TAR Catania, sez. II, sentenza 2023-02-27, n. 202300602
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Pubblicato il 27/02/2023
N. 00602/2023 REG.PROV.COLL.
N. 02152/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2152 del 2012, proposto da C D P, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Ferrau', G S, Giuseppe Saitta e R G, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Lucia T in Catania, via G. Leopardi 103;
contro
Comune di Milazzo, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato C R, domiciliato presso la Segreteria del Tar Catania in Catania, via Istituto Sacro Cuore n. 22;
nei confronti
N B, e poi C B, nella qualità di erede del primo, ambedue rappresentati e difesi dall'avvocato E R, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. F M in Catania, via Umberto 200;
per l'annullamento
- dell'ordinanza n. 45 del 4 luglio 2012 del Comune di Milazzo, con la quale il Responsabile del 2° Ufficio di Staff dell'Amministrazione ha disposto di non farsi luogo al rilascio della concessione edilizia richiesta dal ricorrente con istanza presentata il 19 marzo 2012.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Milazzo e di N B, e successivamente di C B, quale erede;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 28 novembre 2022 il dott. Gustavo Giovanni Rosario Cumin e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il Sig. C D p ha acquistato il fabbricato sito in Milazzo, Via Nino Ryolo n. 40, allibrato in catasto al foglio 26, particella 207, e successivamente, con istanza depositata il 15.3.2012, egli ha presentato al Comune di Milazzo il progetto per la ristrutturazione del suddetto fabbricato e per la realizzazione di più unità ed ha chiesto il rilascio del relativo titolo edilizio.
Il Comune di Milazzo, II Ufficio di Staff, con nota n. 1089 dell'8.6.2012, ha comunicato al deducente l’avvio del procedimento per il diniego dell'istanza di rilascio della concessione edilizia richiesta perché " dalla documentazione fotografica allegata alla relazione tecnica ed alla scheda semplificata si evince che il fabbricato medesimo è posto, sul lato est, a confine con un fabbricato di proprietà di altra ditta (e segnatamente: del Sig. N B) che presenta alla terza elevazione f.t., proprio su questo lato, un’apertura ed una terrazza a livello dotata di parapetto che ne consente l'affaccio. Si esprime pertanto parere contrario in quanto l'intervento contrasto con quanto previsto dall'art. 907 c.c., “distanza delle costruzioni dalle vedute" ”.
Malgrado le osservazioni fatte pervenire in data 22.6.2012 dal Sig. C D p, nel rispetto del termine prefissato dal Comune di Milazzo all’interno dell’atto sopra indicato, con ordinanza n. 45 del 4.7.2012 il Responsabile del II Ufficio di Staff del Comune di Milazzo ha disposto di non farsi luogo al rilascio della concessione edilizia richiesta per le medesime ragioni di cui al precedente preavviso di rigetto.
Il Sig. C D p impugnava il provvedimento menzionato da ultimo con un ricorso notificato il 17/08/2012, al cui interno egli formulava le seguenti doglianze:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 10 bis della legge 7.8.1990 n.241, così come recepita nella Regione Siciliana dalla L.R. n. 10/1991;
2) Violazione e falsa applicazione dell'art.11 del D.P.R. n.380/2001, ulteriore violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della L. n. 241/1990, eccesso di potere per erroneità dei fatti presupposti e per carenza d'istruttoria, eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento;
3) violazione e falsa applicazione dell'art. 907 c.c. in relazione all'art. 1073 c.c. Eccesso di potere sotto il profilo della carenza o della insufficienza dell'istruttoria, motivazione apparente.
Si costituiva in giudizio il controinteressato Sig. N B.
La domanda cautelare proposta con il ricorso in epigrafe veniva rigettata con ordinanza n. 1111/2012.
In un torno di tempo successivo sopravveniva la morte del controinteressato Sig. N B, ed a causa di ciò, con sentenza n. 3325/2014, veniva dichiarata la interruzione del giudizio – che tuttavia veniva riassunto per iniziativa del Sig. C D P nei confronti dell’erede sig.ra C B e del Comune di Milazzo, con atto di riassunzione notificato in data 17/02/2014
Successivamente a tale iniziativa si costituiva in giudizio (anche) il Comune di Milazzo.
