TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2019-01-22, n. 201900341
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Testo completo
Pubblicato il 22/01/2019
N. 00341/2019 REG.PROV.COLL.
N. 03630/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3630 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da
F M, rappresentato e difeso dagli avvocati F B, M B, G A, con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia e in Napoli, p.zza Matteotti n. 7;
contro
Comune di Bacoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato V C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Bacoli, via Lungolago 8;
nei confronti
P B, G S D L non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
del provvedimento di diniego della domanda per la definizione degli illeciti edilizi prot.11530 del 9.4.14;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Bacoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2018 la dott.ssa Anna Corrado e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Espone l’odierno ricorrente di aver ricevuto in donazione nel 1992 un appezzamento di terreno individuato al catasto del Comune di Bacoli al foglio 4, particella 1171, sul quale sono state realizzate le opere di cui all’istanza di sanatoria prot. n. 4455 del 1° marzo 1995, presentata dal dante causa del ricorrente. Quest’ultimo ha quindi venduto l’immobile di che trattasi nel 2010 al sig. Barone Pasquale. Successivamente alla detta vendita, apprendeva dall’acquirente che la citata istanza di sanatoria era stata respinta dal Comune di Bacoli.
Trovandosi altrimenti esposto alle rivendicazioni dell’acquirente, che lo ha in effetti convenuto in giudizio asserendo l’abusività del fabbricato oggetto della cessione, il ricorrente rappresenta il proprio interesse ad avversare il diniego dell’istanza conosciuto grazie alla comunicazione fatta dal legale del suo acquirente con raccomandata datata 20 maggio 2014.
A sostegno del proposto ricorso deduce, innanzitutto, la nullità del provvedimento di diniego per essere stato lo stesso notificato al solo sig. Barone Pasquale (avente causa dal ricorrente e attuale comproprietario dell’immobile) e non anche al richiedente la sanatoria, così come del resto il preavviso di diniego.
Con il secondo motivo di ricorso deduce la illegittimità del diniego per essersi nella specie perfezionata la concessione tacita con il decorso del termine di ventiquattro mesi dalla presentazione dell’istanza senza che la preposta autorità comunale si sia pronunciata.
Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente contesta la circostanza assunta a fondamento del diniego e relativa alla intervenuta realizzazione dell’opera in data successiva al 31 dicembre 1993 (peraltro sul punto producendo perizia specificamente concernente l’epoca di ultimazione delle opere) e lamenta l’assenza di una motivazione puntuale e analitica in ordine alle altre circostanze rappresentate nel diniego e relative all’asserito incremento di superficie residenziale conseguente alla realizzazione delle opere e all’assoggettamento del territorio (alle stesse opere interessato) alle disposizioni di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004.
Infine, con il quarto motivo di ricorso lamenta la omessa acquisizione del previo parere della commissione edilizia, a suo avviso nella specie necessaria.
Con successivo atto di motivi aggiunti il ricorrente lamenta in sostanza che l’avversato diniego si sia discostato, senza motivazione alcuna, dal parere favorevole alla sanabilità dell’opera espresso dalla sovrintendenza.
Si è costituita in giudizio l’intimata Amministrazione comunale affermando la infondatezza del proposto ricorso e concludendo perché lo stesso venga respinta.
Alla pubblica udienza del 19 dicembre 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Giova premettere in punto di fatto, giusta quanto affermato dal resistente Comune in sede di memoria, che in data 28.11.2018 la Procura della Repubblica ha provveduto alla demolizione dell'immobile sito in Bacoli alla via Cupa della Torretta n. 82 oggetto del provvedimento di diniego della domanda per la definizione degli illeciti edilizi prot. n. 11530 del 9.4. 2014 di cui è questione nel caso di specie.
Ritiene il Collegio che la esposta circostanza non refluisca sulla configurabilità e persistenza dell’interesse di parte ricorrente alla contestazione della legittimità del diniego della domanda di condono in ragione del contenzioso in essere con il suo avente causa e dei connessi profili risarcitori.
