TAR Perugia, sez. I, sentenza 2013-05-23, n. 201300304
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
N. 00304/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00017/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 17 del 2011, proposto da:
G Z, rappresentata e difesa dall'avv.to F T, con domicilio eletto presso Luigi Giacomo Scassellati Sforzolini, in Perugia, piazza Danti, 28;
contro
Comune di Terni, rappresentato e difeso dall'avv.to P G, con domicilio eletto presso Isabella Sorbini in Perugia, via Palermo 106;
nei confronti di
S A, rappresentato e difeso dall'avv.to G R, con domicilio eletto presso Lietta Calzoni, in Perugia, via Bonazzi, 9;
per l'annullamento
- della deliberazione del Consiglio comunale di Terni n. 270 del 4 ottobre 2010 comunicata alla ricorrente l’11 novembre 2010 avente ad oggetto la dichiarazione di mantenimento dell’uso pubblico sulla strada vicinale da San Carlo a San Bartolomeo per l’intero tratto riportato in mappa e l’iscrizione delle stessa nell’elenco delle strade pubbliche ai sensi dell’art. 20 della L. 2248/1865 (all. F.) e di ogni altro atto connesso, presupposto e/o consequenziale a quello impugnato ancorchè non conosciuto ed in particolare del parere istruttorio del responsabile del procedimento Direzione infrastrutture ed opere pubbliche (prot. n. 120942 dell’8 luglio 2010) richiamato ma non allegato al provvedimento impugnato.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Terni e di S A;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 aprile 2013 il dott. Paolo Amovilli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La controversia di cui al ricorso in epigrafe, concernente il contestato uso pubblico della strada vicinale da San Carlo a San Bartolomeo presso il Comune di Terni, ha già formato oggetto di vari giudizi inter partes , sia innanzi all’adito T.A.R. che in sede civile e penale.
Espone l’odierna ricorrente che a seguito di ripetuti univoci accertamenti effettuati dagli organi tecnici comunali, il Comune di Terni ha in un primo momento negato l’idoneità della strada in questione all’uso pubblico, sulla base della oggettiva situazione dello stato dei luoghi nonché dell’abbandono totale di manutenzione. Anche la perizia disposta nel procedimento penale presso il Tribunale di Terni (RGNR n. 1136/2004) nei confronti della ricorrente, poi conclusosi con l’archiviazione, ha evidenziato condizioni morfologiche tali da escludere la stessa qualificazione quale strada.
Indi, all’esito dei suddetti numerosi accertamenti tecnici, con deliberazioni G.C. n.308 del 1 giugno 2006 e C.C. n. 213 del 19 giugno 2006, l’Amministrazione comunale ha disposto l’espressa sdemanializzazione della strada de qua.
A seguito di riesame in autotutela, con deliberazioni G.C. n. 552 del 9 novembre 2006 e C.C. n. 386 del 5 dicembre 2006, il Comune, a seguito di rinnovata istruttoria ha disposto in autotutela la revoca delle suddette deliberazioni;a seguito di ricorso al T.A.R. per l’Umbria promosso dall’odierna ricorrente, con sentenza n.592/2009 è stata accolta la domanda di annullamento delle suddette deliberazioni di revoca, ritenendo fondate le censure di eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione, della contraddittorietà e del difetto di istruttoria.
Quindi, l’Amministrazione ha riavviato il procedimento ed all’esito di una nuova istruttoria sullo stato dei luoghi, ha confermato con deliberazione C.C. n. 270 del 4 ottobre 2010, le risultanze poste a fondamento delle deliberazioni di revoca, confermando il ripristino dell’uso pubblico della strada.
