TAR Salerno, sez. II, sentenza 2017-08-29, n. 201701361
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Pubblicato il 29/08/2017
N. 01361/2017 REG.PROV.COLL.
N. 01474/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1474 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Inerti Adinolfi S.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato M F, con domicilio eletto in Salerno, alla via SS. Martiri Salernitani, n. 31;
contro
Regione Campania, in persona del Presidente in carica
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato M I, con domicilio eletto in Salerno, alla via Abella Salernitana, n. 3;
Comune di Battipaglia, in persona del Sindaco in carica
pro tempore,
non costituito in giudizio;
per l'annullamento
del provvedimento di cui alla nota prot. n.0504107 del 22/07/2016 con cui il Dirigente della U.O.D. 07 Valutazioni Ambientali della Regione Campania ha comunicato il parere sfavorevole della Commissione V.I.A. - V.A.S. sull'istanza V.I.A. depositata dalla ricorrente in data 24.09.2014 (ex CUP 4669 VIA), relativa al progetto " Impianto per il trattamento di rifiuti speciali non pericolosi da sottoporre alle operazioni di recupero R12 e R5 Viale della Pace Loc. Castelluccia”;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Campania;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 maggio 2017 il dott. Giovanni Grasso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con ricorso notificato nei tempi e nelle forme di rito, la Inerti Adinolfi s.r.l., come in atti rappresentata e difesa, premetteva di essere titolare di un'autorizzazione regionale all'esercizio dell'attività di cava, nell'ambito di un'area sita alla località Castelluccia del Comune di Battipaglia.
In virtù di detta autorizzazione, aveva conseguito concessione edilizia, ai sensi dell'art. 19 della L.R.C. n. 54/1985, ai fini della realizzazione di alcuni manufatti connessi alla suddetta attività (p.d.c. n. 18/1998 e p.d.c. n. 46/1999).
Precisava che, a seguito della cessazione dell'attività di cava, avendo interesse a realizzare un impianto di trattamento inerti e recupero rifiuti non pericolosi, aveva chiesto ed ottenuto - in uno ai titoli autorizzatori necessari per l'esercizio di detta attività (autorizzazione all'emissioni in atmosfera, certificato di idoneità igienico-sanitaria, certificato di agibilità e compatibilità ambientale) - un ulteriore titolo edilizio, conforme alla disciplina di zona, ai fini della diversa utilizzazione di detti manufatti (provvedimento unico n. 30/2013).
Aggiungeva che in data 07.10.2014, avendo interesse ad ampliare l'oggetto dell'attività (ovvero ad aumentare la capacità complessiva delle tonnellate giornaliere oggetto di trattamento) aveva depositato apposita istanza di V.I.A..
Senonché, con nota prot. n. 809244 del 24.11.2015, l’Amministrazione aveva comunicato motivi pretesamente ostativi all'accoglimento dell'istanza, fondati sull’assunto che l’impianto de quo fosse ubicato all'interno del perimetro di una cava dismessa, con il che non sarebbe stato, in tesi, possibile utilizzare diversamente i manufatti connessi all'attività di cava (e ciò in quanto l'art. 19, comma 3 della L.R.C. n. 54/1985 - il quale prevedeva che i manufatti assentiti nell'ambito di un'attività di cava “[avrebbero dovuto] essere asportati o demoliti dopo la cessazione dell'attività autorizzata, fatta salva la facoltà di una diversa utilizzazione consentita dagli strumenti urbanistici vigenti ” - postulava la presenza di una attività di cava autorizzata).
In riscontro alla suddetta comunicazione, in data 03.12.2015, aveva, quindi, trasmesso memoria ex art. 10 bis della L. n. 241/1990, con la quale, tra l'altro, aveva cercato di dimostrare l'erronea interpretazione della suddetta previsione normativa (la quale, diversamente da quanto ritenuto, richiedeva a suo dire - ai fini di una diversa utilizzazione dei manufatti assentiti nell'ambito dell'attività di cava – esclusivamente la relativa conformità urbanistica e non, necessariamente, anche l'esistenza di un'attività di cava autorizzata).
Allegava, peraltro, che, con provvedimento prot. n. 24370 del 08.04.2016, la Giunta Regionale della Campania - U.O.D. Genio Civile di Salerno, “ valutato positivamente il progetto per la realizzazione di ulteriori interventi di recupero ambientale ”, aveva nelle more rilasciato alla ricorrente l'autorizzazione al completamento della ricomposizione ambientale finale dell'area di cava (con ciò dovendosi, in tesi, ritenere comunque superato l'unico motivo opposto dalla P.A. con la comunicazione dei motivi ostativi): circostanza, quest’ultima, che, con memoria integrativa depositata in data 15.04.2016, era stata espressamente rappresentata all’Amministrazione.