Con ordinanza collegiale n. 875/2015 veniva respinta la domanda di accertamento tecnico preventivo ex art. 696 c.p.c.
Le parti scambiavano fra loro scritti defensionali.
In data 28 novembre 2022 si teneva l’udienza pubblica per l’esame del ricorso in epigrafe, che veniva trattenuto in decisione.
Preliminarmente il Collegio deve decidere sulla possibilità di utilizzazione, ai fini della propria decisione, di atti processuali, la tempestività del cui deposito è stata contestata dai difensori delle parti processuali in udienza. Si tratta, in particolare, della documentazione depositata in allegato alla memoria del controinteressato del 27/10/2022, e della memoria di replica depositata dal ricorrente in segreteria il 07/11/2022. Il difensore del controinteressato difende la tempestività della propria produzione documentale riconducendola ad una mera allegazione di precedenti giuridici. Tuttavia, rispetto a quell’ipotesi, la sentenza di primo grado del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto n. 698/2022 si correla in modo puntuale e specifico ad un elemento costituente parte delle argomentazioni usate dal ricorrente principale per contestare la legittimità del provvedimento impugnato: ovvero a quella relativa alla estinzione per non uso ex art. 1073 c.c. della servitù di veduta esistente a favore della proprietà B. Sicchè la relativa produzione, a giudizio del Collegio, esula dal valore meramente conoscitivo del generico precedente giuridico, e non può che essere considerata tardiva – quantomeno limitatamente alla sentenza di primo grado del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto n. 698/2022. Non può invece ritenersi tardiva, e qui in base ad un mero computo dei termini in giorni liberi ex art. 73, primo comma, c.p.a., la memoria di replica depositata dal ricorrente in segreteria: giacchè il termine ultimo per il suo tempestivo deposito sarebbe scaduto il 08/11/2022, mentre essa è stata depositata il 07/11/2022. Pertanto il Collegio, nell’assumere la propria decisione, prescinderà dal valutare unicamente la documentazione allegata alla memoria depositata dal controinteressato in segreteria il 27/10/2022.
Passando ora al merito, centrale, ai fini della decisione da assumere, è da comprendere se le previsioni dell’art. 907 c.c. potessero effettivamente vincolare il Comune di Milazzo al rigetto della domanda presentata dal ricorrente il 15/03/2012, o se al contrario, come ritiene invece quest’ultimo, essa non dovesse essere affatto presa in considerazione dal Comune intimato nell’esercizio dei propri poteri, o comunque ritenersi superata dalla avvenuta estinzione per prescrizione della servitù di veduta in favore dell’immobile di proprietà del controinteressato.
Argomenta il ricorrente che la valutazione del Comune intimato, secondo la quale “ la violazione della disciplina sulle distanze tra privati costituirebbe ragione sufficiente per denegare il permesso di costruire richiesto, attesa la rilevanza urbanistica - e dunque pubblicistica - anche della suddetta disciplina ”, risulterebbe “ assolutamente non condivisibile ove si consideri che la presunta "violazione” rappresentata nell'elaborato progettuale presentato dal De Pasquale non riguarda una distanza prevista dallo strumento urbanistico, dal regolamento edilizio comunale o da altra disposizione di rilievo pubblicistico (sottesa alla tutela di interessi pubblici e dunque inderogabile);ma è, invece, incidente, a tutto voler concedere, sul diritto soggettivo disciplinato dall’art.907 cod. civ., ossia da una disposizione di matrice esclusivamente privatistica e per di più derogabile dall'autonomia dei privati ”.
A sostegno delle proprie tesi giuridiche – secondo le quali “ un diritto potenzialmente confliggente con il titolo edilizio richiesto può ostare al rilascio del titolo medesimo alle seguenti condizioni: aa) che il terzo, titolare del diritto potenzialmente leso, manifesti il proprio dissenso al rilascio della concessione;bb) soprattutto, che il richiedente riconosca e non contesti il diritto vantato dal terzo, nella specie affermato, invece, sua sponte dal Comune ” – il ricorrente pone dei precedenti, il valore dei quali però si infrange contro il dato relativo alla conoscibilità semplicemente ex lege della esistenza di un diritto di servitù in favore dell’immobile di proprietà B.
