TAR Roma, sez. I, sentenza 2017-04-20, n. 201704728

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2017-04-20, n. 201704728
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201704728
Data del deposito : 20 aprile 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/04/2017

N. 04728/2017 REG.PROV.COLL.

N. 15598/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 15598 del 2014, proposto da:
T C, rappresentato e difeso dall'avvocato S C, elettivamente domiciliato in Roma, via Cola di Rienzo 265, presso lo studio dell’avv. D N;

contro

La Corte dei Conti, il Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

- A C, rappresentato e difeso dagli avvocati Alba Giordano e Mario Baldassarri, elettivamente domiciliato in Roma, via Muzio Clementi, 58 presso lo studio legale Giordano - Baldassarri;
- Associazione nazionale magistrati della Corte dei Conti, in persona del presidente in carica, rappresentata e difesa dall’avv. Maurizio Zuccheretti, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dello stesso in Roma, via Gregorio VII, n. 382;

per l'annullamento

a) - della deliberazione del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti resa nell'adunanza del 7/8.10.2014, con la quale si è deciso di indire un nuovo interpello alla disponibilità alla promozione a Presidente di sezione della Corte dei Conti per la copertura di sei posti (per le Sezioni regionali di controllo per la Liguria, per la Sardegna e per la Basilicata, nonché per le Sezioni regionali giurisdizionali per il Veneto, il Trentino Alto Adige - sede di Trento e per l'Umbria) di cui cinque vacanti a decorrere dal 25 giugno 2014;

b) - di tutti gli atti relativi alla procedura di interpello ed in particolare:

b1) - della deliberazione del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti resa nell'adunanza del 21/22.10.2014, con la quale si è ritenuta non ammissibile la richiesta del ricorrente di partecipazione all'interpello per la promozione a Presidente di sezione della Corte dei Conti e, nel contempo, sono stati giudicati promuovibili sei Consiglieri alla qualifica di Presidente di sezione;

b2) - della deliberazione del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti n. 219 del 5.11.2014, di promozione di sei Consiglieri alla qualifica di Presidente;

b3) - dei verbali della prima Commissione del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti del 30.9.2014 e del 15.10.2014;

c) - della deliberazione n. 138/CP/2014 del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti del 25.6.2014;

d) - ove occorra, delle deliberazioni del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti assunte nelle adunanze del 23/24.09.2014, del 09/10/2014 e del 24/25.06.2014;

e) di tutti gli atti presupposti, collegati, connessi e consequenziali;

nonché per il risarcimento

del danno ingiusto ex art. 30 del C.P.A., oltre interessi e rivalutazione monetaria, come per legge, fino alla data di effettivo soddisfo da quantificarsi in corso di causa.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Corte dei Conti, del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti, della Presidenza del Consiglio dei Ministri e di A C;

Visto l’atto di intervento ad adiuvandum dell’Associazione nazionale magistrati della Corte dei Conti;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 aprile 2017 la dott.ssa R C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il dott. T C, al momento della proposizione del ricorso Consigliere della Corte dei conti, con funzioni di Procuratore regionale della Campania, ha impugnato la delibera del Consiglio di Presidenza (CDP) della Corte dei conti con la quale la sua richiesta di partecipazione all’interpello per la promozione a Presidente di Sezione della Corte dei Conti è stata ritenuta inammissibile.

Ha impugnato altresì gli atti di indizione dell’interpello, i verbali adottati nel corso del procedimento e la delibera di promozione di sei consiglieri alla qualifica di Presidente di Sezione della Corte dei conti.

Ha infine domandato la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno subito.

Avverso i provvedimenti impugnati ha articolato i seguenti motivi di doglianza:

I Sviamento di potere, errata applicazione delle deliberazioni, contraddittorietà e disparità di trattamento.