L’odierna istante impugna la suesposta deliberazione C.C. n. 270/2010, deducendo articolate censure, così riassumibili:
I. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L. 241/90: la deliberazione gravata, motivata per relationem , non renderebbe disponibile il parere istruttorio del responsabile del procedimento ivi richiamato;
II. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L. 241/90, eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione, travisamento dei fatti, illogicità, contraddittorietà, perplessità, irragionevolezza, sviamento: il rinnovo dell’istruttoria effettuato comproverebbe soltanto il generico uso della strada senza precisare i tratti interessati dal passaggio e senza dimostrare l’idoneità a servire da collegamento con la via pubblica, come peraltro risultante dagli stessi accertamenti effettuati dai tecnici comunali sino al mese di giugno 2006;sarebbe evidente la contraddittorietà dell’operato comunale, affermandosi nella deliberazione impugnata la stessa inesistenza della strada in alcuni tratti, così come del tutto insufficiente sarebbe l’inserimento nella toponomastica;
III. Violazione dell’art. 7 della L. 241/90 per difetto di istruttoria, eccesso di potere per travisamento, erroneità dei presupposti, contraddittorietà estrinseca: sarebbe del tutto non corrispondente al vero la circostanza asserita dal Comune circa l’occupazione del sedime stradale da manufatto abusivo della ricorrente;
IV. Violazione dell’art. 21 - quinquies della L. 241/90;difetto di motivazione, eccesso di potere per sviamento sotto altro profilo: la deliberazione impugnata avrebbe del tutto omesso di dar conto dei vizi originari o della sopravvenuta inopportunità delle deliberazioni di sdemanializzazione, le quali per effetto della sentenza 592/2009 di questo T.A.R., sarebbero allo stato pienamente valide ed efficaci;sarebbe evidente la contraddittorietà dell’operato dell’Amministrazione rispetto ai precedenti atti adottati, non scalfiti dalla nuova insufficiente istruttoria;
V. Violazione e falsa applicazione delle norme in materia di strade vicinali, eccesso di potere per errata rappresentazione dei presupposti di fatto e di diritto, inopportunità, ingiustizia manifesta: la strada in questione, secondo i pacifici criteri da tempo individuati dalla giurisprudenza, avrebbe perduto l’idoneità a servire all’uso pubblico si da non poter neppure essere qualificata come strada.
Si è costituito il Comune di Terni, eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione, poiché il gravame, al di là del petitum formale di annullamento, non investirebbe vizi dell'atto amministrativo, ma si esaurirebbe nell'indagine sulla titolarità della proprietà e, quindi, rivolto alla tutela di posizioni di diritto soggettivo;quanto al merito, chiede il rigetto del ricorso, evidenziando l’infondatezza di tutte le censure ex adverso dedotte, poiché in sintesi:
- il supplemento di istruttoria effettuato in ottemperanza alla sentenza n. 592/2009 sarebbe dettagliato ed idoneo a comprovare la sussistenza di tutti i requisiti necessari per la dichiarazione di mantenimento dell’uso pubblico della strada;infatti l’esistenza e l’uso attuale da parte della collettività locale sarebbe dimostrato da questionario sottoscritto da 91 cittadini ternani, suddiviso per i singoli tratti della strada;
- la sentenza dell’adito T.A.R., lungi dall’escludere la sussistenza o meno dell’uso pubblico, si sarebbe limitata all’annullamento per vizi di natura formale con espressa salvezza di ogni ulteriore decisione in merito;
- sarebbe configurabile nella deliberazione impugnata la revoca tacita della precedente delibera di sdemanializzazione, per l’evidente contraddizione tra i due provvedimenti, invocando sul punto l’orientamento giurisprudenziale favorevole al riconoscimento di forme di autotutela con funzione di riesame di tipo implicito;
- l’insindacabilità nel merito della scelta amministrativa di ripristino dell’uso pubblico.
Si è costituito altresì il controinteressato S A, eccependo anch’egli il difetto di giurisdizione del g.a. e chiedendo comunque il rigetto del ricorso, per ragioni sostanzialmente analoghe a quelle argomentate dal Comune, depositando all’uopo relazione tecnica redatta da professionista di fiducia.
Le parti hanno svolto difese in vista della pubblica udienza del 10 aprile 2013, nella quale la causa è passata in decisione.
2. Preliminarmente, va affrontata l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalle difese del Comune e del controinteressato.