Per ciò che riguarda la richiamata sentenza del TAR Sicilia- Catania 28.4.2009, n. 803, essa invero non pone a base della rilevanza della posizione giuridica di soggetti terzi negativamente incisa dal rilascio del titolo edilizio richiesto il fatto che essi abbiano “ manifest (ato) il proprio dissenso al rilascio della concessione ” o che “ il richiedente riconosca e non contesti il diritto vantato dal terzo ”: limitandosi piuttosto a richiedere che la conoscibilità di tale posizione giuridica sia stata garantita al comune chiamato a provvedere in quanto “ introdott (a) nel procedimento ” e “ documenta (ta)”.
Quanto al secondo precedente richiamato, viene in questione la sentenza TAR Campania- Napoli, 25.2.2011, n. l165), secondo la quale “ l’Amministrazione comunale, infatti, in sede di rilascio del permesso di costruire, ha l’onere di verificare il rispetto dei limiti privatistici (discendenti dall'esercizio dell'autonomia negoziale, tra i quali spiccano gli "iura in re aliena", come il diritto di servitù), purché essi siano immediatamente conoscibili, effettivamente e legittimamente conosciuti nonché del tutto incontestati, di guisa che il controllo si traduca in una semplice presa d'atto ”. Ma nel caso di specie i “ limiti privatistici ” posti a base del provvedimento di rigetto impugnato non derivano affatto “ dall'esercizio dell'autonomia negoziale ”, né la posizione giuridica di soggetti terzi negativamente incisa dal rilascio del titolo edilizio richiesto necessitava di essere “introdott (a) nel procedimento ” e “ documenta (ta)”: perché al contrario la esistenza tanto dei primi quanto della seconda risultava in modo immediato da una espressa previsione di legge (e segnatamente: dall’art. 907 c.c.): rendendo quindi “ immediatamente conoscibili ”, nonché da presumere in modo necessario siccome “effettivamente e legittimamente conosciuti ”, i “ limiti privatistici” che si oppongono vittoriosamente al rilascio del titolo edilizio richiesto. Quanto poi al loro essere incontestati, ebbene, nel caso di specie è più che sufficiente osservare che l’attuale ricorrente, all’interno delle proprie osservazioni, non abbia mai fatto menzione di azioni giudiziarie intraprese in sede civile nei confronti del Sig. N B per vedere dichiarata la estinzione ex art. 1073 c.c. della servitù di veduta esistente ex lege in favore dell’immobile di proprietà del predetto soggetto ed a carico del proprio.
In conclusione, rispetto ai precedenti giurisprudenziali mal invocati dal ricorrente, il Collegio ritiene di doversi conformare alla ben più autorevole (e recente) esegesi di cui a quello riportato subito appresso: “ l'art. 907 c.c. , ove prescrive le distanze minime delle costruzioni dalle vedute, è finalizzato a tutelare non solo interessi privati bensì anche gli interessi pubblici connessi ad una corretta edificazione rispettosa della disciplina urbanistica-edilizia vigente… (in quanto) , il rilascio del titolo edilizio necessita della conformità dell'opera non solo alle specifiche disposizioni del testo unico dell'edilizia (d.P.R. n. 380/2001), ma anche alle norme dallo stesso richiamate sulla disciplina urbanistica ed edilizia vigente (cfr. art. 12). Tra queste ultime, vanno ricomprese quelle sulle distanze contenute nel codice civile e dunque anche quelle sulle distanze per le vedute di cui al comma 1 dell'art. 907:" Quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette [c.c. 900] verso il fondo vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri, misurata a norma dell'articolo 905 " [Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 8 gennaio 2018 , n. 72].
Analogamente, è stato affermato che “ Ai fini del rilascio del permesso di costruire, una volta accertato il rispetto dell'altezza massima e delle distanze minime, non spetta agli uffici comunali la verifica della perdita di visuale da parte delle abitazioni vicine, tranne quando sia rappresentata la violazione di una vera e propria servitù di veduta .” (Tar Brescia 1025/2014).