Il ricorrente, richiamata la disciplina vigente prima della deliberazione del Consiglio di Presidenza n. 138 del 25 giugno 2014, rappresenta come, sebbene anche in precedenza fosse previsto un periodo minimo di permanenza, il relativo obbligo era interpretato nel senso di essere riferito alla permanenza nella sede e non alla permanenza nella funzione.

La diversa interpretazione seguita nella procedura dalla quale egli è stato escluso sarebbe, pertanto, in contraddizione con il precedente operato del Consiglio, così che la sua esclusione avrebbe dato luogo ad una manifesta e macroscopica disparità di trattamento.

II Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto, arbitrarietà, illogicità, sviamento).

Il ricorrente sostiene che erroneamente il Consiglio avrebbe operato il calcolo del periodo residuo con riferimento alla data di scadenza del bando, anziché a quella in cui si era verificata la vacanza.

La soluzione prescelta, infatti, avrebbe rimesso alla discrezionalità del Consiglio la scelta sul quando e come procedere all’interpello, secondo le opportunità e le ragioni del momento, con conseguenti ingiustificate ricadute in ordine all’ammissione o all’esclusione di singoli candidati.

Da ultimo rappresenta come calcolare il periodo residuo di permanenza in servizio dei candidati dalla vacanza del posto corrisponderebbe ad un principio generale delle procedure concorsuali, non sacrificabile ad altre esigenze.

III Violazione dell’art. 108 della Costituzione, difetto di attribuzione e carenza assoluta di potere in relazione alla individuazione in via amministrativa di requisiti oggetto di riserva assoluta di legge, violazione e falsa applicazione di legge (art. 7 r.d. 1214/1934 e ss.mm. – art. 13, comma 2, l. 1345/1961 e ss.mm.) – eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto, di motivazione, arbitrarietà, illogicità, sviamento).

Il ricorrente sostiene che l’operato del Consiglio, che ha previsto requisiti ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge per il conferimento di incarichi direttivi, abbia violato l'art. 108 della Costituzione, il quale stabilirebbe una riserva di legge a presidio dell'attribuzione di funzioni ai magistrati e delle progressioni di carriera.

Si sono costituite le amministrazioni intimate, che hanno chiesto il rigetto del ricorso.

Medesime conclusioni ha rassegnato il controinteressato evocato in giudizio, dott. A C.

L’Associazione Nazionale Magistrati della Corte dei conti è intervenuta ad adiuvandum .

Con sentenza n. 10455 del 29 luglio 2015, il Tar del Lazio ha respinto il ricorso, in quanto infondato, prescindendo, per tale ragione, dall’esame dell’eccezione pregiudiziale di inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa erariale.

Con successiva sentenza n. 2316 del 1° giugno 2016, la quarta Sezione del Consiglio di Stato, sull’appello proposto dal dottor C:

ha dichiarato inammissibile l’intervento in giudizio dell’Associazione nazionale Magistrati della Corte dei Conti;

ha dichiarato inammissibile il ricorso nella parte afferente agli atti della “ procedura per promozione ” del giugno 2014, per mancata notifica, nei termini di legge, del ricorso ad almeno uno dei controinteressati;

ha rinviato, ai sensi dell’art. 105 c.p.a., la causa, nella parte attinente all’impugnazione dei provvedimenti con cui è stata disposta l’estromissione del dott. C dalla “ procedura per promozione ” di cui alla delibera di CDP del 7-8 ottobre 2014, al giudice di primo grado, territorialmente competente, affinché disponesse l’integrazione del contraddittorio ed il nuovo espletamento del giudizio.

Avvenuta l’integrazione del contraddittorio, il ricorso è stato trattenuto in decisione all’odierna udienza.

DIRITTO

E’ utile una breve ricostruzione dei fatti da cui ha tratto origine la presente controversia.

Nell’adunanza del 24/25 aprile il Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti (di seguito, anche “CdP” o “Consiglio”), deliberava, in relazione alla vacanza di posti di Presidente di Sezione, di bandire una procedura di promozione per la copertura di 12 posti di Presidente di Sezione.