2.1. Come noto, ai fini del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il “ petitum sostanziale”, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice (vale a dire nella domanda di annullamento di atti amministrativi) ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi cioè dell'intrinseca natura della controversia dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati e al rapporto giuridico del quale detti fatti sono manifestazione ( ex plurimis Consiglio di Stato sez IV 2 marzo 2011, n. 1360;Cassazione Sezioni Unite 26 gennaio 2011, n. 1767;T.A.R. Campania - Napoli, sez. V, 01 aprile 2011, n. 1909).
Con l’azione in epigrafe l’odierna ricorrente, al di là della formale domanda di annullamento degli atti impugnati, contesta la sussistenza dei presupposti per il ripristino dell’uso pubblico della strada vicinale per cui è causa, ed in particolare lamenta l’illegittimità dell’esercizio del potere con cui l’Amministrazione ha ripristinato l’idoneità all’uso pubblico, implicitamente revocando le proprie opposte e ripetute precedenti manifestazioni di volontà espresse al riguardo.
Ciò premesso, secondo giurisprudenza consolidata da cui il Collegio non ha ragione di discostarsi, rientrano nella giurisdizione del g.o. le controversie relative all’impugnazione di provvedimenti amministrativi allorché la parte ricorrente contesti la demanialità dell'area stessa ( ex multis Consiglio di Stato sez. VI 14 novembre 2012, n. 5741;id. sez. IV 5 giugno 2012 n. 3298;id. sez. VI, 29 maggio 2002, n. 2972;T.A.R. Campania - Napoli sez VII 7 giugno 2012, n.2715;Cassazione civile Sez. Un. 27 gennaio 2010, n. 1624;id. Sez. Un. 18 aprile 2003, n. 6347) in quanto non investano vizi dell'atto amministrativo, ma si esauriscano nell'indagine sulla titolarità della proprietà e, quindi, rivolte alla tutela di posizioni di diritto soggettivo.
L'iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico non ha natura costitutiva e portata assoluta, ma riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell' uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un'azione negatoria di servitù;ne consegue che la controversia circa la proprietà, pubblica o privata, di una strada, o circa l'esistenza di diritti di uso pubblico su una strada privata, è devoluta alla giurisdizione del g.o., giacché investe l'accertamento dell'esistenza e dell'estensione di diritti soggettivi, dei privati o della p.a. (Cassazione civile sez. un. 27 gennaio 2010 n. 1624).
Nel caso di specie, è invece evidente la giurisdizione del giudice amministrativo, poiché la controversia investe esattamente la legittimità dell’esercizio di un potere autoritativo, riconducibile all’autotutela con funzione di riesame, seppur implicita, rispetto a precedenti manifestazioni di volontà incompatibili con l’impugnato provvedimento, da ascriversi alla materia del “governo del territorio”, devoluta alla giurisdizione esclusiva del g.a. (art. 133 c. 1 lett. f) cod. proc. amm.). Entro tale ambito di giurisdizione, spetta al giudice amministrativo oltre la cognizione diretta sul corretto esercizio del potere di ripristino del pubblico transito, quella in via incidentale ex art. 8 cod. proc. amm. sui sottostanti diritti reali, se necessaria per pronunciare sulle questioni principali ( ex multis T.A.R. Calabria - Catanzaro 5 marzo 2003, n. 523;T.A.R Emilia Romagna - Parma 25 maggio 2005, n. 287).
2.2. Va pertanto affermata la giurisdizione dell’adito T.A.R..
3. Quanto al merito il ricorso è fondato e va accolto.
3.1. Il contestato uso pubblico della strada vicinale San Carlo - San Borromeo ha formato oggetto, da diversi anni, di vari giudizi inter partes , sia innanzi all’adito T.A.R. che in sede civile e penale, tutt’ora pendenti, non essendo né la sentenza n.592/ 2009 né la sentenza civile 917/2002 del Tribunale civile di Terni passate in giudicato.
L’interesse della ricorrente alla corretta qualificazione della strada discende dalla necessità di sanare un abuso edilizio alla stessa riconducibile, possibile solo ove il tratto viario in questione risulti sdemanializzato, secondo le stesse risultanze della sentenza 917/2002.