Dalle predette conclusioni, quale logico corollario delle stesse, discende la reiezione di tutti i proposti motivi di ricorso – ed in particolare di quelli di violazione e falsa applicazione dell'art.11 del D.P.R. n.380/2001, violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della L. n. 241/1990, violazione e falsa applicazione dell'art. 907 c.c., eccesso di potere per erroneità dei fatti presupposti e per carenza d'istruttoria, eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento, eccesso di potere sotto il profilo della carenza o della insufficienza dell'istruttoria, motivazione apparente -, con le precisazioni di cui subito appresso.
L’esistenza dell’art. 907 c.c. ha reso totalmente vincolato l’esercizio dei poteri di cui è espressione il provvedimento impugnato;sicchè la postulata violazione dell’art. 10 bis della L. n. 241/1990 rimane priva di qualunque rilevanza giuridica in base alla previsione del secondo comma dell’art. 21 octies della L. n. 241/1990, alla cui stregua “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato ”. Né nuoce, alla possibilità di applicare quella norma, le più recenti modifiche cui essa è andata soggetta ad opera dell'art. 12, comma 1, lett. i), D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 settembre 2020, n. 120: che ha aggiunto un ulteriore paragrafo al citato secondo comma, sancendo che “ la disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell'articolo 10-bis ”. Anche a voler ritenere, come certa giurisprudenza, immediatamente applicabile tale norma anche a fattispecie procedimentali e provvedimentali pregresse in base alla sua natura processuale (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 14 marzo 2022, n.1790), resta il fatto che quanto è attualmente precluso da quella previsione è unicamente il potere processuale dell'amministrazione intimata di “ dimostr (are) in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato ”, in relazione a provvedimenti discrezionali: e non anche quello del giudice di valutare, justa alligata et probata , se, stante “la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato ”. Infatti, anche a voler seguire quella più recente giurisprudenza, l’applicazione della nuova normativa comporta soltanto che “ l'omissione del preavviso di rigetto, in caso di provvedimenti discrezionali, non è superabile con una valutazione ex post del possibile apporto del privato ” (ancora Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 14 marzo 2022, n.1790): ma non certo che provvedimenti vincolati in concreto, così come quello impugnato per violazione dell’art. 907 c.c., debbano nondimeno aprirsi ad un contraddittorio palesemente inutile a priori, in spregio al principio del buon andamento dell’azione amministrativa sub specie temporis …
Per quanto attiene invece al dedotto vizio di violazione e falsa applicazione dell'art. 907 c.c. in relazione all'art. 1073 c.c., osserva il Collegio come, per giurisprudenza dalla quale esso non intende discostarsi nel decidere, “ in sede di giudizio amministrativo il sindacato incidentale su diritti di proprietà immobiliare o su diritti reali immobiliari deve limitarsi alle risultanze dei contratti scritti, dei libri e dei registri immobiliari e delle sentenze che accertano o costituiscono diritti reali immobiliari, essendo escluso che in sede amministrativa e di giurisdizione amministrativa si possano accertare atti o fatti modificativi delle situazioni giuridiche, come usucapioni, prescrizioni acquisitive, devoluzioni ablative, manifestazioni atipiche di volontà ” (T.A.R. Lombardia - Milano, Sez. II sentenza 26 aprile 2006, n. 1050). Quel che invece il ricorrente avrebbe preteso dal Comune intimato è lo svolgimento di una autonoma indagine sulla estinzione o meno per non uso della servitù esistente ex lege sull’immobile di proprietà B a norma dell’art. 1073 c.c.: come se un tale compito, anziché dover essere piuttosto commesso al competente organo dell’A.G.O. a norma dell’art. 2907 c.c., potesse invece essere impunemente traslato in sede amministrativa a carico del Comune intimato, a pena altrimenti della illegittimità – che il Collegio ritiene però insussistente (anche) in base alla presente censura – dei propri atti.
Il Collegio, conclusivamente pronunciando, rigetta pertanto il ricorso in epigrafe.
Sulla refusione delle spese di lite fra le parti il Collegio statuisce come da soccombenza, con rinvio al dispositivo per la loro liquidazione.