Con nota prot. 3681 del 25 giugno 2014, a firma del Direttore dell'Ufficio di Segreteria del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti, il dottor C veniva invitato ad esprimere la propria disponibilità alla procedura di interpello de qua .

All’esito di tale procedura, il dott. C veniva favorevolmente scrutinato ai fini della promovibilità a Presidente, ma non utilmente graduato per la promozione, di conseguenza, nell’adunanza del 23/24 settembre 2014, il Consiglio deliberava di promuovere altri colleghi che lo precedevano in ruolo assegnando loro le sedi oggetto di interpello.

Intanto, nell’adunanza del 25 giugno 2014, il Consiglio aveva deliberato di indire un nuovo interpello, riservato ai Presidenti di Sezione in carica, per la copertura, mediante trasferimento, di ulteriori 6 posti di funzione resisi nel frattempo vacanti.

Nella successiva adunanza del 7/8 ottobre 2014 il CdP prendeva atto che, all’esito dell’interpello per trasferimento bandito il 25 giugno 2014, ai sensi dell’art. 40 della delibera 83/2012, risultavano disponibili per la promozione i posti di Presidente delle Sezioni giurisdizionali per il Veneto, per il Trentino A.A. – sede di Trento e per l’Umbria, nonché quelli di Presidente delle Sezioni regionali di controllo per la Liguria e per la Sardegna, cui si aggiungeva il posto di Presidente della Sezione regionale di controllo per la Basilicata.

Il Consiglio riteneva di non dover procedere ad una nuova audizione dei magistrati che avevano partecipato al procedimento per l’attribuzione dei 12 posti di funzione, potendo attingere anche agli elementi di valutazione acquisiti in occasione della precedente valutazione di promovibilità.

Alla nuova procedura venivano invitati i magistrati che avrebbero potuto garantire i 18 mesi di permanenza nel posto di funzione, ai sensi dell’art. 38, comma 1, della delibera 83/CP/2012, come modificata dalla deliberazione n. 138/CP/2014.

Tra questi non era ricompreso il ricorrente, che, dovendo essere collocato a riposo il 31 dicembre 2015, non garantiva la copertura del posto di funzione per il periodo minimo richiesto, calcolato a partire dal 14 ottobre 2014, termine ultimo fissato per la candidatura dei promovendi Consiglieri.

Tanto premesso, può dunque passarsi all’esame dei singoli motivi di doglianza, i quali, alla luce di quanto stabilito dal giudice di appello con la decisione n. 2316/2016, devono essere riferiti ai soli provvedimenti con i quali è stata disposta l’estromissione del dott. C dalla “ procedura per promozione ” di cui alla delibera di CDP del 7-8 ottobre 2014.

Il ricorso è infondato, ciò che consente al Collegio di prescindere dall’esame delle eccezioni di improcedibilità sul presupposto dell’avvenuto collocamento a riposo del ricorrente.

Per motivi sistematici, ritiene il Collegio di esaminare, in via prioritaria il terzo motivo di doglianza, con il quale il ricorrente ha sostenuto l’illegittimità dell’adozione, da parte del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti, di delibere, generali o puntuali, tese a disciplinare la procedura di attribuzione degli incarichi di Presidente di Sezione.

Così facendo il Consiglio avrebbe travalicato i limiti relativi alla sua sfera di attribuzioni e competenze, appropriandosi di spazi che l’art. 108 della Costituzione ha attribuito al legislatore ordinario.

La prospettazione non può essere condivisa.