Tanto premesso, il ricorso e i successivi motivi aggiunti sono infondati e vanno, pertanto, respinti.
Quanto al primo motivo di ricorso, con cui parte ricorrente lamenta la omessa notifica nei suoi confronti dell’avversato provvedimento di diniego, in disparte ogni rilievo in ordine alla circostanza per cui la detta omessa notifica non ha impedito al ricorrente di invocare (tempestivamente) la tutela giurisdizionale, deve affermarsi che correttamente il Comune di Bacoli non ha provveduto a notificare il provvedimento di diniego anche all’odierno ricorrente in quanto questi, con atto per Notar Paolo Norelli (rep. nm. 123217 racc. 22006 trascritto a Napoli in data 01.12.2010 ai nn 52198-35331) ha venduto e trasferito l'immobile al Sig. Barone Pasquale.
Quanto al secondo motivo di ricorso, inerente la asserita formazione nel caso di specie di concessione tacita per decorso del termine, deve parimenti affermarsene la infondatezza. Infatti, ai sensi dell’art. 35, comma 18, della legge n. 47/1985, il silenzio assenso previsto in tema di condono edilizio non si forma per il solo fatto dell’inutile decorso del termine perentorio prefissato per la pronuncia espressa dell’amministrazione comunale, ma richiede anche l’assolvimento degli oneri documentali (ed economici) ai quali è subordinato l’accoglimento della relativa istanza, oltre, beninteso, alla prova della ricorrenza di tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi per l’ammissibilità del condono. Ne deriva che il titolo abilitativo tacito può formarsi per effetto del silenzio assenso soltanto ove la domanda sia conforme al relativo modello legale e, quindi, sia in grado di comprovare che ricorrano tutte le condizioni previste per il suo accoglimento, incluse la perizia giurata e la certificazione di idoneità statica dell’opera abusiva, impedendo in radice la mancanza di talune di queste che possa avviarsi (e concludersi) il procedimento di sanatoria (orientamento consolidato: cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 luglio 2015 n. 3661;TAR Campania Napoli, Sez. IV, 25 febbraio 2016 n. 1032). E comunque, per giurisprudenza costante, il provvedimento abilitativo tacito, costituito per effetto del silenzio-assenso, si può formare soltanto se la domanda presentata dal privato abbia i presupposti per essere accolta, perché il difetto di taluno dei presupposti sostanziali per poter accedere al condono impedisce che possa avviarsi quel procedimento, disciplinato dall'art. 35 1. n. 47/1985, in cui il decorso del tempo è co-elemento costitutivo della fattispecie autorizzativa (cfr. da ultimo T.A.R. Napoli, IV Sezione, 19 settembre 2018 n. 5445). Il più importante tra i detti presupposti è, con ogni evidenza, il dato relativo al tempo di ultimazione dei lavori (cfr. T.A.R. Napoli, II Sezione, 2 febbraio 2018 n. 730, che è il dato peraltro posto a fondamento dell’avversato diniego, nel quale si dà appunto atto che l’opera realizzata è stata iniziata il 22 luglio 1994, quindi successivamente al termine ultimo del 31 dicembre 1993 per poter accedere alla sanatoria. Sul punto parte ricorrente, pur suggestivamente contestando l’assunto in punto di fatto dell’amministrazione, nulla produce quantomeno in termini di adeguato principio di prova. Come ha condivisibilmente affermato la giurisprudenza richiamata sul punto dalla resistente amministrazione “ in linea generale, la prova della realizzazione delle opere abusive entro la data prescritta grava sull'interessato che presenta la domanda di condono, il quale può avvalersi della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ma, a fronte di elementi acquisiti dall'Amministrazione idonei ad evidenziare una diversa epoca di realizzazione dell'abuso, l'istante è gravato dall'onere di provare, attraverso dati ed elementi certi, l'effettiva realizzazione dei lavori entro il termine previsto dalla legge per poter usufruire del beneficio, non potendo limitarsi a contestare i dati in possesso dell'amministrazione senza fornire alcun elemento di prova a corredo della propria tesi ” (cfr. TAR Lecce n. 181/2014, T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 4750/2013).