Decorsi ulteriori due mesi, la ricorrente, non ricevendo alcun riscontro, con nota del 20.06.2016 aveva sollecitato la P.A. a definire il procedimento di competenza, inoltrando, ancora una volta, le due memorie ex art. 10 bis L. n. 241/1990 precedentemente trasmesse.
Senonché, con il provvedimento distinto in epigrafe, gli era stato comunicato il parere sfavorevole della Commissione V.I.A., sorretto dal medesimo motivo pretesamente ostativo (e cioè che – giusta il richiamo interno ad una nota della U.O.D. Gestione Tecnico Amministrativa Cave, Miniere, Torbiere, prot. 291461 del 28.04.2016, la quale, a sua volta, richiamava altra nota interna neppure conosciuta – la previsione di cui all'art. 19, comma 3 L.R.C. n. 54/1985 sarebbe applicabile solo in presenza di un'attività di cava autorizzata).
Tanto premesso – sul valorizzato assunto che l’opposto rilievo si palesasse, a un tempo: a ) erroneo in jure e, comunque, b ) in ogni caso superato (avendo la ricorrente conseguito anche, come chiarito, apposita autorizzazione al completamento della ricomposizione ambientale: con ciò, di fatto, asseritamente ricorrendo comechessia i presupposti di cui all'art. 19, comma 3 cit. anche alla stregua della, pur contestata, interpretazione offerta dalla P.A.) – impugnava il ridetto parere negativo (di seguito estendendo il gravame, mercé aggiunzione di motivi, al pedissequo e conclusivo provvedimento regionale di diniego, integralmente recettivo del parere sfavorevole della Commissione).
2.- Nella resistenza della intimata Amministrazione regionale, alla pubblica udienza del 24 maggio 2017, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa veniva riservata per la decisione.
DIRITTO
1.- Il ricorso è, nei sensi e nei limiti delle considerazioni che seguono, fondato e merita di essere, conseguentemente, accolto.
Dalla lettura degli atti di causa, emerge con evidenza che la Regione, recependo integralmente il parere negativo della Commissione VIA, ha ritenuto di respingere l’istanza formulata dalla società ricorrente (assumendo “improcedibile” il progetto all’uopo elaborato) sull’assorbente e decisivo rilievo di diritto secondo cui, a termini dell’art. 19, comma 3 della L.R.C. n. 54/1985 (il quale testualmente consente, una volta cessata l'attività di cava, un diverso utilizzo dei manufatti realizzati in virtù di apposita autorizzazione all'esercizio di detta attività) sarebbe applicabile - solo ed esclusivamente – “ in presenza di un'attività di cava autorizzata ” e non, come nella specie, qualora la suddetta attività sia cessata, ovvero a prescindere dalla relativa cessazione.
Ad avviso del Collegio – che condivide, sul punto, le ragioni di doglianza formulate dalla ricorrente nei concorrenti termini della violazione di legge e della insufficiente motivazione in ordine alle valorizzate controdeduzioni ex art. 10 bis l. n. 241/1990 – siffatta, restrittiva interpretazione (contraria non meno alla lettera che alla ratio della previsione normativa) non può essere condivisa.
La norma in questione – nella sua formulazione da ultimo risultante dalla modifica introdotta dall’art. 15, L.R. 13 aprile 1995, n. 17 – prevede (nel contesto del regime dell’attività edilizia correlata alla gestione di cave e torbiere), che:
“1. Il provvedimento di concessione, previsto dall'articolo 1 della L. 28 gennaio 1977, n. 10, è obbligatorio per i manufatti e gli impianti ed ogni altra opera collegata all'attività della cava.
2. Il suo rilascio è obbligatorio, purché non in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti, e subordinato esclusivamente al possesso del provvedimento regionale previsto dall'articolo 4 della presente legge.
3. Tali manufatti e impianti dovranno essere asportati o demoliti dopo la cessazione dell'attività autorizzata, fatta salva la facoltà di una diversa utilizzazione consentita dagli strumenti urbanistici vigenti ”.
Con tale previsione normativa il legislatore regionale, dopo aver previsto il diritto, per i soggetti in possesso dell'autorizzazione all'attività di cava, a conseguire apposito titolo edilizio volto alla realizzazione di manufatti collegati alla predetta attività, ha puntualmente disciplinato - al comma 3 - gli effetti connessi alla cessazione dell'attività di cava, all’uopo prevedendo che gli stessi debbano doverosamente essere asportati o demoliti dopo la cessazione dell'attività autorizzata, facendo, peraltro, “ salva la facoltà di una diversa utilizzazione consentita dagli strumenti urbanistici vigenti ”.