Va in proposito ricordato come la giurisprudenza amministrativa abbia, in più occasioni, rilevato come “ la riserva costituzionale assoluta di legge opera –necessariamente- con riferimento alla istituzione degli uffici giurisdizionali ed alle modalità di svolgimento della funzione giurisdizionale, mentre con riferimento alla specifica e concreta assegnazione dei giudici ai diversi uffici, proprio a tutela dei principi di indipendenza del giudice e di precostituzione del giudice naturale, non esclude –ed anzi richiede, al fine di disciplinare previamente casistiche e variabili che sfuggono ad una più rigida previsione di legge- l'integrazione della disciplina da parte di altre fonti coerenti con i principi costituzionali sulla posizione del giudice, integrazione che la Costituzione (con riferimento all'ordine giudiziario) e la legge (per le giurisdizioni che a quello non si ricollegano e per le quali la stessa Costituzione prevede un diverso assetto e diverse modalità di assicurazione delle garanzie di indipendenza) rimettono agli organi di autogoverno, proprio a garanzia del principio di separazione dei poteri e, quindi, di indipendenza dal potere legislativo e da quello esecutivo – altrimenti titolare della relativa potestà regolamentare ” (cfr. Tar Lazio, Roma, sez. I, 2 novembre 2015, n. 12341, che richiama, in generale, Consiglio di Stato, 30 luglio 2003, n. 4407 e, con specifico riferimento alla potestà regolamentare del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti, Consiglio di Stato, Sez. IV, 14 gennaio 2011, n. 184).

Pertanto, la contestata disciplina contenuta nella deliberazione 138/CP/2014 - che ha introdotto l’art. 38, comma 1, nella precedente delibera 83/CP/2012 - e le delibere adottate nel corso della procedura conclusasi con l’esclusione del ricorrente, che a tale previsione generale hanno dato applicazione, non hanno arrecato alcuna lesione del principio della riserva di legge.

Le stesse, infatti, concernono aspetti organizzativi dei singoli uffici, dei quali mirano a garantire la copertura per un tempo apprezzabilmente utile, così da risultare emesse nel perimetro riservato all’autonomia organizzativa riconosciuta alla magistratura della Corte dei Conti.

La scelta del Consiglio di Presidenza (già introdotta da tempo e alla cui prassi applicativa il ricorrente si è pure appellato nel primo motivo di doglianza, in ciò implicitamente riconoscendo la legittimità, in astratto, dell’esercizio in materia della potestà regolatoria del Consiglio), appare chiaramente finalizzata a garantire una continuità temporale della gestione degli Uffici, riconducibile ai superiori valori dell'interesse pubblico al buon andamento dell'amministrazione.

Le delibere consiliari gravate, in conclusione, hanno introdotto mere misure organizzative, non destinate, se non in via mediata e riflessa, a produrre effetti sui profili costituzionalmente tutelati della carriera dei magistrati della Corte dei conti [sulla legittimità dell’esercizio regolatorio del Consiglio di Presidenza teso a disciplinare la permanenza (minima o massima) del magistrato in una certa specifica posizione, laddove essa non comporti una “ diretta ” e conseguenziale alterazione dello stato giuridico del magistrato disciplinata per legge, rispetto alla quale, sola, opera la garanzia costituzionale di cui all’articolo 108, cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 17 agosto 2016, n. 3642].

Medesima reiezione si impone per il primo motivo di doglianza, con il quale il ricorrente ha contestato l’interpretazione consiliare secondo cui l’obbligo di permanenza residua andava riferito alla sede e non alla funzione, lamentando altresì la disparità di trattamento con fattispecie analoghe decise in tempi anche prossimi alla delibera gravata.

In proposito deve rilevarsi come il termine di 18 mesi individuato dal Consiglio di Presidenza, proprio perché finalizzato a garantire la stabilità e continuità in funzioni dirigenziali della magistratura contabile, in ossequio ai principi costituzionali di buona, efficiente ed efficace amministrazione, non può che essere riferito anche alla permanenza nella sede.

