dalla legge gli interessi legali: ai quali, pertanto, la somma dovuta a titolo di astreinte andrebbe ad aggiungersi, con effetti iniqui di indebito arricchimento per il creditore. Anche la giurisprudenza civile formatasi sull’art. 614 bis c.p.c., che ha introdotto nel processo civile una disposizione analoga, è orientata nel senso dell’ammissibilità di tale istituto a fronte dell’inadempimento di obblighi di fare infungibile o di non fare (il Tribunale di Cagliari, ord. del 19.09.2009, ha ritenuto che l’art. 614 bis si riferisca per l’appunto attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare).

Il Collegio è consapevole del recente orientamento contrario espresso autorevolmente dal Giudice di appello, ma ritiene di doversene discostare in base ad una analitica disamina dei lavori preparatori della disposizione del c.p.a. invocata.

Afferma invero il Consiglio di Stato ( cfr. sez. V sentenza n. 2744/2012) che : “nel processo amministrativo l’istituto presenta una portata applicativa più ampia che nel processo civile in quanto l’articolo 114 co 4 lettera e) del codice del processo amministrativo non ha riprodotto il limite stabilito dalla norma di rito civile,della riferibilità del meccanismo al solo caso di adempimento degli obblighi aventi per oggetto un non fare o un fare infungibile”.

Prosegue la sentenza ritenendo che detta soluzione va ricondotta alla peculiarità del giudizio di ottemperanza che consente anche di assicurare l’”esecuzione in re” del precetto giudiziario attraverso l’intervento del commissario ad acta, sì che nel sistema del cpa lo strumento ha una funzione processuale diversa dal c.p.c. in quanto : “non mira a compensare gli ostacoli derivanti dalla non diretta coercibilità degli obblighi di contegno sanciti dalla sentenza del giudice civile mentre del rimedio processuale civilistico è volto alla generale finalità di dissuadere il debitore dal persistere nella mancata attuazione del dovere di ottemperanza.”

Al riguardo ,il Collegio ritiene di dissentire rilevando che:

- si tratta di un meccanismo di esecuzione forzata indiretta mediante applicazione di una misura coercitiva ispirato alle cosiddette “astreintes” del diritto francese e che, dunque, si rifà al modello della condanna-indennizzo (a favore del creditore) e non al sistema tedesco della condanna-pena (a favore dell’erario).

- identica è la formulazione dell’art. 114 co 4 lettera e) del c.p.a. e del nuovo art. 614-bis c.p.c., collocato nel titolo dedicato agli obblighi di fare e di non fare;
secondo quest’ultimo: “Con il provvedimento di condanna il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento”. Secondo l’art. 114 co 4 lett e: “il giudice, in caso di accoglimento del ricorso: [...] e) salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato;
tale statuizione costituisce titolo esecutivo”. Unica differenza è la presenza nella norma del c.p.a. dell’inciso “ se non sussistono altre ragioni ostative”, che non rileva ai fini della presente questione;

- in buona sostanza, introducendo questa forma di penale, il codice del processo amministrativo riproduce l’art. 614-bis, comma 1, c.p.c., come modificato dalla L. n. 69/2009.

- si desume dalla rubrica dello stesso art. 614-bis che la misura coercitiva civile a carattere generale sia destinata a garantire l’attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare per i quali non è concepibile l’attività sostitutiva di un terzo, rispetto a quella richiesta all’obbligato, e non può, pertanto, operare l’esecuzione forzata diretta, a norma dell’art. 612 c.p.c.: l’art. 614-bis c.p.c., è stato collocato nel titolo dedicato agli obblighi di fare e non fare e la sua rubrica fa espresso riferimento ai soli obblighi «infungibili»;

- anche se tale riferimento, risultante dalla rubrica, non si ritrova nel testo dell’art. 614-bis c.p.c., si ritiene secondo l’opinione prevalente che la collocazione all’interno del titolo dedicato alle prestazioni di fare e non fare e la rubrica intitolata con riferimento agli obblighi di fare infungibili siano la dimostrazione della tesi che la misura sia limitata alle obbligazioni infungibili di fare o non fare, e dunque impongono di limitare l’ambito di applicazione dell’istituto alle sole ipotesi in cui non sarebbe esperibile l’esecuzione forzata diretta di cui agli artt. 612 e seguenti c.p.c.

- non sembra condivisibile la tesi della differente portata applicativa dell’istituto nel processo amministrativo, ossia della portata più ampia del potere sostitutivo del GA anche attraverso la nomina del commissario ad acta, il che renderebbe evidente la finalità di dissuadere il debitore dal persistere nella mancata attuazione del dovere di ottemperanza. Tanto non trova riscontro nei lavori preparatori della norma del c.p.a., anzi sembra trarsi argomento contrario nella relazione di accompagnamento al Codice laddove si precisa :” E stato riprodotto l’art. 614-bis,comma 1, cod. proc.civ., come novellato dalla l. n. 69 del 2009, a tenore del quale, salvo che ciò sia manifestamente iniquo e non sussistano altre ragioni ostative, il giudice dell’ottemperanza fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’amministrazione per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato;tale statuizione costituisce titolo esecutivo.” A giudizio del Collegio, appare evidente che l’intento del legislatore sia stato proprio quello di riprodurre la norma del c.p.c. nel c.p.a. e che si sia semplicemente dimenticato che il riferimento agli obblighi di fare infungibili era contenuto nella rubrica e non nel testo del 614 bis c.p.c..