E’ incontrovertibile dall’esame della documentazione depositata in giudizio il comportamento contraddittorio e “ondivago” del Comune resistente, dapprima espressosi mediante plurimi atti, del tutto univoci, nell’escludere l’idoneità della strada a qualsiasi uso pubblico (note prot. 66403 del 3 novembre 1997 del Resp. Area Assetto del Territorio, prot. 2714 del 28 agosto 2000 e n. 28800 del 20 aprile 2001 dell’Ufficio Traffico Mobilità e Trasporti, prot. 49986 del 11 luglio 2001 del Dirigente Area Assetto del Territorio, prot. 52824 del 9 febbraio 2006 del Dirigente Servizio Manutenzione Strade, tutte depositate in giudizio) sino a giungere alla formale dichiarazione espressa di sdemanializzazione (deliberazioni G.C. 9 novembre 2006 n. 552 e C.C. 5 dicembre 2006 n.386) poi repentinamente mutato con le deliberazioni di relativa revoca, già oggetto di annullamento da parte dell’adito T.A.R..
Come lealmente condiviso dalle stesse parti, la sentenza n.592/2009, ha disposto l’annullamento delle suddette deliberazioni di revoca reputando fondate le censure “formali” di eccesso di potere, per difetto di motivazione ed istruttoria e di contraddittorietà estrinseca, ravvisando “la carenza di una significativa ed apprezzabile valutazione tecnica concreta sull’opportunità di considerare tutt’ora prevalente l’esigenza pubblica del ripristino della situazione precedente per tutta o solo una parte della strada stessa”, e senza quindi pronunciarsi neppure incidentalemente sulla fondatezza sostanziale della pretesa azionata, cioè sulla “ vexata quaestio” della la sussistenza o meno dell’uso pubblico.
Così come è incontrovertibile come la sentenza abbia espressamente fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione comunale.
D’altra parte, come già affermato nella più volte citata sentenza 592/2009 di questo T.A.R., anche la sentenza 917/2002 del Tribunale civile di Terni nell’accogliere la domanda dell’Arcangeli nei confronti della Zuccotti di ripristino della servitù di passaggio quanto al tratto a confine tra le particelle 109 e 113 del foglio 76, non ha effettuato alcun accertamento in merito all’uso pubblico, rimettendo al Comune ogni più ampia valutazione.
3.2. Tanto premesso, ritiene il Collegio fondate le assorbenti censure di eccesso di potere di cui al II motivo di gravame.
Come noto e ben riassunto dalle stesse difese, secondo giurisprudenza pacifica ( ex multis Consiglio di Stato sez. IV 8 giugno 2011, n. 3509;id. sez. V 19 aprile 2013 n. 2218;Cassazione civ. sez. II n.7718/1991;T.A.R. Toscana sez. I 28 gennaio 2013, n. 136;T.A.R. Campania Napoli 19 dicembre 2012, n.5250) è da ricondurre alla nozione di strada vicinale di uso pubblico la strada che: a) per le sue dimensioni, struttura, e condizioni consente un generale passaggio esercitato " iure servitutis publicae " da parte di una collettività indeterminata di persone in assenza di restrizioni all'accesso o di vincoli di proprietà o condominio;b) è collegata con la viabilità generale;c) è contraddistinta da un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell'uso da tempo immemorabile;d) è stata oggetto di interventi di manutenzione da parte del Comune e di installazioni, sopra o sotto di essa, di infrastrutture di servizio da parte dell'ente pubblico (telefoniche, elettriche, fognarie, acquedottistiche).
E’ altresì pacifico che la mancata utilizzazione di essa da parte della generalità degli utenti, protrattasi anche per un lungo lasso di tempo, non depone ex se per la cessata destinazione all' uso pubblico, occorrendo fatti concludenti ed univoci atti a comprovare il venir meno delle esigenze di utilizzo generale ( ex plurimis Consiglio di Stato sez. V 30 novembre 2011, n.6338;id. sez. IV, 7 settembre 2006 n. 5209;T.A.R. Liguria sez. II 19 maggio 2011, n. 799;;T.A.R. Umbria 21 settembre 2004, n. 545).