Analoghe disposizioni il legislatore ordinario ha individuato per i magistrati ordinari, avendo gli artt. 34-bis e 35 del d.lgs. n. 160/2006 attribuito la legittimazione alla partecipazione ai concorsi per gli uffici direttivi e semidirettivi ai magistrati in grado di assicurare almeno quattro anni residui di servizio prima della data di collocamento a riposo (tre anni, ai sensi dell'art. 2 del d.l. n. 90/2014).

Diversamente da quanto prospettato, poi, la esistenza di una scelta espressa del legislatore per i magistrati ordinari non individua un regime eccezionale, rivelandosi l’opzione normativa, anche alla luce delle pronunce costituzionali in materia, espressione di un principio generale di organizzazione degli uffici giudiziari, ai quali il Consiglio ha inteso adeguarsi.

Neppure è configurabile una disparità di trattamento in danno dell’odierno deducente, in quanto i casi citati nel ricorso riguardano talune fattispecie in cui i magistrati, al momento della indizione delle procedure di promozione, possedevano il requisito relativo alla permanenza minima nella funzione e che, a causa del tempo intercorso prima della concreta assunzione delle funzioni, sono stati collocati a riposo anteriormente allo spirare del medesimo periodo.

E comunque un vizio di tal genere non è configurabile una volta accertate la corretta applicazione del criterio di cui trattasi e la sua conformità a legge.

Da ultimo va pure respinto il secondo motivo di doglianza, con il quale il ricorrente ha sostenuto l’illegittimità dell’operato del CdP laddove ha effettuato il calcolo del periodo residuo con riferimento alla data di scadenza del bando, anziché a quella in cui si era verificata la vacanza, ciò che sarebbe sintomatico del riconoscimento, in capo al Consiglio, di un eccessiva discrezionalità, tale da renderlo arbitro di determinare unitamente alle date del bando il novero degli aspiranti.

Occorre, in proposito, richiamare brevemente la complessa articolazione del procedimento che regola la promozione a Presidente di Sezione della Corte dei conti, contenuta negli artt. 35 e seguenti della deliberazione n. 83/CP/2012.

L’iter si articola nei seguenti passaggi: a) ricognizione dei posti che si rendono vacanti, b) interpello, riservato ai Presidenti di Sezione già in servizio, al fine di coprire le sedi vacanti a mezzo di trasferimento;
c) secondo interpello sui posti risultanti dopo gli eventuali trasferimenti, per l’assegnazione delle sedi rimaste vacanti a magistrati nominandi per la prima volta.

Appare chiaro come, avendo il dottor C partecipato alla seconda fase procedimentale, destinata agli aspiranti che, come lui, non fossero già Presidenti di Sezione al momento del primo interpello, la sussistenza del requisito della permanenza in servizio dei 18 mesi andava verificata, secondo i principi generali in materia di procedure comparative, con riferimento alle date previste dal bando del secondo interpello.

Alla data ivi indicata, 14 ottobre 2014, il ricorrente non poteva garantire i 18 mesi di permanenza nel servizio previsti dall’art. 38, dovendo essere collocato a riposo, ex d.l. n. 90/2014, in data 31 dicembre 2015, così che correttamente il Consiglio ne ha disposto l’esclusione.

Né argomenti a favore di una retrodatazione del calcolo dei 18 mesi residui al bando relativo alla prima fase procedurale possono essere tratti dal fatto che il Consiglio ha ritenuto di utilizzare, per la seconda fase procedurale, gli elementi di valutazione acquisiti in occasione della prima selezione.

La scelta, infatti, fermi restando i requisiti di partecipazione, mirava solo a realizzare una economia procedimentale nel rispetto dei principi di buona ed efficiente amministrazione, resa materialmente possibile dal fatto che nella prima fase erano stati scrutinati, come da regolamento interno, un numero di magistrati superiori al numero di posti di assegnare.

La reiezione della domanda demolitoria, importa il rigetto della dipendente domanda risarcitoria.

La novità della questione giustifica la compensazione tra le parti delle spese di lite.

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