- tale considerazione si ricava anche dalla disamina della legge delega per la riforma del processo amministrativo, relativamente al giudizio di ottemperanza. Al riguardo la legge 69/2009 non ha dettato principi ad hoc per il processo esecutivo( cfr. art. 44 comma 2 che enumera le direttive tecniche per la codificazione, lasciando il solo riferimento ai criteri generali di cui al comma 1 posti al fine di “adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte Costituzionale, e delle giurisdizioni superiori, di coordinarle con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di principi generali e di assicurare la concentrazione delle tutele”).

Se quindi si ritenesse la norma di portata difforme da quella del c.p.c., si potrebbe configurare un profilo di eccesso di delega, non facilmente superabile attraverso argomenti extratestuali;

- in ogni caso, non sembra utilmente richiamabile un proprium dell’ottemperanza costituito dalla limitata configurabilità di atti non surrogabili nell’esecuzione tramite c.p.a., atteso che dell’istituto della astreinte si discute proprio sino alla nomina del commissario ad acta, la cui attività trasforma l’infungibilità del facere in una surrogazione giudiziale. Nel giudizio di ottemperanza la misura accessoria della astreinte ha quindi la funzione di incentivare l’esecuzione di condanne di facere o non facere infungibile, appunto prima dell’intervento del commissario ad acta, che comporta normalmente maggiori oneri per l’amministrazione, oltre che maggior dispendio di tempo per il privato.

- il Collegio ritiene inoltre che affermare la natura integralmente sanzionatoria e non indennitaria della astreinte ( come sostenuto da CdS n. 2744/2012 e id. 20.12.2011 n. 6688 ) comporterebbe una funzione sanzionatoria pura a detrimento ingiustificato della posizione del debitore. Va in contrario affermato che la misura è volta in primis ad assicurare l’attuazione sollecita del dictum giudiziale ma è inoltre funzionale ad evitare la produzione del danno o quantomeno a ridurre l’entità del possibile pregiudizio. Non sembra potersi escludere una secondaria e concorrente finalità di ristoro del danno patito dal creditore per l’ipotesi in cui lo stesso non sia integralmente soddisfatto dall’esecuzione della pronuncia e quindi residui materia per un successivo giudizio di danni. In tal caso, negare la funzione parzialmente indennitaria della astreinte comporterebbe l’impossibilità che nella liquidazione del danno, successivamente richiesto, il giudice possa tenere in parte conto dell’importo versato a titolo di astreinte, detraendolo dal quantum della condanna, al fine di evitare ingiustificate locupletazioni in danno del creditore .

- inoltre si impone una considerazione finale a tutela della omogeneità dell’ordinamento e del principio di eguaglianza : qualora il giudizio di ottemperanza sia prescelto dalla parte per l’esecuzione di sentenza di condanna pecuniaria del giudice ordinario ( il che frequentemente accade) la tesi favorevole alla ammissibilità della applicazione della astreinte finirebbe per consentire una tutela diversificata dello stesso credito a seconda del giudice dinanzi al quale si agisca. In altri termini, il creditore pecuniario dell’amministrazione pubblica nel giudizio di ottemperanza potrebbe ottenere maggiori e diverse utilità rispetto a quelle conseguibili nel giudizio di esecuzione civile ( ove in base alla pressocchè unanime interpretazione, l’istituto del 614 bis c.p.c. è applicabile alle sole condanne ad un facere infungibile), e tanto semplicemente in base ad una opzione puramente potestativa . Per contro, alla luce del principio di eguaglianza, il legislatore è chiamato ad effettuare, a parità di situazioni sostanziali, scelte identiche, ed un regime di tutela differenziato in tanto sarebbe legittimo in quanto rispondente ad un principio di ragionevolezza. Nella specie, non sembra legittima né ragionevole una tutela differenziata offerta al cittadino ( ed a scelta meramente potestativa di quest’ultimo) all’interno di un sistema che svolge la stessa funzione esecutiva, ancorché dinanzi a giudici diversi.

6) L’Amministrazione darà quindi esecuzione al predetto decreto entro giorni sessanta dalla notificazione ad istanza di parte o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, secondo quanto suindicato.

In caso di inutile decorso del termine di cui sopra, si nomina sin d’ora Commissario ad acta il il Procuratore Regionale della Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti della Campania (con facoltà di delega ad un funzionario dell’Ufficio), che entro l’ulteriore termine di trenta giorni dalla comunicazione dell'inottemperanza (a cura di parte ricorrente) darà corso al pagamento, compiendo tutti gli atti necessari, comprese le eventuali modifiche di bilancio, a carico e spese dell’Amministrazione inadempiente.

Le spese per l’eventuale funzione commissariale andranno poste a carico dell’Amministrazione in epigrafe e vengono sin d’ora liquidate nella somma complessiva indicata in dispositivo.

Il commissario ad acta potrà esigere la suddetta somma all’esito dello svolgimento della funzione commissariale, sulla base di adeguata documentazione fornita all’ente debitore.

7) Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, venendo poste a carico dell'inadempiente Amministrazione, e si liquidano come da dispositivo.

A quest’ultimo riguardo il Collegio precisa che tra le spese liquidate in dispositivo per il presente giudizio di ottemperanza rientrano, in modo omnicomprensivo, le spese, i diritti e gli onorari relativi ad atti successivi al decreto azionato e funzionali all’introduzione del giudizio di ottemperanza (fra cui a titolo esemplificativo e non esaustivo si indicano quelle relative alla all'esame, alle copie ed alla notifica del decreto), fatte salve le eventuali spese di registrazione del decreto azionato non ricomprese in detta quantificazione.

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