L’Amministrazione resistente, sulla base di precise ricognizioni effettuate nel periodo 1997 - 2006 dai propri organi tecnici depositate in giudizio (sopra specificate) sulle condizioni morfologiche dei luoghi, ha escluso non solo l’idoneità all’uso pubblico ma anche la stessa qualificazione quale strada, in considerazione, tra l’altro: - dell’irregolarità del sedime (in alcuni tratti sterrato ed in altri costituito da terreno vegetativo) - del pessimo stato di manutenzione e della notevole pendenza di alcuni tratti (tale da impedire il transito dei veicoli) - dell’assenza di collegamento con la strada pubblica e l’esistenza di tratti di strade alternativi per il collegamento tra San Carlo e San Bartolomeo.
Conseguentemente, ha coerentemente deciso di procedere all’espressa sdemanializzazione della strada vicinale in questione.
Di li a poco, e precisamente nel mese di novembre 2006, ha esercitato un repentino “ ius poenitendi” senza effettuare l’indispensabile valutazione tecnica sull’opportunità di considerare tutt’ora prevalente l’esigenza pubblica del ripristino della situazione precedente per tutta o solo una parte della strada stessa, si da contravvenire alle risultanze precedentemente raggiunte, come accertato dalla sentenza 592/2009 di annullamento delle deliberazioni di revoca.
Come condivisibilmente argomentato dalla difesa della ricorrente, la nuova deliberazione C.C. 270/2010 qui impugnata, da una parte, interviene a disciplinare la questione dell’uso pubblico in costanza di proprie precedenti deliberazioni tutt’ora valide ed efficaci, per effetto della sentenza 592/2009 la quale, nell’annullare la revoca in autotutela, ne ha pienamente ripristinato ogni efficacia;d’altra parte, la deliberazione impugnata è espressione del potere dell’Amministrazione di rinnovare le proprie precedenti valutazioni, nel rispetto dei vincoli conformativi derivanti dalla sentenza, vale a dire effettuando una più approfondita valutazione tecnica sullo stato dei luoghi e sulla idoneità all’uso pubblico.
Non ritiene il Collegio che la suesposta rinnovata valutazione sia idonea a dimostrare la sopravvenienza di fatti o la logica diversa valutazione di circostanze già accertate dai numerosi pareri tecnici dell’Amministrazione poste a fondamento della deliberazione di sdemanializzazione, oltre che dalle risultanze emerse dalle perizie disposte in sede penale e dalla CTU depositata in sede civile.
Da una parte, il questionario fatto compilare dal Comune ad un gruppo di cittadini appartenenti al bacino d’utenza della strada non è di per sé sufficiente allo scopo, poiché tuttalpiù esso comprova la generica permanenza dell’interesse all’uso della strada “ uti singuli ” da parte di un gruppo limitato di persone e non già di una collettività indeterminata “ iure servitutis publicae ”;inoltre, la mera tolleranza dei proprietari interessati, secondo costante giurisprudenza, impedisce la costituzione sia di una servitù pubblica di passaggio per uso ultraventennale (Consiglio di Stato sez. V 28 gennaio 1998 n. 102) sia per effetto di dicatio ad patriam (Cassazione civ. sez. II 12 agosto 2002, n.12167).
D’altronde, la contraddittorietà dell’operato del Comune traspare apertamente dalla stessa motivazione della deliberazione impugnata, laddove si afferma che in alcuni tratti la strada sarebbe addirittura inesistente (pag. 4/5) mentre alla successiva pag. 6 si evince che la strada sarebbe aperta al pubblico transito da tempo immemorabile.
Se è vero che con l'introduzione dell'art. 21 - quinquies della L n. 241/90, il potere di revoca ricomprende sia il c.d. “ ius poenitendi ”, ossia la mutata valutazione soggettiva dell’interesse pubblico, sia ogni diversa valutazione per il sopravvenuto mutamento delle circostanze di fatto o di diritto che costituivano il fondamento della decisione (Consiglio di Stato sez. V 5 luglio 2011 n. 4028;id. sez. V 21 aprile 2010, n. 2244), esso non può certo spingersi sino al disconoscimento dei fatti obiettivamente accertati, nella specie la natura e la morfologia della strada, posti a fondamento dell’attività oggetto dell’autotutela, a pena di evidente travisamento e sviamento della funzione pubblica.