Appare evidente che la ratio della disposizione è quella di evitare, una volta cessata l'attività di coltivazione, di demolire manufatti qualora gli stessi possano essere legittimamente utilizzati in modo diverso, l’unico limite essendo dato dalla conformità urbanistica ovvero dalla relativa assentibilità in relazione alla disciplina di zona (e ciò a prescindere dal motivo per il quale sia cessata l'attività di cava).
Tale norma risponde, effettivamente, ad un criterio logico, prima ancora che giuridico: non essendoci alcun motivo per rimuovere un impianto conforme alla disciplina di zona solo perché è venuta meno la sua funzione originaria: onde si trova affermato in giurisprudenza che “ le vicende estintive che riguardano l'attività di cava non pregiudicano l'utilizzazione degli impianti funzionali alla coltivazione ove questi non siano in contrasto con la normativa urbanistica vigente ” e che “ la chiusura della cava non è idonea a determinare la dismissione di un impianto che si appalesi, alla stregua del titolo edilizio intervenuto, compatibile con la normativa urbanistica vigente ” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 22.12.2014, n. 6301;Id., 13.04.2012, n. 2103).
Ciò posto, non è contestato in fatto:
a ) che la ricorrente fosse titolare di autorizzazione regionale all'esercizio dell'attività di cava;
b ) che, in virtù, di detta autorizzazione, aveva conseguito la concessione edilizia per la realizzazione di manufatti connessi alla suddetta attività (p.d.c. n. 18/1998 e p.d.c. n. 46/1999);
c ) che in seguito alla cessazione dell'attività di cava aveva chiesto ed ottenuto un ulteriore titolo edilizio (provvedimento unico n. 30/2013) ai fini della diversa utilizzazione dei manufatti, attesa la relativa conformità con la disciplina di zona.
Si appalesa, per tal via, non intellegibile la ragione per la quale – peraltro proprio facendo leva sul richiamato art. 19, comma 3 – l’Amministrazione abbia inteso pregiudizialmente interdire l’iniziativa assunta dalla ricorrente.
Vero è, importa soggiungere, che la lettura della (non perspicua) motivazione sul punto lascia emergere, per giunta con difficoltà, un passaggio in cui la Commissione sembra voler stigmatizzare (nell’argomentare la particolarità della vicenda a fronte della disciplina generale della materia) una sorta di implausibile e surrettizia “ sanatoria ” di una “ illegittima prosecuzione della medesima attività estrattiva ”: il punto, tuttavia non risulta né sviluppato né intellegibile (e ridonda, per tal via, in conferma del complessivo difetto di motivazione), non essendo chiariti i profili per cui l’attività della società ricorrente debba ritenersi per qualche profilo abusiva e per cui gli assensi comunali debbano qualificarsi in termini di sanatoria: nel doveroso riesercizio, in prospettiva conformativa, del potere, l’Amministrazione avrà eventuale agio, ricorrendone i presupposti, di valorizzare in termini congrui ed esplicativi tale oscuro passaggio.
Ciò detto, va anche osservato che la ricorrente – di là dalla interpretazione dell’art. 19, comma 3 L.R.C. n. 54/1985, ai fini del programmato “riutilizzo” della cava dismessa – ha anche argomentato nei più comprensivi sensi per cui, in forza dei nuovi ed autonomi titoli abilitativi conseguiti (provvedimento unico n. 30/2013, in tesi rilasciato sulla mera verifica della conformità alla disciplina di zona, “a prescindere” dalla preesistenza della cava e della sua gestione), nessun pregiudiziale ostacolo troverebbe l’assentibilità del progetto (e ciò, in buona sostanza, nel senso che le vicende della cava apparterrebbero ormai, come tali, alla mera ed irrilevante “ cronistoria dell’impianto ”, collocandosi, per tal via, sullo sfondo di una vicenda procedimentale che avrebbe dovuto essere esaminata in quanto tale).
Sul punto, è, tuttavia, avviso del Collegio che l’applicazione dell’art.19, comma 3 cit. – sia pure nella sua corretta interpretazione, sopra riassunta – appaia pertinente e necessaria (tanto più che la stessa ricorrente assume di essere in possesso di apposita autorizzazione, affidata al provvedimento prot. n. 24370 del 08.04.2016, al completamento della ricomposizione ambientale finale della predetta area di cava).
2.- Per il complesso delle esposte ragioni, il ricorso deve essere accolto, con salvezza delle successive valutazioni amministrative, a rendersi con provvedimento motivato e rispettoso delle riassunte indicazioni conformative.
La obiettiva complessità della materia giustifica l’integrale compensazione di spese e competenze di lite, fermo restando il diritto alla ripetizione del valore del contributo unificato versato.