Piuttosto va rilevato, di contro alla prospettazione di parte ricorrente, che la sentenza n. 230/1999 della Corte di Appello di Napoli, in atti del giudizio, emessa nei confronti del sig. Mirone Pasquale, de cuius del sig. Mirone Francesco, che si è pronunciata sull'appello della sentenza del 5.2.1998 del Pretore di Napoli, ha stabilito che “il condono non era possibile per mancanza del requisito temporale”. Ad abundantiam, rappresenta l’amministrazione che l'opera è stata ultimata in data 13.04.95 come si evince dai rapporti della P.M- PROT. N. 4237/e DEL 22.07.94 e prot. n. 2199/2/E del 13.04.95.
Riassuntivamente sul punto, la mancata definizione della sanatoria da parte dell’amministrazione comunale entro il termine perentorio all’uopo prefissato non determina, cioè, ope legis, la regolarizzazione dell'abuso, in applicazione dell'istituto del silenzio assenso, qualora manchino, come nel caso di specie, i presupposti di fatto e di diritto normativamente richiesti, tra cui, segnatamente, quello del completamento delle opere abusive entro la data indicata dalla legge, e/o qualora – con specifico riferimento a quest’ultimo presupposto essenziale – la domanda di condono, attraverso omissioni o inesattezze rilevanti, rappresenti la realtà in maniera infedele (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12 luglio 2004, n. 5039;TAR Campania, Napoli, sez. II, 15 febbraio 2006, n. 2124;Salerno, sez. II, 13 luglio 2009, n. 3990;Napoli, sez. VIII, 14 luglio 2011, n. 3849;sez. II, 6 febbraio 2012, n. 585;TAR Veneto, Venezia, sez. II, 27 maggio 2009, n. 1627;TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 18 settembre 2012, n. 951;TAR Puglia, Lecce, sez. III, 12 aprile 2012, n. 625;Bari, sez. III, 19 aprile 2012, n. 743).
Quanto finora rilevato consente di affermare la infondatezza pure del terzo motivo di ricorso, appunto relativo alla questione della data di ultimazione dei lavori.
Parimenti infondata è la censura concernente la omessa acquisizione del parere della commissione edilizia, atteso che nel procedimento per la concessione in sanatoria, il parere della commissione edilizia comunale non è obbligatorio (essendo al più facoltativo), tenuto conto dell'assenza di una specifica previsione al riguardo e della specialità del procedimento in questione rispetto a quello ordinario di rilascio della concessione edilizia, sicché la mancanza di tale parere non è censurabile (Cons. Stato, VI, 5 aprile 2012, n. 2038;V, 4 ottobre 2007, n. 5153;sez. VI, 17.12.2013, n. 6042).
Infine, deve affermarsi la infondatezza dell’argomento speso in sede di motivi aggiunti. In merito all'incidenza del parere favorevole emesso quanto al profilo paesaggistico, occorre infatti ricordare che l'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo rispetto al permesso di costruire, e i due procedimenti vanno considerati paralleli poiché perseguono obiettivi diversi.
In altri termini, come rilevato dalla resistente amministrazione comunale, il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica non vincola l'Ente a rilasciare anche il titolo edilizio. L’autonomia delle rispettive valutazioni (che consegue al riparto tra due diversi soggetti della competenza alla tutela di due concorrenti ma distinti interessi pubblici, quello più propriamente urbanistico e quello più propriamente paesaggistico) importa che le considerazione espresse dall'uno nell'esercizio dei propri poteri non rilevano ai fini della valutazione della legittimità delle conclusioni assunte dall'altro.
In definitiva, ribadite le svolte considerazioni, il ricorso e i motivi aggiunti vanno respinti, siccome infondati.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.