Parimenti non costituiscono elementi decisivi idonei a comprovare l’uso pubblico né l’inserimento nella toponomastica comunale, né l’avvenuta posa in opera di una tubazione idrica per servire alcuni utenti, in assenza di altri elementi comprovanti la manutenzione pubblica della strada vicinale.
3.3. Sono pertanto fondate le assorbenti censure di eccesso di potere per travisamento, sviamento e contraddittorietà.
3.4. Parimenti fondate sono le doglianze di violazione e falsa applicazione dell’art. 21-quinquies nonché dell’art. 3 della legge 241/1990, di cui al IV motivo del ricorso.
Come noto, la giurisprudenza amministrativa ha da tempo elaborato e riconosciuto il pur controverso istituto dell’atto amministrativo implicito, individuandone in modo rigoroso i presupposti ( ex multis di recente C.G.A.S. sez. giurisd. 1 febbraio 2012, n. 118) anche al fine di garantirne la compatibilità con la legge sul procedimento amministrativo, con particolare riferimento agli artt. 2, 3, 7 e 10-bis della L.241/90.
E’ tuttavia incerta, nella stessa giurisprudenza, la configurabilità sul piano sistematico di una attività di autotutela con funzione di riesame implicita, allorquando la volontà di annullamento o di revoca sia desumibile in modo inequivoco da diversa manifestazione provvedimentale proveniente da organo astrattamente competente al riesame.
Infatti, a fronte della tesi positiva invalsa presso parte della giurisprudenza di prime cure (T.A.R. Lombardia - Milano sez. II 7 luglio 2008, n. 2882) si è efficacemente replicato che la revoca o l’annullamento d’ufficio di un provvedimento amministrativo implica la necessità di esplicitare le ragioni giustificanti la nuova determinazione, con la conseguenza che essa non può assumere la forma implicita, pena la violazione dell'art. 3 della L. 7 agosto 1990 n. 241, prescrivente l'obbligo di motivazione per tutti i provvedimenti amministrativi, a meno che le ragioni della stessa non siano chiaramente intuibili sulla base del contenuto del provvedimento impugnato (Consiglio di Stato, sez V 28 giugno 2011 n. 3875;id. 22 settembre 2003, n. 5398). Senza contare poi, che connaturato all’attività di secondo grado, per sua natura ampiamente discrezionale, è il rigoroso rispetto del contraddittorio procedimentale, fatta eccezione per le ipotesi, invero residuali, di interesse pubblico in re ipsa , contraddittorio che, viceversa, ammettendo l’autotutela in via implicita, sarebbe inopinatamente escluso.
Ciò premesso, non ritiene il Collegio di poter configurare, nella fattispecie, alcuna revoca indiretta o implicita, poiché alla luce della disciplina normativa dell’annullamento e della revoca d’ufficio di cui agli artt. 21-nonies e 21- quinques della legge 241/90, l’attività di riesame presuppone, a pena di illegittimità, tra l’altro, una espressa e puntuale ponderazione dell’interesse pubblico con gli interessi contrapposti, nonché l’indicazione delle stesse ragioni di illegittimità o inopportunità del provvedimento.
Nel caso di specie, l’Amministrazione ha completamente ignorato anche le opposte risultanze fattuali acclarate sino al mese di giugno 2006, non specificando le particolari ragioni atte a giustificarne una valutazione diametralmente opposta e non ha effettuato alcuna comparazione tra gli interessi contrapposti.
4. Per i suesposti motivi il ricorso è fondato e va accolto, con l’effetto di annullare la deliberazione C.C. n.270/2010 del Comune di Terni impugnata.
Sussistono giusti motivi ai sensi del combinato disposto degli artt. 26 cod. proc. amm. e 92 c.p.c. per disporre la compensazione delle spese processuali, in considerazione della complessità delle questioni trattate.